ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale dell'art. 19 e combinato disposto degli artt. 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento) promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra, la S.p.A. Riunione Adriatica di Sicurta' e Maestri Dario, iscritta al n. 284 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1989; 2) ordinanza emessa il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra la S.p.A. Lavoro e Sicurta' e Portigliotti Giampiero, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1989; Visti gli atti di costituzione di Maestri Dario e Portigliotti Giampiero nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 15 novembre 1989 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Udito l'avvocato Luciano Crugnola per Maestri Dario e Portigliotti Giampiero e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Con due ordinanze di identico tenore emesse il 19 dicembre 1986, pervenute alla Corte costituzionale il 24 maggio 1989, il Tribunale di Como ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost., una questione di legittimita' costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei lavoratori), "se interpretati nel senso di imporre il divieto per le rappresentanze aziendali dei lavoratori costituite al di fuori di quelle legittimate ex art. 19 Statuto, in quanto espressione sempre e comunque di sindacati di comodo, di accedere pattiziamente a forme piu' o meno estese di tutela, ed in particolare alla possibilita' di fruire per i loro dirigenti di permessi retribuiti allo scopo di svolgere attivita' sindacale". Nei casi di specie, il diritto a tali permessi era stato riconosciuto sia dal Pretore che - in sede di appello - dal Tribunale di Milano a Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, dirigenti della rappresentanza aziendale costituita presso la R.A.S. S.p.A. dal sindacato ASSI RAS, in quanto costoro, prima del diniego da parte della societa', ne avevano fruito in virtu' di accordo tacito o comunque di uniforme e generalizzata prassi aziendale. La Corte di cassazione, con sentenze 7 febbraio 1986, n. 783 e 19 marzo 1986, n. 1913, aveva viceversa ritenuto che il diritto di costituire rappresentanze aziendali e' riservato dal citato art. 19 alle associazioni "maggiormente rappresentative" sul piano nazionale, e quindi precluso a quelle sprovviste di tali requisiti; che, conseguentemente, solo ai dirigenti delle rappresentanze delle prime, e non anche a quelli delle organizzazioni extra art. 19, spetta il diritto ai permessi retribuiti; e che un'eventuale deroga pattizia a tale regola, risolvendosi per i beneficiari in un trattamento di favore, verrebbe a porsi, oltreche' contro il principio di ordine pubblico cui le indicate norme si informano, contro l'espresso divieto fatto ai datori di lavoro dall'art. 17 dello Statuto "di...sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori". Il Tribunale di Como, giudice di rinvio chiamato ad applicare la disciplina risultante da tale principio di diritto, ne contesta la legittimita' costituzionale. L'art. 19 dello Statuto - osserva il Tribunale - e' norma speciale rispetto all'art. 14, che, in conformita' all'art. 39 Cost., garantisce a tutti i lavoratori il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attivita' sindacale all'interno dei luoghi di lavoro. Esso e', inoltre, norma a carattere definitorio, nel senso che individua le caratteristiche - di rappresentativita' extra-aziendale - che devono avere le rappresentanze sindacali aziendali per poter accedere alla c.d. legislazione di sostegno di cui alle norme del titolo III dello Statuto. Ne risulta cosi' circoscritto - onde evitare un'eccessiva atomizzazione sindacale - l'ambito delle aggregazioni che possono ex lege pretendere l'applicazione di tali norme; ma cio' non significa che le medesime prerogative non possano essere, in tutto o in parte, pattiziamente estese a rappresentanze aziendali costituite al di fuori dei moduli dell'art. 19. L'opposta opinione della Cassazione, fondata sulla tesi (assolutamente minoritaria in dottrina e giurisprudenza) della natura "permissiva" dell'art. 19 - che cioe' solo i sindacati aventi i requisiti ivi indicati sarebbero legittimati a costituire rappresentanze sindacali aziendali - confligge, secondo il giudice a quo, con la garanzia della liberta' sindacale di cui all'art. 39 Cost. Essa, infatti, comporta che ai sindacati sprovvisti dei requisiti di cui all'art. 19 viene di fatto preclusa la possibilita' di pervenire ai livelli di rappresentativita' che consentirebbero l'accesso ex lege alla legislazione di sostegno. Se, invero, essi sono privati dal potere di costituire propri organismi in azienda e destinati a vedersi sempre annullato qualsiasi riconoscimento o spazio gia' ottenuto in virtu' di accordo o prassi uniforme, si da luogo ad una sorta di "pietrificazione dello status quo" e, ignorando le mutevoli realta' aziendali, si preclude l'accesso alla legislazione di sostegno ad organizzazioni che siano magari presenti in azienda in forme maggioritarie e non necessariamente di comodo, che tali dovrebbero pero' essere sempre ritenute, indipendentemente dalla prova della volonta' di sostegno antisindacale dell'imprenditore. Ad avviso del Tribunale sarebbe, inoltre, violato l'art. 3, secondo comma, Cost., in quanto "se e' legittimo riconoscere per legge particolari prerogative a chi ha raggiunto effettivi livelli di rappresentativita' alla stregua dei requisiti di cui all'art. 19, non possono tollerarsi discriminazioni tra organizzazioni sindacali quanto all'esistenza e all'esercizio della propria attivita'". 2. - Nei giudizi dinanzi alla Corte si sono costituiti, a mezzo dell'avv. L. Crugnola, gli attori nei procedimenti a quibus Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, i quali, nell'atto di costituzione e in una memoria aggiunta, hanno svolto argomentazioni sostanzialmente analoghe a quelle contenute nell'ordinanza di rimessione. La difesa insiste, in particolare, sul carattere definitorio e non permissivo dell'art. 19 St. e sottolinea che il riconoscimento di determinati spazi di agibilita' sindacale, quali i permessi, era gia' avvenuto in alcuni casi prima dello Statuto, si e' realizzato in via di fatto anche dopo ed ha fonte autonoma rispetto allo Statuto medesimo, in quanto discende da accordi generali o particolari originati dal concreto operare dell'organizzazione sindacale. Se si nega validita' ai riconoscimenti e spazi gia' ottenuti dalle organizzazioni non rientranti nel modello dell'art. 19, esse non solo non godono del trattamento privilegiato di quelle che vi rientrano, ma sono specificamente contrastate e si nega di fatto il loro diritto all'esistenza ed allo svolgimento della propria attivita'. Altro infatti e' sancire una disuguaglianza delle posizioni di partenza, attribuendo un privilegio alle organizzazioni ivi contemplate e con cio' alterando la libera concorrenza tra sindacati; altro e' argomentarne il totale "blocco" di tale concorrenza, mediante l'immobilizzazione, e quindi l'esclusione, proprio di quei sindacati che, pur partendo da posizioni svantaggiate, riescano ad emergere costringendo il datore al riconoscimento contrattuale. Quanto, poi, all'art. 17 St., la difesa sottolinea che elemento costitutivo della fattispecie ivi vietata e' la prova della volonta' di sostegno antisindacale dell'imprenditore, che non puo' percio' essere presunta. A ritenere altrimenti, si giungerebbe al paradosso "per cui il coronamento contrattuale della lotta di un sindacato per l'equiparazione ai sindacati privilegiati dalla legge dovrebbe essere considerato come indice sicuro della sua funzione 'di comodo'". La difesa nega inoltre che vi fossero nella specie elementi idonei a qualificare come "di comodo" il sindacato in questione, e sostiene che se l'art. 17 St. fosse interpretato nel senso di imporre al datore di lavoro di negare spazi di agibilita' sindacale a soggetti diversi da quelli di cui all'art. 19 esso si porrebbe in contrasto con l'art. 39 Cost. La difesa richiama infine alcune convenzioni internazionali in tema di liberta' sindacale (Convenzioni O.I.L. nn. 87 e 98, recepite con legge 23 marzo 1958, n. 367; Convenzione europea dei diritti dell'uomo, art. 11; Carta sociale europea, ratificata con legge 3 luglio 1965, n. 929, artt. 5 e 6; Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali dell'O.N.U., ratificato con legge 25 ottobre 1977, n. 881, art. 8) per desumerne che il divieto per alcune organizzazioni sindacali di ottenere spazi e riconoscimenti si porrebbe in contrasto con tali fonti normative internazionali, con conseguente possibile violazione anche degli artt. 10 e 35 Cost. 3. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri in entrambi i giudizi con memorie identiche, sostiene innanzitutto che la questione sarebbe inammissibile, in quanto sollevata rispetto ad una regola - quella risultante dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione - cui il giudice di rinvio e' tenuto ad uniformarsi. Pur dando atto del contrario orientamento di questa Corte (sent. n. 138 del 1977), l'Avvocatura ne sollecita una revisione, argomentando dal fatto che il principio di diritto non puo' essere messo in discussione dal giudice di rinvio, neanche per dubitare della sua validita' costituzionale, in quanto rispetto al rapporto in causa si e' su di esso formato il giudicato. La questione, secondo l'Avvocatura, e' comunque infondata nel merito. Da un lato, infatti, la preclusione alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali da parte delle associazioni non rispondenti ai requisiti in cui all'art. 19 St. sarebbe gia' stata ritenuta legittima da questa Corte (sent. n. 54 del 1974); dall'altro, l'inibizione per queste a giovarsi delle misure di sostegno specificate nel titolo III dello Statuto, anche se ottenute pattiziamente, non menomerebbe la loro liberta' di azione sindacale. La possibilita' di accesso al livello di rappresentativita' voluto dall'art. 19 dipenderebbe infatti non dalla fruizione di tali misure, ma dalla capacita' dell'organizzazione di rendersi interprete, in modo serio e credibile, degli interessi della categoria rappresentata e di accrescere cosi' le adesioni, fino a risultare un valido interlocutore nella contrattazione collettiva. Considerato in diritto 1. - I procedimenti hanno ad oggetto la medesima questione di legittimita' costituzionale degli artt. 17, 19 e 23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), sollevata in riferimento agli artt. 39 e 3, secondo comma Cost. dal Tribunale di Como con due ordinanze distinte ma di identico tenore. E' percio' evidente l'opportunita' della loro riunione. 2. - L'Avvocatura dello Stato ha preliminarmente eccepito l'inammissibilita' della questione, in quanto sollevata dal predetto Tribunale, quale giudice di rinvio, nei confronti della norma risultante dal principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione. A suo avviso, dal fatto che questi e' tenuto ad uniformarsi a detto principio (art. 384 c.p.c.) discende che, rispetto al rapporto in causa, si formi sul punto il giudicato e che percio' esso non possa essere messo in discussione neanche per dubitare della sua validita' costituzionale. Tale eccezione va disattesa, in quanto contrasta col consolidato indirizzo di questa Corte - piu' volte manifestato sia esplicitamente che in modo implicito (cfr. ad es. le sentt. nn. 138 del 1977, 11 del 1981, 21 del 1982, 2 e 345 del 1987) - rispetto al quale l'Avvocatura non adduce argomenti nuovi. Essa, in effetti, suppone una confusione tra i distinti profili dell'interpretazione della norma - rispetto alla quale il giudice di rinvio e' vincolato - e della sua legittimita' costituzionale. Il giudizio in proposito e' riservato a questa Corte e non puo' ritenersi assorbito nella valutazione compiuta sul piano ermeneutico dal giudice della nomofilachia. E poiche' la norma - cosi' come interpretata - deve ancora ricevere applicazione nella fase di rinvio, il precludere che su di essa vengano prospettate questioni di legittimita' costituzionale comporterebbe un'indubbia violazione delle disposizioni regolanti la materia (artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della legge n. 87 del 1953), dato che queste non contengono al riguardo alcuna specifica limitazione. 3. - Con le due sentenze, di tenore identico (Sez. lav., nn. 783 e 1913 del 1986) dalle quali i giudizi di rinvio traggono origine, la Corte di cassazione ha statuito la nullita', per illiceita' dell'oggetto, delle pattuizioni concernenti la concessione di permessi retribuiti a dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali non rientranti tra quelle definite nell'art. 19 St. lav., e cioe' costituite al di fuori dell'ambito delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale o delle associazioni comunque firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita' produttiva. Il giudice a quo dubita che tale norma - che la Corte di cassazione ricava dagli artt. 17, 19 e 23 dello Statuto - contrasti con gli artt. 39 e 3, secondo comma, Cost., assumendo che essa - in quanto preclude a tali organizzazioni la possibilita' di accedere di fatto ai livelli di rappresentativita' che, ai sensi del citato art. 19, consentono di fruire della c.d. legislazione di sostegno - ne limiterebbe la liberta' sindacale e comporterebbe nei loro confronti ingiustificate discriminazioni quanto all'esercizio delle loro attivita'. Ai fini della risoluzione di tale questione - che e' l'unica rilevante per la definizione dei giudizi principali - non e' decisivo stabilire se la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali sia consentita solo nell'ambito delle associazioni di cui all'art. 19. Confutando l'opinione in tal senso espressa nelle citate sentenze, il giudice a quo ricorda che e' ormai largamente prevalente, in dottrina e giurisprudenza, la tesi della natura definitoria, e non permissiva, di questa disposizione. Cio' pero' indurrebbe solo a ritenere che e' legittima la costituzione di rappresentanze che, non fruendo delle posizioni attive di cui al titolo III dello Statuto, operano nondimeno nell'ambito dell'art. 14 del medesimo; ma non comporta come necessaria conseguenza la possibilita' di accesso in via pattizia alle suddette posizioni attive. Parimenti non decisivo, ai fini in discorso, e' stabilire se il divieto di concessione pattizia di permessi retribuiti discenda direttamente da quello, imposto all'imprenditore dall'art. 17, di "sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali di lavoratori". Il giudice a quo intende in tal senso la concisa enunciazione contenuta al riguardo nelle sentenze di rinvio; e giustamente oppone che dalla pattuizione in qualunque modo intervenuta tra l'imprenditore ed una determinata associazione sindacale non puo' senz'altro inferirsi, per presunzione assoluta, la natura "di comodo", e quindi la non genuinita' di quest'ultima. Le agevolazioni concesse ben possono infatti essere giustificate dalla particolare forza contrattuale raggiunta da tale associazione, a seguito di un'autentica controversia collettiva. Per pervenire alla qualificazione di un sindacato come "di comodo" non puo' in effetti prescindersi - secondo l'opinione prevalente in dottrina e giurisprudenza - dall'indagine concreta sull'intento antisindacale dell'imprenditore e sulla finalizzazione del sostegno all'assoggettamento alle proprie strategie dell'organizzazione beneficiaria: e conseguentemente l'illiceita' della concessione pattizia di permessi retribuiti non puo' essere affermata sulla base del solo disposto dell'art. 17. A ben vedere, pero', non sembra essere questa l'opinione della Corte di cassazione: che, altrimenti, si sarebbe logicamente limitata a questo solo argomento, in quanto decisivo ed assorbente. Al di la' delle espressioni testuali, appare percio' piu' corretto intendere il riferimento all'art. 17 come espressione di quel "principio di ordine pubblico" ostativo a tali pattuizioni che essa ritiene di dover desumere dal complesso delle disposizioni statutarie richiamate (artt. 17, 19 e 23): sicche' l'indagine demandata alla Corte concerne la conformita' di detto principio alle disposizioni costituzionali di cui si lamenta la violazione. 4. - La protezione accordata dallo Statuto dei diritti dei lavoratori alle organizzazioni sindacali si articola su due livelli. Ad un primo livello, comune a tutte, viene assicurata la liberta' di associazione e di azione sindacale, che comprende altre importanti garanzie, quali la tutela contro atti discriminatori, anche sotto forma di trattamenti economici collettivi, la liberta' di proselitismo e collettaggio (artt. 15, 16, 26), l'accesso ad altri importanti diritti di esercizio collettivo, come quelli sanciti dagli artt. 9 e 11. A garanzia del libero sviluppo di una normale dialettica sindacale stanno poi il divieto di sindacati di comodo (art. 17) e la tutela - per le organizzazioni a dimensione nazionale - contro la condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28). Il secondo livello esprime la politica promozionale perseguita dal legislatore al precipuo fine di favorire l'ordinato svolgimento del conflitto sociale, e comporta una selezione dei soggetti collettivi protetti fondata sul principio della loro effettiva rappresentativita'. Ad essi sono attribuiti diritti ulteriori idonei a sostenerne l'azione, come quelli di tenere assemblee, disporre di locali, fruire di permessi retribuiti (artt. 20, 23, 27) ecc. Il principale criterio selettivo adottato al riguardo e' quello della "maggiore rappresentativita'" a livello pluricategoriale (art. 19, lett. a), finalizzato a favorire un processo di aggregazione e coordinamento degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordo con le esigenze dei lavoratori non occupati. Ma accanto ad esso la tutela rafforzata e' stata conferita (lett. b) anche al sindacalismo autonomo, sempreche' esso si dimostri capace di esprimere attraverso la firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita' produttiva - un grado di rappresentativita' idoneo a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (cfr. sent. n. 334 del 1988). La posizione di vantaggio che il giudice a quo vorrebbe riconosciuta alle organizzazioni sindacali non rientranti nelle predette categorie, che ottengono permessi sindacali (o altre misure di sostegno) per patto con l'imprenditore costituirebbe, precisamente, una deroga a quanto disposto nella lett. b) dell'art. 19. Si tratta percio' di vedere se il criterio selettivo espresso in tale disposizione sia da considerare, nel sistema dello Statuto, come criterio inderogabile, ed in caso positivo se tale inderogabilita' sia o meno conforme a Costituzione. Ad entrambi tali quesiti va data risposta positiva: e percio' la questione deve ritenersi non fondata. 5. - La differenza tra i due suaccennati livelli di tutela che il giudice a quo vorrebbe colmabile attraverso pattuizioni con l'imprenditore consiste, come si e' detto, nel diverso e piu' elevato grado di effettiva rappresentativita' che le organizzazioni ammesse alla tutela rafforzata di cui al titolo III dello Statuto devono dimostrare di possedere. Al di fuori della rappresentativita' generale presupposta nella lett. a), la lett. b) dell'art. 19 appresta un congegno di verifica empirica della rappresentativita' nel singolo contesto produttivo, misurandola sull'efficienza contrattuale dimostrata almeno a livello locale, attraverso la partecipazione alla negoziazione ed alla stipula di contratti collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello - extra-aziendale - la soglia minima della rappresentativita', il legislatore ha tra l'altro inteso evitare, o quanto meno contenere, i pregiudizi che alla liberta' ed autonomia della dialettica sindacale, all'eguaglianza tra le varie organizzazioni ed all'autenticita' del pluralismo sindacale possono derivare dal potere di accreditamento della controparte imprenditoriale. Rispetto a tali pericoli, l'accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto e' strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell'imprenditore. Il patto, infatti, non presuppone di per se' alcuna soglia minima di rappresentativita' dell'organizzazione che ne sia beneficiaria, pur al livello meramente aziendale, sicche' puo' avvantaggiare sindacati di scarsa consistenza e correlativamente alterare la parita' di trattamento rispetto ad organizzazioni dotate di rappresentativita' anche maggiore presenti in azienda. Pur al di fuori dell'ipotesi di sostegno al sindacato "di comodo" (art. 17), sarebbe in tal modo consentito all'imprenditore di influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno sgradita. Questa Corte, d'altra parte, ha gia' ripetutamente sottolineato (sentt. nn. 54 del 1974 e 334 del 1988) la razionalita' di una scelta legislativa caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee ad impedire un'eccessiva dispersione e frammentazione dell'azione dell'autotutela ed a favorire una sintesi degli interessi non circoscritta alle logiche particolaristiche di piccoli gruppi di lavoratori. E' palese che la possibilita' di estensione pattizia delle misure di sostegno si porrebbe in contraddizione con tale logica: sia perche' favorirebbe processi di frammentazione della rappresentanza potenzialmente pregiudizievoli alla stessa efficacia dell'azione sindacale; sia perche' rafforzerebbe il potere di pressione di cui ristretti gruppi professionali fruiscono in ragione della loro particolare collocazione nel processo produttivo e potrebbe piu' in generale incentivare quella segmentazione esasperata dell'azione sindacale che la Corte, nelle citate sentenze, ha ritenuto contraria agli interessi generali e specificamente a quelli dei lavoratori. Il divieto delle pattuizioni in discorso e' percio' coerente non solo alla logica ispiratrice dell'art. 19, ma anche ai motivi in base ai quali la Corte ha ritenuto tale disposizione conforme ai principi costituzionali qui invocati. 6. - Le ragioni che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare la proliferazione di microorganizzazioni sindacali ed a favorire, secondo un'ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non confinati nell'ambito delle singole imprese o di gruppi ristretti sono tuttora in larga misura valide. La Corte e' tuttavia ben consapevole che, anche a causa delle incisive trasformazioni verificatesi nel sistema produttivo, si e' prodotta in anni recenti una forte divaricazione e diversificazione degli interessi, fonte di piu' accentuata conflittualita'; e che anche in ragione di cio' - nonche' delle complesse problematiche che il movimento sindacale si e' percio' trovato a dover affrontare - e' andata progressivamente attenuandosi l'idoneita' del modello disegnato nell'art. 19 a rispecchiare l'effettivita' della rappresentativita'. Prendere atto di cio' non significa, pero' ritenere che l'idoneo correttivo al logoramento di quel modello consista nell'espansione, attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della controparte imprenditoriale, che per quanto si e' detto puo' non offrire garanzie di espressione della rappresentativita' reale. Si tratta, invece, di dettare nuove regole idonee ad inverare, nella mutata situazione, i principi di liberta' e di pluralismo sindacale additati dal primo comma dell'art. 39 Cost.; prevedendo, da un lato, strumenti di verifica dell'effettiva rappresentativita' delle associazioni, ivi comprese quelle di cui all'art. 19 dello Statuto; dall'altro la possibilita' che le misure di sostegno - pur senza obliterare le gia' evidenziate esigenze solidaristiche - siano attribuite anche ad associazioni estranee a quelle richiamate in tale norma, che attraverso una concreta, genuina ed incisiva azione sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso. Non spetta a questa Corte individuare gli indici di rappresentativita', i modi di verifica del consenso, l'ambito in cui questa deve essere effettuata, i criteri di proporzionalita' della rappresentanza e gli strumenti di salvaguardia degli obiettivi solidaristici ed equalitari propri del sindacato; ma essa non puo' mancare di segnalare che l'apprestamento di tali nuove regole - ispirate alla valorizzazione dell'effettivo consenso come metro di democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacato - e' ormai necessario per garantire una piu' piena attuazione, in materia, dei principi costituzionali.