Ricorso  della  provincia  autonoma  di  Bolzano,  in  persona  del
 presidente della  giunta  provinciale  pro-tempore  Luis  Durnwalder,
 giusta   delibera   della   giunta   n.  283  del  22  gennaio  1990,
 rappresentata e difesa - in virtu' di procura speciale del 29 gennaio
 1990,  rogata  dall'avv. Giovanni Salghetti Drioli, ufficiale rogante
 della giunta (rep. n.  15779)  -  dagli  avvocati  professori  Sergio
 Panunzio  e  Roland  Riz,  e  presso  il  primo di essi elettivamente
 domiciliata in Roma, piazza Borghese n. 3, contro la  Presidenza  del
 Consiglio  dei  Ministri,  in persona del Presidente del Consiglio in
 carica, per la dichiarazione di incostituzionalita' degli  artt.  18,
 19 e 20 del d.-l. 28 dicembre 1989, n. 415, recante "Norme urgenti in
 materia di finanza locale e di rapporti finanziari tra lo Stato e  le
 regioni, nonche' disposizioni varie".
                               F A T T O
    E'  ben  noto  che  l'autonomia delle regioni e delle provincie di
 Trento  e  Bolzano  trova  il  suo  essenziale  supporto  nella  loro
 autonomia  finanziaria.  Onde  -  come  e' stato affermato da codesta
 ecc.ma Corte fin dalla sentenza n. 21/1956 - le  regioni  e  province
 autonome  hanno  un "diritto costituzionalmente garantito" a disporre
 dei mezzi finanziari occorrenti per le spese necessarie ad  adempiere
 alle  loro normali funzioni. Un diritto che, nel caso della provincia
 autonoma ricorrente, trova il suo fondamento (oltre che nell'art. 119
 della  Costituzione)  nello  statuto  speciale  della regione T.-A.A.
 (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),  spec.  artt.  69  e  segg.  (titolo
 sesto)  -  come  di  recente  modificati  ed integrati dalla legge 30
 novembre 1989, n. 386 - anche in relazione agli artt. 8 e 10, e nelle
 relative norme d'attuazione.
    Se  poi  si  considera  come  anche  per  le  regioni ad autonomia
 speciale e per le due province  autonome  di  Trento  e  Bolzano,  la
 massima  parte  delle  loro risorse finanziarie sia costituita da una
 finanza "derivata", e cioe' consistente nei  periodici  trasferimenti
 di  risorse  da  parte dello Stato, ben si comprende come non solo la
 quantita', ma anche  la  regolarita',  la  tempestivita'  e,  in  una
 parola,  la  affidabilita'  di  tali trasferimenti sia essenziale per
 garantire alle regioni e province autonome  una  effettiva  autonomia
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  il  buon andamento delle loro
 amministrazioni  e  dei  servizi  pubblici  di  loro  competenza,  la
 programmabilita' della loro azione.
    E'  esemplare a questo riguardo, il caso delle attivita' regionali
 e provinciali in materia di  sanita',  la  cui  spesa  e'  alimentata
 essenzialmente   dai  trasferimenti  annuali  provenienti  dal  fondo
 sanitario nazionale. Proprio in  relazione  a  tale  settore  codesta
 ecc.ma  Corte ha piu' volte sottolineato la necessita' (derivante dal
 rispetto dei valori costituzionali) che gli interventi  dello  Stato,
 ivi  compresi  quelli  finanziari,  siano improntati ad organicita' e
 stabilita'. In particolare nella sentenza n. 307/83 essa ha  rilevato
 come  "il  susseguirsi  di  anno in anno di provvedimenti a carattere
 contingente, in deroga alla disciplina  ordinaria  renda  quanto  mai
 disorganico e provvisorio il quadro attuale della finanza regionale";
 e poi nella sentenza n. 245/1984 - a proposito delle disposizioni  in
 materia  sanitaria contenute nella legge finanziaria 1984 - osservava
 come per dare una disciplina organica e per assicurare efficienza  al
 servizio  sanitario  nazionale  "non  servono  allo  scopo  le  leggi
 finanziarie, ne' gli  altri  provvedimenti  di  carattere  urgente  o
 comunque  contingente:  la'  dove  sono  in  gioco funzioni e diritti
 costituzionalmente previsti e garantiti,  e'  infatti  indispensabile
 superare  la  prospettiva del puro contenimento della spesa pubblica,
 per assicurare la certezza del diritto ed  il  buon  andamento  delle
 pubbliche amministrazioni, mediante discipline coerenti e destinate a
 durare nel tempo".
    Tali  ammonimenti, come e' evidente, hanno un valore che va' al di
 la' del solo settore sanitario,  poiche'  il  problema  cui  essi  si
 riferiscono  riguarda  in  genere  tutte  le  attivita' di competenza
 regionale e provinciale, che risultino condizionate da  scelte  dello
 Stato  e  da trasferimenti finanziari da questo operati. Ma si tratta
 di ammonimenti ai quali lo Stato e' stato  sino  ad  oggi  sordo.  In
 particolare  per  quanto riguarda il servizio e la spesa sanitaria lo
 Stato ha continuato ad emanare tentativi di riforme peraltro abortite
 (i decreti-legge 25 marzo 1989, n. 111, e 29 maggio 1989, n. 189, non
 convertiti dal Parlamento) ed interventi "tampone" di  vario  genere,
 ma  per lo piu' adottati con lo strumento improprio del decreto-legge
 (nonostante i moniti che, anche a proposito del cattivo uso  di  tale
 strumento,  sono  stati  fatti  da codesta ecc.ma Corte - sentenza n.
 245/1984 - e nonostante la rigorosa disciplina oggi  stabilita  dalla
 legge n. 400/1988).
    E'  una strada sbagliata, questa, sulla quale lo Stato ha compiuto
 di recente un ulteriore passo, assai grave. Ci si riferisce, appunto,
 al  d.-l.  28  dicembre  1989,  n.  415  (pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 303 del 30 dicembre 1989) di cui al presente  atto.  Non
 riuscendo,  da  un lato, a portare avanti in Parlamento il disegno di
 legge sulla  autonomia  finanziaria  delle  regioni  e  sui  rapporti
 finanziari  fra lo Stato e le regioni e provincie autonome (una delle
 leggi "di accompagnamento" della legge finanziaria  1990)  e  volendo
 comunque realizzare in qualche modo dei tagli alla spesa pubblica, il
 Governo ha pensato bene di  adottare  un  provvedimento  -  quale  e'
 appunto  il  suddetto decreto-legge - che, come ora si vedra', e' per
 vari aspetti censurabile.
    Di tale decreto-legge viene in evidenza, in primo luogo, l'art. 18
 ("Riduzione di fondi per le regioni  a  statuto  speciale  e  per  le
 provincie  autonome").  In particolare al primo comma esso stabilisce
 che a partire dal 1990 cessa la corresponsione alle  sole  regioni  a
 statuto  speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano di
 una serie di fondi, e cioe':  il  fondo  comune  per  i  servizi  dei
 consultori  familiari,  ivi compresi quelli relativi all'interruzione
 volontaria della gravidanza (di cui all'art. 5 della legge 29  luglio
 1975,  n. 405, e art. 3 della legge 22 maggio 1978, n. 194), il fondo
 speciale per l'esercizio delle funzioni gia' ex Omni  trasferite  (di
 cui  all'art.  10 della legge 23 dicembre 1975, n. 698), il fondo per
 gli asili nido (di cui all'art. 1 della legge 29  novembre  1977,  n.
 891,  ed  art.  2  della  legge  6 dicembre 1971, n. 1044). Sempre lo
 stesso comma primo dell'art. 18, nella sua ultima  parte,  stabilisce
 che  "Le predette regioni sono altresi' escluse dal riparto del fondo
 nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende  di
 trasporto  di  cui  all'art.  9 della legge 10 aprile 1981, n. 151, e
 provvedono alla concessione dei contributi alle aziende di  trasporto
 con  propri  mezzi finanziari. Restano comunque fermi per le medesime
 regioni i principi di cui alla legge 10 aprile 1981, n. 151".
    Il  successivo  articolo  19  del  decreto-legge  reca  il  titolo
 "Riduzione del Fondo sanitario nazionale per  le  regioni  a  statuto
 speciale  e per le province autonome". Esso al primo comma stabilisce
 che "A decorrere dall'anno 1990 alle regioni  a  statuto  speciale  e
 alle  province  autonome  di  Trento  e di Bolzano le assegnazioni di
 parte corrente del Fondo sanitario  nazionale  sono  ridotte,  tenuto
 conto   del   livello  delle  compartecipazioni  ai  tributi  statali
 risultanti dai rispettivi  ordinamenti,  del  20  per  cento  per  la
 regione  Valle  d'Aosta,  e  per  le province autonome di Trento e di
 Bolzano, del dieci per cento per le regioni Sicilia e  Friuli-Venezia
 Giulia e del cinque per cento per la regione Sardegna".
    Il  secondo comma dello stesso art. 19 stabilisce poi che "Ai fini
 della ripartizione del Fondo sanitario nazionale di parte corrente il
 CIPE,  per  l'anno  1990,  fa riferimento all'importo complessivo, al
 lordo delle riduzioni di cui al primo comma,  valutate  in  lire  970
 miliardi".
    Infine  vi  e'  l'art.  20,  che  reca il titolo "Esclusione delle
 regioni a statuto speciale e delle province autonome da taluni  fondi
 settoriali".  Esso  cosi'  recita  nel suo unico comma: "Le regioni a
 statuto speciale e le province autonome di Trento e di  Bolzano  sono
 escluse, a partire dal 1990, dal riparto dei seguenti fondi:
       a)  fondo  per  i programmi regionali di viluppo a destinazione
 indistinta di cui all'art. 9 della legge 16 maggio 1970, n.  281,  al
 netto  della  quota spettante ai sensi della legge 30 maggio 1965, n.
 574;
       b)  fondo  per  l'attuazione  degli  interventi  programmati in
 agricoltura di cui all'art. 3, primo comma, della  legge  8  novembre
 1986,  n.  752,  al  netto delle somme spettanti ai sensi del secondo
 comma del predetto art. 3;
       c)  fondo per l'attuazione del piano forestale nazionale di cui
 all'art. 6 della legge 8 novembre 1986, n. 752;
       d)  fondo  per  gli  investimenti  nel  settore  dei  trasporti
 pubblici locali;
       e) fondo sanitario di conto capitale".
    Si  tratta, come e' evidente, di una disciplina sotto vari aspetti
 censurabile e lesiva delle  autonomie  regionali  e  provinciali.  In
 primo luogo perche' essa costituisce un ennesimo esempio di quel tipo
 di intervento contingente e disorganico che non e' ammissibile in una
 materia   cosi'  delicata  e  costituzionalmente  rilevante.  Inoltre
 perche' esso, operando dei tagli tanto consistenti quanto irrazionali
 ai trasferimenti finanziari riguardanti le regioni a statuto speciale
 e le province autonome di Trento e Bolzano, in relazione ad attivita'
 e  spese che peraltro queste debbono comunque effettuare (per vincolo
 costituzionale o di legge dello Stato), lede l'autonomia  degli  enti
 stessi:  sia quella finanziaria sia quella "funzionale" (costringendo
 in ogni caso gli enti  a  coprire  quelle  spese  sottraendo  proprie
 risorse   finanziarie   ed   altre   destinazioni   e  comprimendo  e
 pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle  funzioni
 e  dei  servizi). Infine perche' i tagli sono stati effettuati solo a
 carico delle Regioni ad autonomia speciale e delle province  autonome
 di  Trento  e  Bolzano.  A  quest'ultimo  riguardo  non  si  puo' non
 osservare sin d'ora come il decreto-legge manifesti ancora una  volta
 un  atteggiamento  discriminatorio  del  Governo  nei confronti delle
 autonomie speciali di per se' inammissibile, e  comunque  tanto  piu'
 censurabile  per  il  fatto  che, in tal modo, la "specialita'" delle
 autonomie in questioni si traduce, anziche' - come deve essere  -  in
 un  arricchimento  di  tali  autonomie,  in  una  compressione  delle
 medesime,  che  e'   del   tutto   incompatibile   con   i   principi
 costituzionali.
    Pertanto  la  provincia  autonoma  di Bolzano si vede costretta ad
 impugnare la suddetta disciplina legislativa per i seguenti motivi di
                             D I R I T T O
    1. - Violazione, da parte dell'art. 19 del decreto-legge impugnato
 delle attribuzioni provinciali di cui agli artt. 8, 9, 10 e 16, degli
 artt.  69  e  segg. (titolo sesto, come modificato ed integrato dalla
 legge 30 novembre 1989, n. 386, spec. art. 5) dello statuto  speciale
 T.-A.A.  e  delle relative norme d'attuazione, nonche' degli artt. 3,
 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione.
    Il   "taglio"  dei  finanziamenti  (per  riduzione  o  esclusione)
 disposto dalla disciplina legislativa impugnata  a  carico  dell'ente
 ricorrente  assume  particolare  gravita' per quanto riguarda i fondi
 relativi a prestazioni sanitarie: sia per l'entita'  dei  tagli,  sia
 per la essenzialita' e peculiarita' dei servizi su cui essi finiscono
 per incidere. Conviene dunque partire dall'art. 19 del  decreto-legge
 impugnato, il cui contenuto si e' gia' riportato in precedenza e che,
 come si e' visto, riduce del 20% le assegnazioni alla provincia della
 parte corrente del Fondo sanitario nazionale, di cui all'rt. 51 della
 legge n. 833/1978.
    Un  aspetto  essenziale  della  disciplina  contenuta nell'art. 19
 impugnato - che, come poi si vedra', ricorre anche negli artt.  18  e
 20,   ma   che   per  la  spesa  sanitaria  di  cui  all'art.  19  e'
 particolarmente evidente - sta nel fatto che con tale  disciplina  lo
 Stato  riduce  alla  provincia  le  risorse che ad essa sono peraltro
 necessarie al fine di effettuare prestazioni di servizi e correlative
 spese  obbligatorie per la provincia stessa: prestazioni e spese, del
 tutto "rigide" nella loro entita'  e,  comunque,  non  dipendenti  da
 autonome  scelte  provinciali,  ma  piuttosto da determinazioni dello
 Stato.
    In  altri  termini,  con  tale  disciplina  si pone a carico della
 provincia la spesa sanitaria senza che pero' la provincia  abbia  gli
 strumenti  per  controllarla  e  tanto  meno  ridurla; e quindi la si
 costringe a coprire il deficit risultante da tagli nei  trasferimenti
 del  Fondo  sanitario  destinando a tali spese le risorse proprie che
 debbono quindi essere distolte dai  loro  impieghi,  cosi'  riducendo
 altri  tipi  di interventi provinciali, ostacolando l'esercizio delle
 normali  funzioni  della   provincia,   impedendole   una   razionale
 programmazione  degli interventi, sconvolgendo lo tesse previsioni di
 bilancio.
    Che  la  provincia  non  abbia  effettivi poteri di controllo sull
 spesa sanitaria  e'  cosa  sin  troppo  nota  per  indugiare  qui  ad
 analitiche  dimostrazioni.  Salvo  ritornare  sul  punto in ulteriori
 scritti difensivi, basti per ora richiamare alcuni esempi. Per quanto
 riguarda  le  funzioni  ospedaliere, sia i livelli retributivi che in
 genere il trattamento del personale non dipendono dalla provincia (ma
 sono  regolati  da  accordi  stipulati a livello nazionale); anche le
 spese per acquisti di beni  e  servizi  dipendono  essenzialmente  da
 necessita'  obiettive  e  dal livello dei prezzi. Per quanto riguarda
 l'assistenza farmaceutica spetta allo Stato il controllo  sui  prezzi
 dei  prodotti farmaceutici, l'inserimento nel prontuario terapeutico,
 la disciplina dei tiket.   Anche  per  quanto  riguarda  l'assistenza
 specialistica  e la medicina di base e' a livello statale che vengono
 predisposte le convenzioni con  i  medici  privati.  Cosi'  come,  in
 genere,  e'  sempre  a  livello  statale  che  vengono  stabiliti gli
 standards dei servizi sanitari.
    Tutto  cio',  del  resto,  e'  ben noto a codesta ecc.ma Corte, la
 quale gia' in passato (sentenza n. 245/1984, e poi  n.  452/1989)  ha
 rilevato  come  "non  si  puo'  presupporre  'che  le amministrazioni
 regionali portino (...) l'effettiva responsabilita'  degli  eventuali
 disavanzi  delle  unita' sanitrie locali', in quanto gran parte della
 spesa sanitaria e, fra questa, gli oneri derivanti dalle prescrizioni
 mediche, si formano indipendentemente dalle scelte regionali (e dalle
 stesse deliberazioni degli organi di gestione delle unita'  sanitarie
 locali), essendo prevalentemente legati al soddisfacimento di diritti
 costituzionalmente garantiti e, quindi, essenzialmente  a  scelte  di
 ordine   generale   degli   organi   centrali   di   Governo  dettate
 dall'esigenza di assicurare parita' di trattamento fra i  cittadini".
 Ed  ha  poi  ribadito  (sentenza  n.  452/1989) che la garanzia della
 autonomia delle regioni (e delle province autonome) "comporta che non
 possano  essre  addossati  al  bilancio regionale (o provinciale) gli
 oneri derivanti da decisioni non imputabili alla  regione  stessa  (o
 alla  provincia autonoma) o che, comunque, dipendono dall'esigenza di
 tutelare interessi pubblici o diritti costituzionali  dei  cittadini,
 la  cui cura e' affidata dalla Costituzione soltanto in parte - e non
 certo quella essenziale - alla regione".
    E' appena il caso di osservare, a questo punto, che il senso delle
 osservazioni che precedono (e di quelle che seguiranno) non e'  certo
 quello  di  contestare la necessita' di un intervento dello Stato per
 il risanamento della spesa pubblica. Ne' si  ritiene,  evidentemente,
 che  le  regioni e le province autonome non debbano essere chiamate a
 sopportarne anch'esse l'onere in modo proporzionale. Il  problema  e'
 piuttosto  un  altro.  Ed  e'  che  l'onere  non puo' essere caricato
 esclusivamente sulle regioni a statuto speciale e sulle due  province
 di  Trento  e  Bolzano. E che se il Governo vuole risanare il deficit
 della spesa sanitaria lo dovra' fare, in primo luogo, riformandone in
 modo  organico - come e' di sua competenza - le strutture, i servizi,
 gli standars, la disciplina del personale del servizio sanitario,  il
 tuttto  in  modo  da  ridurre  le  spese;  e solo a seguito di questo
 riducendo poi i relativi trasferimenti a tutte le regioni. Non invece
 - come pretenderebbe di fare il Governo con la disciplina impugnata -
 lasciando immutate la regolamentazione  del  servizio  e  la  entita'
 degli  oneri,  e  pero'  riducendo i relativi finanziamenti alle sole
 regioni a statuto speciale e province autonome, e  quindi  scaricando
 su di esse (e solo su di esse) ilcosto e le conseguenze della manovra
 finanziaria.
    Una siffatta disciplina, che attribuisce alla provincia ricorrente
 la responsabilita' della spesa per un servizio volto a soddisfare  un
 diritto  costituzionale  dei cittadini, senza fornire pero' ad essa i
 mezzi finanziari necessari, ne' strumenti rilevanti per il  controllo
 ed  il  governo  della  spesa  stessa,  viola dunque, ad un tempo, il
 principio costituzionale di  ragionevolezza  e  quello  di  autonomia
 finanziaria  della  provincia,  specie  (ma  non  solo) in materia di
 sanita' (artt. 9, n. 10, 16, e titolo sesto  dello  statuto);  ed  al
 tempo  stesso  viola  il principio di copertura finanziaria stabilito
 dall'art.  81,  quarto  comma,  della  Costituzione.  Un   principio,
 quest'ultimo,  che  si estende anche alle spese accollate dallo Stato
 agli enti del  c.d.  settore  pubblico  allargato,  e  del  quale  e'
 puntuale  espressione  l'art.  27  della legge 5 agosto 1978, n. 468,
 secondo cui "Le leggi che comportano  oneri,  anche  sotto  forma  di
 minori  entrate, a carico dei bilanci degli enti di cui al precedente
 art. 25 devono contenere  la  previsione  dell'onere  stesso  nonche'
 l'indicazione   della  copertura  finanziaria  riferita  ai  relativi
 bilanci annuali e pluriennali".
    La  fondatezza  di  tali  censure  trova  sostegno,  invero, nella
 giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, che  in  piu'  occasioni  (ma
 spec.  con  le gia' citate sentenze nn. 245/1984 e 452/1989), proprio
 facendo leva sul necessario raccordo tra il governo del settore e  la
 responsabilita'    della    relativa    spesa    ha   dichiarato   la
 incostituzionalita' di norme legislative  statali  con  le  quali  si
 veniva  a  far  gravare  sui  bilanci  delle regioni e delle province
 autonome (senza disporre i corrispondenti  trasferimenti  di  risorse
 finanziarie)  spese  necessarie  per  il  funzionamento  del servizio
 sanitario nazionale derivanti da decisioni non imputabili peraltro  a
 tali  enti,  o comunque da essi non controllabili: cosi' costringendo
 le regioni stesse (e le province autonome)  a  prelevare  le  risorse
 necessarie  a  colmare il deficit o dal fondo comune dicui all'art. 8
 della legge n. 281/1980 (per le regioni a statuto ordinario) o  dalle
 corrispondenti  entrate  di  parte  corrente  previste dai rispettivi
 ordinamenti (per le altre regioni a statuto speciale  e  le  province
 autonome) o comunque dalla finanza "propria".
    Riassumendo.    La   disciplina   stabilita   dall'art.   19   del
 decreto-legge impugnato e' dunque incostituziionale, in primo  luogo,
 perche' essa viola il principio della copertura della spesa stabilita
 dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, come  esplicitato  ed
 attuato  anche  dall'art.  27 della legge n. 468/1978, in quanto essa
 accolla alla provincia  ricorrente  nuove  spese  senza  prevedere  e
 fornirle i mezzi finanziari per farvi fronte.
    Cosi'  facendo  la  disciplina  impugnata  viola, al tempo stesso,
 l'autonomia finanziaria della provincia in materia - in primo luogo -
 di  sanita' (artt. 9, n. 10, 16 e titolo sesto dello statuto, nonche'
 art. 119  della  Costituzione),  ma  anche  nelle  altre  materie  di
 competenza  propria (artt. 8 e 10 dello statuto). Cio' in quanto tale
 disciplina,  senza  tenere  minimamente  conto  delle   esigenze   di
 coordinamento della spesa statale con quella provinciale, scarica sul
 bilancio della provincia spese di cui essa non ha il governo,  e  che
 non  possono  da  essa  essere  sostenute altro che stornando proprie
 risorse finanziarie destinate ad altri settori; e, quindi,  riducendo
 le  capacita'  di  spesa  e di intervento della provincia anche nelle
 altre materie di propria competenza.
    Tale  disciplina appare ancora incostituzionale sotto un ulteriore
 profilo,  per  violazione  anche  degli  artt.  3,  32  e  116  della
 Costituzione.  In  modo del tutto irrazionale ed ingiustificato essa,
 infatti, discrimina due  volte  la  provincia  ricorrente.  In  primo
 luogo,  e  soprattutto,  nei  confronti  delle  regioni  ad autonomia
 ordinaria che non subiscono riduzioni di assegnazioni  di  quote  del
 Fondo  sanitario  di  parte  corrente; ma gia' si e' detto all'inizio
 come tale discriminazione in peius, oltre che inammissibile  in  se',
 e'   in   contrasto   proprio   con   le  ragioni  della  specialita'
 dell'autonomia della provincia ricorrente,  sancita  in  primo  luogo
 dall'art.   116  della  Costituzione.  Una  seconda  volta,  poi,  la
 discriminazione viene fatta dalla disciplina impugnata  -  sempre  in
 modo  del  tutto  arbitrario  -  nei confronti delle regioni Sicilia,
 Friuli-Venezia Giulia e Sardegna,  per  le  quali  e'  stabilita  una
 riduzione  di  assegnazione  assai minore (la meta', o addirittura un
 quarto).
    In tal modo, si badi, non si discrimina irragionevolmente solo fra
 enti, ma fra gli stessi cittadini  italiani,  a  seconda  della  loro
 residenza.  Poiche'  mentre  essi hanno tutti, egualmente, un diritto
 costituzionalmente garantito ad un eguale  trattamento  sanitario  da
 parte  delle  strutture  pubbliche, viceversa la disciplina impugnata
 (per quanto le regioni  e  province  autonome  da  essa  discriminate
 possono  cercare  di  far fronte ai nuovi oneri della spesa sanitaria
 trasferendovi altre risorse) non potra' non riflettersi negativamente
 sulla  funzionalita'  e  qualita'  dei  servizi  resi dalle strutture
 sanitarie della  provincia  ricorrente,  dando  cosi'  luogo  ad  una
 ingiustificata differenziazione di trattamento a scapito di cittadini
 della provincia stessa.
    Infine,  le stesse considerazioni fatte da ultimo evidenziano come
 la disciplina in questione determini, altresi', una violazione  degli
 artt.  3  e  97  della  Costituzione, pregiudicando il buon andamento
 della amministrazione provinciale  e  dei  servizi  pubblici  di  sua
 competenza.
    Tutti  i  surriferiti profili di incostituzionalita' risultano poi
 tanto piu' gravi ed evidenti  ove  si  consideri  che  la  disciplina
 impugnata   si  scontra  con  un  fondamentale  principio  che  -  ad
 integrazione e svolgimento della disciplina del  titolo  sesto  dello
 statuto  -  e'  stabilito dall'art. 5 della lgge 30 novembre 1989, n.
 386 (legge, si badi  bene,  adottata  ai  sensi  e  con  la  speciale
 procedura  di  cui all'art. 104 dello statuto). Stabilisce infatti il
 primo comma dell'art. 5 che "Le province  autonome  partecipano  alla
 ripartizione di fondi speciali istituiti per garantire livelli minimi
 di prestazione in modo uniforme su  tutto  il  territorio  nazionale,
 secondo  i  criteri  e  le  modalita'  per  gli  stessi previsti". Ed
 aggiunge il successivo secondo comma che "I finanziamenti  recati  da
 qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il
 riparto o l'utilizzo a favore  delle  regioni,  sono  assegnati  alle
 province  autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere
 utilizzati,   secondo   normative   provinciali,   nell'ambito    del
 corrispondente  settore,  con  riscontro  nei  conti consuntivi delle
 rispettive province".
    In  base a tali principi, dunque, la provincia ricorrente non puo'
 essere discriminata nell'assegnazione dei fondi in questione, poiche'
 quei principi vogliono appunto garantire l'eguaglianza di trattamento
 delle province autonome rispetto alle altre regioni,  e  cosi'  anche
 l'eguaglianza  di  trattamento  dei  cittadini  di tali province, che
 assieme a tutti gli altri cittadini italiani hanno un eguale  diritto
 alla  tutela  della salute, ed alla efficienza del servizio sanitario
 nazionale.
    2.  -  Violazione,  da  parte degli artt 18 e 20 del decreto-legge
 impugnato, delle attribuzioni provinciali e dei principi di cui  alle
 norme costituzionali gia' indicate in precedenza.
    2.1.  -  Non  e'  solo  l'art.  19  del  decreto-legge impugnato a
 riguardare la spesa sanitaria, ma anche l'art. 18 e l'art. 20.
    Quest'ultimo,  in  particolare,  alla lett. e) addirittura esclude
 totalmente la provincia ricorrente dal riparto  del  Fondo  sanitario
 nazionale  per  cio'  che riguarda le assegnazioni in conto capitale:
 quindi per il finanziamento di tutta la spesa sanitaria relativa, fra
 l'altro,  alla  manutenzione  straordinaria  delle  strutture,  degli
 impianti e delle attrezzature sanitarie,  al  rinnovo  degli  stessi;
 allo svilupo ed agli investimenti.
    Quanto  poi  all'art. 18, primo comma, si e' gia' visto come anche
 questo stabilisca la esclusione della provincia ricorrente  da  fondi
 concernenti  la  spesa  sanitaria:  come  il  Fondo per i servizi dei
 consultori familiari (di cui alle leggi nn. 405/1975 e 194/1978), che
 svolgono  in  particolare  anche il servizio di assistenza alla donna
 che voglia interrompere la gravidanza.
    E'  palese  come tutte le censure gia' formulate in precedenza nei
 confronti della disciplina contenuta nell'art. 19  del  decreto-legge
 impugnato  valgono,  a  maggior  ragione,  anche  nei confronti degli
 ulteriori tagli al  finanziamento  della  spesa  sanitaria  stabiliti
 dalle  surrichiamate disposizioni dell'art. 18. Anche in questo caso,
 infatti, si tratta di tagli al finanziamento di spese  ed  oneri,  in
 relazione  ai quali la regione non ha poteri rilevanti di scelta o di
 controllo, pur dovendo necessariamente farvi fronte  caricandoli  sul
 proprio bilancio.
    E  tanto  piu'  grave  ed  evidente  - trattandosi non gia' di una
 semplice riduzione, ma di una totale esclusione dai  fondi  -  appare
 poi  il contrasto con il principio stabilito dal gia' richiamato art.
 5 della legge  n.  386/1989,  che  in  ogni  caso  preclude  in  modo
 insuperabile  che  la provincia possa essere esclusa dai fondi di cui
 al primo comma, ed anche -  piu'  in  generale  -  dai  finanziamenti
 previsti  per le regioni di cui al secondo comma dello stesso art. 5.
    Pertanto  si richiamano integralmente le censure ed argomentazioni
 svolte nel precedentte motivo di ricorso, relative alla violazione:
       a)  del  principio della copertura della spesa ex art. 81 della
 Costituzione (ed art. 27 della legge n. 468/1978);
       b)  dall'autonomia  finanziaria  della regione nelle materie di
 competenza in base alle norme costituzionali gia' richiamate,  ed  in
 particolare  in materia di assistenza e di sanita' (spec. artt. 8, n.
 25, 9, n. 10, 16, e titolo sesto dello statuto; ed art. 5 della legge
 n. 386/1989);
       c)  degli  artt.  3,  32,  97 e 116 della Costituzione, sotto i
 profili gia'  illustrati,  per  le  irragionevoli  discriminazioni  e
 disfunsioni cui da' luogo la normativa in questione.
    2.2.  -  Ancora  per  quanto  riguarda la disciplina stabilita dal
 primo comma dell'art.  18  del  decreto-legge  impugnato,  merita  di
 essere  particolarmente  sottolineata  la  esclusione  che pure vi e'
 disposta, a carico della provincia ricorrente, dal riparto del  fondo
 nazionale  per il ripiano dei disavanzi di esercizio delle aziende di
 trasporto di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981. Come gia' si  e'
 visto,  lo  stesso  primo  comma dell'art. 18 aggiunge che le regioni
 dovranno provvedere alla concessione dei contributi alle  aziende  di
 trasporto   (per   il   ripiano  dei  disavanzi)  "con  propri  mezzi
 finanziari"; e che restano fermi per le regioni  i  principi  di  cui
 alla  legge  n.  151/1981:  fra  cui,  dunque, quello che impone alle
 regioni di intervenire per ripianare (almeno in  parte)  i  disavanzi
 delle aziende di trasporto (artt. 6 e 9 della legge n. 151/1981).
    Invero,  la  formulazione  della  disposizione,  che  si riferisce
 testualmente solo a "Le  predette  regioni..."  dovrebbe  portare  ad
 escludere che essa si applichi anche alle province autonome di Trento
 e Bolzano. Ma nell'ipotesi in  cui  codesta  ecc.ma  Corte  ritenesse
 invece   che   tale   disposizione  vada  diversamente  interpretata,
 estendendola anche alla provincia ricorrente, questa propone nei suoi
 confronti - almeno in via cautelativa - le seguenti censure.
    Si  tratta  di  una  disciplina  che incide particolarmente in una
 materia di competenza provinciale di grado primario, quale e'  quella
 in  materia  di trasporti di interesse provinciale di cui all'art. 8,
 n. 18, dello statuto (oltre che in quella pure primaria in materia di
 servizi  pubblici  di  interesse provinciale, ex art. 8, n. 19, dello
 statuto). Anche questa disciplina addossa  alla  provincia  un  nuovo
 onere senza pero' fornirle le risorse per fronteggiarlo.
    Pertanto   anche   nei   confronti   di  tale  disciplina  valgono
 integralmente le censure gia' formulate in precedenza  (ivi  compresa
 quella relativa al contrasto con l'art. 5 della legge n. 386/1989), e
 che non e' il caso di ripetere ancora.
    Infatti,  anche  in questo caso ci si trova di fronte ad una spesa
 che attiene (come per il servizio sanitario) all'espletamento  di  un
 servizio  pubblico essenziale quale e' quello dei trasporti diretto a
 soddisfare  -  direttamente  od  indirettamente  -  rilevanti  valori
 costituzionali   (quali   quelli  che  garantiscono  il  diritto  dei
 cittadini ad avere mezzi idonei per circolare sul  territorio,  anche
 per  motivi di lavoro, e per l'esercizio di attivita' economiche). Un
 servizio il cui espletamento  la  provincia  e'  dunque  obbligata  a
 garantire,  pur  avendo  poteri  assai  limitati  di  controllo sulla
 relativa spesa, specie se si  considerano  i  poeri  dello  Stato  in
 ordine alla determinazione delle tariffe (cfr. d.-l. 4 marzo 1989, n.
 77, convertito in legge 5 maggio 1989, n. 160).
    Di conseguenza, per i motivi gia' illustrati in precedenza, non e'
 costituzionalmente  corretto  addossare  alle   (sole)   regioni   ad
 autonomia  speciale  ed  alle  province  autonome  - escludendole dal
 riparto  dell'apposito  Fondo  nazionale  -  l'onere  di   ripianare,
 esclusivamente  con  le finanze proprie, i disavanzi delle aziende di
 trasporto  in  questione.  La  incostituzionalita'  della  disciplina
 impugnata  trova  del resto conferma in quanto affermato in argomento
 da codesta ecc.ma Corte nella  sentenza  n.  307/1983  (n.  15  della
 motivazione  in  diritto),  che  pure  dichiaro' incostituzionale una
 analoga norma legislativa dello Stato  che  obbligava  le  regioni  a
 ripianare i deficit delle aziende locali di trasporto attingendo alle
 proprie finanze (anziche' al Fondo nazionale di  cui  alla  legge  n.
 151/1981).
    2.3.  - Infine, come pure si e' visto, l'art. 18, primo comma, del
 decreto-legge  impugnato  esclude  la  provincia   ricorrente   dalle
 erogazioni  provenienti  dal  fondo  speciale  per  l'esercizio delle
 funzioni della soppressa O.N.M.I.  (legge n. 698/1975)  e  dal  fondo
 per  gli  asili  nido  (legge  n.   891/1977);  mentre  l'art. 20 del
 decreto-legge impugnato, alle lettere da a) a d) esclude la provincia
 ricorrente  da  altri fondi di settore (oltre che da quello sanitario
 di conto capitale, di cui si e' gia' detto in precedenza).
    Orbene,  per  quanto  riguarda  la  esclusione della provincia dal
 "Fondo per  gli  investimenti  nel  settore  dei  trasporti  pubblici
 locali" (art. 20, lett. d), valgono, evidentemente, le stesse censure
 ed argomentazioni gia' svolte in precedenza  (n.  2.2.)  a  proposito
 della esclusione dal fondo per il ripiano dei disavanzi delle aziende
 di trasporto.
    Ma  anche  per  quanto riguarda la esclusione dagli altri fondi di
 cui al primo comma dell'art. 18, come pure da quelli di cui  all'art.
 20  (per  i  programmi  regionali di sviluppo, per l'attuazione degli
 interventi programmati in agricoltura,  per  l'attuazione  del  piano
 forestale nazionale - pur avendo un particolare rilievo, in relazione
 ai relativi interventi regionali, anche  ulteriori  norme  statutarie
 attribuite  di  competenze  proprie  della provincia in varie materie
 (spec. arrtt. 8, nn. 21, 25 e 26) - si possono formulare  censure  ed
 argomentazioni  sostanzialmente  analoghe  a  quelle  gia'  svolte in
 procedura: specie in considerazione del fatto che si tratta di  spese
 per  interventi  che la provincia ricorrente e' tenuta a svolgere per
 soddisfare alle finalita' di  pubblico  interesse  ad  esso  affidate
 dallo  statuto  e  dalle legge, del principio di non esclusione della
 provincia dai fondi e dai finanziamenti alle regioni ex art. 5  della
 legge  n.  386/1989,  e della irragionevole discriminazione operata a
 suo danno dalla disciplina impugnata, che ammette invece  al  riparto
 del fondo le regioni ad autonomia ordinaria.
    2.  -  Violazione  delle  attribuzioni  e dei principi di cui alle
 disposizioni costituzionali gia' indicati. Violazione  dell'art.  52,
 ultimo comma, dello Statuto e relative norme d'attuazione.
    3.1.   -  Se  si  considera,  infine,  globalmente  la  disciplina
 impugnata del d.-l. n. 415/1989, e quindi l'entita' complessiva delle
 decurtazioni alla finanza derivata della provincia ricorrente, che da
 tale disciplina conseguono, emerge allora  un  ulteriore  e  connesso
 profilo  di  incostituzionalita'  che  viene anch'esso dedotto con il
 presente atto.
    Infatti, la decurtazione complessiva e' di circa 168 miliardi, che
 rappresenta circa il 6% del bilancio preventivo 1990 della  provincia
 autonoma di Bolzano.
    Orbene,  e'  vero  che  le norme costituzionali non definiscono in
 termini quantitativi  quale  debba  essere  l'entita'  delle  risorse
 finanziarie da attribuire alle regioni e province autonome. Ma - come
 in altra occasione rilevato da  codesta  ecc.ma  Corte  (sentenza  n.
 307/1983),   il   rispetto  dell'autonomia  finanziaria  regionale  e
 provinciale impone al legislatore  statale  -  quando  questi  riduca
 l'entita'  dei  trasferimenti  finanziari  alle  regioni  e  province
 autonome - di evitare che venga "gravemente  alterato  il  necessario
 rapporto  di complessiva corrispondenza (...) fra bisogni regionali e
 mezzi finanziari per farvi fronte, impedendo cosi'  alle  regioni  il
 normale  espletamento delle loro funzioni". Se, dunque, tale rapporto
 viene gravemente alterato dalla legge  dello  Stato  essa  e'  allora
 incostituzionale,  perche'  lesivo  dell'autonomia  finanziaria delle
 regioni e delle province autonome. Ma e' appunto questo il caso della
 disciplina  qui  impugnata, ove appunto si consideri la entita' della
 decurtazione di risorse finanziarie da essa disposta.
    3.2.  -  Specie se si ha presente quanto da ultimo osservato circa
 la rilevanza anche in  termini  quantitativi  della  decurtazione  di
 risorse finanziarie operata dalla disciplina impugnata a carico della
 provincia ricorrente, ne risulta  con  evidenza  anche  un  ulteriore
 motivo di incostituzionalita'.
    La  disciplina impugnata, infatti, riguarda soltanto le regioni ad
 autonomia speciale e le province di  Trento  e  Bolzano.  Non  vi  e'
 dubbio,  quindi,  che  si  tratta di una disciplina che "riguarda" la
 provincia ricorrente. Pertanto, ai sensi dell'art. 44 dello statuto e
 dell'art.  19 del d.P.R. 1› febbraio 1973, n. 49, il presidente della
 provincia doveva essere convocato per  intervenire  alla  seduta  del
 Consiglio  dei Ministri del 22 dicembre 1989, in cui venne deliberato
 il decreto-legge impugnato (cosi' come esso era  stato  doverosamente
 invitato  a partecipare alla seduta del Consiglio dei Ministri del 29
 settembre  1989  per  la  deliberazione  del  disegno  di  legge  "di
 accompagnamento"  alla  legge finanziaria 1990 - intitolato "Norme di
 delega in materia di  autonomia  impositiva  delle  regioni  e  altre
 disposizioni  concernenti  i  rapporti  finanziari  tra lo Stato e le
 regioni" - il cui contenuto e' stato poi  ripreso  dal  decreto-legge
 impugnato).
    Ma  il presidente della giunta non e' stato convocato in occasione
 della  deliberazione  del  Consiglio   dei   Ministri   relativa   al
 decreto-legge  in  questione.  Cio'  comporta una puntuale violazione
 della norma statutaria e  dell'autonomia  provinciale,  e  quindi  la
 incostituzionalita' della disciplina legislativa impugnata.