ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 8, della
 legge 26 maggio 1965, n. 590 ("Disposizioni  per  lo  sviluppo  della
 proprieta'  coltivatrice")  e  7  della  legge 14 agosto 1971, n. 817
 ("Disposizioni  per  il  rifinanziamento  delle  provvidenze  per  lo
 sviluppo  della  proprieta'  coltivatrice"),  promosso  con ordinanza
 emessa il 18  aprile  1989  dalla  Corte  d'appello  di  Venezia  nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Pavanello Lucia ved. Schiavo
 e Ortica Wally ed altri, iscritta al n. 405  del  registro  ordinanze
 1989  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37,
 prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto l'atto di costituzione di Ortica Wally;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1989  il Giudice
 relatore Luigi Mengoni;
    Udito l'avv. Alberto Borella per Ortica Wally;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Chiamata ad applicare nel giudizio di rinvio il principio di
 diritto, enunciato dalla Corte  di  cassazione,  secondo  cui  "fuori
 dalle  ipotesi  contemplate dal terzo e dall'ultimo comma dell'art. 8
 della legge 26 maggio 1965, n. 590, in caso di trasferimento a titolo
 oneroso  della  propria  quota  da  parte  del  proprietario di quota
 indivisa del fondo rustico non spetta al comproprietario  il  diritto
 di  prelazione", la Corte di appello di Venezia, con ordinanza del 18
 aprile 1989, ha sollevato d'ufficio, in riferimento agli artt. 3 e 44
 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale del
 citato art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell'art. 7  della  legge
 14  agosto  1971,  n.  817  "nella  parte in cui non attribuiscono il
 diritto di prelazione e di riscatto anche al comproprietario di quota
 indivisa  di  un  fondo, oggetto di comunione volontaria, che coltivi
 direttamente una parte individuata del fondo stesso".
    Secondo  il  giudice  a  quo  la  disparita'  di  trattamento, che
 nell'ipotesi  di  comunione  volontaria  e'  riservata  dalle   norme
 denunciate,  cosi'  come  interpretate  nella  sentenza di rinvio, al
 comproprietario  coltivatore  di  una  parte  individuata  del  fondo
 comune,  rispetto  al coltivatore diretto di un fondo confinante, non
 sarebbe  giustificata  ne'  da  una  sostanziale   differenza   delle
 rispettive  posizioni  soggettive,  che' anzi il primo avrebbe titoli
 maggiori del secondo al riconoscimento del diritto di prelazione, ne'
 da  una  diversita'  di ratio in relazione agli obiettivi di politica
 fondiaria  ai  quali  e'  preordinato  l'istituto  della   prelazione
 agraria.
    2.  -  Nel  giudizio  davanti alla Corte si e' costituita la parte
 alienante eccependo in principalita' l'inammissibilita', in subordine
 l'infondatezza della questione.
    L'inammissibilita'  e'  affermata  sia sul riflesso che al giudice
 sarebbe preclusa la promozione di incidenti di  costituzionalita'  in
 contrasto  col  principio  di  diritto enunciato dalla Cassazione, al
 quale e' tenuto ad uniformarsi, sia sul riflesso che nella specie non
 sarebbe  stata  dimostrata  la  qualita'  di  coltivatore diretto del
 comproprietario  che  pretende  di  riscattare  la  quota  di   fondo
 alienata.
    Nel  merito  si  sostiene  l'infondatezza  della questione facendo
 osservare  anzitutto  la  diversita'  di  ratio  delle   ipotesi   di
 prelazione  legale previste dalle norme impugnate e il loro carattere
 di norme  di  stretta  interpretazione,  in  quanto  limitatrici  del
 diritto  di proprieta' garantito dall'art. 42 Cost., in secondo luogo
 la differenza sostanziale tra la comunione volontaria  di  un  fondo,
 della  quale  si  tratta  nella  specie, e l'ipotesi, contemplata nel
 terzo comma dell'art. 8 citato, di comunione ereditaria tra i  membri
 della famiglia coltivatrice insediata sul fondo.
    D'altro  lato,  l'alienazione  di una quota indivisa del fondo, in
 quanto lascia immutata la comunione del diritto di proprieta', non e'
 nemmeno  assimilabile all'ipotesi di fondi contigui, di cui uno venga
 alienato, alla quale l'art. 7 della legge n. 817 del 1971, ha  esteso
 il diritto di prelazione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Corte  d'appello  di  Venezia dubita della legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 44 della  Costituzione,
 dell'art.  8 della legge n. 590 del 1965 e dell'art. 7 della legge n.
 817 del 1971 "nella parte in cui  non  attribuiscono  il  diritto  di
 prelazione  e  di riscatto anche al comproprietario di quota indivisa
 di  un  fondo,  oggetto  di   comunione   volontaria,   che   coltivi
 direttamente una parte individuata del fondo stesso".
    Vanno  preliminarmente disattese due eccezioni di inammissibilita'
 opposte dall'appellante in riassunzione. La prima  riprende  la  tesi
 contraria  all'ammissibilita'  della  questione  di costituzionalita'
 sollevata dal giudice  di  rinvio  contro  il  principio  di  diritto
 enunciato  dalla  Corte  di  cassazione,  al  quale e' vincolato. Gli
 argomenti addotti non sono pero' tali da scalfire la tesi  favorevole
 all'ammissibilita',  seguita  dalla giurisprudenza costante di questa
 Corte (cfr. sentenze nn. 138 del 1977, 11 del 1981, 21 del 1982, 2  e
 345 del 1987).
    Sotto un altro profilo l'inammissibilita' e' eccepita sul riflesso
 che la questione e' basata sul presupposto che il comproprietario, il
 quale  pretende  il  riscatto  della  quota alienata, sia coltivatore
 diretto di una parte individuata del fondo, mentre di tale fatto  non
 sarebbe  stata  ancora  acquisita  la  prova.  Sotto  questo  profilo
 l'eccezione coinvolge la  valutazione  del  materiale  probatorio  di
 causa, per la quale e' competente esclusivamente il giudice a quo.
    2. - La questione non e' fondata.
    Le norme impugnate non violano il principio di eguaglianza perche'
 la situazione del comproprietario di un fondo, nel  caso  in  cui  un
 altro  partecipante  alla  comunione  alieni la propria quota, non e'
 paragonabile a nessuna delle posizioni considerate dalla  legge  come
 titolo  del diritto di prelazione. Non, evidentemente, alla posizione
 dell'affittuario, del mezzadro o colono contemplati nel  primo  comma
 dell'art.   8   della   legge   n.   590  del  1965,  o  del  coerede
 dell'alienante, membro  della  famiglia  coltivatrice  insediata  sul
 fondo,  contemplato  nel  terzo  comma; ma neppure alla posizione del
 coltivatore diretto proprietario  di  terreni  confinanti  con  fondi
 offerti in vendita, al quale il diritto di prelazione e' stato esteso
 dall'art. 7 della legge n. 817 del 1971, perche' la contiguita' e' un
 concetto  spaziale  inapplicabile alle quote pro indiviso (ideali) di
 un fondo in comunione tra piu' persone, la quota essendo  la  misura,
 non l'oggetto, del diritto di ciascuna sul fondo.
    3.  -  Nemmeno e' violato il principio di razionalita', rapportato
 alle  varie  ragioni  che,  nell'ambito  delle   finalita'   indicate
 dall'art.  44  Cost.,  giustificano  volta  a  volta  il  diritto  di
 prelazione nelle tre ipotesi teste' ricordate. Nel  caso  di  cui  si
 controverte  non  ricorre  la  ratio sottesa all'art. 8, primo comma,
 della legge n. 590 del 1965, che mira a far coincidere la titolarita'
 dell'impresa  agricola con la titolarita' della proprieta' del fondo,
 e quindi inerisce ai rapporti di affitto a  coltivatore  diretto,  di
 mezzadria   e   di  colonia,  mentre  e'  estranea  ai  rapporti  tra
 proprietari. Non ricorre la ratio sottesa al terzo comma dell'art. 8,
 il  quale  tutela  l'interesse  dei  coeredi dell'alienante a evitare
 l'ingerenza di un estraneo nella conduzione familiare del fondo.
    Non  ricorre  infine  la  ratio  sottostante  all'ipotesi aggiunta
 dall'art. 7, secondo comma, n. 2 della legge n. 817 del 1971,  intesa
 a  favorire  la  ricomposizione  fondiaria mediante l'accorpamento di
 terreni limitrofi. Nella specie si tratta, invece, di unico fondo  in
 comproprieta':  l'alienazione  della  quota  di  un  partecipante non
 scioglie la  comunione,  non  produce  un  frazionamento  del  fondo,
 difronte    al   quale   possa   prospettarsi   un   interesse   alla
 ricomposizione. L'alienazione lascia immutata la condizione giuridica
 del  fondo,  che  e'  quella  di un fondo indiviso, onde si tratta di
 impedire, in ossequio  alla  direttiva  costituzionale  di  razionale
 sfruttamento  del  suolo, che la divisione ne pregiudichi la funzione
 economica. A tale esigenza provvedono gli artt. 720 e 1114 cod.  civ.
 vietando   la   divisione   in  natura  delle  cose  non  comodamente
 divisibili.
   4.  -  Non solo manca una ragione che, ai sensi dell'art. 44 Cost.,
 possa giustificare l'imposizione al diritto di libera  disponibilita'
 della  quota (art. 1103 cod. civ.), garantito dall'art. 42 Cost., del
 limite  proposto  dal  giudice   remittente,   ma   il   diniego   al
 comproprietario  del  diritto  di  prelazione  nel  caso  oggetto del
 giudizio a quo ha una specifica ragion d'essere  nell'art.  714  cod.
 civ., richiamato dall'art. 1116 per la divisione delle cose comuni.
    In  questo  caso  il  diritto  di prelazione frustrerebbe la norma
 citata del codice civile, secondo cui per sottrarre alla comunione, e
 quindi  alla  divisione,  una  parte individuata del fondo comune non
 basta che un partecipante l'abbia goduta  separatamente,  ma  occorre
 che l'abbia usucapita. Fino a quando non sia intervenuta l'usucapione
 per effetto del possesso esclusivo,  il  godimento  separato  di  una
 parte  concreta del fondo e' giuridicamente irrilevante, e quindi non
 e' idoneo ad  attribuire  al  fruitore  la  qualita'  di  coltivatore
 diretto, che e' un presupposto essenziale della prelazione agraria.
    Il  godimento  separato  non  da'  diritto,  in sede di divisione,
 all'inclusione della parte individuata nel proprio lotto: in  via  di
 estrazione  a  sorte,  se  le  porzioni  sono  eguali,  o  in  via di
 attribuzione ad opera del giudice  se  sono  diseguali,  essa  potra'
 trovarsi  nel  lotto  assegnato a un altro condividente. Concedere il
 diritto  di  prelazione   nell'ipotesi   in   esame   significherebbe
 consentire   al   comproprietario   di   far  cessare  la  comunione,
 acquistando la proprieta' del fondo  intero,  senza  sottostare  alla
 regola della divisione.