ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 44, ultimo
 comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione  e
 dell'affidamento  dei  minori),  promosso  con ordinanza emessa il 28
 aprile  1989  dalla  Corte  d'appello  di  Venezia,  sezione  per   i
 minorenni,  sul  ricorso proposto da Dal Colle Franco, iscritta al n.
 330 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto l'atto di costituzione di Dal Colle Franco nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1989  il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Uditi  l'avv.  Ezio  Adami per Dal Colle Franco e l'Avvocato dello
 Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La Corte d'appello di Venezia, sezione per i minorenni, con
 ordinanza emessa il 28 aprile 1989, ha sollevato, in riferimento agli
 artt.  3  e  30,  primo,  secondo  e terzo comma, della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, ultimo  comma,
 della  legge  4  maggio 1983, n. 184, nella parte in cui subordina la
 possibilita' di adottare un minore alla  condizione  che  l'adottante
 abbia  un'eta'  di almeno diciotto anni maggiore, anziche' di sedici,
 "come e' stabilito invece  per  il  riconoscimento  di  paternita'  e
 maternita'  ex  art.  250  c.c.  e  per la legittimazione ex art. 284
 c.c.".
    Il   giudice   a   quo  ravvisa  nella  predetta  limitazione  una
 discriminazione in danno del minore adottando rispetto al minore  che
 debba  essere  riconosciuto  o  legittimato  dal  genitore  che abbia
 compiuto sedici anni. E ritiene che  la  differenza  di  sedici  anni
 anche  per  i "casi particolari", contemplati dalla norma denunziata,
 non solo risponderebbe ad un criterio biologico, ma varrebbe anche  a
 garantire  un'applicazione  piu'  estesa  della  norma  in  linea con
 l'evoluzione del costume, segnatamente nel  caso  in  cui  il  minore
 adottando sia figlio dell'altro coniuge, come nella specie.
    A  cio'  si  aggiunga  -  osserva  il  giudice  a  quo  -  che nel
 sottosistema costituito dai capi I e II del titolo IV  (artt.  44-57)
 della  legge  n.  183  del  1984  l'adottante  non  deve esprimere un
 convincimento che richieda quella maturita' che deve avere chi scelga
 d'accordo  col coniuge di voler intraprendere l'adozione legittimante
 di un minore ai sensi dell'art. 22 della legge n. 183 del 1984.
    Il  giudice a quo ricorda infine come questa Corte, nella sentenza
 n. 183 del 10 febbraio  1988,  abbia  sostenuto  che  il  motivo  che
 condiziono'  il legislatore del 1983 a fissare il divario di eta' fra
 adottanti e adottando nel minimo di diciotto anni e  nel  massimo  di
 quaranta  fu  dettato dalla necessita' di adeguare la legislazione in
 materia di adozione agli artt. 7, numero 1,  e  8,  numero  3,  della
 Convenzione di Strasburgo.
    2.   -   Si   e'   costituita   la  parte  privata  aderendo  alle
 argomentazioni  del  giudice  rimettente  e   depositando   altresi',
 nell'imminenza  dell'udienza,  una  memoria in cui si osserva come il
 legislatore  da  un  lato,  consentendo  ai  genitori  sedicenni   di
 riconoscere  e  legittimare il figlio naturale, abbia riconosciuto la
 loro   idoneita'   fisiologica    alla    procreazione,    dall'altro
 contraddittoriamente   non   abbia   ritenuto  tale  scarto  di  anni
 sufficiente a consentire  al  minore  l'attribuzione  di  uno  status
 familiare.  Secondo  la difesa, i princip/' del favor minoris e della
 parificazione della filiazione adottiva a quella naturale  consentono
 di  verificare l'irrazionalita' della norma impugnata, che violerebbe
 l'art.  3   della   Costituzione   "per   manifesta   diversita'   di
 regolamentazione di ipotesi analoghe".
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei ministri
 rappresentato dall'Avvocatura dello Stato la quale ha concluso per la
 declaratoria  d'inammissibilita'  ovvero  d'infondatezza,  osservando
 come il giudice a quo abbia posto a raffronto situazioni non omogenee
 ed  abbia altresi' confuso la differenza minima di eta' tra adottante
 ed adottando con l'eta' minima necessaria per avere la  capacita'  di
 riconoscere il proprio figlio o di richiedere la legittimazione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La Sezione per i minorenni della Corte d'appello di Venezia
 dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 44, ultimo  comma,
 della  legge  4  maggio  1983,  n.  184  (Disciplina  dell'adozione e
 dell'affidamento dei minori), in relazione agli artt. 3 e 30,  primo,
 secondo e terzo comma, della Costituzione "nella parte in cui prevede
 per colui che voglia adottare un minore la differenza minima di  eta'
 di  diciotto  anni  anziche'  sedici, come e' stabilito invece per il
 riconoscimento di paternita' e maternita' ex art. 250 c.c. e  per  la
 legittimazione ex art. 284 c.c.".
    2.  - Non sono invocabili i tertia comparationis di cui agli artt.
 250 e 284 del  codice  civile,  in  quanto  regolano  situazioni  non
 omogenee,  con  la  conseguenza  che su di essi non puo' argomentarsi
 violazione  del  principio  di  eguaglianza  contenuto  nel  precetto
 dell'art. 3 della Costituzione.
   Non  e'  sufficiente  infatti  che  la  norma  impugnata  e  quelle
 richiamate a confronto abbiano a denominatore  comune  l'acquisto  di
 uno   status   familiare  di  filiazione  riconosciuta,  legittimata,
 adottiva. Le tre norme sono ispirate ciascuna da una peculiare ratio,
 e  le  due,  artt.  250  e  284  del codice civile, che richiedono il
 compimento del sedicesimo anno d'eta' per i  genitori  che  intendono
 procedere   al  riconoscimento  o  alla  legittimazione  della  prole
 naturale, stabiliscono un dato temporale iniziale concettualmente non
 assimilabile  al  dato temporale di distanza quale quello di diciotto
 anni richiesto dalla  norma  impugnata  come  differenza  d'eta'  tra
 adottante e adottando.
    L'impostazione  erronea  del rapporto tra soglia minima d'eta' per
 il riconoscimento o per la  legittimazione  della  prole  generata  e
 distanza  d'eta' tra adottante e adottando deriva da una non corretta
 quanto tradizionale interpretazione del  criterio  "adoptio  imitatur
 naturam".  Tale criterio, innanzi tutto, non assume la consistenza di
 un principio giuridico, per cui l'istituto dell'adozione debba essere
 regolato  come  species artificiale della filiazione e modellarsi, al
 pari di questa, sugli stessi presupposti di natura, tra  i  quali  la
 maturita' fisiologica alla generazione.
    La formula riflette piuttosto una esigenza etico-sociale avvertita
 gia' prima del diritto giustinianeo, che l'adottivo  non  fosse  piu'
 anziano  dell'adottante,  cosi'  come  il  figlio  generato  non puo'
 esserlo per natura rispetto al proprio padre. E tuttavia, che non  si
 trattasse  di una regola di diritto, lo prova il dibattito interno al
 diritto romano classico se l'adottante potesse  essere  piu'  giovane
 dell'adottando,  come  e'  attestato  essere  alcune  volte realmente
 accaduto.  E'  Giustiniano  ad   imporre   la   regola   che   l'eta'
 dell'adottante preceda di almeno diciotto anni quella dell'adottando.
 E siffatta regola, attraverso il  diritto  comune,  ha  raggiunto  le
 legislazioni moderne.
    L'indicazione  giustinianea  dei diciotto anni come plena pubertas
 non ha alcun riferimento biologico, intesa com'e' ad  utilizzare  una
 mera  analogia  nominis  per  definire  un  intervallo temporale piu'
 esteso dei quattordici anni richiesti per la puberta'.
    La   fissazione  della  distanza  d'eta'  in  diciotto  anni  deve
 intendersi storicamente dettata da ragioni  di  opportunita'  sociale
 ponderate   dal   legislatore  senza  giustificazioni  naturalistiche
 esterne alla sua volonta'.
    3.  -  Il  legislatore  italiano  ha recepito dal Codice sardo del
 1838, art. 188, l'intervallo dei diciotto anni nel codice civile  del
 1865,  art.  202, e in quello del 1942, art. 291. In quest'ultimo, la
 possibilita'  di   deroga   ("Quando   eccezionali   circostanze   lo
 consigliano,  la  Corte  d'appello  puo'  autorizzare  la adozione se
 l'adottante ha raggiunto almeno l'eta'  di  anni  quaranta  e  se  la
 differenza  di eta' tra l'adottante e l'adottando e' di almeno sedici
 anni")  non  era  prevista  dal  Progetto  e  nella   Relazione   del
 Guardasigilli  Grandi  fu giustificata sia perche' rimesso alla Corte
 d'appello "il valutare le  circostanze  del  caso"  sia  perche'  "la
 differenza  minima  di  sedici  anni  salva  sempre  il  tradizionale
 principio: adoptio imitatur naturam".
    La  legge  n.  431  del  1967,  art.  1,  sull'adozione  speciale,
 ripristinava  la  differenza  d'eta'  di   diciotto   anni   ("Quando
 eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale puo' autorizzare
 la adozione se l'adottante ha raggiunto almeno l'eta' di trenta anni,
 ferma  restando  la  differenza  di  eta'  di cui al comma precedente
 (scil. diciotto anni)").
    La  legge n. 184 del 1983, nel riordinare e innovare organicamente
 la disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori, stabilisce
 all'art.  6,  secondo comma: "L'eta' degli adottanti deve superare di
 almeno  diciotto  e   di   non   piu'   di   quaranta   anni   l'eta'
 dell'adottando".
    Si tratta qui dell'adozione cosiddetta "legittimante", destinata a
 dare ai minori in stato  di  abbandono  una  famiglia  degli  affetti
 sostitutiva di quella del sangue. Come ha gia' rilevato questa Corte,
 "il legislatore italiano, che nel codice civile si era limitato  alla
 regola romana, nella legge del 1983, stabilendo la distanza minima di
 eta', che coincide oggi con gli anni della maggiore eta',  si  adegua
 alla  Convenzione  europea:  infatti ex art. 84 del codice civile, la
 capacita' matrimoniale si acquista con la maggiore eta', cioe'  a  18
 anni.  Se  si calcolano i tre anni di matrimonio richiesti ex art. 6,
 primo comma, della legge n. 184 del 1983 perche'  i  coniugi  possano
 adottare,  si  raggiunge  il  limite  minimo  dei  21  anni stabilito
 dall'art. 7, n. 1, della Convenzione di Strasburgo.
    "Il limite massimo stabilito in 40 anni - 5 in piu' rispetto ai 35
 della Convenzione europea - e' dovuto alla elevazione dell'eta' degli
 adottabili da 8 anni della legge del 1967 ai 18 della legge del 1983.
    "La  diminuzione del minimo da 20 a 18 e del massimo da 45 a 40 ha
 la funzione di offrire al minore genitori adottivi giovani,  in  modo
 che  il  modello  della  famiglia degli affetti sia non dissimile nel
 divario generazionale da quello della famiglia del sangue"  (sentenza
 n. 183 del 1988).
   Il  criterio  "adoptio  imitatur  naturam"  liberato  da vincolanti
 riferimenti biologici e opportunamente  collegato  con  usi  sociali,
 trova  la  sua  traduzione  moderna  nell'art.  8,  numero  3,  della
 Convenzione  di  Strasburgo:  "En  re'gle   ge'ne'rale,   l'autorite'
 compe'tente   ne  conside'rera  pas  comme  remplies  les  conditions
 pre'cite'es si la diffe'rence d'a'ge entre l'adoptant et l'enfant est
 infe'rieure  a'  celle  qui se'pare ordinairement les parents de leur
 enfants".
    Nel  contesto  della  stessa  legge  n.  184  del 1983, per i casi
 particolari sussunti nel titolo IV e' richiesta ancora una  volta  la
 distanza  d'eta' di diciotto anni (art. 44, quinto comma: "In tutti i
 casi l'adottante deve superare di  almeno  diciotto  anni  l'eta'  di
 coloro che intende adottare").
    Il ricorrere del dato temporale dei diciotto anni nella tradizione
 legislativa  italiana,  la  lungamente  meditata  elaborazione  della
 vigente legge n. 184 del 1983, nonche' la considerazione storicamente
 innanzi  dimostrata  che  il  termine  diciottennale  e'  frutto   di
 ponderazione    del    legislatore    senza   immediato   riferimento
 naturalistico che  valga  ricerca  di  giustificazione  esterna  alla
 voluntas  legis,  fanno si' che l'art. 3 della Costituzione, come non
 risulta valido ai fini della individuazione di lesione del  principio
 di eguaglianza, non lo e' del pari per fondare una valutazione di non
 ragionevolezza.
    4. - La questione e', invece, fondata con riferimento all'art. 30,
 primo e terzo  comma,  della  Costituzione,  nel  valore  complessivo
 espresso,  che  e'  quello dell'unita' della famiglia. La particolare
 specie di adozione prevista sub b), dal primo comma dell'art. 44 - il
 coniuge che adotta il minore figlio anche adottivo dell'altro coniuge
 - e' ispirata al fine di consolidare  l'unita'  familiare.  Senza  lo
 strumento  adozionale cosi' impiegato, malgrado la coppia genitoriale
 sia legata nel matrimonio, la prole riconosciuta o  adottata  da  uno
 dei  coniugi resterebbe estranea all'altro coniuge, non porterebbe il
 cognome dei fratelli uterini  generati  in  costanza  di  matrimonio,
 vivrebbe,  anche  in una forte coesione affettiva, il disagio sociale
 della manifesta diversita' di origine con possibili disarmonie  nella
 formazione  psicologica e morale. Il ricorso all'adozione ex art. 44,
 primo  comma,  lett.  b),  evitando  le  conseguenze  dello  scenario
 descritto,  agevola  una  piu'  compiuta  unione della coppia e della
 prole.
    Se  pero' il non raggiunto divario d'eta' dei diciotto anni tra il
 coniuge adottante e il minore adottando  fosse  considerato  in  ogni
 caso   inderogabile,   la  realizzazione  del  valore  costituzionale
 dell'unita' della famiglia potrebbe risultarne compromessa. Affinche'
 la  norma  impugnata  non risulti in contrasto con l'art. 30, primo e
 terzo comma, della Costituzione,  limitatamente  all'ipotesi  di  cui
 alla  lett.  b),  dell'art.  44,  primo comma, della legge n. 184 del
 1983, il giudice competente, previo  attento  e  severo  esame  delle
 circostanze   del   caso,   al  fine  di  corrispondere  all'indicato
 preminente  valore  etico-sociale  inscritto  in  Costituzione,  puo'
 accordare una ragionevole riduzione del termine diciottennale.