ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri) e 3, secondo comma, della legge 8 dicembre 1956, n. 1378 (Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 31 maggio 1988 dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia - Sezione staccata di Catania - sul ricorso proposto dal Sindacato Italiano Chimici Dipendenti Unita' Sanitarie Locali ed altri contro l'Unita' Sanitaria Locale n. 42, Messina sud ed altro, iscritta al n. 398 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989; 2) ordinanza emessa il 2 marzo 1989 dal Pretore di Nardo' nei procedimenti penali riuniti a carico di Zacchino Igino ed altri, iscritta al n. 417 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visti gli atti di costituzione del Sindacato Italiano Chimici Dipendenti Unita' Sanitarie Locali, di Lo Giudice Paolino in proprio e nella qualita', di Bonanno Silvestro, dell'Ordine Chimici Province di Lecce e Brindisi, del Sindacato Italiano Chimici Liberi Professionisti, di Zacchino Igino, di Gatto Mario e Zacchino Igino e gli atti di intervento dell'Ordine Nazionale dei Biologi, di Altadonna Olga ed altra e della Federazione Nazionale degli Ordini Medici Chirurghi e Odontoiatri, nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 28 novembre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Uditi gli avvocati Cesare M. Bianca e Paolo De Caterini per il Sindacato Italiano Chimici Dipendenti Unita' Sanitarie Locali, Paolo Barile e Giovanni C. Sciacca per Lo Giudice Paolino in proprio e nella qualita', Arturo Merlo per Bonanno Silvestro, Cesare M. Bianca per l'Ordine Chimici Province di Lecce e Brindisi, Paolo De Caterini per il Sindacato Italiano Chimici Liberi Professionisti, Antonio Funari per Zacchino Igino, Franco C. Scoca e Alessandro Pace per Gatto Mario e Zacchino Igino, e gli avvocati Giuseppe Barone e Giuseppe Guarino per l'interveniente Ordine Nazionale dei Biologi e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Decidendo sull'impugnativa proposta da esponenti del Sindacato nazionale dei chimici dipendenti U.S.L. e dal Sindacato nazionale biologi italiani, nonche' da un biologo ed un chimico dipendenti dalla U.S.L. n. 42 di Messina, avverso una serie di delibere di questa e dell'Assessore regionale alla Sanita' concernenti la copertura dei posti in organico del servizio di microbiologia e virologia di un ospedale di detta citta', il T.A.R. per la Sicilia - sezione staccata di Catania - ha sollevato, con ordinanza del 31 maggio 1988, depositata il 28 febbraio 1989, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969, n.128 - recante l'Ordinamento interno dei servizi ospedalieri - "nella parte in cui prevedono che ai posti di primario, aiuto e di assistente previsti in organico nei servizi di analisi e virologia possano aspirare esclusivamente medici con la esclusione di biologi e chimici". Ritenuta la rilevanza della questione in quanto attinente alla legittimazione dei ricorrenti ed al contenuto degli atti impugnati, il T.A.R. osserva che la discrezionalita' del legislatore e della P.A. nella determinazione del titolo professionale idoneo a consentire l'accesso ai pubblici uffici che comportano l'esercizio di attivita' professionale trova un limite negli artt. 33, quinto comma, 51, primo comma e 97, terzo comma, Cost. In particolare, poiche' l'art. 33 Cost. prescrive che nessuna attivita' professionale puo' essere legittimamente esercitata se non previo accertamento dell'idoneita' del soggetto attraverso uno specifico esame di Stato, il superamento di detto esame e l'iscrizione negli appositi albi, oltre a costituire la condizione per l'esercizio di una determinata attivita' professionale, ne circoscriverebbe al tempo stesso i limiti; nel senso che il suo esercizio, in tanto sarebbe legittimo, in quanto possa farsi rientrare nell'ambito delle capacita' accertate con l'esame di abilitazione. Di qui, la necessita' di verificare gli ordinamenti delle professioni oggetto di esame (medici, chimici, biologi) e le norme che ne regolano gli esami di abilitazione, al fine di definire il rispettivo ambito di operativita' delle professioni medesime. Da tale indagine, ad avviso del T.A.R., risulta che il settore delle ricerche di laboratorio esula dalla sfera di competenza attribuita dalla legge alla professione medica, trattandosi di "attivita' specificamente ed esclusivamente ascrivibile alle attribuzioni" dei chimici e dei biologi. A tale conclusione, secondo il giudice a quo, si perviene considerando: a) che ai fini dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione medica non e' piu' richiesta diversamente che nell'ordinamento del 1938 (R.D. 4 giugno 1938, n. 1269, art. 73) - la prova pratica di esecuzione di ricerche di laboratorio, (art. 24 D.M. 9 settembre 1957); b) che i diplomi di specializzazione non sono idonei ad abilitare all'espletamento di attivita' non prevista dall'esame di Stato (arg. ex artt. 1 e 12 d.P.R. 10 marzo 1982, n.162); c) che viceversa, le analisi chimiche e, rispettivamente, quelle biologiche rientrano nella specifica competenza dei chimici e biologi alla stregua dei relativi ordinamenti professionali (arg. ex artt. 16 legge 19 luglio 1957, n. 679 e 3 legge 24 maggio 1967, n. 396); d) che l'istituzione dell'ordinamento professionale dei biologi ha comportato la preclusione per i medici all'esecuzione di analisi biologiche, come si evincerebbe dal fatto che solo in via transitoria fu consentito l'esercizio dell'attivita' di biologo, con iscrizione al relativo albo, ai medici che l'avessero svolta in via esclusiva o almeno prevalente per almeno cinque anni (art. 48 legge n. 396 cit.). In base a tali rilievi il giudice a quo assume che deve tenersi distinta l'attivita' di diagnosi e cura da quella di supporto di tipo laboratoristico ed esclude - conformemente alla prevalente giurisprudenza penale (Cass. pen., sez. VI, 23 ottobre 1985, n. 1048) - che il personale medico possa compiere attivita' nell'ambito di un laboratorio di analisi chimico-cliniche e batteriologiche; e cio', atteso anche che l'attivita' medica si esurisce nella fase del controllo dei prelievi, che lo stesso specialista in microbiologia non ha specifica competenza ad effettuare prelievi biologici specialistici e che, viceversa, l'attivita' dei biologi si estrinseca principalmente nella direzione e gestione dei laboratori di analisi. Di qui il dubbio circa la legittimita' costituzionale degli artt. 16 e 23 del d.P.R. n. 128 del 1969 che, nella previsione degli organici minimi del servizio di analisi e di quello di virologia, prevedono ben quattro medici su cinque unita' operative, posti per giunta in posizione gerarchica assolutamente sovraordinata. Siffatta previsione - osserva ancora il giudice a quo - contrasta tra l'altro con la piu' recente disciplina sulle dotazioni organiche delle strutture di analisi cliniche aperte al pubblico la quale prevede che la direzione dei laboratori di base e specializzati in virologia puo' essere affidata indifferentemente a biologi e medici, e quella dei laboratori specializzati in analisi chimico- cliniche puo' essere affidata a chimici (art. 8 D.P.C.M. 10 febbraio 1984); laddove le disposizioni impugnate non consentono ai biologi ed ai chimici di accedere ai posti di primario responsabile dei servizi di analisi e virologia e di accedere in regime di parita' rispetto ai medici agli stessi posti di addetto alla esecuzione delle analisi di laboratorio in qualita' di aiuto ed assistente. Secondo il T.A.R. rimettente, i citati artt. 16 e 23 sarebbero percio' in contrasto: con l'art. 33 Cost., "in quanto non consentono ai biologi ed ai chimici di accedere a qualifiche che comportano lo svolgimento della specifica attivita' professionale per la quale sono in possesso dell'abilitazione"; con l'art. 51 Cost., "in quanto limitano irrazionalmente ed illogicamente l'accesso ai pubblici impieghi a categorie professionali la cui attivita' e' sancita e riconosciuta costituzionalmente"; con l'art. 97 Cost., "perche' prevedono una organizzazione amministrativa irrazionale e non improntata ai principi del buon andamento". 1.1. - Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituite le parti del giudizio a quo, le quali hanno anche presentato memorie aggiunte nell'immininenza dell'udienza di discussione ed hanno poi svolto le difese orali. Il Sindacato italiano dei chimici dipendenti dalle UU.SS.LL., ripropone sostanzialmente le argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione, insistendo sul rilievo per cui la capacita' giuridica di ogni singola professione risulta individuata e delimitata dall'esame di abilitazione (e quindi dalle materie da questo previste, oltre che da quelle figuranti nei corsi di laurea che vi danno accesso), dall'iscrizione nell'albo professionale, e in genere, dalla specifica legge professionale. Da tale premessa dovrebbe dedursi una sorta di presunzione legale di incapacita' per i medici all'esecuzione di analisi chimico-cliniche, posto che per essi l'esame di abilitazione e il curriculum universitario quasi non prevedono materie e prove di chimica (solo due esami a fronte degli oltre trenta del corrispondente corso dei chimici) e che le scuole post-universitarie di specializzazione non hanno legittimazione a fornire titoli dotati di valenza professionale. Richiamata, poi, l'esigenza che l'esame di Stato garantisca un "serio ed oggettivo" accertamento del "concreto possesso", da parte del candidato, "della preparazione, attitudine e capacita' tecnica necessarie perche' dell'esercizio pubblico dell'attivita' professionale i cittadini possano giovarsi con fiducia" (sent. n. 43 del 1972), la difesa sostiene che le norme impugnate contravvengono alla necessaria correlazione specifica tra esame di Stato ed abilitazione all'esercizio delle professioni, in quanto legittimano l'esercizio di un'attivita' professionale da parte di una categoria priva di apposita preparazione ed il cui esame di Stato e' estraneo alla materia che forma oggetto di tale attivita'. Dal tariffario dei medici, inoltre, non potrebbe dedursi alcunche' in tema di riparto di competenze - trattandosi di mero atto amministrativo - mentre la modifica dell'esame di Stato per i medici (art. 24 D.M. 9 settembre 1957) evidenzierebbe la tendenza alla specializzazione delle professioni. Affermare, poi, la competenza dei medici in base alla finalizzazione diagnostica delle analisi significherebbe confondere tra il mezzo ed il fine. A caratterizzare una scienza sono l'oggetto ed i metodi praticati, sicche' si rientra nell'ambito della chimica se i metodi analitici sono chimici, anche se l'analisi concerne campioni biologici; ed i metodi analitici della chimica sono diventati talmente sofisticati da rendere impensabile che possano essere impiegati da medici. La circostanza, poi, che ben cinque decreti legge tendenti a legittimare l'esecuzione delle analisi da parte dei medici ed a sanare le situazioni pregresse siano stati respinti dal Parlamento costituirebbe la riprova dell'esigenza di tener fermo il principio di professionalita'. Alle censure enunciate dal T.A.R. rimettente la difesa ne aggiunge un'altra, sostenendo che le norme impugnate confliggerebbero con l'art. 3 Cost. in quanto, abilitando i medici all'esercizio di attivita' riservate ad altre categorie professionali, effettuano una parziale ed arbitraria equiparazione tra tali operatori e gli appartenenti alle altre categorie, cosi' da trattare in modo eguale situazioni diseguali. 1.2. - Le tesi ed argomentazioni dell'ordinanza di rimessione sono condivise anche dalla parte privata Lo Giudice Paolino, costituito in proprio e quale rappresentante per la provincia di Messina dal Sindacato nazionale biologi italiani. In particolare, la difesa sottolinea che all'orientamento della giurisprudenza penale, condiviso dall'ordinanza, si contrappone solo un isolato parere del Consiglio di Stato (Sez. III, 21 maggio 1985, n.745), il quale pero', in altre decisioni, riconosce l'equiparazione delle funzioni di chimici e biologi a quelle dei medici nell'ambito dei laboratori di analisi. La difesa sostiene poi che nessuna norma del T.U.L.L.S.S. attribuisce ai medici una competenza "esclusiva" per lo svolgimento dell'attivita' di analisi, che questa non coincide con le specifiche attribuzioni professionali del medico (diagnosi, prognosi e terapia), e che le specializzazioni nulla aggiungono alle competenze professionali conseguite con l'esame di abilitazione. Ribadito, poi che l'esecuzione delle analisi di laboratorio rappresenta una tipica attivita' professionale di biologi e chimici, la difesa sostiene che una soluzione di obiettivo equilibrio e' sancita nel D.P.C.M. 10 febbraio 1984, che parifica totalmente i biologi e i chimici ai medici ai fini dell'accesso alla direzione dei laboratori di analisi, richiedendo solo, in tal caso, la presenza di un medico tra i collaboratori: orientamento, questo, confermato dalla giurisprudenza amministrativa, la quale argomenta tra l'altro dal fatto che nella prassi il servizio di analisi si limita a fornire al medico i risultati di queste, e che ai fini della diagnosi e terapia non fa alcuna differenza che esse siano eseguite da un medico o da un non medico. 1.3. - Si e' costituito anche l'Ordine nazionale dei biologi - intervenuto nel giudizio a quo - che ha chiesto la declaratoria d'incostituzionalita' delle norme impugnate. La parte privata Bonanno Silvestro si e' costituita tardivamente. 1.4. - Si sono altresi' costituite Altadonna Olga e Fulci Gisella, medici analisti dipendenti dalla U.S.L. n. 42 di Messina, controinteressate intervenienti nel giudizio a quo. Dopo aver sottolineato che all'orientamento della giurisprudenza penale richiamato nell'ordinanza di rimessione se ne contrappone un altro, sostenuto non solo dalla giurisprudenza amministrativa ma anche da parte di quella penale, la difesa sostiene che la preminenza del personale medico nell'esecuzione delle analisi ad accertamento diagnostico e nella gestione delle relative strutture di laboratorio si giustifica in ragione della prevalente finalita' clinica di tali analisi, in cui cio' che rileva non e' solo l'esattezza dei risultati e la conformita' dell'esperimento alle regole della tecnica che lo disciplina, ma anche, e soprattutto, la valutazione fisiologica e patologica che da quel risultato puo' essere desunta. Richiamando, poi, il gia' citato parere del Consiglio di Stato, la difesa nega che l'esercizio dell'arte medica da parte degli abilitati alla professione possa essere limitato ai settori oggetto dell'esame di Stato - che tende ad accertare solo una capacita' generica - e che l'esclusione dei medici dalle attivita' di analisi possa essere dedotta dalle disposizioni della legge (n. 396 del 1967) istitutiva dell'Ordine professionale dei biologi, le cui attribuzioni specifiche non possono costituire limite "a quanto puo' formare oggetto dell'attivita' di altre categorie professionali a norma di leggi e di regolamenti" (art. 3 l. cit.). La professione medica avrebbe invece un carattere tendenzialmente generale, non delimitabile in singole e specifiche aree operative, e si estenderebbe all'attivita' di analisi in quanto il medico e' l'unico professionista competente ad interpretare i dati clinici che da esse emergono, sicche' su di esso gravano necessariamente le maggiori responsabilita' in ordine alla ricerca diagnostica. Le caratteristiche di generalita' delle competenze mediche e di settorialita' di quelle cliniche e biologiche darebbero ragione, secondo la difesa, della presenza diversificata di queste categorie nell'organico del servizio ospedaliero di laboratorio prevista dall'art. 16 d.P.R. n. 128 del 1969: norma che, peraltro, si limita a prevedere solo una dotazione minima, ma non massima dei diversi professionisti. D'altra parte, se la direzione del servizio di analisi degli ospedali fosse stata affidata a un non medico, si sarebbe realizzata una rilevante anomalia rispetto alle altre divisioni ospedaliere - rette tutte da medici - con conseguenze negative sotto il profilo del raccordo e della cooperazione con esse. 1.5. - La Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri afferma innanzitutto che la Corte avrebbe implicitamente riconosciuto come legittimo l'esercizio dell'attivita' di analisi da parte dei medici nella sentenza n. 1107 del 1988. Sostiene, poi, che l'esame di Stato e' una verifica della preparazione generale del soggetto e che le prove in cui esso si concreta hanno carattere non esaustivo, tant'e' che anche in quelle effettuate in tale sede dai chimici non sono piu' incluse prove pratiche di analisi chimico-cliniche su materiali biologici (cfr. art. 25 D.M. 9 settembre 1957). Se si ritenesse il contrario, si dovrebbe sostenere che esulino dall'ambito professionale del medico le prestazioni di cardiologia, radiologia, anestesiologia, nefrologia ecc.. A conferma di cio', la difesa richiama le sentenze nn. 83 del 1974 e 43 del 1972 di questa Corte, dalle quali si evincerebbe che l'esame di Stato investe i requisiti attitudinali e tecnici per l'esercizio della professione nel suo complesso e non gia' quelli per l'esecuzione delle singole prestazioni che possono far parte dell'attivita' professionale nel suo insieme. L'art. 16 del d.P.R. n. 128 del 1969, d'altra parte, ha secondo la difesa realizzato un appropriato equilibrio tra le diverse competenze professionali, prevedendo nella dotazione minima del servizio di analisi almeno un posto di direttore o coadiutore o assistente chimico o biologo e che ciascun settore possa essere affidato ad un direttore biologico o chimico ovvero ad un aiuto con idoneita' a primario di laboratorio. 1.6. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto a mezzo dell'Avvocatura dello Stato osserva innanzitutto che non vi e' contraddizione tra le norme impugnate ed il D.P.C.M. 10 febbraio 1984, dato che l'art. 7 di questo prevede che i presidi di analisi di cui ai punti 1, 2 e 3 del precedente art. 2 hanno la dotazione di personale prevista dalle rispettive leggi. Cio' premesso, sostiene che non sarebbero nella specie violati ne' l'art. 33 - in quanto l'esame di Stato e' prescritto per le professioni qui considerate -; ne' l'art. 51 - perche' l'accesso ai servizi di analisi avviene in base ai requisiti stabiliti dalla legge -; ne' l'art. 97 Cost., in quanto l'organizzazione dei servizi e' riservata alla insindacabile discrezionalita' del legislatore, il quale, nell'esercizio di tale potere, determina le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilita' dei vari professionisti. D'altra parte, la scelta di affidare ai medici la direzione dei servizi di analisi sarebbe pienamente razionale, trattandosi di professionisti che assommano tutte le varie competenze necessarie per l'esercizio e la sintesi delle relative funzioni (prelievi, effettuazioni delle analisi, interpretazione ed elaborazione dei dati chimici ai fini della diagnosi e della terapia di eventuali patologie). 2. - Altra questione di costituzionalita' in materia di analisi di laboratorio e' stata sollevata dal Pretore di Nardo', con ordinanza del 2 marzo 1989 (r.o. n. 417/1989), nel corso di un procedimento penale a carico di alcuni medici cui, per l'esecuzione di tali analisi, era addebitato il reato di esercizio abusivo delle professioni di chimico o biologo. Muovendo dalla premessa per cui l'ambito di operativita' delle singole professioni e' definito dalla legge professionale e dall'abilitazione conseguita con l'esame di Stato, il giudice a quo compie un'analitica disamina della normativa vigente per le tre suddette professioni (R.D. n.1592 del 1933, art. 172; R.D. n. 1269 del 1938, artt. 51, 72, 73, 75; legge n. 1378 del 1956, artt. 1 e 3; D.M. 9 settembre 1957, art. 24; R.D. n. 1265 del 1934, artt. 99, 103 e d.P.R. n. 1763 del 1965, per i medici; legge n. 897 del 1938, art. 1, per i chimici; d.P.R. n. 980 del 1982, per i biologi) nonche' di quella concernente i laboratori di analisi (R.D. n. 1265 del 1934, artt. 83, 85, 90, 92, 193; R.D. n. 281 del 1935; R.D. n. 1631 del 1938; d.P.R. n. 128 del 1969, art. 16; legge n. 833 del 1978, art. 25; D.P.C.M. 10 febbraio 1984, artt. 1-3, 8). Da tale disciplina farraginosa, frammentaria e contraddittoria - osserva il Pretore - non e' dato desumere con chiarezza quali siano, quanto alle analisi chimiche e biologiche a fini diagnostici, i rispettivi ambiti di operativita' delle tre suddette professioni, ed in particolare se quella medica abiliti all'esecuzione di tali analisi: sicche' al riguardo si sono verificati cospicui contrasti giurisprudenziali. Ne' una chiarificazione e' venuta dal legislatore, in quanto ben cinque decreti legge emanati a tal fine (nn. 627 del 1985, 77 del 1986, 257, 360 e 443 del 1987) non sono stati convertiti. Tanto premesso, il giudice a quo concentra la propria attenzione sulla legge 8 dicembre 1956, n. 1378 che, ripristinando gli esami di Stato (sospesi dall'art. 6 R.D.L. 27 gennaio 1944, n. 51), ha stabilito (art. 3, secondo comma) che i programmi di tali esami siano determinati con regolamento emanato dal Ministro della Pubblica Istruzione, sentito il parere della I Sezione del Consiglio Superiore e degli Ordini professionali nazionali: regolamento poi emesso con D.M. 9 settembre 1957 che, all'art. 24, individua le prove di esame per l'abilitazione all'esercizio della professione di medico chirurgo, tra l'altro eliminando l'esecuzione di ricerche di laboratorio che in precedenza - e sia pure con facolta' di sostituirle con altre prove pratiche - erano previste dall'art. 73 R.D. n. 1269 del 1938. Ad avviso del Pretore di Nardo', l'art. 33, quinto comma, Cost., prescrivendo un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, impone implicitamente al legislatore di dettare una piu' complessa ed esaustiva regolamentazione di una materia cosi' delicata, regolandola con una fonte primaria o almeno con una legge quadro che determini i principi di base dei programmi di esame. La circostanza, percio', che il citato art. 3, secondo comma, demandi integralmente la regolamentazione della materia delle prove di esame alle scelte discrezionali - ed eventualmente mutevoli - del Ministro contrasterebbe con la suddetta norma costituzionale. Dal fatto, poi, che una siffatta disciplina con fonte secondaria ha comportato incertezze e conflitti interpretativi circa l'individuazione del professionista abilitato ad eseguire analisi cliniche, il giudice a quo desume altresi' un contrasto con gli artt. 32 e 2 Cost., nonche' con l'art. 3, per il diverso trattamento che i soggetti esercitanti la stessa professione possono ricavare a causa della variabilita' dei criteri interpretativi adottati. La lamentata inerzia legislativa darebbe infine luogo, secondo il Pretore, alla violazione "degli artt. 55 e segg. e 101 e segg." Cost. - sotto il profilo dell'armonica divisione funzionale dei poteri dello Stato - in quanto comporterebbe che sia in definitiva demandato al giudice penale il potere di stabilire l'ambito dell'attivita' professionale di medici, biologi e chimici. 2.1. - Nel giudizio cosi' instaurato si e' costituito il S.I.CHI.L.P. - Sindacato italiano chimici liberi professionisti parte civile nel procedimento a quo. A suo avviso, la questione sollevata sarebbe inammissibile in toto, in quanto tendente a provocare un intervento della Corte rispetto ad un caso di inerzia legislativa, ed in specie quanto alla dedotta violazione degli artt. 55 ss. e 101 ss., data l'assoluta genericita' ed indeterminatezza di tale censura. La questione sarebbe poi irrilevante, in quanto all'ipotetica pronuncia d'incostituzionalita' dell'impugnato art. 3 non conseguirebbe l'assoluzione dei medici imputati nel procedimento a quo, dovendosi pur sempre tener conto della restante normativa (ordinamenti scolastici e professionali, ecc.). Infondata sarebbe, infine, la censura prospettata in riferimento all'art. 33, quinto comma, Cost., dato che questo non pone una riserva di legge e che, comunque, la regolamentazione degli esami di Stato comporta di per se' un elevato grado di discrezionalita' tecnica. 2.2. - Per l'inammissibilita', irrilevanza e infondatezza delle questioni insta anche - ma senza motivazione - l'Ordine dei chimici delle Province di Lecce e Brindisi, parte civile nel giudizio a quo. 2.3. - Si e' altresi' costituito Zacchino Igino, imputato nel procedimento a quo che ha chiesto l'emanazione di una sentenza interpretativa che riconosca la competenza del medico in materia di analisi chimiche e dichiari percio' infondata la questione. A tale conclusione dovrebbe giungersi considerando: a) che non esistono norme primarie che escludono espressamente tale competenza e che le leggi professionali di chimici e biologi delimitano la competenza di questi, ma non escludono che le medesime attribuzioni possano spettare ad altri soggetti (arg. ex art. 3 legge n. 396 del 1967); b) che la competenza del medico e' generale - in quanto non delimitata da alcuna norma - e comprende tradizionalmente l'attivita' di analisi (artt. 83 e 85 R.D. n. 1265 del 1934) rispetto alla quale la competenza del biologo si e' solo aggiunta: c) che l'esame di Stato ha valore di generico accertamento delle capacita' professionali e non gia' della specifica competenza in una data disciplina: tant'e' che vi sono materie (ematologia, oncologia, nefrologia) sulle quali l'esame di Stato non si svolge ed altre che in tale sede sono solo facoltative; d) che la direzione dei laboratori di analisi pubblici e' affidata - anche se non in via esclusiva - a medici; e) che in quelli privati e' prevista l'esecuzione delle analisi a scopo diagnostico da parte del personale medico ed e' comunque imposta la presenza di medici quando essi siano diretti da chimici o biologi (D.P.C.M. 10 febbraio 1984); f) che la specializzazione in biologia clinica (nuova denominazione delle analisi di laboratorio) e' riconosciuta tra quelle che abilitano all'esercizio della professione medica nei Paesi della CEE (Legge n. 217 del 1978). 2.4. - Considerazioni in gran parte analoghe sono svolte in altre memorie presentate dallo stesso Zacchino nonche' dal coimputato Gatto Mario. In esse si sostiene innanzitutto che la questione sollevata dal Pretore di Nardo' sarebbe poi inammissibile, in quanto volta a chiedere l'intervento della Corte per chiarire dati punti controversi e comunque manifestamente infondata, in quanto l'art. 33, quinto comma non prevede che la disciplina delle materie d'esame debba essere riservata al legislatore. La difesa sottolinea, inoltre, che le analisi di laboratorio di cui si discute non sono pura ricerca chimica o biologica, ma si caratterizzano per la prevalente finalita' clinica, legata alle specifiche conoscenze della scienza medica. Non a caso, il T.U. delle leggi sanitarie (R.D. n. 1265 del 1934) da un lato ha distinto, all'interno dei laboratori provinciali d'igiene e profilassi (artt. 83 ss.) un reparto chimico ed uno medico-micrografico, riservando a quest'ultimo le analisi a scopo diagnostico ed assegnandovi solo personale medico; dall'altro ha evidenziato il carattere sanitario dei gabinetti di analisi a scopo di accertamento diagnostico, sottoponendoli ad un regime di autorizzazione (art. 193). Coerente a tale indirizzo, che riserva ai medici tali analisi, e' - secondo la difesa - la legislazione successiva (RR.DD. nn. 1269 e 1631 del 1938) ed in particolare il d.P.R. n. 128 del 1969, che ha statuito (art. 16) la necessaria presenza di personale medico - in quanto dotato di competenza generale - nei servizi di analisi ospedalieri ed assegnato carattere settoriale ed ausiliario a quella di chimici e biologi: dal che dovrebbe dedursi l'infondatezza della tesi per cui solo questi ultimi dovrebbero eseguire le analisi, mentre i medici (primario, aiuti ed assistenti) dovrebbero solo esaminare i risultati di esse per trarne elementi diagnostici. Del resto, l'esecuzione di prove pratiche di tipo analitico e' prevista ai fini del concorso per l'assunzione in ruolo presso i servizi ospedalieri di laboratorio (d.P.R. n. 130 del 1969, art. 86, lettera L). Nello stesso senso deporrebbero poi una serie di fonti subprimarie (d.P.R. n. 1763 del 1965, d.P.R. n. 95 del 1986, D.P.C.M. 10 febbraio 1984) e di leggi regionali. Ne' in contrario potrebbe argomentarsi dall'art. 24 del D.M. 9 settembre 1957, in quanto l'eliminazione della prova pratica di analisi di laboratorio sarebbe diretta a semplificare l'esame di Stato e non potrebbe ritenersi comunque idonea, per la natura di detta fonte, a delimitare l'ambito della professione medica, che non sarebbe stato definito in un'apposita legge professionale proprio per salvaguardarne il carattere di generalita', evitando definizioni normative inevitabilmente riduttive. Tale delimitazione non potrebbe poi dedursi dall'esame di Stato, concernente solo le conoscenze generali e fondamentali, che' altrimenti ben poche sarebbero le attivita' professionali realmente esercitabili: tant'e' che a questa stregua anche al chimico sarebbero inibite le analisi biologiche (arg. ex art. 25 D.M. 9 settembre 1957). In realta', secondo la difesa, per stabilire l'ambito di operativita' della professione medica occorre riferirsi non al solo esame di Stato, ma all'intero curriculum universitario, postuniversitario e di specializzazione, che solo puo' chiarire la reale preparazione professionale in un determinato settore: e per quanto riguarda i medici esisterebbero sia materie dei corsi universitari che settori di specializzazione idonei a far acquisire la competenza in materia di analisi di laboratorio. A questa stregua, la questione dovrebbe, secondo la difesa, essere dichiarata inammissibile. Ove invece si ritenesse che dall'impugnato art. 3 e dall'art. 24 del D.M. 9 settembre 1957 discende la preclusione ai medici all'attivita' di analisi cliniche, la questione dovrebbe essere giudicata fondata per i motivi esposti nell'ordinanza di rimessione. 2.5. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta nel giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, in quanto volta ad ottenere un'interpretazione di norme ordinarie ed un intervento additivo della Corte per colmare pretesi vuoti di disciplina legislativa (sent. n. 242 del 1989, ord. n. 480 del 1989). Essa sarebbe comunque infondata, in quanto la disciplina degli esami di Stato per l'ammissione ai vari ordini professionali non e' coperta da riserva di legge, e l'esigenza di un successivo regolamento per determinarne le modalita' e' necessaria per assicurare la posizione di parita' degli aspiranti di fronte alle prove. L'art. 32 Cost., poi, non sarebbe violato proprio in ragione delle previsione di uno specifico esame di abilitazione; ed il richiamo degli altri parametri costituzionali invocati sarebbe del tutto inconferente. Considerato in diritto 1. - Entrambe le ordinanze di rimessione concernono la materia delle figure professionali addette ai laboratori di analisi cliniche. I relativi procedimenti possono percio' essere riuniti, onde pervenire ad un'unica decisione. 2. - Il Pretore di Nardo' (ord. n. 417/89) muove dal rilievo secondo cui la farraginosa e frammentaria normativa concernente le analisi cliniche non consentirebbe di definire i rispettivi ambiti di operativita' delle professioni di biologo, chimico e medico, ed in particolare di stabilire se i medici siano abilitati all'esercizio di tali analisi. In base a tale premessa, censura l'art. 3, secondo comma, della legge 8 dicembre 1956, n. 1378 (Esami di Stato di abilitazione all'esercizio delle professioni), perche', demandando in toto ad un regolamento ministeriale la determinazione delle prove di esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo (D.M. 9 settembre 1957, art. 24), sarebbe la fonte delle incertezze interpretative verificatesi sul punto. Di qui la violazione, da un lato, dell'art. 33, quinto comma, Cost., che a suo avviso imporrebbe la regolamentazione di tale materia con fonte primaria, almeno nella forma della legge quadro; dall'altro, degli artt. 2, 32 e 3 Cost., dato che la variabilita' dei criteri interpretativi lederebbe il diritto primario dei cittadini all'individuazione del professionista abilitato alle analisi - con conseguente compromissione della tutela della salute - e comporterebbe disparita' di trattamento tra i professionisti interessati. Sarebbero infine violati gli "artt. 55 ss., 101 ss." Cost., in quanto verrebbe di fatto demandato al giudice penale il potere di definire l'ambito di operativita' delle suddette professioni, con conseguente alterazione della divisione funzionale dei poteri dello Stato. La censura riferita all'art. 33, quinto comma, Cost. e' infondata, in quanto tale disposizione, nel prescrivere l'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, non pone una riserva di legge in ordine alla determinazione delle prove d'esame. Le rimanenti censure sono inammissibili in quanto, il giudice a quo, lamentando, peraltro in termini assolutamente generici, le conseguenze delle incertezze interpretative, chiede in sostanza a questa Corte di risolvere una questione d'interpretazione, dettando una nuova, chiara ed esauriente disciplina dell'argomento. Simile intervento, evidentemente, esula dai poteri del giudice delle leggi e resta riservato al legislatore. 3. - Il T.A.R. per la Sicilia - sezione staccata di Catania - impugna, invece, gli artt. 16 e 23 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128 (Ordinamento interno dei servizi ospedalieri) nelle parti in cui determinano la dotazione organica del personale addetto, rispettivamente, al servizio di laboratorio per le analisi chimico-cliniche e microbiologiche ed al servizio di virologia degli ospedali (ord. n. 398/89). Quanto al primo servizio, l'art. 16 prevede, per il personale medico, "un posto di primario", "almeno un posto di aiuto" ed "almeno un posto di assistente" (due se l'ospedale ha piu' di 600 posti-letto). Inoltre, poiche' "negli ospedali regionali e provinciali" il servizio "e' articolato in piu' settori", la dotazione organica di ciascun settore deve prevedere "almeno un posto di direttore o coadiutore o assistente chimico o biologo" ed un posto di tecnico di laboratorio. "Ciascun settore, a seconda delle rispettive specialita', puo' essere affidato ad un direttore biologo o chimico, ovvero ad un aiuto che abbia conseguito l'idoneita' a primario di laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologiche". Solo quest'ultimo, pero', puo' dirigere i "presidi autonomi di laboratorio" eventualmente istituiti "presso particolari divisioni o raggruppamenti di unita' di diagnosi e cura". Se l'ospedale supera i 900, ovvero i 1800 posti-letto, vanno istituiti un secondo ed un terzo primariato, "con adeguata e proporzionata dotazione organica di personale". Quanto al servizio di virologia, l'art. 23 stabilisce, al secondo comma, che esso "e' diretto da un primario, coadiuvato da aiuti ed assistenti e da personale tecnico e sanitario ausiliario, secondo le necessita' del servizio stesso". Il T.A.R. rimettente censura le suddette disposizioni "nella parte in cui prevedono che ai posti di primario, aiuto e di assistente previsti in organico nei servizi di analisi e virologia possano aspirare esclusivamente medici con la esclusione di biologi e chimici". In particolare, esse contrasterebbero: con l'art. 33, quinto comma, Cost. "in quanto non consentono ai biologi e ai chimici di accedere a qualifiche che comportano lo svolgimento della specifica attivita' professionale per la quale sono in possesso della abilitazione"; con l'art. 51, primo comma, Cost., in quanto in tal modo limiterebbero irrazionalmente l'accesso ai pubblici impieghi di tali categorie professionali; con l'art. 97 Cost., giacche' ne risulterebbe un'organizzazione dei predetti servizi irrazionale e non improntata ai principi del buon andamento dell'amministrazione. 4. - Occorre preliminarmente precisare che l'oggetto delle censure prospettate dal Tribunale, al di la' di qualche ambiguita' di impostazione dell'ordinanza di rimessione, risulta essere, ad un'attenta lettura dell'intero provvedimento e specialmente delle sue conclusioni, non gia' l'inclusione dei medici negli organici dei servizi ospedalieri di analisi e virologia, ma soltanto l'esclusione di biologi e chimici dalle posizioni corrispondenti a quelle di primario, aiuto ed assistente. Cosi' puntualizzato il contenuto del quesito sottoposto a questa Corte, l'esposizione delle ragioni volte a dimostrare l'incompetenza dei medici circa l'attivita' di analisi di laboratorio non puo' riguardarsi altro che come un argomento a fortiori, inteso a corroborare la tesi a sostegno della capacita' professionale, e dunque, della necessaria partecipazione, in regime di parita', dei biologi e dei chimici, accanto ai medici, alla suddetta attivita'. Il ricorso a tale argomento tuttavia non e' necessario, poiche' la specifica capacita' professionale dei biologi e dei chimici quanto all'esecuzione delle analisi biologiche e chimico-cliniche non e' seriamente contestata neppure nel presente giudizio e risulta del resto sufficientemente dimostrata da una pluralita' di elementi. Infatti, la legge professionale per i biologi n. 396 del 1967 (art. 3, lettera g) afferma che sono oggetto della professione, tra l'altro, le "analisi biologiche (urine, essudati, escrementi, sangue; sierologiche, immunologiche, istologiche, di gravidanza, metaboliche)", mentre, per quanto concerne i chimici, il relativo tariffario professionale, peraltro approvato originariamente con legge (n. 679 del 1957 ) e successivamente aggiornato, riguarda (art. 16) le "analisi chimiche di ogni specie" con l'espressa esclusione, "perche' non di competenza" dei "prelievi di carattere biologico, da organismi viventi e i pareri... di carattere biologico-diagnostico". Un indizio ulteriore a favore della specifica competenza di questi professionisti all'esecuzione anche di analisi cliniche si ricava inequivocabilmente dai criteri che caratterizzano la normativa piu' recente e cioe' quelli dettati dal D.P.C.M. 10 febbraio 1984 a proposito dei laboratori privati di analisi aperti al pubblico. L'art. 8 di questo decreto infatti contiene, sia pure con alcuni limiti, il principio della possibile alternativita' nella direzione del laboratorio tra il medico, da un lato, e il biologo o (per i laboratori specializzati di analisi chimico-cliniche e tossicologiche) il chimico, dall'altro, con cio' presupponendo necessariamente la capacita' professionale di questi ultimi. E' ben vero che tale disposizione concerne soltanto i laboratori privati aperti al pubblico; tuttavia, al fine che qui interessa - e cioe' la valutazione della effettiva idoneita' di chimici e biologi a svolgere attivita' di analisti - non rileva se la struttura nella quale tale attivita' e' esercitata sia privata o pubblica. Naturalmente, si deve precisare, l'attivita' in questione e' limitata all'indagine tecnico-scientifica sui materiali e non si estende ne' ai prelievi dalla persona, ne' ai giudizi diagnostici, rientranti invece nella competenza professionale propria dei medici. 5. - Cio' premesso, si ricorda che questa Corte ha gia' da tempo ritenuto che l'art. 33, quinto comma, nel prescrivere un esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale, intende assicurare "nell'interesse della collettivita' e dei committenti, che il professionista abbia i requisiti di preparazione e di capacita' occorrenti per il retto esercizio professionale" (sent. n. 77 del 1964). Esso dunque reca in se' un principio di professionalita' specifica: richiede cioe' che l'esercizio delle attivita' professionali rivolte al pubblico avvenga in base a conoscenze sufficientemente approfondite. Il medesimo principio inoltre, trattandosi, come nel caso di specie, di professionisti operanti in una struttura pubblica, deriva pure dall'esigenza di assicurare il buon andamento dell'amministrazione, posta dall'invocato art. 97 Cost. mediante sistemi congrui e ragionevoli di reclutamento e di distribuzione del personale, nel rispetto, naturalmente, del canone dell'eguaglianza nell'accesso ai pubblici uffici di cui all'art. 51, primo comma Cost. Tutto cio', e' da aggiungere, vale a maggior ragione nel settore ora in discussione, che coinvolge altresi' esigenze di tutela della salute, presidiate da apposita garanzia costituzionale (art. 32). Nello speciale ambito dell'attivita' di analisi clinica nei laboratori ospedalieri, inoltre, dove confluiscono necessariamente molteplici competenze professionali, e' particolarmente pressante il bisogno che sia assicurato il corretto espletamento del servizio mediante l'adeguata utilizzazione delle diverse capacita' e la loro armonica integrazione. 6. - Per quanto concerne lo specifico problema attualmente all'esame della Corte, l'applicazione di questi criteri comporta, almeno in via di principio, che i biologi e i chimici, poiche' professionalmente capaci di esplicare l'attivita' tecnica di analisi di laboratorio, abbiano ingresso negli organici dei relativi servizi ospedalieri, limitatamente a tale attivita', senza aprioristiche esclusioni ed in condizioni di pari dignita' rispetto ai medici, anche per le posizioni apicali. Tuttavia, la concreta articolazione del problema nelle diverse questioni di costituzionalita' prospettate dal giudice a quo non ne consente una soluzione univoca nel senso ora detto. Oggetto di censura e' infatti, da un lato l'esclusione dei biologi e chimici dalla direzione del servizio sia di analisi (art. 16 d.P.R. n. 128 del 1969), sia di virologia (art. 23); dall'altro, l'esclusione dei medesimi, negli organici di entrambi i Servizi, dalle posizioni di aiuto e di assistente, rectius, dalle posizioni che - nel comune ruolo sanitario del personale delle unita' sanitarie locali - corrispondano a queste nei distinti profili professionali dei chimici e dei biologi (cioe' di coadiutore e collaboratore: art. 2 con All. 1, art. 63 d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761; artt. da 7 a 12 d.P.R. 7 settembre 1984, n. 821). Le questioni concernenti la posizione apicale in tutti e due i Servizi (artt. 16 e 23) e le posizioni intermedie e iniziali nel Servizio di analisi (art. 16) sono inammissibili. Infatti pur non potendosi disconoscere l'esigenza di pervenire ad un riequilibrio, l'inserimento dei biologi e dei chimici negli organici dei predetti Servizi nei sensi invocati dall'ordinanza di rimessione non puo' essere disposto da questa Corte con una pronunzia additiva, giacche' non si tratta di una mera estensione meccanica, frutto di scelte logicamente e costituzionalmente necessitate. Esso invece deve ritenersi riservato all'intervento del legislatore perche' comporta una pluralita' di scelte tecnico-discrezionali tra diverse soluzioni possibili in relazione ad una varieta' di fattori, quali ad esempio, la tipologia della struttura ospedaliera e le sue peculiari esigenze, il tipo di analisi da praticare, e cosi' via. Si tratta, in altre parole, non gia' di realizzare innesti nella struttura esistente, rigorosamente prefigurata in ogni aspetto, anche numerico, bensi' di ridisegnare la gia' complessa architettura di questa nelle varie possibili versioni in modo da coniugare le esigenze di funzionalita' con quelle di appropriato impiego delle diverse competenze e di sostanziale parita' di trattamento delle relative figure professionali. Con riguardo al quesito concernente la direzione dei Servizi si deve ulteriormente precisare che, mentre non appare irrazionale che, nell'ambito di una struttura ospedaliera pubblica, la direzione di uno tra i servizi speciali di diagnosi e cura (art. 12 d.P.R. n. 128 del 1969) sia attualmente affidata ad un medico con la posizione di primario ospedaliero (e cioe' ad un medico la cui specifica professionalita' e' comprovata dal superamento dell'esame di idoneita' previsto dall'art. 20 d.P.R. n. 761 del 1979), resta invece frutto di una opzione tipicamente discrezionale quella di introdurre, come sembrano auspicare sia il giudice a quo sia alcune parti private, un sistema, quale quello realizzato per i laboratori privati, ispirato al principio dell'alternativa tra medici e biologi o chimici: cio' in particolare per quanto riguarda sia la scelta dei tipi di laboratorio in cui tale alternativa e' concretamente praticabile, sia la molteplicita' dei congegni prevedibili per assicurare, in relazione alle peculiari esigenze del servizio pubblico e ai diversi tipi di ospedale, anche la necessaria ed equilibrata presenza della figura del medico nell'ipotesi in cui la direzione del servizio sia assunta, a seconda dei casi, da un biologo, o da un chimico. Nel riconoscere l'inammissibilita' delle predette questioni, questa Corte auspica che il legislatore intervenga prontamente per ridisegnare una organica disciplina della materia, che riconsideri le posizioni delle categorie professionali interessate secondo i principi prima ricordati di professionalita', pari dignita' a tutti i livelli e congrua ed efficace organizzazione di servizi pubblici preordinati alla tutela della salute. 7. - A diversa conclusione deve giungersi per la questione che investe l'art. 23 nella parte concernente le posizioni funzionali corrispondenti a quelle di aiuto e di assistente. Tale questione e' fondata. L'organico stabilito dall'art. 23 per il relativo servizio prevede infatti l'impiego di personale esclusivamente medico ("un primario, coadiuvato da aiuti ed assistenti"); ne' puo' ritenersi che biologi e chimici siano ricompresi nel restante personale ("tecnico e sanitario ausiliario") ivi considerato, in quanto nel sistema del d.P.R. n. 128 del 1969 e del coevo d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, tali locuzioni sono riferite ai tecnici di laboratorio ed al personale infermieristico (artt. 8 e 39 d.P.R. n. 128 e art. 1 d.P.R. n. 130). La struttura concreta del servizio non e' qui - a differenza che per i laboratori di analisi di cui all'art. 16 - compiutamente delineata, giacche' il numero degli aiuti ed assistenti non e' rigidamente predeterminato nel suo limite minimo, ma puo' variare "secondo le necessita' del servizio" stesso. Ma proprio cio' rende evidente la irragionevolezza della scelta aprioristica di esclusione dei chimici e biologi compiuta dal legislatore delegato. In un organico concepito in termini elastici e' infatti ben possibile prevedere in astratto la coesistenza di diverse figure professionali, egualmente capaci, lasciando all'amministrazione di scegliere l'una o l'altra a seconda delle specifiche esigenze e rendendo possibile l'impiego di tutte se si debba coprire una pluralita' di posti. Tale intervento additivo e' conseguenza logicamente necessaria del vizio rilevato, e non comporta intrusione in scelte discrezionali, attesa la rilevata particolare struttura dell'organico - aperta e senza indicazioni numeriche - qui prefigurata dal legislatore e che, in tale sua connotazione essenziale, e' lasciata inalterata. L'art. 23, secondo comma, va dunque dichiarato costituzionalmente illegittimo - per contrasto con gli art. 33, quinto comma, 51, primo comma e 97 Cost. - nella parte in cui non prevede nell'organico del servizio di virologia le posizioni funzionali di biologo e chimico coadiutore e collaboratore: la cui inclusione, ovviamente, dovra' in concreto avvenire secondo la necessita' del servizio stesso.