IL CONSIGLIO DI STATO Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi riuniti nn. 17/88, 19/88 e 21/88 proposti, rispettivamente: 1) quanto al ricorso n. 17/88 (gia' ricorso n. 1190/87 della quinta sezione) dell'unita' sanitaria locale RM/3, in persona del presidente pro-tempore e del comitato di gestione, rappresentato e difeso dagli avv.ti Marco Brigato e Vincenzo Puca dell'avvocatura comunale di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma via del Tempio di Giove n. 211, contro il prof. Ettore Ceccarini, elettivamente domiciliato presso lo studio dell'avv. Domenico Arlini, il quale lo rappresenta e difende, resistente, per l'annullamento e/o la riforma della decisione del t.a.r. Lazio prima sezione n. 1027, del 21 gennaio-12 maggio 1987, con la quale era stato accolto, per quanto di ragione, il ricorso proposto per l'annullamento del silenzio rifiuto formatosi sugli atti di diffida notificati il 10 gennaio 1985 e il 20 febbraio 1985, volti ad ottenere il conferimento, ora per allora, dell'incarico di svolgimento delle funzioni superiori di primario e la declaratoria del diritto del ricorrente (Ettore Ceccarini) dell'attribuzione del trattamento economico di primario, con conseguente condanna dell'amministrazione; 2) quanto al ricorso n. 19/88 (gia' ricorso n. 733/85 della quinta sezione), dal dott. Mario Sacco', rappresentato e difeso dall'avv. prof. Franco Bassi e dall'avv. prof. Franco Gaetano Scoca ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale di quest'ultimo in Roma, via G. Paisiello n. 55, int. 5, contro il comitato di controllo sugli atti delle province, dei consorzi provinciali e delle unita' sanitarie locali della regione Emilia-Romagna, in persona del suo presidente pro-tempore, non costituito, e nei confronti dell'unita' sanitaria locale n. 3 di Fiorenzuola d'Arda, in persona del presidente del comitato di gestione pro-tempore, n. c., per la riforma della sentenza del 29 aprile 1986, n. 153, del tribunale amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sezione di Parma; 3) quanto al ricorso n. 21/88 (gia' ricorso n. 47/87 della quinta sezione), dal dott. Antonino Murialdo, residente in Genova, assistito e rappresentato dagli avvocati prof. Lorenzo Acquarone e Ludovico Villani e presso il secondo elettivamente domiciliato in Roma, piazzale Clodio n. 12, contro l'unita' sanitaria locale XIII "Genova 4" della Liguria, in persona del presidente pro-tempore, rappresentata ed assistita dall'avv. Lucio Fiorino del foro di Genova ed elettivamente domiciliato nello studio dell'avv. Antonio D'alessio, in Roma, via S. Caterina da Siena n. 46, per la riforma e/o l'annullamento della sentenza, mai notificata, 31 ottobre 1985-13 gennaio 1986, n. 3186, resa dal t.a.r. Liguria inter partes, con la quale era stato rigettato il ricorso del dottor Murialdo inteso ad ottenere il riconoscimento dell'esercizio di funzioni primariali e la corresponsione dei connessi maggiori emolumenti economici; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti intimate costituite; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti di causa; Udita, alla publica udienza del 30 gennaio 1989, la relazione del consigliere Sabino Luce e sentiti, altresi', gli avvocati Carnovale, Arlini, Correale, per delega dell'avv. Scoca, e Villani, ciascuno per le parti rispettivamente rappresentate; RITENUTO E CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO 1. - Il prof. Ettore Ceccarini (ricorso n. 17/88), aiuto chirurgo di ruolo presso il policlinico Umberto I di Roma, ha svolto, dal 24 gennaio 1981 al 29 febbraio 1984, le mansioni di primario della seconda divisione chirurgica. Di cio' e' stato dato atto in una nota, n. 2376, del 26 maggio 1981, della direzione sanitaria dell'istitutto "per assicurare le esigenze organizzative della seconda divisione, di cui il primario, prima assente per malattia poi si era dimesso, ed al fine di mantenere il buon andamento del reparto". Al Ceccarini, peraltro, per tale sua attivita', e' stata corrisposta alcuna maggiorazione stipendiale, non soltanto durante l'assenza temporanea del primario di ruolo, ma anche durante il periodo di vacanza del posto, sebbene vi fosse stata, secondo l'interessato, una preposizione, sia pure atipica, allo svolgimento delle funzioni superiori, essendosi fatto riferimento, nella nota anzidetta, all'art. 78 del d.P.R. n. 761/1979. Rimaste senza effetto due diffide, tese ad ottenere la corresponsione di un'identita' per l'esercizio delle funzioni superiori e di conferimento formale, ora per allora, delle funzioni medesime, il Ceccarini ha impugnato il silenzio-rifiuto dell'u.s.l. RM/3 al t.a.r. del Lazio, che, con sentenza n. 1027/87, ha accolto il ricorso relativamente al capo di domanda volto ad ottenere, tranne che per i primi sessanta giorni, per i quali si e' ritenuto operante il divieto di cui all'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761/1979,.le differenze retributive tra il trattamento iniziale spettante al primario ospedaliero e quello in godimento al ricorrente in relazione alla qualifica di aiuto. Il t.a.r. ha giustificato la decisione con riferimento, in mancanza di diversa specifica normativa, all'art. 36 della Costituzione, secondo cui la retribuzione deve essere corrispondente alla qualita' e quantita' del lavoro prestato. Ha fatto appello all'u.s.l. RM/3, deducendo che lo svolgimento delle mansioni di primario da parte dell'aiuto non costituisce espletamento di mansioni superiori e non da' luogo ad alcuna maggiorazione della retribuzione, ai sensi dell'art. 7, quinto comma, del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, che pone, tra i compiti dell'aiuto, anche quello di sostituire il primario "in caso di assenza, impedimento e nei casi di urgenza". Nella resistenza del Ceccarini, che ha concluso per la reiezione dell'impugnazione, la quinta sezione, cui e' assegnato il ricorso, con ordinanza n. 465/87, ha rimesso la decisione sull'appello all'Adunanza plenaria, stante in giurisprudenza un profondo contrasto in merito all'interpretazione del menzionato art. 7 del d.P.R. n. 128/1969. 2. - Con deliberazione n. 231, del 20 marzo 1985 (ricorso n. 19/1988), l'u.s.l. n. 3 di Fiorenzuola d'Arda preso atto che il dott. Mario Sacco', aiuto chirurgo di ruolo, ha svolto le mansioni di primario chirurgo presso l'ospedale di Cortemaggiore, dal 18 novembre 1982, gli ha attribuito, con decorrenza 18 novembre 1982 (trentunesimo giorno successivo all'inizio della supplenza), il trattamento economico proprio della qualifica primariale. La deliberazione, pero', e' stata annullata dal Co.re.co competente per violazione dell'art. 96 della l.r. Emilia-Romagna n. 22/1980 (per mancanza di un previo formale conferimento di incarico, deliberato ed approvato nelle forme di legge), nonche' dell'art. 46 della l.r. medesima regione n. 59/1982 (per conferimento dell'incarico temporaneo di supplenza senza preventiva selezione pubblica) e dell'art. 29 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (per conferimento di mansioni superiori con effetto retroattivo e per piu' di sessanta giorni). Avverso il provvedimento negativo di controllo il Sacco' ha proposto ricorso al t.a.r. Emilia-Romagna che, con decisione n. 153/1986, ha respinto l'impugnativa. Il Sacco' ha proposto, allora, appello al Consiglio di Stato deducendo: a) violazione dell'art. 97 della Costituzione e dell'art. 28 della l.r. Emilia-Romagna 27 febbraio 1974, n. 9, in quanto la motivazione dell'atto di annullamento, adottata dal Co.re.co., e' stata portata a sua conoscenza ben oltre quattro mesi dopo la sua adozione; b) eccesso di potere giurisdizionale, in quanto il t.a.r. ha respinto il ricorso in base al rilievo che la delibera dell'u.s.l. poteva essere annullata per motivi non considerati dal Co.re.co; c) violazione di legge per erronea applicazione dell'art. 96 della l.r. Emilia-Romagna 2 maggio 1980, n. 22, dell'art. 46 della l.r. Emilia-Romagna 18 dicembre 1982, n. 59, e dell'art. 29 del d.P.R. 29 dicembre 1979, n. 761, nonche' per eccesso di potere e contraddittorieta', sostenendo che l'ipotesi della sostituzione del primario assente da parte dell'aiuto si configura come un dovere proprio dell'aiuto medesimo e da' luogo quando si protragga oltre il trentesimo giorno, alla corresponsione della indennita' di cui all'art. 45 dell'accordo nazionale di lavoro del personale ospedaliero del 1979. Nella mancata costituzione del Co.re.co. e dell'u.s.l. la quinta sezione, cui e' stato assegnato il ricorso, ha rimesso la decisione all'adunanza plenaria, per i contrasti giurisprudenziali, relativi all'interpretazione dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969. 3. - Antonio Murialdo (ricorso n. 21/1988) ha proposto ricorso al t.a.r. Liguria contro l'u.s.l. XIII, Genova 4, per ottenere la declaratoria dell'esercizio delle funzioni di primario della divisione oculistica dell'ospedale San Martino di Genova, in qualita' di supplente, a decorrere dalla data in cui il posto si era reso vacante e per il conseguente riconoscimento del diritto alla maggiore retribuzione ed annullamento della delibera del Comitato di gestione della stessa u.s.l. del 12 settembre 1984, n. 968, nella parte in cui in applicazione dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 ha, tra l'altro, dichiarato non dovuto alcun maggiore compenso, rispetto alla retribuzione di aiuto, per i primi sessanta giorni di attivita', limitando a tale periodo il riconoscimento dell'esercizio delle mansioni primariali. Il Murialdo ha premesso che, nel mese di maggio 1983, il prof. Montaldi, primario di ruolo della divisione oculistica, si era assentato per motivi di salute, venendo, peraltro, collocato a riposo il 17 luglio 1984. Durante tutto il periodo indicato le mansioni di primario sono state svolte da esso ricorrente, come da presa d'atto del Comitato di gestione dell'u.s.l. con la delibera n. 838, del 7 settembre 1983; Comitato che, peraltro, con altra successiva delibera, attesa la sopravvenuta vacanza del posto, in asserita applicazione dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 761/1979, ha conferito ad esso ricorrente le mansioni superiori per soli sessanta giorni, dando atto che, per tale periodo, non spettava alcuna maggiorazione del compenso retributivo; e che nessun maggior compenso spetta, anche per l'ulteriore periodo, per il quale nessuna attivazione era stata adottata per la copertura del posto. Il Murialdo ha dedotto nel ricorso al t.a.r., quanto alla pretesa di vedersi riconosciute le mansioni di primario, oltre il limite temporale fissato dall'u.s.l. che l'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969, sopravvissuta alla normativa di cui al d.P.R. n. 761/1979, gli ha automaticamente conferito detta qualifica; quanto, poi, alla pretesa ad un maggior trattamento economico, ha osservato che lo svolgimento delle mansioni superiori ha implicato il diritto ad una maggiore retribuzione, anche per evitare all'u.s.l. un ingiustificato arricchimento. L'adito t.a.r., con sentenza n. 3/1986, ha ritenuto la perdurante vigenza dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969 innanzi richiamato, ma ne ha ritenuta l'applicabilita', successivamente alla emanazione dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, entro i limiti ridotti ai soli impedimenti temporanei del primario titolare. Sostenendo, altresi', che per tali periodi, la supplenza non da' luogo ad alcuna maggiorazione di retribuzione per l'aiuto, in quanto le mansioni proprie del primario ineriscono, in tal caso, direttamente alla qualifica posseduta. Analoga conclusione, secondo il t.a.r., non e' ammissibile per il caso di vacanza del posto, ovvero per assenza prolungata del titolare, dovendo, in tal caso, l'amministrazione farsi carico di attivare il procedimento per il conferimento delle relative mansioni, in via temporanea e definitiva, ad un nuovo titolare. Sempre secondo il t.a.r., in ogni caso, in mancanza di nomina del nuovo titolare, la sostituzione dell'aiuto non opera automaticamente, richiedendo un formale atto di nomina e che, peraltro, trova applicazione il limite temporale di sessanta giorni, di cui al secondo comma dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979. Concludono i primi giudici che, mancano nel caso di specie, l'atto formale anzidetto, nulla e' dovuto al ricorrente e che, per il periodo successivo ai sessanta giorni, la sua azione subordinata di arricchimento senza causa da parte dell'u.s.l. e' di competenza del giudice ordinario. Contro la sentenza del t.a.r. ha proposto appello al Consiglio di Stato il Murialdo Antonino rinnovando le originarie pretese e la quinta sezione, cui e' stato assegnato il ricorso, con ordinanza n. 776/1987, ha rimesso la decisione a questa adunanza plenaria, stante il contrasto giurisprudenziale sull'interpretazione del menzionato art. 7 del d.P.R. n. 128/1969. 4. - I ricorsi, oggettivamente connessi in quanto implicanti, preliminarmente, la risoluzione di una medesima questione giuridica (interpretazione della portata del combinato disposto di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 128/1z969 ed all'art. 29, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. n. 761/1979) vanno riuniti e congiuntamente esaminati. 5. - Le tre ordinanze della quinta sezione hanno rimesso la decisione a questa adunanza plenaria, in relazione al contrasto giurisprudenziale concernente la interpretazione delle suddette norme, di cui al combinato disposto dell'art. 7, quinto comma, del d.P.R. 27 maggio 1969, n. 128 e 29, primo, secondo e terzo comma, del d.P.R. 2 dicembre 1979, n. 761. Norme che prevedono, la prima, la sostituzione del primario ospedaliero da parte dell'aiuto "in caso di assenza, impedimento, e nei casi di urgenza" e, la seconda, il diritto del personale delle unita' sanitarie locali all'esercizio delle mansioni inerenti al (proprio) profilo funzionale, con preclusione ad essere assegnato, neppure di fatto, a mansioni superiori e inferiori (primo comma), tranne che "in caso di esigenza di servizio", per "le quali il dipendente puo', eccezionalmente, essere adibito a mansioni superiori", con il limite temporale, in tale caso, di sessanta giorni nell'anno solare e con esclusione del "diritto a variazioni di trattamento economico" (secondo comma); con l'ulteriore prescrizione secondo cui "non costituisce esercizio di mansioni superiori, la sostituzione di personale di posizione funzionale piu' elevata, quando la sostituzione rientri fra gli ordinari compiti della propria posizione funzionale" (terzo comma). In tutti e tre i giudizi, sia pure in via di fatto, ovvero a seguito di atti deliberativi di diverso contenuto, si e' avuta l'assegnazione di aiuto ospedalieri all'esercizio delle mansioni proprie del primario, per periodi superiori a sessanta giorni ed in caso di vacanza di posto, per il che si e' posto il problema se competesse loro, per tale attivita', il formale riconoscimento di essere stati adibiti all'esercizio di mansioni proprie di una qualifica superiore, nonche' se spettasse, ed in che misura, ed in relazione a quale limite temporale, il diritto alla corresponsione di una maggiorazione del trattamento economico. Tutte e tre le ordinanze della quinta sezione, nella ricostruzione, poi, del sistema normativo relativo alla materia, hanno riconosciuto la perdurante vigenza del quinto comma dell'art. 7 del richiamato d.P.R. n. 128/1969, in quanto norma concernente l'ordinamento interno dei servizi ospedalieri e come tale non abrogata dalla successiva regolamentazione dello stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali, di cui al d.P.R. n. 761/1979 ed anche perche' riproducendo, per il personale ospedaliero, il principio, di carattere generale, enunciato, per tutto il personale delle u.s.l. dal terzo comma del menzionato art. 29 dello stesso indicato d.P.R. n. 761/1979. D'altra parte, nel riassumere l'orientamento giurisprudenziale concernente la materia, si e' sottolineata la diversa portata attribuita al contenuto della norma di cui al detto art. 7 del d.P.R. n. 128/1969, atteso che, per un verso, si e' affermata la sua applicabilita' alle sole ipotesi di impedimento temporaneo del primario, ovvero, in caso di vacanza del posto, nella sola immediatezza della vacanza stessa e comunque sino all'esito del procedimento di copertura del posto medesimo, da attivarsi nella massima tempestivita'; per altro verso, invece, si e' ritenuta possibile l'utilizzazione della norma medesima anche al di la' degli stretti, indicati, limiti temporali, con la precisazione che, in tale ipotesi, essa non comporti, ugualmente, l'attribuzione di alcun maggiore emolumento economico, atteso che, anche per tale caso, l'esercizio delle mansioni primariali rientra tra gli ordinari compiti della posizione funzionale dell'aiuto. Tanto premesso, questa adunanza plenaria ritiene, innanzitutto, di convenire, con il contenuto delle ordinanze di remissione, quanto alla affermata perdurante vigenza del quinto comma dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969, (riproducente, per il personale ospedaliero, un principio di carattere generale, enunciato, successivamente, per tutto il personale delle u.s.l. dal terzo comma dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979). Norma, quella dell'art. 7, che ha avuto giustificazione razionale nell'avvertita necessita' di assicurare la necessaria continuita' dell'erogazione di determinate prestazioni ospedaliere nei casi in cui il primario pur restando in servizio non e', temporaneamente, in grado di assicurare la sua presenza (per ragioni di studio, di famiglia, di malattia o altro) e che, quindi, implica un'attribuzione vicaria di funzioni il cui esercizio inerisce alla qualifica rivestita, ed e' istituzionalmente proprio della medesima. Nel caso di normale sostituzione vicaria, sembra doversi applicare l'art. 29, terzo comma, della legge n. 761/1979 il quale, enunciando un principio del tutto pacifico, dichiara che non costituisce esercizio di mansioni superiori la "sostituzione" di personale di posizione funzionale piu' elevata, qualora la sostituzione rientra fra gli ordinari compiti della propria posizione funzionale. Quando, pero', si verifica una vera e propria vacanza del posto di primario, per morte o dimissioni del medesimo o per qualsiasi altra causa che determini la disponibilita' del posto stesso, e l'aiuto assume le funzioni primariali a titolo personale e autonomo, sembra si sia al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 7 del citato d.P.R. n. 128/1969. Non si ha cioe' l'esercizio vicario delle funzioni di un superiore assente o impedito ma pur sempre incardinato nell'organizzazione sanitaria, rispetto al quale l'aiuto ha obblighi di collaborazione e di sostituzione, ma si ha l'occupazione, sia pure temporanea, del posto e delle attribuzioni del superiore venuto meno. Sebbene alla carenza del primario l'amministrazione abbia il preciso compito di ovviare promuovendo e completando al piu' presto il procedimento di copertura del posto vacante (v. art. 12 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761), puo', infatti, accadere che, nel periodo fra la vacanza e la copertura del posto, sia impossibile provvedere con trasferimento di primarii in servizio presso altri reparti o in altro modo (v. art. 14 del d.P.R. 25 giugno 1983, n. 348). In tal caso risulta spesso opportuno che l'aiuto assuma, temporaneamente, le funzioni del primario, passando dalla sua posizione subordinata e vicaria, alla posizione di vertice. Si attaglia allora al caso la norma dell'art. 29, secondo comma, della legge n. 761/1979 anch'essa, pertanto, rilevante ai fini della decisione, la quale, derogando al principio generale che vieta di assegnare il dipendente sanitario a mansioni superiori (primo comma), consente, in caso di esigenza di servizio, che il dipendente possa eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori. Ma cio' entro un termine non valicabile (l'assegnazione temporanea non puo' comunque eccedere i 60 giorni) e senza diritto a variazioni del trattamento economico. Oltre quel termine, che e' stato considerato dal legislatore sufficiente e ragionevole, deve dunque provvedersi in altro modo (mediante assegnazione temporanea di altro primario, epletamento del concorso, ecc.); e, comunque, oltre quel termine il perdurare dell'assegnazione dell'aiuto alle funzioni superiori del primario e' preclusa; sicche' l'ulteriore esercizio delle relative mansioni da parte dell'aiuto deve considerarsi un'attivita' vietata dalla legge e, pertanto, illegittima, cosi' come illegittimo e' l'eventuale provvedimento in tal senso dell'amministrazione o il comportamento inerte della medesima che tale attivita' di fatto consente. Non puo' omettersi di constatare che la norma di cui all'art. 7 del d.P.R. n. 129/1969 e' stata utilizzata dall'amministrazione, il piu' delle volte col consenso, esplicito o implicito degli interessati (come e' avvenuto nelle ipotesi di cui ai ricorsi in esame) anche al di la' degli stretti, indicati limiti temporali. Tutto cio', peraltro, illegittimamente, poiche', ad avviso di questa adunanza plenaria, l'art. 29, secondo comma, citato, essendo norma eccezionale rispetto al primo comma (divieto dell'esercizio di mansioni superiori), va interpretato rigorosamente: se non si ha diritto a variazioni del trattamento economico nel periodo di sessanta giorni in cui l'esercizio delle mansioni superiori e' eccezionalmente consentito, a maggior ragione non si dovrebbe aver diritto a tale trattamento nei tempi eccedenti i sessanta giorni, nei quali l'esercizio delle mansioni superiori e' addirittura interdetto, secondo la chiara lettera della legge e secondo il suo spirito, informato ad evitare al massimo il verificarsi e il perpetuarsi di situazioni di fatto contrastanti con le posizioni di diritto dei dipendenti, con conseguenti disordini organizzativi ed oneri economici. Sarebbe per vero anomalo che da un comportamento contrario al dettato della legge possano derivare vantaggi anziche' sanzioni. Questo appare il contenuto della disciplina in esame che, in quanto puntuale e finalizzata, dovrebbe rendere inapplicabile eventuali disposizioni di diverso tenore dettate per il rapporto di lavoro privato, con altra finalita' e in diverso contesto. Resta pero' il dubbio, rafforzato da recenti pronunce della Corte costituzionale (per altro impostate su una distinta interpretazione della normativa citata) che una soluzione del genere possa contrastare con l'art. 36 della Costituzione, secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e alla qualita' del suo lavoro. Nei casi in esame, infatti, e' indiscutibile che, con il consenso dell'amministrazione, sia stata effettuata dagli interessati una prestazione di lavoro corrispondente a quella inerente alla qualifica di primario, al di fuori e al di la' dalle attribuzioni proprie dell'aiuto. Appare pertanto opportuno, in presenza di una questione di incostituzionalita' che il collegio ritiene non manifestamente infondata, rimettere d'ufficio la questione, nei termini e con le angolazioni sopra delineate, all'esame della Corte costituzionale. La Corte costituzionale, ove condivida l'interpretazione gia' data all'art. 29 della legge n. 761/1/979, vorra' valutare se tale norma, nella parte in cui, vietando l'esercizio di mansioni superiori oltre sessanta giorni, implicitamente vieta l'attribuzione di un miglior trattamento economico in caso di prosecuzione dell'attivita' al di la' di tale termine (secondo comma), sia in contrasto con l'art. 36 della Costituzione per non essere stato il lavoratore, in quel periodo, retribuito proporzionalmente alla quantita' e alla qualita' del suo lavoro. Qualora, poi l'interpretazione del citato art. 29 appare diversa, l'approfondimento della complessa questione sara' egualmente utile ai fini della definizione del giudizio di merito.