ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 15 e 19 della
 legge  22  ottobre  1971,   n.   865   (Programmi   e   coordinamento
 dell'edilizia  residenziale  pubblica; norme sulla espropriazione per
 pubblica utilita', modifiche ed integrazioni alle l. 17 agosto  1942,
 n.  1150, l. 18 aprile 1962, n. 167, l. 29 settembre 1964, n. 847, ed
 autorizzazione di  spesa  per  interventi  straordinari  nel  settore
 dell'edilizia,  agevolata e convenzionata), come modificati dall'art.
 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme  per  la  edificabilita'
 dei suoli), promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 20 aprile 1989 dalla Corte d'Appello di
 Salerno nel procedimento civile vertente tra Ferrara Alfonso ed altri
 e la s.r.l. Cooperativa Salvo D'Acquisto ed altro, iscritta al n. 309
 del registro ordinanze 1989 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1989;
      2)   ordinanza  emessa  il  28  febbraio  1989  dalla  Corte  di
 Cassazione nel procedimento civile vertente tra Mezzetti Natale e  il
 Comune  di  Castel  San Pietro Terme, iscritta al n. 394 del registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto di costituzione di Mezzetti Natale nonche' l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  novembre  1989  il Giudice
 relatore Gabriele Pescatore;
    Uditi  l'avv.  Francesco  Paolucci  e l'Avvocato dello Stato Paolo
 D'Amico per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ordinanza  in  data  28  febbraio  1989,  la  Corte di
 Cassazione ha sollevato, in riferimento  all'art.  24,  primo  comma,
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 19, primo comma, della legge 22  settembre  1971,  n.  865,
 come  modificato  dall'art.  14  della  legge 28 gennaio 1977, n. 10,
 nella  parte  in  cui  non  consente  che   il   proprietario,   gia'
 espropriato,  di  un  bene  immobile  e gli altri interessati possano
 agire  in  giudizio  per  la  determinazione  della   indennita'   di
 espropriazione  anche  in  mancanza  della  relazione  di stima della
 commissione di cui all'art. 16 o dell'U.T.E., quando sia trascorso il
 tempo  ragionevolmente  necessario  per  il compimento delle relative
 attivita'.
    La  questione  si e' posta nel corso del procedimento promosso per
 la   determinazione   dell'indennita'   definitiva   da   parte   del
 proprietario  di  un'area  occupata  in  via  d'urgenza  nel  1982 ed
 espropriata nel 1983. L'interessato non aveva accettato  l'indennita'
 provvisoria  determinata dal comune espropriante e aveva convenuto lo
 stesso davanti alla Corte d'appello,  ai  sensi  dell'art.  19  della
 legge  n.  865  del  1971,  chiedendo  che  fosse stabilita la giusta
 indennita'  di   espropriazione.   La   Corte   d'appello   dichiaro'
 inammissibile   la   domanda,  mancando  la  stima  della  indennita'
 definitiva ad opera della commissione provinciale, competente a norma
 dell'art.  16  della legge gia' menzionata. Avverso tale decisione il
 proprietario aveva proposto ricorso per cassazione.
    Il  giudice  a quo osserva che in effetti il ricorrente agisce per
 ottenere la determinazione dell'indennita' definitiva, cui ha diritto
 a  seguito  del  provvedimento  di espropriazione, non impugnato, ne'
 posto in contestazione. La tutela di tale diritto si attua, in virtu'
 della  legge  n.  865  del  1971,  mediante un giudizio affidato alla
 cognizione speciale in unico grado della  Corte  d'appello,  giudizio
 che   si   instaura  con  l'opposizione  alla  stima  dell'indennita'
 definitiva.
    Tale  stima - osserva ancora la Corte di Cassazione - si pone come
 presupposto dell'azione  giudiziaria  e  la  sua  mancanza  determina
 l'improponibilita' della domanda.
    Per  contro,  la  determinazione  dell'indennita'  non costituisce
 presupposto per  la  pronuncia  del  decreto  di  espropriazione.  La
 conseguenza  e'  che  puo'  accadere,  e  normalmente  accade, che il
 provvedimento di espropriazione sia emanato senza (o comunque  prima)
 che sia stata determinata l'indennita' definitiva.
    D'altra    parte,   per   la   determinazione,   comunicazione   e
 pubblicazione dell'indennita'  definitiva  la  legge  non  stabilisce
 altri  termini,  se  non quello di trenta giorni dalla richiesta alla
 commissione o all'U.T.E., ma anche  tale  termine  non  e'  posto  in
 collegamento con il decreto di esproprio e si presenta, in ogni caso,
 come meramente ordinatorio,  non  derivando  dalla  sua  inosservanza
 alcun  effetto sul procedimento. L'espropriato dunque, gia' spogliato
 della proprieta', puo' trovarsi indefinitamente e ingiustificatamente
 paralizzato  nel  suo  diritto a conseguire l'indennita' dovutagli di
 cui,  finche'  manchi  la  stima  non  puo'   chiedere   nemmeno   la
 determinazione giudiziale.
    Tale  situazione - conclude l'ordinanza di rimessione - si pone in
 contrasto con l'art. 24, primo comma, della  Costituzione,  il  quale
 proclama che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri
 diritti e interessi legittimi.
    2.  -  Si e' costituita davanti alla Corte la parte ricorrente nel
 giudizio a  quo,  sostenendo  che  la  norma  impugnata  si  pone  in
 contrasto  non  solo  con  l'art.  24,  ma  anche con l'art. 42 della
 Costituzione.
    Con  l'esproprio  il  diritto  del  proprietario  si  converte nel
 diritto all'indennita':  il  titolo  al  pagamento  nasce  quindi  al
 momento  dell'emanazione  del  provvedimento  ablativo  ed  e' sin da
 allora che si deve consentire al privato di poter agire.
    La   parte   privata   conclude  quindi  per  la  declaratoria  di
 illegittimita' della norma impugnata.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale
 ha affermato l'inammissibilita' della questione.
    La  Corte  di  Cassazione  non avrebbe dovuto infatti limitarsi ad
 osservare che l'azione davanti alla corte d'appello non  puo'  essere
 proposta se non dopo la determinazione dell'indennita' definitiva, ma
 avrebbe dovuto altresi' esaminare se nessun altro  rimedio  giuridico
 sia     offerto     dall'ordinamento    per    ovviare    all'inerzia
 dell'espropriante.
    In   ogni   caso,  ad  avviso  dell'Avvocatura,  deve  dichiararsi
 l'infondatezza della questione, perche' il proprietario  ha  i  mezzi
 per evitare il protrarsi della situazione di inerzia.
    Egli  puo'  anzitutto  far  ricorso  al  giudice  perche'  assegni
 all'ente espropriante un termine, ai sensi dell'art. 1183 cod.  civ.,
 entro  il  quale dar corso alle attivita' previste dall'art. 15 della
 legge.
    Inoltre, il proprietario potrebbe diffidare l'ente espropriante al
 compimento dell'attivita' dovuta e, nel caso  di  protratta  inerzia,
 impugnarne il silenzio rifiuto ai sensi dell'art. 27 n. 4 del t.u. n.
 1054 del 1924, potendosi pervenire, se del caso, alla  nomina  di  un
 commissario ad acta.
    Comunque   -   osserva  ancora  l'Avvocatura  -  la  questione  e'
 inammissibile perche' si chiede alla Corte di integrare e  modificare
 la norma impugnata, inserendo in essa la previsione di una ipotesi di
 decadenza per il mancato compimento dell'attivita' dovuta, ovvero  la
 determinazione  di un congruo termine perentorio, con invasione della
 sfera riservata al potere legislativo.
    4.  -  Con ordinanza in data 20 aprile 1989, la Corte d'appello di
 Salerno ha sollevato, in riferimento agli artt. 24,  primo  comma,  e
 42,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale: a) dell'art. 15 della legge 22 ottobre 1971, n.  865,
 come  sostituito  dall'art.  14  della  legge 28 gennaio 1977, n. 10,
 nella parte in cui non prevede la prefissione  di  termini  perentori
 per  il  compimento  delle  attivita'  previste  in  detta  norma; b)
 dell'art. 19 della stessa legge, come modificato dall'art.  14  della
 legge  28  gennaio  1977,  n.  10,  nella  parte in cui, accanto alla
 opposizione alla stima effettuata dall'U.T.E., non  prevede,  per  il
 caso  di  omissione da parte dell'espropriante delle attivita' di cui
 all'art. 15, il  ricorso  diretto  del  proprietario  e  degli  altri
 interessati  alla  Corte d'appello competente per territorio, ai fini
 della  determinazione  giudiziaria  della  indennita'  definitiva  di
 espropriazione.
   Il  giudice  a quo - adito dai proprietari di un'area i quali, dopo
 aver   rifiutato   l'indennita'   provvisoria   ed    avere    subito
 l'espropriazione    del   bene,   proponevano   opposizione   avverso
 l'indennita' indicata nel decreto di espropriazione - osserva che  e'
 stata   eccepita   l'improponibilita'   della   domanda  per  mancata
 determinazione   dell'indennita'   definitiva.   Tale   comportamento
 omissivo  della  pubblica  amministrazione  - prosegue l'ordinanza di
 rimessione  -   e'   certamente   lesivo   del   diritto   soggettivo
 dell'espropriato  a conseguire l'indennita' dovutagli (art. 42, terzo
 comma, della Costituzione; art. 834 cod.  civ.;  art.  24,  legge  25
 giugno  1865, n. 2359; artt. 11, 13, 15, legge n. 865 del 1971; legge
 n. 247 del 1974; legge  n.  10  del  1977)  e  ad  opporsi  a  quella
 determinata in misura eventualmente incongrua.
    Mentre  nella  ipotesi di avvenuta determinazione della indennita'
 definitiva (art. 15, legge n. 865 del 1971) e' previsto uno specifico
 mezzo di difesa del diritto insufficientemente indennizzato, mediante
 la opposizione alla stima innanzi alla corte d'appello (art. 19 legge
 citata),  la  stessa  legge,  viceversa,  non  prevede alcun mezzo di
 tutela innanzi al giudice ordinario contro l'omessa determinazione da
 parte della pubblica amministrazione espropriante.
    Il  titolare  del  diritto  soggettivo  si viene a trovare, cosi',
 inerme, in attesa per un tempo indefinito e sprovvisto di altri mezzi
 di  tutela,  non essendo esperibili ne' il ricorso all'art. 1183 cod.
 civ., per il divieto  posto  al  giudice  ordinario  di  ordinare  un
 "facere"   alla   pubblica   amministrazione,   ne'   il  ricorso  al
 procedimento per la formazione del silenzio - rifiuto.
    Da  quanto  innanzi - conclude il giudice a quo - deriva che nella
 situazione esposta non sussiste possibilita' di agire in giudizio per
 la  rimozione  dell'ostacolo  all'esercizio  del  diritto  soggettivo
 indicato, ne' tutela giurisdizionale adeguata al diritto leso.
    5.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
 ha  concluso  per  l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle
 questioni, con argomenti che in linea  generale  riecheggiano  quelli
 svolti nell'intervento gia' riferito.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Le  ordinanze  innanzi indicate denunciano l'illegittimita'
 costituzionale delle stesse disposizioni  di  legge,  sulla  base  di
 argomentazioni analoghe. I relativi procedimenti vanno quindi riuniti
 per essere definiti con una unica decisione.
    2.  -  La  Corte  di  Cassazione  e  la Corte d'appello di Salerno
 impugnano l'art. 19, primo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865
 (come  modificato  dall'art.  14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10),
 nella parte in cui non consente che  in  caso  di  espropriazione  il
 proprietario  del  bene  e  gli  altri  interessati  possano agire in
 giudizio per la determinazione dell'indennita' loro dovuta, anche  in
 mancanza  della relazione di stima prevista dagli artt. 15 e 16 della
 legge stessa. Per entrambi i giudici la  disciplina  e'  sospetta  di
 contrasto con l'art. 24 della Costituzione; per la Corte d'appello di
 Salerno sarebbe violato anche l'art. 42.
    3.  -  Osserva  preliminarmente  la  Corte  che  il  diritto  alla
 determinazione  dell'indennita'   di   espropriazione   puo'   essere
 tutelato,  secondo  quanto  previsto  dalla legge 22 ottobre 1971, n.
 865, mediante un giudizio affidato alla cognizione speciale in  unico
 grado della Corte d'appello.
    L'art.  19  consente  all'interessato di proporre opposizione alla
 stima della indennita' definitiva operata dalla apposita  commissione
 istituita in ogni provincia (art. 16), ovvero, finche' le commissioni
 stesse non siano insediate, dall'Ufficio tecnico erariale  (art.  19,
 secondo  comma,  della  legge  28  gennaio 1977, n. 10), entro trenta
 giorni dall'inserzione dell'avviso del deposito della  relazione  nel
 Foglio degli annunzi legali della provincia.
    Secondo una consolidata giurisprudenza, richiamata dalle ordinanze
 di  rimessione,  la  stima  delle  indennita',  con  i   procedimenti
 indicati,  si  pone come presupposto dell'azione giudiziaria e la sua
 mancanza determina l'improponibilita' della domanda. Per contro, essa
 non  impedisce la pronuncia del decreto di espropriazione, il quale a
 norma dell'art.  13  della  legge  n.  865  del  1971  -  e'  emanato
 dall'autorita'  competente  entro  quindici  giorni  dalla  richiesta
 dell'espropriante, che provi di avere  adempiuto  a  quanto  previsto
 dall'art.   12   (pagamento   dell'indennita'  provvisoria  accettata
 dall'espropriando ovvero deposito presso la Cassa depositi e prestiti
 dell'indennita' non accettata).
    Puo'  dunque  avvenire, e risulta avvenuto nelle vicende che hanno
 dato  origine  ai  giudizi  a  quibus,  che   il   provvedimento   di
 espropriazione sia emanato prima della determinazione dell'indennita'
 definitiva, che tale  determinazione  manchi  anche  a  lungo  e  che
 l'espropriato,   gia'   privato  della  proprieta'  del  bene  e  non
 indennizzato, non possa neppure agire per ottenere la  determinazione
 giudiziale di quanto dovutogli.
    Tale  situazione risulta priva di rimedi efficaci. E' ben vero che
 questa Corte, esaminando la fattispecie disciplinata dall'art. 12 del
 decreto-legge  luogotenenziale  27 febbraio 1919, n.  219 (convertito
 in legge 24 agosto 1921, n. 1290),  ritenne  che  l'espropriato,  per
 ottenere  il  deposito dell'indennita' di espropriazione, potesse far
 ricorso alla procedura prevista dall'art. 1183 cod. civ. che consente
 la  fissazione,  ad  opera del giudice, del termine entro il quale la
 pubblica amministrazione deve effettuare tale deposito (sent. n.  138
 del  1977). Ma in quel caso si lamentava che l'espropriazione potesse
 precedere il deposito dell'indennita'  senza  che  fosse  fissato  un
 termine  entro  il  quale  esso  doveva avvenire. Nel caso di specie,
 invece,  si  lamenta  che  sia  inibita  "sine  die"  all'espropriato
 l'esperibilita'    dell'azione    giudiziaria    per    ottenere   la
 determinazione della giusta indennita', in attesa del deposito  della
 relazione  di  stima  dei  beni  espropriati,  non essendo fissato un
 termine entro il quale la stima deve essere effettuata.
    Trattasi,  pertanto,  di  fattispecie  obiettivamente  diverse, in
 relazione alla prima delle quali la  violazione  dell'art,  24  della
 Costituzione non era stata neppure dedotta.
    E'  appunto tale norma costituzionale, invece, che risulta violata
 dall'art. 19 della legge 22 ottobre 1971, n.  865,  cosi'  come  mod.
 dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10.
    4.  -  Questa  Corte  ha  costantemente  affermato  che  la tutela
 giurisdizionale garantita dalla Costituzione non deve necessariamente
 porsi  in  relazione di immediatezza con il sorgere del diritto. Essa
 ha pero' precisato, fin  dalla  sentenza  n.  47  del  1964,  che  la
 determinazione  concreta  di  modalita'  e  di oneri non deve rendere
 difficile o impossibile l'esercizio di  tale  diritto,  ostacolandolo
 fino al punto di pregiudicarlo o renderlo particolarmente gravoso.
    Tali  enunciazioni  di  principio  sono  alla base della decisione
 (sent. n. 186 del 1972), con cui  venne  dichiarata  l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  146  della  legge  di  registro  (r.d.  30
 dicembre  1923,  n.  3269),  perche'  consentiva  all'amministrazione
 finanziaria,   discrezionalmente   e   senza   limite  di  tempo,  di
 procrastinare  la  definitivita'  dell'accertamento  del  tributo  di
 registro,     impedendo    cosi'    l'esplicazione    della    tutela
 giurisdizionale.
    Nel  caso  ora considerato ricorrono ragioni analoghe. La pubblica
 amministrazione, omettendo l'adempimento relativo alla  relazione  di
 stima,  puo'  ritardare in modo indefinito non solo la corresponsione
 dell'indennita', ma lo stesso esercizio della potesta'  di  agire  in
 giudizio  da parte dell'interessato. A cio' si aggiunga che - come e'
 stato posto in luce nella relazione al disegno di  legge  governativo
 n.  1947/S, annunciato in Aula il 14 novembre 1989, recante "Norme in
 materia di espropriazione per pubblica utilita'"  -  e'  sempre  piu'
 frequente  la  perdita  anticipata  della  disponibilita'  del  bene.
 L'occupazione di urgenza, si legge infatti nella relazione, e' andata
 perdendo  la sua connotazione originaria di istituto eccezionale, per
 divenire  sempre  piu'  lo  strumento  abituale  mediante  il   quale
 l'espropriante   puo',   prima  dell'espropriazione,  immettersi  nel
 possesso  del  bene  e,  al  tempo  stesso,  differire  l'adempimento
 dell'obbligo  di corrispondere l'indennita' dovuta fino alla scadenza
 del termine legale dell'occupazione. Anche  la  natura  rigorosamente
 temporanea   dell'occupazione,   prosegue  la  relazione,  e'  venuta
 sensibilmente ad attenuarsi: il termine di durata e' stato,  infatti,
 portato  da due a cinque anni con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, e
 quindi piu' volte prorogato per le occupazioni  in  atto  al  momento
 dell'entrata in vigore delle relative disposizioni.
    Secondo  la  disciplina  vigente,  il  proprietario  del bene puo'
 dunque perderne la disponibilita' e in seguito anche la  titolarita',
 restando  per  un  lungo  e  non  definito  tempo  privo di ristoro e
 paralizzato nella difesa. Situazione, questa, in sicuro contrasto con
 l'art. 24 della Costituzione, per il quale la tutela giurisdizionale,
 pur potendo diversamente  modularsi  da  caso  a  caso,  deve  essere
 effettiva e non puo' quindi non concretarsi in adeguata protezione.
    Ne'  puo' accedersi alla tesi prospettata dall'Avvocatura generale
 dello Stato, secondo la  quale  il  privato  potrebbe  avvalersi  del
 previo  ricorso,  al  giudice  ordinario,  ex  art.  1183 cod. civ. -
 affinche' fissi un termine  alla  pubblica  amministrazione  per  dar
 luogo  alla  stima  ed  agli  altri adempimenti previsti dall'art. 15
 della legge n. 865 del 1971 -,  nonche'  al  giudice  amministrativo,
 impugnando il silenzio-rifiuto sulla richiesta all'amministrazione di
 adempiere.
    A  parte  i  problemi inerenti alla esperibilita' astratta di tali
 rimedi, evidente e', infatti, il loro  carattere  defatigante  e  non
 conclusivo  e  la  conseguente scarsa efficacia al fine di assicurare
 all'espropriato, in  tempi  ragionevoli,  la  concreta  e  definitiva
 determinazione dell'indennita' di espropriazione.
    Certo,  come osserva l'Avvocatura generale dello Stato, non spetta
 alla Corte surrogarsi al legislatore, stabilendo termini e  modalita'
 del  procedimento  di  acquisizione di beni per pubblica utilita'. Ma
 spetta alla Corte stabilire i limiti al di la' dei quali le  garanzie
 apprestate  dalla  Costituzione  devono  ritenersi  violate. Nel caso
 considerato, per dare effettivita' al diritto garantito dall'art.  24
 della  Costituzione,  non  puo'  negarsi all'interessato di agire per
 ottenere l'indennizzo sancito nell'art. 42 della Costituzione, quanto
 meno dal momento in cui egli perde la proprieta' del bene.
    Va  pertanto  dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 19 della legge  22  ottobre  1971,  n.  865,  cosi'  come  modificato
 dall'art.  14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui,
 pur dopo l'avvenuta espropriazione, non consente agli aventi  diritto
 di  agire  in giudizio per la determinazione dell'indennita', finche'
 manchi la relazione di stima prevista  dagli  artt.  15  e  16  della
 legge.
    5. - La Corte d'Appello di Salerno ha impugnato altresi' l'art. 15
 della legge 22 ottobre 1971, n. 865,  come  sostituito  dall'art.  14
 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, nella parte in cui non prevede la
 prefissione di termini perentori per il  compimento  delle  attivita'
 previste in detta norma (richiesta di determinazione della indennita'
 e successiva comunicazione, deposito e pubblicita'  della  indennita'
 determinata).
    La  questione deve ritenersi assorbita a seguito dell'accoglimento
 dell'impugnazione relativa all'art. 19 della stessa legge.