ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  riuniti  di  legittimita' costituzionale dell'art. 19 e
 combinato disposto degli artt. 17 e 23 della legge 20 maggio 1970, n.
 300  (Norme  sulla  tutela  della liberta' e dignita' dei lavoratori,
 della liberta' sindacale e dell'attivita'  sindacale  nei  luoghi  di
 lavoro  e norme sul collocamento) promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como
 nel procedimento civile vertente tra, la S.p.A. Riunione Adriatica di
 Sicurta'  e  Maestri Dario, iscritta al n. 284 del registro ordinanze
 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,
 prima serie speciale, dell'anno 1989;
      2)  ordinanza  emessa  il 19 dicembre 1986 dal Tribunale di Como
 nel procedimento civile vertente tra la S.p.A. Lavoro  e  Sicurta'  e
 Portigliotti  Giampiero,  iscritta  al  n. 285 del registro ordinanze
 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  24,
 prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visti  gli  atti  di  costituzione di Maestri Dario e Portigliotti
 Giampiero nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio
 dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  novembre  1989  il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Udito l'avvocato Luciano Crugnola per Maestri Dario e Portigliotti
 Giampiero e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta  per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  due ordinanze di identico tenore emesse il 19 dicembre
 1986, pervenute alla Corte  costituzionale  il  24  maggio  1989,  il
 Tribunale  di  Como  ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 3 e 39
 Cost., una questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  17,
 19  e  23 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei diritti dei
 lavoratori), "se interpretati nel senso di imporre il divieto per  le
 rappresentanze  aziendali  dei  lavoratori  costituite al di fuori di
 quelle legittimate ex art. 19 Statuto, in quanto espressione sempre e
 comunque  di  sindacati  di comodo, di accedere pattiziamente a forme
 piu' o meno estese di tutela, ed in particolare alla possibilita'  di
 fruire  per  i  loro  dirigenti  di permessi retribuiti allo scopo di
 svolgere attivita' sindacale".
    Nei  casi  di  specie,  il  diritto  a  tali  permessi  era  stato
 riconosciuto sia dal Pretore che - in sede di appello - dal Tribunale
 di  Milano  a Maestri Dario e Portigliotti Giampiero, dirigenti della
 rappresentanza aziendale  costituita  presso  la  R.A.S.  S.p.A.  dal
 sindacato  ASSI  RAS,  in  quanto costoro, prima del diniego da parte
 della societa', ne avevano fruito  in  virtu'  di  accordo  tacito  o
 comunque di uniforme e generalizzata prassi aziendale.
    La  Corte di cassazione, con sentenze 7 febbraio 1986, n. 783 e 19
 marzo 1986, n. 1913, aveva  viceversa  ritenuto  che  il  diritto  di
 costituire  rappresentanze  aziendali e' riservato dal citato art. 19
 alle associazioni "maggiormente rappresentative" sul piano nazionale,
 e  quindi  precluso  a  quelle  sprovviste  di  tali  requisiti; che,
 conseguentemente, solo ai dirigenti delle rappresentanze delle prime,
 e  non  anche  a quelli delle organizzazioni extra art. 19, spetta il
 diritto ai permessi retribuiti; e che un'eventuale deroga pattizia  a
 tale  regola,  risolvendosi  per  i  beneficiari in un trattamento di
 favore, verrebbe a porsi, oltreche' contro  il  principio  di  ordine
 pubblico  cui  le  indicate  norme  si  informano,  contro l'espresso
 divieto  fatto  ai  datori  di  lavoro  dall'art.  17  dello  Statuto
 "di...sostenere,  con  mezzi  finanziari  o  altrimenti, associazioni
 sindacali di lavoratori".
    Il  Tribunale  di Como, giudice di rinvio chiamato ad applicare la
 disciplina risultante da tale principio di diritto,  ne  contesta  la
 legittimita' costituzionale.
    L'art. 19 dello Statuto - osserva il Tribunale - e' norma speciale
 rispetto  all'art.  14,  che,  in  conformita'  all'art.  39   Cost.,
 garantisce a tutti i lavoratori il diritto di costituire associazioni
 sindacali, di aderirvi e di svolgere attivita' sindacale  all'interno
 dei   luoghi   di   lavoro.  Esso  e',  inoltre,  norma  a  carattere
 definitorio,  nel  senso  che  individua  le  caratteristiche  -   di
 rappresentativita'    extra-aziendale   -   che   devono   avere   le
 rappresentanze sindacali  aziendali  per  poter  accedere  alla  c.d.
 legislazione  di  sostegno  di  cui  alle  norme del titolo III dello
 Statuto. Ne risulta cosi' circoscritto -  onde  evitare  un'eccessiva
 atomizzazione  sindacale - l'ambito delle aggregazioni che possono ex
 lege pretendere l'applicazione di tali norme; ma cio'  non  significa
 che  le medesime prerogative non possano essere, in tutto o in parte,
 pattiziamente estese a  rappresentanze  aziendali  costituite  al  di
 fuori dei moduli dell'art. 19.
    L'opposta   opinione   della   Cassazione,   fondata   sulla  tesi
 (assolutamente minoritaria in dottrina e giurisprudenza) della natura
 "permissiva"  dell'art.  19  -  che  cioe'  solo i sindacati aventi i
 requisiti   ivi   indicati   sarebbero   legittimati   a   costituire
 rappresentanze  sindacali aziendali - confligge, secondo il giudice a
 quo, con la garanzia della liberta'  sindacale  di  cui  all'art.  39
 Cost.  Essa,  infatti,  comporta  che  ai  sindacati  sprovvisti  dei
 requisiti di cui all'art. 19 viene di fatto preclusa la  possibilita'
 di  pervenire  ai  livelli  di rappresentativita' che consentirebbero
 l'accesso ex lege alla legislazione di  sostegno.  Se,  invero,  essi
 sono  privati  dal potere di costituire propri organismi in azienda e
 destinati a  vedersi  sempre  annullato  qualsiasi  riconoscimento  o
 spazio  gia'  ottenuto  in virtu' di accordo o prassi uniforme, si da
 luogo ad una sorta di "pietrificazione dello status quo" e, ignorando
 le   mutevoli   realta'   aziendali,   si   preclude  l'accesso  alla
 legislazione di sostegno ad organizzazioni che siano magari  presenti
 in  azienda  in  forme maggioritarie e non necessariamente di comodo,
 che tali dovrebbero pero' essere sempre  ritenute,  indipendentemente
 dalla    prova    della    volonta'    di    sostegno   antisindacale
 dell'imprenditore.
    Ad  avviso  del  Tribunale  sarebbe,  inoltre,  violato  l'art. 3,
 secondo comma, Cost., in quanto  "se  e'  legittimo  riconoscere  per
 legge particolari prerogative a chi ha raggiunto effettivi livelli di
 rappresentativita' alla stregua dei requisiti di cui all'art. 19, non
 possono   tollerarsi  discriminazioni  tra  organizzazioni  sindacali
 quanto all'esistenza e all'esercizio della propria attivita'".
    2.  -  Nei  giudizi dinanzi alla Corte si sono costituiti, a mezzo
 dell'avv. L. Crugnola, gli attori nei procedimenti a  quibus  Maestri
 Dario  e Portigliotti Giampiero, i quali, nell'atto di costituzione e
 in una memoria aggiunta, hanno svolto argomentazioni  sostanzialmente
 analoghe  a  quelle contenute nell'ordinanza di rimessione. La difesa
 insiste, in particolare, sul carattere definitorio e  non  permissivo
 dell'art.  19  St.  e sottolinea che il riconoscimento di determinati
 spazi di agibilita' sindacale, quali i permessi, era gia' avvenuto in
 alcuni  casi  prima  dello  Statuto, si e' realizzato in via di fatto
 anche dopo ed ha fonte autonoma rispetto allo  Statuto  medesimo,  in
 quanto  discende  da  accordi  generali  o  particolari originati dal
 concreto operare dell'organizzazione sindacale. Se si nega  validita'
 ai  riconoscimenti  e  spazi  gia'  ottenuti dalle organizzazioni non
 rientranti nel modello dell'art. 19, esse non  solo  non  godono  del
 trattamento   privilegiato  di  quelle  che  vi  rientrano,  ma  sono
 specificamente contrastate  e  si  nega  di  fatto  il  loro  diritto
 all'esistenza  ed  allo  svolgimento  della  propria attivita'. Altro
 infatti e' sancire una disuguaglianza delle  posizioni  di  partenza,
 attribuendo  un  privilegio alle organizzazioni ivi contemplate e con
 cio'  alterando  la  libera  concorrenza  tra  sindacati;  altro   e'
 argomentarne   il  totale  "blocco"  di  tale  concorrenza,  mediante
 l'immobilizzazione, e quindi l'esclusione, proprio di quei  sindacati
 che,  pur  partendo  da  posizioni svantaggiate, riescano ad emergere
 costringendo il datore al riconoscimento contrattuale.
    Quanto,  poi,  all'art.  17 St., la difesa sottolinea che elemento
 costitutivo della fattispecie ivi vietata e' la prova della  volonta'
 di  sostegno  antisindacale  dell'imprenditore,  che non puo' percio'
 essere presunta. A ritenere altrimenti, si giungerebbe  al  paradosso
 "per  cui il coronamento contrattuale della lotta di un sindacato per
 l'equiparazione ai sindacati privilegiati dalla legge dovrebbe essere
 considerato come indice sicuro della sua funzione 'di comodo'".
    La difesa nega inoltre che vi fossero nella specie elementi idonei
 a qualificare come "di comodo" il sindacato in questione, e  sostiene
 che  se  l'art.  17  St.  fosse  interpretato nel senso di imporre al
 datore di lavoro di negare spazi di agibilita' sindacale  a  soggetti
 diversi  da  quelli  di cui all'art. 19 esso si porrebbe in contrasto
 con l'art. 39 Cost.
    La  difesa  richiama  infine  alcune convenzioni internazionali in
 tema di liberta' sindacale (Convenzioni O.I.L. nn. 87 e 98,  recepite
 con  legge  23  marzo  1958,  n. 367; Convenzione europea dei diritti
 dell'uomo, art. 11; Carta sociale europea,  ratificata  con  legge  3
 luglio  1965,  n.  929, artt. 5 e 6; Patto internazionale dei diritti
 economici, sociali e culturali dell'O.N.U., ratificato con  legge  25
 ottobre 1977, n. 881, art. 8) per desumerne che il divieto per alcune
 organizzazioni  sindacali  di  ottenere  spazi  e  riconoscimenti  si
 porrebbe  in  contrasto  con tali fonti normative internazionali, con
 conseguente possibile violazione anche degli artt. 10 e 35 Cost.
    3.  -  L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del
 Presidente del Consiglio dei  ministri  in  entrambi  i  giudizi  con
 memorie  identiche,  sostiene  innanzitutto  che la questione sarebbe
 inammissibile, in quanto sollevata rispetto ad una  regola  -  quella
 risultante  dal principio di diritto enunciato dalla Cassazione - cui
 il giudice di rinvio e' tenuto ad uniformarsi.  Pur  dando  atto  del
 contrario  orientamento  di  questa  Corte  (sent.  n. 138 del 1977),
 l'Avvocatura ne sollecita una revisione, argomentando dal  fatto  che
 il  principio  di  diritto  non  puo' essere messo in discussione dal
 giudice  di  rinvio,  neanche  per  dubitare  della   sua   validita'
 costituzionale,  in  quanto rispetto al rapporto in causa si e' su di
 esso formato il giudicato.
    La  questione,  secondo  l'Avvocatura,  e'  comunque infondata nel
 merito. Da un lato, infatti,  la  preclusione  alla  costituzione  di
 rappresentanze  sindacali  aziendali  da parte delle associazioni non
 rispondenti ai requisiti in cui all'art. 19 St.  sarebbe  gia'  stata
 ritenuta   legittima   da  questa  Corte  (sent.  n.  54  del  1974);
 dall'altro, l'inibizione  per  queste  a  giovarsi  delle  misure  di
 sostegno  specificate nel titolo III dello Statuto, anche se ottenute
 pattiziamente, non menomerebbe la loro liberta' di azione  sindacale.
 La  possibilita'  di  accesso al livello di rappresentativita' voluto
 dall'art. 19 dipenderebbe infatti non dalla fruizione di tali misure,
 ma  dalla  capacita'  dell'organizzazione  di rendersi interprete, in
 modo serio e credibile, degli interessi della categoria rappresentata
 e  di  accrescere  cosi'  le  adesioni,  fino  a  risultare un valido
 interlocutore nella contrattazione collettiva.
                         Considerato in diritto
    1.  -  I  procedimenti  hanno  ad oggetto la medesima questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 17, 19 e 23  della  legge  20
 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei
 lavoratori, della liberta' sindacale e dell'attivita'  sindacale  nei
 luoghi  di lavoro e norme sul collocamento), sollevata in riferimento
 agli artt. 39 e 3, secondo comma Cost. dal Tribunale di Como con  due
 ordinanze  distinte  ma  di  identico  tenore.  E'  percio'  evidente
 l'opportunita' della loro riunione.
    2.   -   L'Avvocatura  dello  Stato  ha  preliminarmente  eccepito
 l'inammissibilita' della questione, in quanto sollevata dal  predetto
 Tribunale,  quale  giudice  di  rinvio,  nei  confronti  della  norma
 risultante  dal  principio  di  diritto  enunciato  dalla  Corte   di
 cassazione.  A  suo  avviso,  dal  fatto  che  questi  e'  tenuto  ad
 uniformarsi  a  detto  principio  (art.  384  c.p.c.)  discende  che,
 rispetto  al rapporto in causa, si formi sul punto il giudicato e che
 percio' esso non  possa  essere  messo  in  discussione  neanche  per
 dubitare della sua validita' costituzionale.
    Tale  eccezione  va disattesa, in quanto contrasta col consolidato
 indirizzo di questa Corte - piu' volte manifestato sia esplicitamente
 che in modo implicito (cfr. ad es. le sentt. nn. 138 del 1977, 11 del
 1981, 21 del 1982, 2 e 345 del 1987) - rispetto al quale l'Avvocatura
 non  adduce argomenti nuovi. Essa, in effetti, suppone una confusione
 tra i distinti profili dell'interpretazione della  norma  -  rispetto
 alla  quale  il  giudice  di  rinvio  e'  vincolato  -  e  della  sua
 legittimita' costituzionale. Il giudizio in proposito e' riservato  a
 questa  Corte  e  non  puo'  ritenersi  assorbito  nella  valutazione
 compiuta sul piano ermeneutico  dal  giudice  della  nomofilachia.  E
 poiche'  la  norma  -  cosi' come interpretata - deve ancora ricevere
 applicazione nella fase di rinvio,  il  precludere  che  su  di  essa
 vengano   prospettate   questioni   di   legittimita'  costituzionale
 comporterebbe un'indubbia violazione delle disposizioni regolanti  la
 materia  (artt. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 e 23 della
 legge n. 87 del 1953), dato che queste  non  contengono  al  riguardo
 alcuna specifica limitazione.
    3. - Con le due sentenze, di tenore identico (Sez. lav., nn. 783 e
 1913 del 1986) dalle quali i giudizi di rinvio traggono  origine,  la
 Corte   di   cassazione  ha  statuito  la  nullita',  per  illiceita'
 dell'oggetto,  delle  pattuizioni  concernenti  la   concessione   di
 permessi retribuiti a dirigenti di rappresentanze sindacali aziendali
 non rientranti tra quelle definite nell'art. 19  St.  lav.,  e  cioe'
 costituite  al  di fuori dell'ambito delle associazioni aderenti alle
 confederazioni maggiormente rappresentative  sul  piano  nazionale  o
 delle   associazioni  comunque  firmatarie  di  contratti  collettivi
 nazionali o provinciali di lavoro applicati nell'unita' produttiva.
   Il giudice a quo dubita che tale norma - che la Corte di cassazione
 ricava dagli artt. 17, 19 e 23 dello  Statuto  -  contrasti  con  gli
 artt.  39  e  3, secondo comma, Cost., assumendo che essa - in quanto
 preclude a tali organizzazioni la possibilita' di accedere  di  fatto
 ai  livelli  di  rappresentativita' che, ai sensi del citato art. 19,
 consentono di  fruire  della  c.d.  legislazione  di  sostegno  -  ne
 limiterebbe  la liberta' sindacale e comporterebbe nei loro confronti
 ingiustificate  discriminazioni  quanto  all'esercizio   delle   loro
 attivita'.  Ai  fini  della  risoluzione  di  tale questione - che e'
 l'unica rilevante per la definizione dei giudizi principali - non  e'
 decisivo  stabilire  se  la  costituzione di rappresentanze sindacali
 aziendali sia consentita solo nell'ambito delle associazioni  di  cui
 all'art. 19. Confutando l'opinione in tal senso espressa nelle citate
 sentenze,  il  giudice  a  quo  ricorda  che  e'   ormai   largamente
 prevalente,  in  dottrina  e  giurisprudenza,  la  tesi  della natura
 definitoria, e non permissiva, di  questa  disposizione.  Cio'  pero'
 indurrebbe  solo  a  ritenere  che  e'  legittima  la costituzione di
 rappresentanze che, non fruendo delle  posizioni  attive  di  cui  al
 titolo  III dello Statuto, operano nondimeno nell'ambito dell'art. 14
 del  medesimo;  ma  non  comporta  come  necessaria  conseguenza   la
 possibilita'  di  accesso  in  via  pattizia  alle suddette posizioni
 attive.
    Parimenti  non  decisivo,  ai fini in discorso, e' stabilire se il
 divieto di  concessione  pattizia  di  permessi  retribuiti  discenda
 direttamente  da  quello,  imposto  all'imprenditore dall'art. 17, di
 "sostenere, con mezzi finanziari o altrimenti, associazioni sindacali
 di  lavoratori".  Il  giudice  a  quo intende in tal senso la concisa
 enunciazione contenuta  al  riguardo  nelle  sentenze  di  rinvio;  e
 giustamente   oppone   che   dalla   pattuizione  in  qualunque  modo
 intervenuta  tra  l'imprenditore  ed  una  determinata   associazione
 sindacale non puo' senz'altro inferirsi, per presunzione assoluta, la
 natura "di comodo", e quindi la non genuinita'  di  quest'ultima.  Le
 agevolazioni  concesse  ben possono infatti essere giustificate dalla
 particolare forza contrattuale  raggiunta  da  tale  associazione,  a
 seguito  di  un'autentica controversia collettiva. Per pervenire alla
 qualificazione di un sindacato come "di comodo" non puo'  in  effetti
 prescindersi   -   secondo   l'opinione   prevalente  in  dottrina  e
 giurisprudenza - dall'indagine  concreta  sull'intento  antisindacale
 dell'imprenditore     e    sulla    finalizzazione    del    sostegno
 all'assoggettamento  alle   proprie   strategie   dell'organizzazione
 beneficiaria:   e  conseguentemente  l'illiceita'  della  concessione
 pattizia di permessi retribuiti non puo' essere affermata sulla  base
 del solo disposto dell'art. 17.
    A  ben  vedere,  pero',  non sembra essere questa l'opinione della
 Corte di cassazione: che, altrimenti, si sarebbe logicamente limitata
 a  questo solo argomento, in quanto decisivo ed assorbente. Al di la'
 delle espressioni testuali, appare percio' piu' corretto intendere il
 riferimento all'art. 17 come espressione di quel "principio di ordine
 pubblico" ostativo a tali  pattuizioni  che  essa  ritiene  di  dover
 desumere  dal  complesso  delle  disposizioni  statutarie  richiamate
 (artt. 17, 19 e 23): sicche' l'indagine demandata alla Corte concerne
 la conformita' di detto principio alle disposizioni costituzionali di
 cui si lamenta la violazione.
    4.  -  La  protezione  accordata  dallo  Statuto  dei  diritti dei
 lavoratori alle organizzazioni sindacali si articola su due  livelli.
 Ad  un primo livello, comune a tutte, viene assicurata la liberta' di
 associazione e di azione sindacale, che  comprende  altre  importanti
 garanzie,  quali  la  tutela  contro atti discriminatori, anche sotto
 forma  di  trattamenti   economici   collettivi,   la   liberta'   di
 proselitismo  e  collettaggio  (artt. 15, 16, 26), l'accesso ad altri
 importanti diritti di esercizio collettivo, come quelli sanciti dagli
 artt.  9  e  11.  A  garanzia  del  libero  sviluppo  di  una normale
 dialettica sindacale stanno poi il divieto  di  sindacati  di  comodo
 (art.  17) e la tutela - per le organizzazioni a dimensione nazionale
 - contro la condotta antisindacale del datore di lavoro (art. 28).
    Il secondo livello esprime la politica promozionale perseguita dal
 legislatore al precipuo fine di favorire l'ordinato  svolgimento  del
 conflitto  sociale,  e comporta una selezione dei soggetti collettivi
 protetti    fondata    sul    principio    della    loro    effettiva
 rappresentativita'.  Ad essi sono attribuiti diritti ulteriori idonei
 a sostenerne l'azione, come quelli di tenere assemblee,  disporre  di
 locali,  fruire  di  permessi  retribuiti  (artt. 20, 23, 27) ecc. Il
 principale criterio selettivo adottato al riguardo  e'  quello  della
 "maggiore  rappresentativita'"  a  livello pluricategoriale (art. 19,
 lett. a), finalizzato  a  favorire  un  processo  di  aggregazione  e
 coordinamento  degli  interessi  dei  vari  gruppi  professionali, di
 sintesi delle varie  istanze  rivendicative  e  di  raccordo  con  le
 esigenze  dei  lavoratori  non occupati. Ma accanto ad esso la tutela
 rafforzata  e'  stata  conferita  (lett.  b)  anche  al  sindacalismo
 autonomo,  sempreche' esso si dimostri capace di esprimere attraverso
 la firma di contratti collettivi nazionali o  provinciali  di  lavoro
 applicati  nell'unita'  produttiva  -  un grado di rappresentativita'
 idoneo  a  tradursi  in  effettivo  potere  contrattuale  a   livello
 extra-aziendale (cfr. sent. n. 334 del 1988).
    La   posizione   di  vantaggio  che  il  giudice  a  quo  vorrebbe
 riconosciuta  alle  organizzazioni  sindacali  non  rientranti  nelle
 predette  categorie, che ottengono permessi sindacali (o altre misure
 di   sostegno)   per   patto   con   l'imprenditore    costituirebbe,
 precisamente,  una  deroga a quanto disposto nella lett. b) dell'art.
 19.
    Si  tratta  percio' di vedere se il criterio selettivo espresso in
 tale disposizione sia da considerare, nel sistema dello Statuto, come
 criterio  inderogabile,  ed  in caso positivo se tale inderogabilita'
 sia o meno conforme a Costituzione.
    Ad  entrambi  tali quesiti va data risposta positiva: e percio' la
 questione deve ritenersi non fondata.
   5.  -  La differenza tra i due suaccennati livelli di tutela che il
 giudice  a  quo  vorrebbe  colmabile   attraverso   pattuizioni   con
 l'imprenditore consiste, come si e' detto, nel diverso e piu' elevato
 grado di effettiva rappresentativita' che le  organizzazioni  ammesse
 alla  tutela  rafforzata  di  cui  al titolo III dello Statuto devono
 dimostrare  di  possedere.  Al  di  fuori  della   rappresentativita'
 generale  presupposta  nella  lett.  a),  la  lett.  b)  dell'art. 19
 appresta un congegno di verifica  empirica  della  rappresentativita'
 nel   singolo   contesto   produttivo,   misurandola  sull'efficienza
 contrattuale  dimostrata  almeno  a  livello  locale,  attraverso  la
 partecipazione   alla  negoziazione  ed  alla  stipula  di  contratti
 collettivi provinciali. Nel fissare a tale livello -  extra-aziendale
 -  la  soglia  minima della rappresentativita', il legislatore ha tra
 l'altro inteso evitare, o quanto meno  contenere,  i  pregiudizi  che
 alla    liberta'    ed    autonomia   della   dialettica   sindacale,
 all'eguaglianza tra le varie organizzazioni ed  all'autenticita'  del
 pluralismo  sindacale  possono  derivare dal potere di accreditamento
 della controparte imprenditoriale.
    Rispetto  a  tali  pericoli,  l'accesso  pattizio  alle  misure di
 sostegno non offre alcuna garanzia  oggettivamente  verificabile,  in
 quanto  e'  strutturalmente  legato  al solo potere di accreditamento
 dell'imprenditore. Il patto,  infatti,  non  presuppone  di  per  se'
 alcuna soglia minima di rappresentativita' dell'organizzazione che ne
 sia beneficiaria, pur al livello meramente  aziendale,  sicche'  puo'
 avvantaggiare  sindacati  di  scarsa  consistenza  e correlativamente
 alterare la parita' di trattamento rispetto ad organizzazioni  dotate
 di  rappresentativita'  anche maggiore presenti in azienda. Pur al di
 fuori dell'ipotesi di sostegno al sindacato "di  comodo"  (art.  17),
 sarebbe  in  tal  modo  consentito all'imprenditore di influire sulla
 libera   dialettica   sindacale   in   azienda,   favorendo    quelle
 organizzazioni  che  perseguono una politica rivendicativa a lui meno
 sgradita.
    Questa  Corte,  d'altra  parte, ha gia' ripetutamente sottolineato
 (sentt. nn. 54 del 1974 e 334 del 1988) la razionalita' di una scelta
 legislativa caratterizzata dal ricorso a tecniche incentivanti idonee
 ad impedire un'eccessiva  dispersione  e  frammentazione  dell'azione
 dell'autotutela  ed  a  favorire  una  sintesi  degli  interessi  non
 circoscritta alle logiche  particolaristiche  di  piccoli  gruppi  di
 lavoratori.
    E'  palese che la possibilita' di estensione pattizia delle misure
 di sostegno si  porrebbe  in  contraddizione  con  tale  logica:  sia
 perche'  favorirebbe  processi di frammentazione della rappresentanza
 potenzialmente  pregiudizievoli  alla  stessa  efficacia  dell'azione
 sindacale;  sia  perche'  rafforzerebbe il potere di pressione di cui
 ristretti  gruppi  professionali  fruiscono  in  ragione  della  loro
 particolare  collocazione  nel processo produttivo e potrebbe piu' in
 generale  incentivare  quella  segmentazione  esasperata  dell'azione
 sindacale  che la Corte, nelle citate sentenze, ha ritenuto contraria
 agli interessi generali e specificamente a quelli dei lavoratori.
    Il  divieto  delle pattuizioni in discorso e' percio' coerente non
 solo alla logica ispiratrice dell'art. 19, ma anche ai motivi in base
 ai  quali la Corte ha ritenuto tale disposizione conforme ai principi
 costituzionali qui invocati.
    6. - Le ragioni che spinsero il legislatore del 1970 a scoraggiare
 la proliferazione di microorganizzazioni  sindacali  ed  a  favorire,
 secondo un'ottica solidaristica, la rappresentazione di interessi non
 confinati nell'ambito delle singole imprese  o  di  gruppi  ristretti
 sono  tuttora  in  larga  misura  valide.  La  Corte  e' tuttavia ben
 consapevole  che,  anche  a  causa  delle   incisive   trasformazioni
 verificatesi  nel  sistema produttivo, si e' prodotta in anni recenti
 una forte divaricazione e diversificazione degli interessi, fonte  di
 piu'  accentuata  conflittualita';  e  che anche in ragione di cio' -
 nonche' delle complesse problematiche che il movimento  sindacale  si
 e'  percio'  trovato  a dover affrontare - e' andata progressivamente
 attenuandosi  l'idoneita'  del  modello  disegnato  nell'art.  19   a
 rispecchiare l'effettivita' della rappresentativita'.
    Prendere  atto  di cio' non significa, pero' ritenere che l'idoneo
 correttivo al logoramento di quel modello  consista  nell'espansione,
 attraverso lo strumento negoziale, del potere di accreditamento della
 controparte imprenditoriale, che per quanto  si  e'  detto  puo'  non
 offrire  garanzie  di  espressione della rappresentativita' reale. Si
 tratta, invece, di dettare nuove regole  idonee  ad  inverare,  nella
 mutata  situazione,  i principi di liberta' e di pluralismo sindacale
 additati dal primo comma dell'art. 39 Cost.; prevedendo, da un  lato,
 strumenti   di   verifica   dell'effettiva  rappresentativita'  delle
 associazioni, ivi comprese quelle di cui all'art. 19  dello  Statuto;
 dall'altro  la  possibilita'  che  le  misure di sostegno - pur senza
 obliterare  le  gia'  evidenziate  esigenze  solidaristiche  -  siano
 attribuite anche ad associazioni estranee a quelle richiamate in tale
 norma, che  attraverso  una  concreta,  genuina  ed  incisiva  azione
 sindacale pervengano a significativi livelli di reale consenso.
    Non   spetta   a   questa   Corte   individuare   gli   indici  di
 rappresentativita', i modi di verifica del consenso, l'ambito in  cui
 questa  deve  essere  effettuata, i criteri di proporzionalita' della
 rappresentanza  e  gli  strumenti  di  salvaguardia  degli  obiettivi
 solidaristici  ed  equalitari  propri del sindacato; ma essa non puo'
 mancare di segnalare che  l'apprestamento  di  tali  nuove  regole  -
 ispirate  alla  valorizzazione  dell'effettivo consenso come metro di
 democrazia anche nell'ambito dei rapporti tra lavoratori e  sindacato
 -  e'  ormai  necessario  per garantire una piu' piena attuazione, in
 materia, dei principi costituzionali.