ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 16 e 23 del
 d.P.R.  27  marzo  1969  n.  128  (Ordinamento  interno  dei  servizi
 ospedalieri) e 3, secondo comma, della legge 8 dicembre 1956, n. 1378
 (Esami di Stato di  abilitazione  all'esercizio  delle  professioni),
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1)   ordinanza   emessa   il   31   maggio  1988  dal  Tribunale
 amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania
 -  sul  ricorso  proposto  dal  Sindacato Italiano Chimici Dipendenti
 Unita' Sanitarie Locali ed altri contro l'Unita' Sanitaria Locale  n.
 42,  Messina  sud ed altro, iscritta al n. 398 del registro ordinanze
 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  37,
 prima serie speciale, dell'anno 1989;
      2)  ordinanza  emessa  il 2 marzo 1989 dal Pretore di Nardo' nei
 procedimenti penali riuniti a carico  di  Zacchino  Igino  ed  altri,
 iscritta  al  n.  417  del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  38,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di  costituzione  del Sindacato Italiano Chimici
 Dipendenti Unita' Sanitarie Locali, di Lo Giudice Paolino in  proprio
 e  nella qualita', di Bonanno Silvestro, dell'Ordine Chimici Province
 di  Lecce  e  Brindisi,  del  Sindacato   Italiano   Chimici   Liberi
 Professionisti,  di Zacchino Igino, di Gatto Mario e Zacchino Igino e
 gli  atti  di  intervento  dell'Ordine  Nazionale  dei  Biologi,   di
 Altadonna  Olga  ed  altra e della Federazione Nazionale degli Ordini
 Medici Chirurghi e Odontoiatri, nonche' gli atti  di  intervento  del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  novembre  1989  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avvocati  Cesare  M. Bianca e Paolo De Caterini per il
 Sindacato Italiano Chimici Dipendenti Unita' Sanitarie Locali,  Paolo
 Barile  e  Giovanni  C.  Sciacca  per Lo Giudice Paolino in proprio e
 nella qualita', Arturo Merlo per Bonanno Silvestro, Cesare M.  Bianca
 per  l'Ordine Chimici Province di Lecce e Brindisi, Paolo De Caterini
 per il Sindacato  Italiano  Chimici  Liberi  Professionisti,  Antonio
 Funari  per  Zacchino  Igino,  Franco  C. Scoca e Alessandro Pace per
 Gatto Mario e Zacchino  Igino,  e  gli  avvocati  Giuseppe  Barone  e
 Giuseppe  Guarino  per l'interveniente Ordine Nazionale dei Biologi e
 l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   Decidendo  sull'impugnativa  proposta  da  esponenti  del
 Sindacato nazionale dei chimici dipendenti  U.S.L.  e  dal  Sindacato
 nazionale  biologi  italiani,  nonche'  da  un  biologo ed un chimico
 dipendenti dalla U.S.L. n.  42  di  Messina,  avverso  una  serie  di
 delibere   di   questa   e   dell'Assessore  regionale  alla  Sanita'
 concernenti la copertura  dei  posti  in  organico  del  servizio  di
 microbiologia  e  virologia di un ospedale di detta citta', il T.A.R.
 per la Sicilia - sezione staccata di  Catania  -  ha  sollevato,  con
 ordinanza  del  31  maggio  1988,  depositata  il  28  febbraio 1989,
 questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  16  e  23  del
 d.P.R.  27  marzo  1969,  n.128  -  recante l'Ordinamento interno dei
 servizi ospedalieri - "nella parte in cui prevedono che ai  posti  di
 primario,  aiuto  e di assistente previsti in organico nei servizi di
 analisi e virologia possano aspirare  esclusivamente  medici  con  la
 esclusione  di  biologi  e  chimici".  Ritenuta  la  rilevanza  della
 questione in quanto attinente alla legittimazione dei  ricorrenti  ed
 al   contenuto  degli  atti  impugnati,  il  T.A.R.  osserva  che  la
 discrezionalita' del legislatore e della  P.A.  nella  determinazione
 del  titolo  professionale  idoneo a consentire l'accesso ai pubblici
 uffici che comportano l'esercizio di attivita' professionale trova un
 limite  negli  artt.  33,  quinto  comma, 51, primo comma e 97, terzo
 comma, Cost. In particolare, poiche' l'art. 33  Cost.  prescrive  che
 nessuna attivita' professionale puo' essere legittimamente esercitata
 se non previo accertamento dell'idoneita' del soggetto attraverso uno
 specifico   esame   di   Stato,  il  superamento  di  detto  esame  e
 l'iscrizione negli appositi albi, oltre a  costituire  la  condizione
 per  l'esercizio  di  una  determinata  attivita'  professionale,  ne
 circoscriverebbe al tempo stesso i  limiti;  nel  senso  che  il  suo
 esercizio,   in  tanto  sarebbe  legittimo,  in  quanto  possa  farsi
 rientrare  nell'ambito  delle  capacita'  accertate  con  l'esame  di
 abilitazione.
    Di   qui,  la  necessita'  di  verificare  gli  ordinamenti  delle
 professioni oggetto di esame (medici, chimici, biologi)  e  le  norme
 che  ne  regolano  gli  esami di abilitazione, al fine di definire il
 rispettivo ambito di operativita' delle professioni medesime. Da tale
 indagine, ad avviso del T.A.R., risulta che il settore delle ricerche
 di laboratorio esula dalla sfera di competenza attribuita dalla legge
 alla  professione medica, trattandosi di "attivita' specificamente ed
 esclusivamente ascrivibile  alle  attribuzioni"  dei  chimici  e  dei
 biologi.
    A  tale  conclusione,  secondo  il  giudice  a  quo,  si  perviene
 considerando: a) che ai fini dell'esame di abilitazione all'esercizio
 della  professione  medica  non  e'  piu'  richiesta diversamente che
 nell'ordinamento del 1938 (R.D. 4 giugno 1938, n. 1269, art. 73) - la
 prova pratica di esecuzione di ricerche di laboratorio, (art. 24 D.M.
 9 settembre 1957);
    b)  che i diplomi di specializzazione non sono idonei ad abilitare
 all'espletamento di attivita' non prevista dall'esame di Stato  (arg.
 ex  artt.  1  e 12 d.P.R. 10 marzo 1982, n.162); c) che viceversa, le
 analisi chimiche  e,  rispettivamente,  quelle  biologiche  rientrano
 nella  specifica  competenza  dei  chimici e biologi alla stregua dei
 relativi ordinamenti professionali (arg. ex artt. 16 legge 19  luglio
 1957,  n. 679 e 3 legge 24 maggio 1967, n. 396); d) che l'istituzione
 dell'ordinamento  professionale  dei   biologi   ha   comportato   la
 preclusione  per  i medici all'esecuzione di analisi biologiche, come
 si evincerebbe dal fatto che solo in via  transitoria  fu  consentito
 l'esercizio  dell'attivita'  di  biologo,  con iscrizione al relativo
 albo, ai medici che l'avessero  svolta  in  via  esclusiva  o  almeno
 prevalente per almeno cinque anni (art. 48 legge n. 396 cit.).
    In  base  a  tali rilievi il giudice a quo assume che deve tenersi
 distinta l'attivita' di diagnosi e cura da quella di supporto di tipo
 laboratoristico   ed   esclude   -   conformemente   alla  prevalente
 giurisprudenza penale (Cass. pen., sez. VI, 23 ottobre 1985, n. 1048)
 -  che il personale medico possa compiere attivita' nell'ambito di un
 laboratorio di analisi chimico-cliniche e  batteriologiche;  e  cio',
 atteso  anche  che  l'attivita'  medica  si  esurisce  nella fase del
 controllo dei prelievi, che lo stesso  specialista  in  microbiologia
 non   ha   specifica  competenza  ad  effettuare  prelievi  biologici
 specialistici e che, viceversa, l'attivita' dei biologi si estrinseca
 principalmente  nella direzione e gestione dei laboratori di analisi.
    Di  qui il dubbio circa la legittimita' costituzionale degli artt.
 16 e 23 del d.P.R. n.  128  del  1969  che,  nella  previsione  degli
 organici  minimi  del  servizio  di analisi e di quello di virologia,
 prevedono ben quattro medici su cinque unita'  operative,  posti  per
 giunta  in posizione gerarchica assolutamente sovraordinata. Siffatta
 previsione - osserva ancora il giudice a quo - contrasta tra  l'altro
 con  la  piu'  recente  disciplina  sulle  dotazioni  organiche delle
 strutture di analisi cliniche aperte al pubblico la quale prevede che
 la direzione dei laboratori di base e specializzati in virologia puo'
 essere affidata indifferentemente a biologi e medici,  e  quella  dei
 laboratori  specializzati  in  analisi  chimico- cliniche puo' essere
 affidata a chimici (art. 8 D.P.C.M. 10  febbraio  1984);  laddove  le
 disposizioni  impugnate  non  consentono  ai biologi ed ai chimici di
 accedere ai posti di primario responsabile dei servizi di  analisi  e
 virologia  e di accedere in regime di parita' rispetto ai medici agli
 stessi posti di addetto alla esecuzione delle analisi di  laboratorio
 in qualita' di aiuto ed assistente.
    Secondo  il  T.A.R.  rimettente,  i citati artt. 16 e 23 sarebbero
 percio' in contrasto:
     con  l'art.  33 Cost., "in quanto non consentono ai biologi ed ai
 chimici di accedere a qualifiche che comportano lo svolgimento  della
 specifica  attivita'  professionale  per  la  quale  sono in possesso
 dell'abilitazione";
     con  l'art.  51  Cost.,  "in  quanto  limitano irrazionalmente ed
 illogicamente   l'accesso   ai   pubblici   impieghi   a    categorie
 professionali   la   cui   attivita'   e'   sancita   e  riconosciuta
 costituzionalmente";
     con  l'art.  97  Cost.,  "perche'  prevedono  una  organizzazione
 amministrativa irrazionale e non  improntata  ai  principi  del  buon
 andamento".
    1.1.  -  Nel  giudizio  davanti  alla Corte costituzionale si sono
 costituite le  parti  del  giudizio  a  quo,  le  quali  hanno  anche
 presentato   memorie   aggiunte   nell'immininenza   dell'udienza  di
 discussione ed hanno poi svolto le difese orali.
    Il  Sindacato  italiano  dei  chimici  dipendenti dalle UU.SS.LL.,
 ripropone sostanzialmente le argomentazioni contenute  nell'ordinanza
 di  rimessione, insistendo sul rilievo per cui la capacita' giuridica
 di  ogni  singola  professione  risulta  individuata   e   delimitata
 dall'esame   di  abilitazione  (e  quindi  dalle  materie  da  questo
 previste, oltre che da quelle figuranti nei corsi di  laurea  che  vi
 danno accesso), dall'iscrizione nell'albo professionale, e in genere,
 dalla  specifica  legge  professionale.  Da  tale  premessa  dovrebbe
 dedursi  una  sorta di presunzione legale di incapacita' per i medici
 all'esecuzione  di  analisi  chimico-cliniche,  posto  che  per  essi
 l'esame  di  abilitazione  e  il  curriculum  universitario quasi non
 prevedono materie e prove di chimica (solo due esami a  fronte  degli
 oltre  trenta  del  corrispondente corso dei chimici) e che le scuole
 post-universitarie di specializzazione  non  hanno  legittimazione  a
 fornire  titoli  dotati  di  valenza  professionale. Richiamata, poi,
 l'esigenza che l'esame di Stato garantisca un  "serio  ed  oggettivo"
 accertamento  del "concreto possesso", da parte del candidato, "della
 preparazione,  attitudine  e  capacita'  tecnica  necessarie  perche'
 dell'esercizio  pubblico  dell'attivita'  professionale  i  cittadini
 possano giovarsi con fiducia" (sent.  n.  43  del  1972),  la  difesa
 sostiene  che  le  norme  impugnate  contravvengono  alla  necessaria
 correlazione  specifica  tra   esame   di   Stato   ed   abilitazione
 all'esercizio delle professioni, in quanto legittimano l'esercizio di
 un'attivita'  professionale  da  parte  di  una  categoria  priva  di
 apposita  preparazione  ed  il  cui  esame  di Stato e' estraneo alla
 materia che forma oggetto di tale attivita'.
    Dal tariffario dei medici, inoltre, non potrebbe dedursi alcunche'
 in  tema  di  riparto  di  competenze  -  trattandosi  di  mero  atto
 amministrativo  - mentre la modifica dell'esame di Stato per i medici
 (art. 24 D.M. 9  settembre  1957)  evidenzierebbe  la  tendenza  alla
 specializzazione delle professioni. Affermare, poi, la competenza dei
 medici  in  base  alla  finalizzazione  diagnostica   delle   analisi
 significherebbe  confondere tra il mezzo ed il fine. A caratterizzare
 una scienza sono l'oggetto ed i metodi praticati, sicche' si  rientra
 nell'ambito  della  chimica se i metodi analitici sono chimici, anche
 se l'analisi concerne campioni biologici; ed i metodi analitici della
 chimica  sono  diventati  talmente sofisticati da rendere impensabile
 che possano essere impiegati da medici.
    La  circostanza,  poi,  che  ben  cinque  decreti legge tendenti a
 legittimare l'esecuzione delle analisi  da  parte  dei  medici  ed  a
 sanare  le  situazioni  pregresse siano stati respinti dal Parlamento
 costituirebbe la riprova dell'esigenza di tener fermo il principio di
 professionalita'.
    Alle censure enunciate dal T.A.R. rimettente la difesa ne aggiunge
 un'altra, sostenendo che  le  norme  impugnate  confliggerebbero  con
 l'art.  3  Cost.  in  quanto,  abilitando  i  medici all'esercizio di
 attivita' riservate ad altre categorie professionali, effettuano  una
 parziale  ed  arbitraria  equiparazione  tra  tali  operatori  e  gli
 appartenenti alle altre categorie, cosi' da trattare in  modo  eguale
 situazioni diseguali.
    1.2. - Le tesi ed argomentazioni dell'ordinanza di rimessione sono
 condivise anche dalla parte privata Lo Giudice Paolino, costituito in
 proprio  e  quale  rappresentante  per  la  provincia  di Messina dal
 Sindacato nazionale  biologi  italiani.  In  particolare,  la  difesa
 sottolinea   che   all'orientamento   della   giurisprudenza  penale,
 condiviso dall'ordinanza, si contrappone solo un isolato  parere  del
 Consiglio di Stato (Sez. III, 21 maggio 1985, n.745), il quale pero',
 in altre  decisioni,  riconosce  l'equiparazione  delle  funzioni  di
 chimici  e  biologi a quelle dei medici nell'ambito dei laboratori di
 analisi. La difesa sostiene poi che nessuna  norma  del  T.U.L.L.S.S.
 attribuisce  ai  medici una competenza "esclusiva" per lo svolgimento
 dell'attivita' di analisi, che questa non coincide con le  specifiche
 attribuzioni professionali del medico (diagnosi, prognosi e terapia),
 e  che  le  specializzazioni   nulla   aggiungono   alle   competenze
 professionali conseguite con l'esame di abilitazione.
    Ribadito,  poi  che  l'esecuzione  delle  analisi  di  laboratorio
 rappresenta una tipica attivita' professionale di biologi e  chimici,
 la  difesa  sostiene  che  una  soluzione  di obiettivo equilibrio e'
 sancita nel D.P.C.M. 10 febbraio  1984,  che  parifica  totalmente  i
 biologi e i chimici ai medici ai fini dell'accesso alla direzione dei
 laboratori di analisi, richiedendo solo, in tal caso, la presenza  di
 un medico tra i collaboratori: orientamento, questo, confermato dalla
 giurisprudenza amministrativa, la quale  argomenta  tra  l'altro  dal
 fatto  che nella prassi il servizio di analisi si limita a fornire al
 medico i risultati di queste, e che ai fini della diagnosi e  terapia
 non fa alcuna differenza che esse siano eseguite da un medico o da un
 non medico.
    1.3.  -  Si  e'  costituito anche l'Ordine nazionale dei biologi -
 intervenuto nel giudizio a quo  -  che  ha  chiesto  la  declaratoria
 d'incostituzionalita' delle norme impugnate. La parte privata Bonanno
 Silvestro si e' costituita tardivamente.
    1.4. - Si sono altresi' costituite Altadonna Olga e Fulci Gisella,
 medici  analisti  dipendenti  dalla  U.S.L.   n.   42   di   Messina,
 controinteressate   intervenienti  nel  giudizio  a  quo.  Dopo  aver
 sottolineato  che  all'orientamento   della   giurisprudenza   penale
 richiamato  nell'ordinanza  di rimessione se ne contrappone un altro,
 sostenuto non solo dalla giurisprudenza amministrativa  ma  anche  da
 parte  di  quella  penale,  la  difesa sostiene che la preminenza del
 personale  medico  nell'esecuzione  delle  analisi  ad   accertamento
 diagnostico  e nella gestione delle relative strutture di laboratorio
 si giustifica in ragione della prevalente finalita' clinica  di  tali
 analisi, in cui cio' che rileva non e' solo l'esattezza dei risultati
 e la conformita' dell'esperimento alle regole della  tecnica  che  lo
 disciplina,  ma  anche,  e  soprattutto, la valutazione fisiologica e
 patologica che da quel risultato puo'  essere  desunta.  Richiamando,
 poi, il gia' citato parere del Consiglio di Stato, la difesa nega che
 l'esercizio  dell'arte  medica  da   parte   degli   abilitati   alla
 professione  possa  essere  limitato ai settori oggetto dell'esame di
 Stato - che tende ad accertare solo una capacita' generica  -  e  che
 l'esclusione  dei  medici  dalle  attivita'  di  analisi possa essere
 dedotta dalle disposizioni della legge (n. 396 del  1967)  istitutiva
 dell'Ordine professionale dei biologi, le cui attribuzioni specifiche
 non  possono  costituire  limite  "a  quanto  puo'  formare   oggetto
 dell'attivita' di altre categorie professionali a norma di leggi e di
 regolamenti" (art. 3 l. cit.). La professione medica  avrebbe  invece
 un  carattere tendenzialmente generale, non delimitabile in singole e
 specifiche aree operative, e si estenderebbe all'attivita' di analisi
 in   quanto   il  medico  e'  l'unico  professionista  competente  ad
 interpretare i dati clinici che da esse emergono, sicche' su di  esso
 gravano  necessariamente  le  maggiori responsabilita' in ordine alla
 ricerca  diagnostica.  Le  caratteristiche   di   generalita'   delle
 competenze mediche e di settorialita' di quelle cliniche e biologiche
 darebbero ragione, secondo la difesa, della presenza diversificata di
 queste   categorie   nell'organico   del   servizio   ospedaliero  di
 laboratorio prevista dall'art. 16 d.P.R. n. 128 del 1969: norma  che,
 peraltro,  si  limita  a  prevedere solo una dotazione minima, ma non
 massima dei diversi professionisti. D'altra parte,  se  la  direzione
 del  servizio di analisi degli ospedali fosse stata affidata a un non
 medico, si sarebbe realizzata una rilevante  anomalia  rispetto  alle
 altre divisioni ospedaliere - rette tutte da medici - con conseguenze
 negative sotto il profilo del raccordo e della cooperazione con esse.
    1.5.  - La Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi
 e  degli  Odontoiatri  afferma  innanzitutto  che  la  Corte  avrebbe
 implicitamente riconosciuto come legittimo l'esercizio dell'attivita'
 di analisi da parte dei medici  nella  sentenza  n.  1107  del  1988.
 Sostiene,   poi,   che   l'esame  di  Stato  e'  una  verifica  della
 preparazione generale del soggetto e che le  prove  in  cui  esso  si
 concreta  hanno  carattere non esaustivo, tant'e' che anche in quelle
 effettuate in tale sede dai  chimici  non  sono  piu'  incluse  prove
 pratiche  di  analisi  chimico-cliniche  su materiali biologici (cfr.
 art. 25 D.M. 9 settembre 1957). Se  si  ritenesse  il  contrario,  si
 dovrebbe  sostenere  che esulino dall'ambito professionale del medico
 le prestazioni di cardiologia, radiologia, anestesiologia, nefrologia
 ecc..  A  conferma di cio', la difesa richiama le sentenze nn. 83 del
 1974 e 43 del 1972 di questa Corte, dalle quali  si  evincerebbe  che
 l'esame  di  Stato  investe  i  requisiti  attitudinali e tecnici per
 l'esercizio della professione nel suo complesso e non gia' quelli per
 l'esecuzione   delle   singole  prestazioni  che  possono  far  parte
 dell'attivita' professionale nel suo insieme. L'art. 16 del d.P.R. n.
 128  del  1969,  d'altra  parte,  ha  secondo la difesa realizzato un
 appropriato  equilibrio  tra  le  diverse  competenze  professionali,
 prevedendo  nella  dotazione minima del servizio di analisi almeno un
 posto di direttore o coadiutore o assistente chimico o biologo e  che
 ciascun  settore  possa  essere  affidato ad un direttore biologico o
 chimico ovvero ad un aiuto con idoneita' a primario di laboratorio.
    1.6.  -  Il  Presidente  del Consiglio dei ministri, intervenuto a
 mezzo dell'Avvocatura dello Stato osserva innanzitutto che non vi  e'
 contraddizione  tra  le  norme  impugnate  ed il D.P.C.M. 10 febbraio
 1984, dato che l'art. 7 di questo prevede che i presidi di analisi di
 cui  ai  punti  1,  2 e 3 del precedente art. 2 hanno la dotazione di
 personale prevista dalle rispettive leggi.  Cio'  premesso,  sostiene
 che  non  sarebbero  nella  specie  violati ne' l'art. 33 - in quanto
 l'esame di Stato e' prescritto per le professioni qui considerate  -;
 ne'  l'art.  51  - perche' l'accesso ai servizi di analisi avviene in
 base ai requisiti stabiliti dalla legge -; ne' l'art.  97  Cost.,  in
 quanto  l'organizzazione  dei servizi e' riservata alla insindacabile
 discrezionalita' del legislatore, il quale,  nell'esercizio  di  tale
 potere,  determina  le  sfere  di  competenza,  le  attribuzioni e le
 responsabilita' dei vari professionisti. D'altra parte, la scelta  di
 affidare  ai  medici  la  direzione  dei  servizi  di analisi sarebbe
 pienamente razionale, trattandosi  di  professionisti  che  assommano
 tutte  le  varie  competenze  necessarie per l'esercizio e la sintesi
 delle  relative  funzioni  (prelievi,  effettuazioni  delle  analisi,
 interpretazione  ed  elaborazione  dei  dati  chimici  ai  fini della
 diagnosi e della terapia di eventuali patologie).
    2. - Altra questione di costituzionalita' in materia di analisi di
 laboratorio e' stata sollevata dal Pretore di Nardo',  con  ordinanza
 del  2  marzo  1989  (r.o. n. 417/1989), nel corso di un procedimento
 penale a carico di  alcuni  medici  cui,  per  l'esecuzione  di  tali
 analisi,   era   addebitato  il  reato  di  esercizio  abusivo  delle
 professioni di chimico o biologo.
    Muovendo  dalla  premessa  per  cui l'ambito di operativita' delle
 singole  professioni  e'  definito  dalla   legge   professionale   e
 dall'abilitazione  conseguita  con l'esame di Stato, il giudice a quo
 compie un'analitica disamina  della  normativa  vigente  per  le  tre
 suddette  professioni  (R.D.  n.1592 del 1933, art. 172; R.D. n. 1269
 del 1938, artt. 51, 72, 73, 75; legge n. 1378 del 1956, artt. 1 e  3;
 D.M.  9 settembre 1957, art. 24; R.D. n. 1265 del 1934, artt. 99, 103
 e d.P.R. n. 1763 del 1965, per i medici; legge n. 897 del 1938,  art.
 1,  per  i chimici; d.P.R. n. 980 del 1982, per i biologi) nonche' di
 quella concernente i laboratori di analisi (R.D. n.  1265  del  1934,
 artt.  83,  85,  90, 92, 193; R.D. n. 281 del 1935; R.D.  n. 1631 del
 1938; d.P.R. n. 128 del 1969, art. 16; legge n. 833  del  1978,  art.
 25; D.P.C.M. 10 febbraio 1984, artt. 1-3, 8).
    Da  tale  disciplina farraginosa, frammentaria e contraddittoria -
 osserva il Pretore - non e' dato desumere con chiarezza quali  siano,
 quanto  alle  analisi  chimiche  e  biologiche  a fini diagnostici, i
 rispettivi ambiti di operativita' delle tre suddette professioni,  ed
 in  particolare  se  quella  medica  abiliti  all'esecuzione  di tali
 analisi: sicche' al riguardo si sono  verificati  cospicui  contrasti
 giurisprudenziali. Ne' una chiarificazione e' venuta dal legislatore,
 in quanto ben cinque decreti legge emanati a tal fine  (nn.  627  del
 1985,  77  del  1986,  257,  360  e  443  del  1987)  non  sono stati
 convertiti.
    Tanto  premesso,  il giudice a quo concentra la propria attenzione
 sulla legge 8 dicembre 1956, n. 1378 che, ripristinando gli esami  di
 Stato  (sospesi  dall'art.  6  R.D.L.  27  gennaio  1944,  n. 51), ha
 stabilito (art. 3, secondo comma) che i programmi di tali esami siano
 determinati  con  regolamento  emanato  dal  Ministro  della Pubblica
 Istruzione, sentito il parere della I Sezione del Consiglio Superiore
 e  degli  Ordini  professionali nazionali: regolamento poi emesso con
 D.M. 9 settembre 1957 che, all'art. 24, individua le prove  di  esame
 per   l'abilitazione   all'esercizio   della  professione  di  medico
 chirurgo,  tra  l'altro  eliminando  l'esecuzione  di   ricerche   di
 laboratorio   che  in  precedenza  -  e  sia  pure  con  facolta'  di
 sostituirle con altre prove pratiche - erano  previste  dall'art.  73
 R.D. n. 1269 del 1938.
    Ad  avviso  del Pretore di Nardo', l'art. 33, quinto comma, Cost.,
 prescrivendo un  esame  di  Stato  per  l'abilitazione  all'esercizio
 professionale,  impone  implicitamente  al legislatore di dettare una
 piu' complessa ed esaustiva regolamentazione  di  una  materia  cosi'
 delicata,  regolandola  con una fonte primaria o almeno con una legge
 quadro che determini i principi di base dei programmi  di  esame.  La
 circostanza,  percio',  che  il citato art. 3, secondo comma, demandi
 integralmente la regolamentazione della materia delle prove di  esame
 alle  scelte discrezionali - ed eventualmente mutevoli - del Ministro
 contrasterebbe con la suddetta norma costituzionale. Dal fatto,  poi,
 che  una  siffatta  disciplina  con  fonte  secondaria  ha comportato
 incertezze e  conflitti  interpretativi  circa  l'individuazione  del
 professionista  abilitato  ad eseguire analisi cliniche, il giudice a
 quo desume altresi' un contrasto con gli artt. 32 e 2 Cost.,  nonche'
 con  l'art.  3, per il diverso trattamento che i soggetti esercitanti
 la stessa professione possono ricavare a causa della variabilita' dei
 criteri  interpretativi  adottati.  La  lamentata inerzia legislativa
 darebbe infine luogo, secondo  il  Pretore,  alla  violazione  "degli
 artt.   55  e  segg.  e  101  e  segg."  Cost.  -  sotto  il  profilo
 dell'armonica divisione funzionale dei poteri dello Stato - in quanto
 comporterebbe  che  sia  in definitiva demandato al giudice penale il
 potere di stabilire l'ambito dell'attivita' professionale di  medici,
 biologi e chimici.
   2.1.   -   Nel  giudizio  cosi'  instaurato  si  e'  costituito  il
 S.I.CHI.L.P. - Sindacato italiano chimici liberi professionisti parte
 civile nel procedimento a quo.
    A  suo  avviso,  la  questione  sollevata sarebbe inammissibile in
 toto, in quanto  tendente  a  provocare  un  intervento  della  Corte
 rispetto  ad un caso di inerzia legislativa, ed in specie quanto alla
 dedotta violazione degli artt. 55 ss.  e  101  ss.,  data  l'assoluta
 genericita' ed indeterminatezza di tale censura.
    La  questione  sarebbe  poi  irrilevante,  in quanto all'ipotetica
 pronuncia   d'incostituzionalita'   dell'impugnato   art.    3    non
 conseguirebbe  l'assoluzione  dei  medici imputati nel procedimento a
 quo, dovendosi  pur  sempre  tener  conto  della  restante  normativa
 (ordinamenti scolastici e professionali, ecc.).
    Infondata  sarebbe,  infine, la censura prospettata in riferimento
 all'art. 33, quinto comma,  Cost.,  dato  che  questo  non  pone  una
 riserva  di legge e che, comunque, la regolamentazione degli esami di
 Stato comporta di  per  se'  un  elevato  grado  di  discrezionalita'
 tecnica.
    2.2.  -  Per  l'inammissibilita', irrilevanza e infondatezza delle
 questioni insta anche - ma senza motivazione - l'Ordine  dei  chimici
 delle  Province di Lecce e Brindisi, parte civile nel giudizio a quo.
    2.3.  -  Si  e'  altresi'  costituito Zacchino Igino, imputato nel
 procedimento a quo  che  ha  chiesto  l'emanazione  di  una  sentenza
 interpretativa  che  riconosca la competenza del medico in materia di
 analisi chimiche e dichiari percio' infondata la  questione.  A  tale
 conclusione  dovrebbe  giungersi  considerando:  a)  che non esistono
 norme primarie che escludono espressamente tale competenza e  che  le
 leggi  professionali di chimici e biologi delimitano la competenza di
 questi,  ma  non  escludono  che  le  medesime  attribuzioni  possano
 spettare ad altri soggetti (arg. ex art. 3 legge n. 396 del 1967); b)
 che la competenza del medico e' generale - in quanto  non  delimitata
 da alcuna norma - e comprende tradizionalmente l'attivita' di analisi
 (artt. 83 e 85  R.D.  n.  1265  del  1934)  rispetto  alla  quale  la
 competenza  del  biologo si e' solo aggiunta: c) che l'esame di Stato
 ha valore di generico accertamento delle  capacita'  professionali  e
 non  gia'  della specifica competenza in una data disciplina: tant'e'
 che vi sono materie (ematologia, oncologia, nefrologia)  sulle  quali
 l'esame  di  Stato  non si svolge ed altre che in tale sede sono solo
 facoltative; d) che la direzione dei laboratori di  analisi  pubblici
 e'  affidata  -  anche  se non in via esclusiva - a medici; e) che in
 quelli  privati  e'  prevista  l'esecuzione  delle  analisi  a  scopo
 diagnostico  da  parte del personale medico ed e' comunque imposta la
 presenza di medici quando essi siano diretti  da  chimici  o  biologi
 (D.P.C.M.  10  febbraio 1984); f) che la specializzazione in biologia
 clinica  (nuova  denominazione  delle  analisi  di  laboratorio)   e'
 riconosciuta tra quelle che abilitano all'esercizio della professione
 medica nei Paesi della CEE (Legge n. 217 del 1978).
    2.4.  - Considerazioni in gran parte analoghe sono svolte in altre
 memorie presentate dallo stesso Zacchino nonche' dal coimputato Gatto
 Mario.  In  esse  si sostiene innanzitutto che la questione sollevata
 dal Pretore di Nardo' sarebbe poi inammissibile, in  quanto  volta  a
 chiedere l'intervento della Corte per chiarire dati punti controversi
 e comunque manifestamente infondata,  in  quanto  l'art.  33,  quinto
 comma  non  prevede  che  la  disciplina  delle materie d'esame debba
 essere riservata al legislatore.
    La  difesa  sottolinea,  inoltre, che le analisi di laboratorio di
 cui si discute non sono pura  ricerca  chimica  o  biologica,  ma  si
 caratterizzano  per  la  prevalente  finalita'  clinica,  legata alle
 specifiche conoscenze della scienza medica. Non a caso, il T.U. delle
 leggi  sanitarie  (R.D.  n.  1265  del  1934) da un lato ha distinto,
 all'interno dei laboratori provinciali d'igiene e  profilassi  (artt.
 83  ss.)  un reparto chimico ed uno medico-micrografico, riservando a
 quest'ultimo le analisi a  scopo  diagnostico  ed  assegnandovi  solo
 personale  medico;  dall'altro  ha evidenziato il carattere sanitario
 dei  gabinetti  di  analisi  a  scopo  di  accertamento  diagnostico,
 sottoponendoli  ad un regime di autorizzazione (art. 193). Coerente a
 tale indirizzo, che riserva ai medici tali analisi, e' -  secondo  la
 difesa - la legislazione successiva (RR.DD. nn. 1269 e 1631 del 1938)
 ed in particolare il d.P.R. n. 128 del 1969, che  ha  statuito  (art.
 16)  la necessaria presenza di personale medico - in quanto dotato di
 competenza generale - nei servizi di analisi ospedalieri ed assegnato
 carattere settoriale ed ausiliario a quella di chimici e biologi: dal
 che dovrebbe dedursi l'infondatezza della tesi per  cui  solo  questi
 ultimi  dovrebbero  eseguire  le  analisi, mentre i medici (primario,
 aiuti ed assistenti) dovrebbero solo esaminare i  risultati  di  esse
 per  trarne  elementi  diagnostici.  Del resto, l'esecuzione di prove
 pratiche di tipo analitico e'  prevista  ai  fini  del  concorso  per
 l'assunzione  in  ruolo  presso  i servizi ospedalieri di laboratorio
 (d.P.R. n. 130 del 1969, art. 86,  lettera  L).  Nello  stesso  senso
 deporrebbero  poi  una serie di fonti subprimarie (d.P.R. n. 1763 del
 1965, d.P.R. n. 95 del 1986, D.P.C.M. 10 febbraio 1984)  e  di  leggi
 regionali.  Ne'  in  contrario potrebbe argomentarsi dall'art. 24 del
 D.M. 9 settembre 1957, in quanto l'eliminazione della  prova  pratica
 di  analisi  di laboratorio sarebbe diretta a semplificare l'esame di
 Stato e non potrebbe ritenersi comunque  idonea,  per  la  natura  di
 detta  fonte, a delimitare l'ambito della professione medica, che non
 sarebbe stato definito in un'apposita legge professionale proprio per
 salvaguardarne  il  carattere  di  generalita',  evitando definizioni
 normative inevitabilmente riduttive. Tale delimitazione non  potrebbe
 poi  dedursi  dall'esame  di  Stato,  concernente  solo le conoscenze
 generali e fondamentali,  che'  altrimenti  ben  poche  sarebbero  le
 attivita'  professionali realmente esercitabili: tant'e' che a questa
 stregua anche al chimico  sarebbero  inibite  le  analisi  biologiche
 (arg.  ex  art.  25  D.M.  9  settembre 1957). In realta', secondo la
 difesa, per stabilire  l'ambito  di  operativita'  della  professione
 medica  occorre  riferirsi  non al solo esame di Stato, ma all'intero
 curriculum universitario, postuniversitario  e  di  specializzazione,
 che  solo  puo'  chiarire  la  reale preparazione professionale in un
 determinato settore: e per quanto riguarda i medici esisterebbero sia
 materie dei corsi universitari che settori di specializzazione idonei
 a far acquisire la competenza in materia di analisi di laboratorio. A
 questa  stregua,  la  questione  dovrebbe,  secondo la difesa, essere
 dichiarata inammissibile. Ove invece si ritenesse che  dall'impugnato
 art.  3  e  dall'art.  24  del  D.M.  9  settembre  1957  discende la
 preclusione ai medici all'attivita' di analisi cliniche, la questione
 dovrebbe essere giudicata fondata per i motivi esposti nell'ordinanza
 di rimessione.
    2.5.  -  L'Avvocatura  dello  Stato,  intervenuta  nel giudizio in
 rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha  chiesto
 che  la  questione  sia  dichiarata inammissibile, in quanto volta ad
 ottenere un'interpretazione  di  norme  ordinarie  ed  un  intervento
 additivo   della  Corte  per  colmare  pretesi  vuoti  di  disciplina
 legislativa (sent. n. 242 del 1989,  ord.  n.  480  del  1989).  Essa
 sarebbe  comunque  infondata,  in quanto la disciplina degli esami di
 Stato per l'ammissione ai vari ordini professionali non e' coperta da
 riserva  di  legge,  e  l'esigenza  di  un successivo regolamento per
 determinarne le modalita' e' necessaria per assicurare  la  posizione
 di parita' degli aspiranti di fronte alle prove.
    L'art. 32 Cost., poi, non sarebbe violato proprio in ragione delle
 previsione di uno specifico esame di  abilitazione;  ed  il  richiamo
 degli  altri  parametri  costituzionali  invocati  sarebbe  del tutto
 inconferente.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Entrambe  le  ordinanze di rimessione concernono la materia
 delle figure professionali addette ai laboratori di analisi cliniche.
 I   relativi   procedimenti  possono  percio'  essere  riuniti,  onde
 pervenire ad un'unica decisione.
    2.  -  Il  Pretore  di  Nardo'  (ord. n. 417/89) muove dal rilievo
 secondo cui la farraginosa e frammentaria  normativa  concernente  le
 analisi cliniche non consentirebbe di definire i rispettivi ambiti di
 operativita' delle professioni di biologo, chimico e  medico,  ed  in
 particolare di stabilire se i medici siano abilitati all'esercizio di
 tali analisi. In base a tale  premessa,  censura  l'art.  3,  secondo
 comma,  della  legge  8  dicembre  1956,  n.  1378 (Esami di Stato di
 abilitazione all'esercizio delle professioni), perche', demandando in
 toto  ad un regolamento ministeriale la determinazione delle prove di
 esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione  di
 medico-chirurgo  (D.M.  9  settembre 1957, art. 24), sarebbe la fonte
 delle incertezze interpretative verificatesi sul  punto.  Di  qui  la
 violazione,  da un lato, dell'art. 33, quinto comma, Cost., che a suo
 avviso imporrebbe la  regolamentazione  di  tale  materia  con  fonte
 primaria,  almeno  nella  forma della legge quadro; dall'altro, degli
 artt. 2,  32  e  3  Cost.,  dato  che  la  variabilita'  dei  criteri
 interpretativi   lederebbe   il   diritto   primario   dei  cittadini
 all'individuazione del professionista abilitato alle  analisi  -  con
 conseguente   compromissione   della   tutela   della   salute   -  e
 comporterebbe  disparita'  di  trattamento   tra   i   professionisti
 interessati.  Sarebbero  infine  violati  gli "artt. 55 ss., 101 ss."
 Cost., in quanto verrebbe di fatto demandato  al  giudice  penale  il
 potere   di   definire   l'ambito   di  operativita'  delle  suddette
 professioni, con conseguente alterazione della  divisione  funzionale
 dei poteri dello Stato.
    La censura riferita all'art. 33, quinto comma, Cost. e' infondata,
 in quanto tale disposizione, nel prescrivere  l'esame  di  Stato  per
 l'abilitazione  all'esercizio  professionale, non pone una riserva di
 legge in ordine alla determinazione delle prove d'esame.
    Le  rimanenti  censure  sono inammissibili in quanto, il giudice a
 quo, lamentando,  peraltro  in  termini  assolutamente  generici,  le
 conseguenze  delle  incertezze  interpretative,  chiede in sostanza a
 questa Corte di risolvere una questione  d'interpretazione,  dettando
 una  nuova,  chiara  ed  esauriente disciplina dell'argomento. Simile
 intervento, evidentemente, esula dai poteri del giudice delle leggi e
 resta riservato al legislatore.
    3.  -  Il  T.A.R.  per  la Sicilia - sezione staccata di Catania -
 impugna, invece, gli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969,  n.  128
 (Ordinamento  interno  dei  servizi  ospedalieri)  nelle parti in cui
 determinano   la   dotazione   organica   del   personale    addetto,
 rispettivamente,   al   servizio   di   laboratorio  per  le  analisi
 chimico-cliniche e microbiologiche ed al servizio di virologia  degli
 ospedali (ord. n. 398/89).
    Quanto  al  primo  servizio,  l'art.  16 prevede, per il personale
 medico, "un posto di primario", "almeno un posto di aiuto" ed "almeno
 un   posto   di  assistente"  (due  se  l'ospedale  ha  piu'  di  600
 posti-letto).
    Inoltre,  poiche'  "negli  ospedali  regionali  e  provinciali" il
 servizio "e' articolato in piu' settori", la  dotazione  organica  di
 ciascun  settore  deve  prevedere  "almeno  un  posto  di direttore o
 coadiutore o assistente chimico o biologo" ed un posto di tecnico  di
 laboratorio.   "Ciascun   settore,   a   seconda   delle   rispettive
 specialita', puo' essere affidato ad un direttore biologo o  chimico,
 ovvero  ad  un  aiuto  che abbia conseguito l'idoneita' a primario di
 laboratorio di  analisi  chimico-cliniche  e  microbiologiche".  Solo
 quest'ultimo,   pero',   puo'   dirigere   i   "presidi  autonomi  di
 laboratorio" eventualmente istituiti "presso particolari divisioni  o
 raggruppamenti di unita' di diagnosi e cura".
    Se  l'ospedale  supera  i  900,  ovvero  i 1800 posti-letto, vanno
 istituiti  un  secondo  ed  un  terzo  primariato,  "con  adeguata  e
 proporzionata dotazione organica di personale".
    Quanto  al servizio di virologia, l'art. 23 stabilisce, al secondo
 comma, che esso "e' diretto da un primario, coadiuvato  da  aiuti  ed
 assistenti  e da personale tecnico e sanitario ausiliario, secondo le
 necessita' del servizio stesso".
    Il T.A.R. rimettente censura le suddette disposizioni "nella parte
 in cui prevedono che ai posti di  primario,  aiuto  e  di  assistente
 previsti  in  organico  nei  servizi  di  analisi e virologia possano
 aspirare  esclusivamente  medici  con  la  esclusione  di  biologi  e
 chimici". In particolare, esse contrasterebbero:
     con  l'art.  33, quinto comma, Cost. "in quanto non consentono ai
 biologi e ai chimici di  accedere  a  qualifiche  che  comportano  lo
 svolgimento della specifica attivita' professionale per la quale sono
 in possesso della abilitazione";
     con  l'art.  51,  primo  comma,  Cost.,  in  quanto  in  tal modo
 limiterebbero irrazionalmente l'accesso ai pubblici impieghi di  tali
 categorie professionali;
     con  l'art.  97 Cost., giacche' ne risulterebbe un'organizzazione
 dei predetti servizi irrazionale e non  improntata  ai  principi  del
 buon andamento dell'amministrazione.
    4. - Occorre preliminarmente precisare che l'oggetto delle censure
 prospettate dal  Tribunale,  al  di  la'  di  qualche  ambiguita'  di
 impostazione   dell'ordinanza   di  rimessione,  risulta  essere,  ad
 un'attenta lettura dell'intero provvedimento e specialmente delle sue
 conclusioni,  non  gia'  l'inclusione  dei  medici negli organici dei
 servizi ospedalieri di analisi e virologia, ma soltanto  l'esclusione
 di  biologi  e  chimici  dalle  posizioni  corrispondenti a quelle di
 primario, aiuto ed assistente.
    Cosi'  puntualizzato  il contenuto del quesito sottoposto a questa
 Corte, l'esposizione delle ragioni volte a dimostrare  l'incompetenza
 dei  medici  circa  l'attivita'  di  analisi  di laboratorio non puo'
 riguardarsi  altro  che  come  un  argomento  a  fortiori,  inteso  a
 corroborare  la  tesi  a  sostegno  della  capacita' professionale, e
 dunque, della necessaria partecipazione, in regime  di  parita',  dei
 biologi e dei chimici, accanto ai medici, alla suddetta attivita'.
    Il ricorso a tale argomento tuttavia non e' necessario, poiche' la
 specifica capacita' professionale dei biologi e  dei  chimici  quanto
 all'esecuzione  delle  analisi  biologiche  e chimico-cliniche non e'
 seriamente contestata neppure nel presente  giudizio  e  risulta  del
 resto  sufficientemente  dimostrata  da  una  pluralita' di elementi.
 Infatti, la legge professionale per i biologi n. 396 del  1967  (art.
 3,  lettera  g)  afferma  che  sono  oggetto  della  professione, tra
 l'altro, le "analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue;
 sierologiche,     immunologiche,    istologiche,    di    gravidanza,
 metaboliche)", mentre, per quanto concerne  i  chimici,  il  relativo
 tariffario  professionale,  peraltro  approvato  originariamente  con
 legge (n. 679 del 1957 ) e successivamente aggiornato, riguarda (art.
 16)  le  "analisi chimiche di ogni specie" con l'espressa esclusione,
 "perche' non di competenza" dei "prelievi di carattere biologico,  da
 organismi  viventi e i pareri... di carattere biologico-diagnostico".
 Un indizio ulteriore a favore della specifica  competenza  di  questi
 professionisti  all'esecuzione  anche  di  analisi cliniche si ricava
 inequivocabilmente dai criteri che caratterizzano la  normativa  piu'
 recente  e  cioe'  quelli  dettati  dal  D.P.C.M.  10 febbraio 1984 a
 proposito dei laboratori  privati  di  analisi  aperti  al  pubblico.
 L'art.  8  di  questo  decreto  infatti contiene, sia pure con alcuni
 limiti, il principio della possibile alternativita'  nella  direzione
 del  laboratorio  tra  il  medico,  da un lato, e il biologo o (per i
 laboratori    specializzati    di    analisi    chimico-cliniche    e
 tossicologiche)   il  chimico,  dall'altro,  con  cio'  presupponendo
 necessariamente la capacita' professionale di questi ultimi.  E'  ben
 vero  che  tale  disposizione  concerne soltanto i laboratori privati
 aperti al pubblico; tuttavia, al fine che qui interessa - e cioe'  la
 valutazione della effettiva idoneita' di chimici e biologi a svolgere
 attivita' di analisti - non rileva se la struttura nella  quale  tale
 attivita' e' esercitata sia privata o pubblica.
    Naturalmente,  si  deve  precisare,  l'attivita'  in  questione e'
 limitata all'indagine tecnico-scientifica  sui  materiali  e  non  si
 estende  ne'  ai  prelievi dalla persona, ne' ai giudizi diagnostici,
 rientranti invece nella competenza professionale propria dei  medici.
    5.  -  Cio' premesso, si ricorda che questa Corte ha gia' da tempo
 ritenuto che l'art. 33, quinto comma, nel  prescrivere  un  esame  di
 Stato   per   l'abilitazione   all'esercizio  professionale,  intende
 assicurare "nell'interesse della collettivita' e dei committenti, che
 il  professionista  abbia  i requisiti di preparazione e di capacita'
 occorrenti per il retto esercizio professionale"  (sent.  n.  77  del
 1964).  Esso  dunque  reca  in  se'  un principio di professionalita'
 specifica:   richiede   cioe'   che   l'esercizio   delle   attivita'
 professionali  rivolte  al  pubblico  avvenga  in  base  a conoscenze
 sufficientemente approfondite.
    Il  medesimo  principio  inoltre,  trattandosi,  come  nel caso di
 specie, di professionisti operanti in una struttura pubblica,  deriva
 pure     dall'esigenza    di    assicurare    il    buon    andamento
 dell'amministrazione, posta  dall'invocato  art.  97  Cost.  mediante
 sistemi  congrui e ragionevoli di reclutamento e di distribuzione del
 personale, nel rispetto, naturalmente,  del  canone  dell'eguaglianza
 nell'accesso ai pubblici uffici di cui all'art. 51, primo comma Cost.
    Tutto  cio',  e' da aggiungere, vale a maggior ragione nel settore
 ora in discussione, che coinvolge altresi' esigenze di  tutela  della
 salute, presidiate da apposita garanzia costituzionale (art. 32).
    Nello  speciale  ambito  dell'attivita'  di  analisi  clinica  nei
 laboratori ospedalieri, inoltre,  dove  confluiscono  necessariamente
 molteplici  competenze professionali, e' particolarmente pressante il
 bisogno che sia assicurato  il  corretto  espletamento  del  servizio
 mediante  l'adeguata  utilizzazione delle diverse capacita' e la loro
 armonica integrazione.
    6.  -  Per  quanto  concerne  lo  specifico  problema  attualmente
 all'esame della Corte, l'applicazione  di  questi  criteri  comporta,
 almeno  in  via  di  principio,  che  i  biologi e i chimici, poiche'
 professionalmente capaci di esplicare l'attivita' tecnica di  analisi
 di  laboratorio, abbiano ingresso negli organici dei relativi servizi
 ospedalieri, limitatamente  a  tale  attivita',  senza  aprioristiche
 esclusioni  ed  in  condizioni  di  pari dignita' rispetto ai medici,
 anche per le posizioni apicali. Tuttavia, la  concreta  articolazione
 del problema nelle diverse questioni di costituzionalita' prospettate
 dal giudice a quo non ne consente una soluzione univoca nel senso ora
 detto.
    Oggetto di censura e' infatti, da un lato l'esclusione dei biologi
 e chimici dalla direzione del servizio sia di analisi (art. 16 d.P.R.
 n.   128   del   1969),  sia  di  virologia  (art.  23);  dall'altro,
 l'esclusione dei medesimi, negli  organici  di  entrambi  i  Servizi,
 dalle  posizioni  di  aiuto e di assistente, rectius, dalle posizioni
 che - nel comune ruolo sanitario del personale delle unita' sanitarie
 locali  -  corrispondano  a queste nei distinti profili professionali
 dei chimici e dei biologi (cioe' di coadiutore e collaboratore:  art.
 2  con  All. 1, art. 63 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; artt. da 7 a
 12 d.P.R. 7 settembre 1984, n. 821).
    Le  questioni  concernenti  la  posizione apicale in tutti e due i
 Servizi (artt. 16 e 23) e le  posizioni  intermedie  e  iniziali  nel
 Servizio di analisi (art. 16) sono inammissibili.
    Infatti  pur non potendosi disconoscere l'esigenza di pervenire ad
 un riequilibrio,  l'inserimento  dei  biologi  e  dei  chimici  negli
 organici  dei  predetti  Servizi nei sensi invocati dall'ordinanza di
 rimessione non puo' essere disposto da questa Corte con una pronunzia
 additiva,  giacche'  non  si tratta di una mera estensione meccanica,
 frutto di scelte logicamente e costituzionalmente  necessitate.  Esso
 invece   deve  ritenersi  riservato  all'intervento  del  legislatore
 perche' comporta una pluralita' di scelte  tecnico-discrezionali  tra
 diverse  soluzioni possibili in relazione ad una varieta' di fattori,
 quali ad esempio, la tipologia della struttura ospedaliera e  le  sue
 peculiari  esigenze, il tipo di analisi da praticare, e cosi' via. Si
 tratta, in  altre  parole,  non  gia'  di  realizzare  innesti  nella
 struttura esistente, rigorosamente prefigurata in ogni aspetto, anche
 numerico, bensi' di ridisegnare la  gia'  complessa  architettura  di
 questa  nelle  varie  possibili  versioni  in  modo  da  coniugare le
 esigenze di funzionalita' con quelle  di  appropriato  impiego  delle
 diverse  competenze  e  di  sostanziale  parita' di trattamento delle
 relative figure professionali.
    Con  riguardo  al  quesito concernente la direzione dei Servizi si
 deve ulteriormente precisare che, mentre non appare irrazionale  che,
 nell'ambito  di  una  struttura ospedaliera pubblica, la direzione di
 uno tra i servizi speciali di diagnosi e cura (art. 12 d.P.R. n.  128
 del  1969)  sia attualmente affidata ad un medico con la posizione di
 primario  ospedaliero  (e  cioe'  ad  un  medico  la  cui   specifica
 professionalita'   e'   comprovata   dal  superamento  dell'esame  di
 idoneita' previsto dall'art. 20 d.P.R. n. 761 del 1979), resta invece
 frutto di una opzione tipicamente discrezionale quella di introdurre,
 come sembrano auspicare  sia  il  giudice  a  quo  sia  alcune  parti
 private,  un  sistema,  quale  quello  realizzato  per  i  laboratori
 privati, ispirato al principio dell'alternativa tra medici e  biologi
 o  chimici: cio' in particolare per quanto riguarda sia la scelta dei
 tipi  di  laboratorio  in  cui  tale  alternativa  e'   concretamente
 praticabile,  sia  la  molteplicita'  dei  congegni  prevedibili  per
 assicurare,  in  relazione  alle  peculiari  esigenze  del   servizio
 pubblico  e  ai  diversi  tipi  di  ospedale,  anche la necessaria ed
 equilibrata presenza della figura del medico nell'ipotesi in  cui  la
 direzione  del  servizio  sia  assunta,  a  seconda  dei  casi, da un
 biologo, o da un chimico.
    Nel   riconoscere  l'inammissibilita'  delle  predette  questioni,
 questa Corte auspica che il legislatore  intervenga  prontamente  per
 ridisegnare una organica disciplina della materia, che riconsideri le
 posizioni  delle  categorie  professionali  interessate   secondo   i
 principi prima ricordati di professionalita', pari dignita' a tutti i
 livelli e congrua ed  efficace  organizzazione  di  servizi  pubblici
 preordinati alla tutela della salute.
    7.  -  A  diversa  conclusione deve giungersi per la questione che
 investe l'art. 23 nella parte  concernente  le  posizioni  funzionali
 corrispondenti a quelle di aiuto e di assistente.
    Tale questione e' fondata.
    L'organico stabilito dall'art. 23 per il relativo servizio prevede
 infatti l'impiego di personale esclusivamente medico  ("un  primario,
 coadiuvato da aiuti ed assistenti"); ne' puo' ritenersi che biologi e
 chimici siano ricompresi nel restante personale ("tecnico e sanitario
 ausiliario") ivi considerato, in quanto nel sistema del d.P.R. n. 128
 del 1969 e del coevo d.P.R. 27 marzo 1969,  n.  130,  tali  locuzioni
 sono   riferite   ai   tecnici   di   laboratorio   ed  al  personale
 infermieristico (artt. 8 e 39 d.P.R. n. 128 e art. 1 d.P.R. n.  130).
    La  struttura  concreta del servizio non e' qui - a differenza che
 per i laboratori di  analisi  di  cui  all'art.  16  -  compiutamente
 delineata,  giacche'  il  numero  degli  aiuti  ed  assistenti non e'
 rigidamente predeterminato nel suo limite  minimo,  ma  puo'  variare
 "secondo  le  necessita'  del servizio" stesso. Ma proprio cio' rende
 evidente la irragionevolezza della scelta aprioristica di  esclusione
 dei  chimici  e  biologi  compiuta  dal  legislatore  delegato. In un
 organico concepito in  termini  elastici  e'  infatti  ben  possibile
 prevedere in astratto la coesistenza di diverse figure professionali,
 egualmente capaci, lasciando all'amministrazione di scegliere l'una o
 l'altra  a  seconda  delle  specifiche  esigenze e rendendo possibile
 l'impiego di tutte se si debba coprire una pluralita' di posti.
    Tale intervento additivo e' conseguenza logicamente necessaria del
 vizio rilevato, e non comporta intrusione  in  scelte  discrezionali,
 attesa  la  rilevata  particolare  struttura dell'organico - aperta e
 senza indicazioni numeriche - qui prefigurata dal legislatore e  che,
 in tale sua connotazione essenziale, e' lasciata inalterata.
    L'art.  23, secondo comma, va dunque dichiarato costituzionalmente
 illegittimo - per contrasto con gli art. 33, quinto comma, 51,  primo
 comma  e  97 Cost. - nella parte in cui non prevede nell'organico del
 servizio di virologia le posizioni funzionali di  biologo  e  chimico
 coadiutore  e collaboratore: la cui inclusione, ovviamente, dovra' in
 concreto avvenire secondo la necessita' del servizio stesso.