IL CONSIGLIO DI STATO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sui  ricorsi riuniti nn.
 17/88, 19/88 e 21/88 proposti, rispettivamente:
      1)  quanto  al  ricorso  n. 17/88 (gia' ricorso n. 1190/87 della
 quinta sezione) dell'unita' sanitaria locale  RM/3,  in  persona  del
 presidente  pro-tempore  e  del comitato di gestione, rappresentato e
 difeso dagli avv.ti Marco Brigato  e  Vincenzo  Puca  dell'avvocatura
 comunale  di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma via del Tempio
 di Giove n. 211, contro  il  prof.  Ettore  Ceccarini,  elettivamente
 domiciliato  presso  lo studio dell'avv. Domenico Arlini, il quale lo
 rappresenta e difende, resistente, per l'annullamento e/o la  riforma
 della  decisione  del  t.a.r.  Lazio  prima  sezione  n. 1027, del 21
 gennaio-12 maggio 1987, con la quale era stato accolto, per quanto di
 ragione,  il ricorso proposto per l'annullamento del silenzio rifiuto
 formatosi sugli atti di diffida notificati il 10 gennaio 1985 e il 20
 febbraio  1985,  volti  ad  ottenere il conferimento, ora per allora,
 dell'incarico di svolgimento delle funzioni superiori di  primario  e
 la   declaratoria  del  diritto  del  ricorrente  (Ettore  Ceccarini)
 dell'attribuzione  del  trattamento  economico   di   primario,   con
 conseguente condanna dell'amministrazione;
      2)  quanto  al  ricorso  n.  19/88 (gia' ricorso n. 733/85 della
 quinta sezione), dal  dott.  Mario  Sacco',  rappresentato  e  difeso
 dall'avv.  prof.  Franco Bassi e dall'avv. prof. Franco Gaetano Scoca
 ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale di  quest'ultimo
 in  Roma,  via  G.  Paisiello  n.  55,  int. 5, contro il comitato di
 controllo sugli atti delle province, dei consorzi provinciali e delle
 unita'  sanitarie locali della regione Emilia-Romagna, in persona del
 suo  presidente  pro-tempore,  non  costituito,   e   nei   confronti
 dell'unita'  sanitaria  locale n. 3 di Fiorenzuola d'Arda, in persona
 del presidente del comitato di gestione pro-tempore, n.  c.,  per  la
 riforma  della  sentenza  del  29  aprile 1986, n. 153, del tribunale
 amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna sezione di Parma;
      3)  quanto  al  ricorso  n.  21/88  (gia' ricorso n. 47/87 della
 quinta sezione), dal dott. Antonino Murialdo,  residente  in  Genova,
 assistito  e  rappresentato  dagli avvocati prof. Lorenzo Acquarone e
 Ludovico Villani e presso il  secondo  elettivamente  domiciliato  in
 Roma,  piazzale  Clodio  n. 12, contro l'unita' sanitaria locale XIII
 "Genova 4" della Liguria,  in  persona  del  presidente  pro-tempore,
 rappresentata ed assistita dall'avv. Lucio Fiorino del foro di Genova
 ed  elettivamente  domiciliato   nello   studio   dell'avv.   Antonio
 D'alessio,  in  Roma,  via S. Caterina da Siena n. 46, per la riforma
 e/o l'annullamento della sentenza, mai notificata, 31 ottobre 1985-13
 gennaio  1986,  n. 3186, resa dal t.a.r. Liguria inter partes, con la
 quale era stato rigettato il ricorso del dottor  Murialdo  inteso  ad
 ottenere il riconoscimento dell'esercizio di funzioni primariali e la
 corresponsione dei connessi maggiori emolumenti economici;
    Visti i ricorsi con i relativi allegati;
    Visti  gli  atti  di costituzione in giudizio delle parti intimate
 costituite;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udita,  alla publica udienza del 30 gennaio 1989, la relazione del
 consigliere Sabino Luce e sentiti, altresi', gli avvocati  Carnovale,
 Arlini, Correale, per delega dell'avv. Scoca, e Villani, ciascuno per
 le parti rispettivamente rappresentate;
               RITENUTO E CONSIDERATO IN FATTO E DIRITTO
    1.  - Il prof. Ettore Ceccarini (ricorso n. 17/88), aiuto chirurgo
 di ruolo presso il policlinico Umberto I di Roma, ha svolto,  dal  24
 gennaio  1981  al  29  febbraio  1984,  le mansioni di primario della
 seconda divisione chirurgica.
    Di  cio'  e'  stato  dato atto in una nota, n. 2376, del 26 maggio
 1981, della direzione sanitaria  dell'istitutto  "per  assicurare  le
 esigenze  organizzative  della seconda divisione, di cui il primario,
 prima assente per  malattia  poi  si  era  dimesso,  ed  al  fine  di
 mantenere il buon andamento del reparto".
    Al   Ceccarini,   peraltro,  per  tale  sua  attivita',  e'  stata
 corrisposta alcuna maggiorazione stipendiale,  non  soltanto  durante
 l'assenza  temporanea  del  primario  di  ruolo,  ma anche durante il
 periodo di  vacanza  del  posto,  sebbene  vi  fosse  stata,  secondo
 l'interessato,  una  preposizione, sia pure atipica, allo svolgimento
 delle funzioni superiori, essendosi  fatto  riferimento,  nella  nota
 anzidetta, all'art. 78 del d.P.R. n. 761/1979.
    Rimaste   senza   effetto   due   diffide,  tese  ad  ottenere  la
 corresponsione  di  un'identita'  per  l'esercizio   delle   funzioni
 superiori  e  di conferimento formale, ora per allora, delle funzioni
 medesime, il Ceccarini ha impugnato il  silenzio-rifiuto  dell'u.s.l.
 RM/3 al t.a.r. del Lazio, che, con sentenza n. 1027/87, ha accolto il
 ricorso relativamente al capo di domanda volto  ad  ottenere,  tranne
 che  per i primi sessanta giorni, per i quali si e' ritenuto operante
 il  divieto  di  cui  all'art.  29,  terzo  comma,  del   d.P.R.   n.
 761/1979,.le  differenze  retributive  tra  il  trattamento  iniziale
 spettante al primario ospedaliero e quello in godimento al ricorrente
 in relazione alla qualifica di aiuto.
    Il  t.a.r.  ha  giustificato  la  decisione  con  riferimento,  in
 mancanza  di  diversa  specifica   normativa,   all'art.   36   della
 Costituzione,  secondo cui la retribuzione deve essere corrispondente
 alla qualita' e quantita' del lavoro prestato.
    Ha  fatto  appello  all'u.s.l.  RM/3, deducendo che lo svolgimento
 delle mansioni  di  primario  da  parte  dell'aiuto  non  costituisce
 espletamento  di  mansioni  superiori  e  non  da'  luogo  ad  alcuna
 maggiorazione della retribuzione, ai sensi dell'art. 7, quinto comma,
 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, che pone, tra i compiti dell'aiuto,
 anche  quello  di  sostituire  il  primario  "in  caso  di   assenza,
 impedimento e nei casi di urgenza".
    Nella  resistenza  del Ceccarini, che ha concluso per la reiezione
 dell'impugnazione, la quinta sezione, cui e'  assegnato  il  ricorso,
 con  ordinanza  n.  465/87,  ha  rimesso  la  decisione  sull'appello
 all'Adunanza plenaria, stante in giurisprudenza un profondo contrasto
 in  merito  all'interpretazione  del  menzionato art. 7 del d.P.R. n.
 128/1969.
    2.  -  Con  deliberazione  n.  231,  del 20 marzo 1985 (ricorso n.
 19/1988), l'u.s.l. n. 3 di Fiorenzuola d'Arda preso atto che il dott.
 Mario  Sacco',  aiuto  chirurgo  di  ruolo,  ha svolto le mansioni di
 primario chirurgo presso l'ospedale di Cortemaggiore, dal 18 novembre
 1982,   gli   ha   attribuito,   con   decorrenza  18  novembre  1982
 (trentunesimo  giorno  successivo  all'inizio  della  supplenza),  il
 trattamento economico proprio della qualifica primariale.
    La   deliberazione,   pero',   e'  stata  annullata  dal  Co.re.co
 competente per violazione dell'art. 96 della l.r.  Emilia-Romagna  n.
 22/1980  (per mancanza di un previo formale conferimento di incarico,
 deliberato ed approvato nelle forme di legge), nonche'  dell'art.  46
 della   l.r.   medesima   regione   n.   59/1982   (per  conferimento
 dell'incarico temporaneo  di  supplenza  senza  preventiva  selezione
 pubblica)  e  dell'art.  29  del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (per
 conferimento di mansioni superiori con effetto retroattivo e per piu'
 di sessanta giorni).
    Avverso  il  provvedimento  negativo  di  controllo  il  Sacco' ha
 proposto ricorso al  t.a.r.  Emilia-Romagna  che,  con  decisione  n.
 153/1986, ha respinto l'impugnativa.
    Il  Sacco'  ha  proposto,  allora,  appello  al Consiglio di Stato
 deducendo:
       a)  violazione  dell'art.  97 della Costituzione e dell'art. 28
 della l.r. Emilia-Romagna 27  febbraio  1974,  n.  9,  in  quanto  la
 motivazione  dell'atto  di  annullamento,  adottata dal Co.re.co., e'
 stata portata a sua conoscenza ben oltre quattro  mesi  dopo  la  sua
 adozione;
       b)  eccesso  di  potere giurisdizionale, in quanto il t.a.r. ha
 respinto il ricorso in base al rilievo che  la  delibera  dell'u.s.l.
 poteva essere annullata per motivi non considerati dal Co.re.co;
       c)  violazione  di  legge per erronea applicazione dell'art. 96
 della l.r. Emilia-Romagna 2 maggio 1980, n. 22,  dell'art.  46  della
 l.r.  Emilia-Romagna  18  dicembre  1982,  n.  59, e dell'art. 29 del
 d.P.R. 29 dicembre 1979, n. 761, nonche'  per  eccesso  di  potere  e
 contraddittorieta',  sostenendo  che l'ipotesi della sostituzione del
 primario assente da parte dell'aiuto  si  configura  come  un  dovere
 proprio  dell'aiuto medesimo e da' luogo quando si protragga oltre il
 trentesimo  giorno,  alla  corresponsione  della  indennita'  di  cui
 all'art.   45   dell'accordo   nazionale   di  lavoro  del  personale
 ospedaliero del 1979.
    Nella  mancata  costituzione del Co.re.co. e dell'u.s.l. la quinta
 sezione, cui e' stato assegnato il ricorso, ha rimesso  la  decisione
 all'adunanza  plenaria,  per  i contrasti giurisprudenziali, relativi
 all'interpretazione dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969.
    3.  - Antonio Murialdo (ricorso n. 21/1988) ha proposto ricorso al
 t.a.r. Liguria contro  l'u.s.l.  XIII,  Genova  4,  per  ottenere  la
 declaratoria   dell'esercizio   delle   funzioni  di  primario  della
 divisione oculistica dell'ospedale San Martino di Genova, in qualita'
 di  supplente,  a  decorrere  dalla  data in cui il posto si era reso
 vacante e per il conseguente riconoscimento del diritto alla maggiore
 retribuzione  ed annullamento della delibera del Comitato di gestione
 della stessa u.s.l. del 12 settembre 1984, n. 968, nella parte in cui
 in  applicazione dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 ha, tra l'altro,
 dichiarato  non  dovuto  alcun  maggiore  compenso,   rispetto   alla
 retribuzione  di  aiuto,  per  i  primi sessanta giorni di attivita',
 limitando a  tale  periodo  il  riconoscimento  dell'esercizio  delle
 mansioni primariali.
    Il  Murialdo  ha  premesso  che, nel mese di maggio 1983, il prof.
 Montaldi, primario  di  ruolo  della  divisione  oculistica,  si  era
 assentato per motivi di salute, venendo, peraltro, collocato a riposo
 il 17 luglio 1984.
    Durante  tutto  il  periodo  indicato le mansioni di primario sono
 state svolte da esso ricorrente, come da presa d'atto del Comitato di
 gestione  dell'u.s.l.  con  la delibera n. 838, del 7 settembre 1983;
 Comitato che, peraltro, con  altra  successiva  delibera,  attesa  la
 sopravvenuta  vacanza  del  posto, in asserita applicazione dell'art.
 29, secondo comma, del d.P.R.  n.  761/1979,  ha  conferito  ad  esso
 ricorrente le mansioni superiori per soli sessanta giorni, dando atto
 che, per tale periodo, non spettava alcuna maggiorazione del compenso
 retributivo;   e  che  nessun  maggior  compenso  spetta,  anche  per
 l'ulteriore periodo, per  il  quale  nessuna  attivazione  era  stata
 adottata per la copertura del posto.
    Il  Murialdo ha dedotto nel ricorso al t.a.r., quanto alla pretesa
 di vedersi riconosciute le mansioni  di  primario,  oltre  il  limite
 temporale  fissato  dall'u.s.l.  che l'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969,
 sopravvissuta alla normativa di cui al d.P.R.  n.  761/1979,  gli  ha
 automaticamente  conferito detta qualifica; quanto, poi, alla pretesa
 ad un maggior trattamento economico, ha osservato che lo  svolgimento
 delle  mansioni  superiori  ha  implicato  il diritto ad una maggiore
 retribuzione,  anche  per  evitare   all'u.s.l.   un   ingiustificato
 arricchimento.
    L'adito  t.a.r., con sentenza n. 3/1986, ha ritenuto la perdurante
 vigenza dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969 innanzi richiamato, ma  ne
 ha   ritenuta   l'applicabilita',   successivamente  alla  emanazione
 dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, entro i limiti ridotti  ai  soli
 impedimenti temporanei del primario titolare.
    Sostenendo,  altresi',  che per tali periodi, la supplenza non da'
 luogo ad alcuna maggiorazione di retribuzione per l'aiuto, in  quanto
 le   mansioni   proprie   del   primario  ineriscono,  in  tal  caso,
 direttamente alla qualifica posseduta.
    Analoga  conclusione, secondo il t.a.r., non e' ammissibile per il
 caso  di  vacanza  del  posto,  ovvero  per  assenza  prolungata  del
 titolare,  dovendo,  in  tal  caso, l'amministrazione farsi carico di
 attivare il procedimento per il conferimento delle relative mansioni,
 in via temporanea e definitiva, ad un nuovo titolare.
    Sempre  secondo il t.a.r., in ogni caso, in mancanza di nomina del
 nuovo titolare, la sostituzione dell'aiuto non opera automaticamente,
 richiedendo  un  formale  atto  di  nomina  e  che,  peraltro,  trova
 applicazione il limite  temporale  di  sessanta  giorni,  di  cui  al
 secondo comma dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979.
    Concludono i primi giudici che, mancano nel caso di specie, l'atto
 formale anzidetto, nulla e'  dovuto  al  ricorrente  e  che,  per  il
 periodo  successivo  ai sessanta giorni, la sua azione subordinata di
 arricchimento senza causa da parte dell'u.s.l. e' di  competenza  del
 giudice ordinario.
    Contro  la sentenza del t.a.r. ha proposto appello al Consiglio di
 Stato il Murialdo Antonino rinnovando  le  originarie  pretese  e  la
 quinta  sezione,  cui e' stato assegnato il ricorso, con ordinanza n.
 776/1987, ha rimesso la decisione a questa adunanza plenaria,  stante
 il  contrasto  giurisprudenziale  sull'interpretazione del menzionato
 art. 7 del d.P.R. n. 128/1969.
    4.  -  I  ricorsi,  oggettivamente  connessi in quanto implicanti,
 preliminarmente, la risoluzione di una medesima  questione  giuridica
 (interpretazione della portata del combinato disposto di cui all'art.
 7 del d.P.R. n. 128/1z969 ed all'art.  29,  primo,  secondo  e  terzo
 comma,  del  d.P.R.  n.  761/1979)  vanno  riuniti  e  congiuntamente
 esaminati.
    5.  -  Le  tre  ordinanze  della  quinta  sezione hanno rimesso la
 decisione a questa  adunanza  plenaria,  in  relazione  al  contrasto
 giurisprudenziale   concernente  la  interpretazione  delle  suddette
 norme, di cui al combinato disposto dell'art. 7,  quinto  comma,  del
 d.P.R. 27 maggio 1969, n. 128 e 29, primo, secondo e terzo comma, del
 d.P.R. 2 dicembre 1979, n. 761.
    Norme  che  prevedono,  la  prima,  la  sostituzione  del primario
 ospedaliero da parte dell'aiuto "in caso di assenza,  impedimento,  e
 nei  casi  di  urgenza" e, la seconda, il diritto del personale delle
 unita' sanitarie locali  all'esercizio  delle  mansioni  inerenti  al
 (proprio)  profilo  funzionale,  con preclusione ad essere assegnato,
 neppure di fatto, a mansioni superiori  e  inferiori  (primo  comma),
 tranne  che  "in  caso  di  esigenza  di  servizio", per "le quali il
 dipendente  puo',  eccezionalmente,   essere   adibito   a   mansioni
 superiori", con il limite temporale, in tale caso, di sessanta giorni
 nell'anno solare e  con  esclusione  del  "diritto  a  variazioni  di
 trattamento  economico" (secondo comma); con l'ulteriore prescrizione
 secondo cui "non costituisce  esercizio  di  mansioni  superiori,  la
 sostituzione  di  personale  di  posizione  funzionale  piu' elevata,
 quando la sostituzione rientri fra gli ordinari compiti della propria
 posizione funzionale" (terzo comma).
    In  tutti  e  tre  i  giudizi,  sia pure in via di fatto, ovvero a
 seguito di atti  deliberativi  di  diverso  contenuto,  si  e'  avuta
 l'assegnazione  di  aiuto  ospedalieri  all'esercizio  delle mansioni
 proprie del primario, per periodi superiori a sessanta giorni  ed  in
 caso  di  vacanza  di  posto,  per  il che si e' posto il problema se
 competesse loro, per tale attivita',  il  formale  riconoscimento  di
 essere  stati  adibiti  all'esercizio  di  mansioni  proprie  di  una
 qualifica superiore, nonche' se spettasse, ed in che  misura,  ed  in
 relazione a quale limite temporale, il diritto alla corresponsione di
 una maggiorazione del trattamento economico.
    Tutte   e   tre   le   ordinanze   della   quinta  sezione,  nella
 ricostruzione, poi, del  sistema  normativo  relativo  alla  materia,
 hanno riconosciuto la perdurante vigenza del quinto comma dell'art. 7
 del richiamato  d.P.R.  n.  128/1969,  in  quanto  norma  concernente
 l'ordinamento  interno  dei  servizi  ospedalieri  e  come  tale  non
 abrogata dalla successiva regolamentazione dello stato giuridico  del
 personale delle unita' sanitarie locali, di cui al d.P.R. n. 761/1979
 ed anche perche'  riproducendo,  per  il  personale  ospedaliero,  il
 principio,  di  carattere generale, enunciato, per tutto il personale
 delle u.s.l. dal terzo comma del  menzionato  art.  29  dello  stesso
 indicato d.P.R. n. 761/1979.
    D'altra  parte,  nel  riassumere  l'orientamento giurisprudenziale
 concernente  la  materia,  si  e'  sottolineata  la  diversa  portata
 attribuita al contenuto della norma di cui al detto art. 7 del d.P.R.
 n. 128/1969, atteso che,  per  un  verso,  si  e'  affermata  la  sua
 applicabilita'  alle  sole  ipotesi  di  impedimento  temporaneo  del
 primario,  ovvero,  in  caso  di  vacanza  del  posto,   nella   sola
 immediatezza  della  vacanza  stessa  e  comunque  sino all'esito del
 procedimento di copertura del  posto  medesimo,  da  attivarsi  nella
 massima  tempestivita';  per  altro  verso,  invece,  si  e' ritenuta
 possibile l'utilizzazione della norma medesima anche al di la'  degli
 stretti, indicati, limiti temporali, con la precisazione che, in tale
 ipotesi, essa  non  comporti,  ugualmente,  l'attribuzione  di  alcun
 maggiore  emolumento  economico,  atteso  che,  anche  per tale caso,
 l'esercizio  delle  mansioni  primariali  rientra  tra  gli  ordinari
 compiti della posizione funzionale dell'aiuto.
    Tanto premesso, questa adunanza plenaria ritiene, innanzitutto, di
 convenire, con il contenuto delle  ordinanze  di  remissione,  quanto
 alla  affermata  perdurante  vigenza del quinto comma dell'art. 7 del
 d.P.R. n. 128/1969, (riproducente, per il personale  ospedaliero,  un
 principio  di  carattere  generale,  enunciato,  successivamente, per
 tutto il personale delle u.s.l. dal  terzo  comma  dell'art.  29  del
 d.P.R. n. 761/1979).
    Norma,  quella dell'art. 7, che ha avuto giustificazione razionale
 nell'avvertita necessita' di  assicurare  la  necessaria  continuita'
 dell'erogazione  di  determinate  prestazioni ospedaliere nei casi in
 cui il primario pur restando in servizio non e', temporaneamente,  in
 grado  di  assicurare  la  sua  presenza  (per  ragioni di studio, di
 famiglia, di malattia o altro) e che, quindi, implica un'attribuzione
 vicaria   di  funzioni  il  cui  esercizio  inerisce  alla  qualifica
 rivestita, ed e' istituzionalmente proprio della medesima.
    Nel caso di normale sostituzione vicaria, sembra doversi applicare
 l'art. 29, terzo comma, della legge n. 761/1979 il quale,  enunciando
 un  principio  del  tutto  pacifico,  dichiara  che  non  costituisce
 esercizio di mansioni superiori la  "sostituzione"  di  personale  di
 posizione  funzionale  piu'  elevata, qualora la sostituzione rientra
 fra gli ordinari compiti della propria posizione funzionale.
    Quando, pero', si verifica una vera e propria vacanza del posto di
 primario, per morte o dimissioni del medesimo o per  qualsiasi  altra
 causa  che  determini  la  disponibilita' del posto stesso, e l'aiuto
 assume le funzioni primariali a titolo personale e  autonomo,  sembra
 si sia al di fuori dell'ambito di applicazione dell'art. 7 del citato
 d.P.R. n.  128/1969.  Non  si  ha  cioe'  l'esercizio  vicario  delle
 funzioni di un superiore assente o impedito ma pur sempre incardinato
 nell'organizzazione sanitaria, rispetto al quale l'aiuto ha  obblighi
 di collaborazione e di sostituzione, ma si ha l'occupazione, sia pure
 temporanea, del posto e delle attribuzioni del superiore venuto meno.
    Sebbene  alla  carenza  del  primario  l'amministrazione  abbia il
 preciso compito di ovviare promuovendo e completando al  piu'  presto
 il procedimento di copertura del posto vacante (v. art. 12 del d.P.R.
 20 dicembre 1979, n. 761), puo', infatti, accadere che,  nel  periodo
 fra  la  vacanza e la copertura del posto, sia impossibile provvedere
 con trasferimento di primarii in servizio presso altri reparti  o  in
 altro  modo  (v.  art.  14 del d.P.R. 25 giugno 1983, n. 348). In tal
 caso risulta spesso opportuno che l'aiuto assuma, temporaneamente, le
 funzioni  del  primario,  passando  dalla sua posizione subordinata e
 vicaria, alla posizione di vertice.
    Si  attaglia  allora al caso la norma dell'art. 29, secondo comma,
 della legge n. 761/1979 anch'essa, pertanto, rilevante ai fini  della
 decisione,  la  quale,  derogando  al principio generale che vieta di
 assegnare il dipendente sanitario a mansioni superiori (primo comma),
 consente,  in  caso  di esigenza di servizio, che il dipendente possa
 eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori. Ma cio' entro un
 termine  non  valicabile (l'assegnazione temporanea non puo' comunque
 eccedere i 60 giorni) e senza diritto a  variazioni  del  trattamento
 economico.
    Oltre  quel  termine,  che  e'  stato  considerato dal legislatore
 sufficiente e ragionevole, deve  dunque  provvedersi  in  altro  modo
 (mediante  assegnazione temporanea di altro primario, epletamento del
 concorso,  ecc.);  e,  comunque,  oltre  quel  termine  il  perdurare
 dell'assegnazione  dell'aiuto alle funzioni superiori del primario e'
 preclusa; sicche' l'ulteriore esercizio delle  relative  mansioni  da
 parte  dell'aiuto  deve considerarsi un'attivita' vietata dalla legge
 e, pertanto,  illegittima,  cosi'  come  illegittimo  e'  l'eventuale
 provvedimento  in  tal  senso dell'amministrazione o il comportamento
 inerte della medesima che tale attivita' di fatto consente.
    Non  puo'  omettersi  di constatare che la norma di cui all'art. 7
 del d.P.R. n. 129/1969 e' stata utilizzata  dall'amministrazione,  il
 piu'   delle   volte   col  consenso,  esplicito  o  implicito  degli
 interessati (come e' avvenuto nelle ipotesi  di  cui  ai  ricorsi  in
 esame) anche al di la' degli stretti, indicati limiti temporali.
    Tutto  cio',  peraltro,  illegittimamente,  poiche',  ad avviso di
 questa adunanza plenaria, l'art. 29, secondo comma,  citato,  essendo
 norma  eccezionale rispetto al primo comma (divieto dell'esercizio di
 mansioni superiori), va interpretato  rigorosamente:  se  non  si  ha
 diritto  a  variazioni  del  trattamento  economico  nel  periodo  di
 sessanta giorni  in  cui  l'esercizio  delle  mansioni  superiori  e'
 eccezionalmente  consentito,  a  maggior ragione non si dovrebbe aver
 diritto a tale trattamento nei tempi eccedenti i sessanta giorni, nei
 quali l'esercizio delle mansioni superiori e' addirittura interdetto,
 secondo la chiara lettera della  legge  e  secondo  il  suo  spirito,
 informato  ad  evitare  al massimo il verificarsi e il perpetuarsi di
 situazioni di fatto contrastanti con  le  posizioni  di  diritto  dei
 dipendenti,   con   conseguenti   disordini  organizzativi  ed  oneri
 economici. Sarebbe per vero anomalo che da un comportamento contrario
 al dettato della legge possano derivare vantaggi anziche' sanzioni.
    Questo  appare  il  contenuto  della  disciplina  in esame che, in
 quanto  puntuale  e  finalizzata,  dovrebbe   rendere   inapplicabile
 eventuali  disposizioni  di diverso tenore dettate per il rapporto di
 lavoro privato, con altra finalita' e in diverso contesto.
    Resta  pero' il dubbio, rafforzato da recenti pronunce della Corte
 costituzionale (per altro impostate su una  distinta  interpretazione
 della   normativa   citata)   che  una  soluzione  del  genere  possa
 contrastare  con  l'art.  36  della  Costituzione,  secondo  cui   il
 lavoratore   ha   diritto  ad  una  retribuzione  proporzionata  alla
 quantita' e alla qualita' del suo lavoro. Nei casi in esame, infatti,
 e' indiscutibile che, con il consenso dell'amministrazione, sia stata
 effettuata dagli interessati una prestazione di lavoro corrispondente
 a quella inerente alla qualifica di primario, al di fuori e al di la'
 dalle attribuzioni proprie dell'aiuto.
    Appare  pertanto  opportuno,  in  presenza  di  una  questione  di
 incostituzionalita'  che  il  collegio  ritiene  non   manifestamente
 infondata,  rimettere  d'ufficio  la  questione, nei termini e con le
 angolazioni sopra delineate, all'esame della Corte costituzionale.
    La Corte costituzionale, ove condivida l'interpretazione gia' data
 all'art. 29 della legge n. 761/1/979, vorra' valutare se tale  norma,
 nella  parte in cui, vietando l'esercizio di mansioni superiori oltre
 sessanta giorni, implicitamente vieta l'attribuzione  di  un  miglior
 trattamento  economico  in  caso di prosecuzione dell'attivita' al di
 la' di tale termine (secondo comma), sia in contrasto con  l'art.  36
 della  Costituzione  per  non  essere  stato  il  lavoratore, in quel
 periodo, retribuito proporzionalmente alla quantita' e alla  qualita'
 del suo lavoro.
    Qualora,  poi l'interpretazione del citato art. 29 appare diversa,
 l'approfondimento della complessa questione sara' egualmente utile ai
 fini della definizione del giudizio di merito.