ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma primo,
 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo  Unico  delle  disposizioni
 per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
 malattie  professionali),  promosso  con  l'ordinanza  emessa  il  12
 ottobre  1981  dal Pretore di Torino nel procedimento civile vertente
 tra Palin Aldo e l'INAIL ed altro, iscritta al n.  396  del  registro
 ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 37, prima serie speciale dell'anno 1989;
    Visti  gli atti di costituzione di Palin Aldo e dell'INAIL nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  dicembre  1989  il Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
    Uditi  l'avv.  Salvatore Calibbo per Palin Aldo e Vittorio Lai per
 l'INAIL e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del
 Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  1980 Aldo Palin, dipendente del Ministero della difesa
 con (la qualifica di "congegnatore  elettrico"  e  con)  mansioni  di
 addetto  al  collaudo ed al controllo dei grandi motori navali presso
 la Fiat di Torino dal 1959 al 1972, conveniva dinanzi al  Pretore  di
 Torino  l'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni
 sul lavoro, INAIL, perche' fosse  dichiarata  l'illegittimita'  della
 revoca  della  costituzione  di  rendita  per malattia professionale,
 nella specie ipoacusia, disposta dall'Istituto  in  quanto  l'attore,
 benche'  preposto  al  collaudo  dei  motori, era dipendente non gia'
 dell'impresa  che  svolgeva  l'attivita'  protetta  e  sottoposta  ad
 obbligo assicurativo, ma dell'Amministrazione committente, rivestendo
 cosi' la qualita' di c.d. assistente contrario.
    Nel  corso  del  giudizio il Pretore, con ordinanza del 12 ottobre
 1981 (pervenuta a questa Corte  il  29  luglio  1989),  ha  sollevato
 questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 9,
 primo  comma,  del  d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 "Testo unico delle
 disposizioni per l'assicurazione obbligatoria  contro  gli  infortuni
 sul lavoro e le malattie professionali".
    Ad  avviso  del  giudice  a  quo  i  rilievi  svolti  in  giudizio
 dall'INAIL sono infatti fondati e comporterebbero  il  rigetto  della
 domanda:  seguendo  il consolidato orientamento della giurisprudenza,
 il Palin non avrebbe diritto alla  rendita  in  quanto  non  svolgeva
 attivita' manuale (art. 4, n. 1, d.P.R. n. 1124 del 1965), non era un
 sovraintendente ai lavori, figura prevista dall'art. 4, n. 2, ne' era
 lavoratore  subordinato  alle  dirette  dipendenze  del  soggetto che
 esercitava l'attivita' protetta sottoposta all'obbligo  assicurativo,
 come prescritto dall'art. 9 del d.P.R. citato.
    Il  Palin,  dunque, aveva contratto la sordita', come riconosciuto
 dall'INAIL, in un ambiente ove venivano attivati  sino  a  50  motori
 contemporaneamente,  ma  era privo di poteri gerarchici nei confronti
 del personale della Fiat, potendo soltanto richiedere ai dirigenti di
 quella  societa'  di effettuare le prove richieste dalla Marina, come
 suo  inviato  presso  l'appaltatore  per   controllare   l'esecuzione
 dell'appalto.
    Secondo  la  Corte  di cassazione - osserva il Pretore - l'obbligo
 assicurativo e' condizionato alla diretta dipendenza  del  lavoratore
 esposto  a rischio morbigeno dall'imprenditore che svolge l'attivita'
 protetta: il Palin non puo' quindi ritenersi compreso tra i  soggetti
 "occupati"  presso  gli  esercenti  le  attivita'  protette  a  norma
 dell'art. 9 del t.u. n. 1124 del 1965.
    Ad  avviso  dell'autorita' remittente, se in base al principio del
 rischio ambientale (sent. n. 206  del  1974  di  questa  Corte)  puo'
 essere  superata  la  esclusione dell'assistente contrario dal novero
 dei soggetti previsti  dall'art.  4,  l'interpretazione  dell'art.  9
 fornita   dalla   Cassazione   e'   senza  dubbio  esatta:  la  norma
 "tassativamente  collega  l'estensione  dell'obbligo  assicurativo  a
 soggetti  che,  essendo  esposti  a  rischio,  svolgano  un'attivita'
 protetta",  a  condizione  che  tale  attivita'  sia   esclusivamente
 riferibile al soggetto da cui direttamente dipende chi tale attivita'
 e' tenuto a svolgere. Cio' non si riscontra nel caso dell'"assistente
 contrario", che svolge "il lavoro (la sorveglianza) non per conto del
 soggetto che direttamente se ne giova,  bensi'  per  conto  di  altra
 persona  che, in virtu' del particolare rapporto che la lega al primo
 (appaltatore), si appropriera' del risultato del lavoro".
    Ad   avviso   dell'autorita'  remittente,  cio'  comporta  la  non
 manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  9,  primo  comma,  del  t.u.  n.  1124 del 1965, in quanto
 l'assistente contrario, quando la  sua  attivita'  di  controllo  sia
 continua,   si   trova   nella   stessa   situazione  dei  lavoratori
 direttamente  dipendenti  dal  soggetto  che   eserciti   l'attivita'
 protetta,   essendo  egualmente  esposto  a  rischio  morbigeno  come
 conseguenza dello svolgimento di tale attivita'.
    L'esclusione, realizzata dall'art. 9, primo comma, dell'assistente
 contrario   dall'obbligo    assicurativo    e    dalle    prestazioni
 dell'assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le
 malattie  professionali,  viola  l'art.   3,   primo   comma,   della
 Costituzione,  che  impone  la  parita'  di  trattamento di identiche
 situazioni, e l'art. 38, secondo comma, della  Costituzione,  perche'
 viene  esclusa  la  tutela  garantita  dalla  norma  per  i  casi  di
 infortunio e malattia.
    Il  difetto  del  premio  assicurativo  per  l'ipotesi  in  esame,
 conclude  il  Pretore,  non  vale   ad   escludere   le   prestazioni
 assicurative  previste  dall'assicurazione  obbligatoria,  in quanto,
 stante   la    corrispettivita'    tra    prestazioni    e    premio,
 "dall'affermazione   della   sussistenza   dell'obbligo  assicurativo
 discenderebbe da un lato l'obbligo  contributivo  per  il  datore  di
 lavoro   dell'assistente  contrario  e  dall'altro  il  diritto  alle
 prestazioni per quest'ultimo".
    2.  - Nel giudizio si e' costituito Aldo Palin, che ha chiesto sia
 dichiarata fondata la questione sollevata aderendo in buona  sostanza
 alle argomentazioni svolte dal Pretore.
    3.  - Nel giudizio si e' altresi' costituito l'INAIL chiedendo che
 la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
    Secondo    l'Istituto,    l'inammissibilita'    della    questione
 discenderebbe dal fatto che la figura  dell'assistente  contrario  e'
 esclusa  dalla  tutela  assicurativa non solo ai sensi del denunciato
 art. 9, ma anche a norma degli artt. 1 e 4 del t.u. n. 1124 del 1965,
 in  quanto,  per  l'ipotesi  in  esame,  fanno  difetto i presupposti
 oggettivi (lo svolgimento di  un'attivita'  ritenuta  pericolosa  dal
 legislatore:  art.  1)  e  soggettivi  (svolgimento  di opera manuale
 retribuita svolta alle dipendenze e sotto la direzione  altrui:  art.
 4) essenziali, senza i quali tale tutela non viene riconosciuta.
    Poiche'  l'assistente  contrario non deve attenersi alle direttive
 dell'appaltatore  presso  la  cui  sede  esplica  le  sue   mansioni,
 dovendone  controllare l'attivita', esso puo' essere assimilato ad un
 lavoratore autonomo che, come e'  noto,  non  gode,  con  l'eccezione
 degli artigiani, di tutela assicurativa contro gli infortuni.
    Se   questa   Corte  ritenesse  di  dichiarare  la  illegittimita'
 dell'art. 9, verrebbe colpito  lo  stesso  sistema  su  cui  si  basa
 l'assicurazione   contro   gli  infortuni  sul  lavoro.  Il  rapporto
 assicurativo,  infatti  -  prosegue  la  difesa  dell'INAIL  -  sorge
 automaticamente  con il rapporto di lavoro subordinato e la posizione
 di assicurante deve essere assunta dal datore di lavoro che  gestisce
 la  lavorazione  pericolosa  e che e' quindi tenuto a versare i premi
 assicurativi; il dipendente assume invece la posizione di assicurato.
    Una decisione di accoglimento comporterebbe che il committente (il
 datore di lavoro) non  e'  tenuto  a  versare  i  premi  assicurativi
 perche'  non  svolge  attivita'  protetta,  mentre  l'appaltatore non
 dovrebbe versarli in quanto non e' datore di  lavoro  dell'assistente
 contrario, sicche' l'INAIL erogherebbe prestazioni assicurative senza
 introitare  contributi,  in  contrasto  con   il   princi'pio   della
 corrispondenza tra oneri finanziari e relativa copertura.
    4.  -  Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso  per  l'inammissibilita'  ovvero  per  l'infondatezza  della
 questione.
    Nell'atto  di intervento si sottolinea la distinzione, anche sulla
 base  della  giurisprudenza  della  Cassazione,  tra  la  figura  del
 sovraintendente,   esposto  a  rischio  al  pari  dei  lavoratori  da
 sorvegliare per la continuita' della sua presenza  fisica  sul  luogo
 delle  lavorazioni,  ed  altre  figure  professionali  non dipendenti
 dall'imprenditore che svolge  attivita'  pericolosa,  figure  per  le
 quali  non appare "concepibile un rapporto di sorveglianza con quelle
 caratteristiche di assiduita' e professionalita'".
    Le  limitazioni  dell'ambito  assicurativo  che discendono da tale
 definizione dei compiti del lavoratore,  oggettivamente  considerati,
 non  sembrano  in contrasto con il princi'pio del rischio ambientale,
 enunciato dalla sent. n.  206  del  1974  di  questa  Corte.  E'  ben
 possibile,    infatti,   che   taluni   lavoratori,   ancorche'   non
 sovraintendenti,   possano   riportare   danni,   ma   la    funzione
 dell'assicurazione  contro  gli  infortuni e' di tutelare i danni che
 siano  connaturali  alla  professione  esercitata,   sicche'   appare
 inevitabile l'adozione di un criterio di delimitazione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  E'  sollevata  in via incidentale questione di legittimita'
 costituzionale, rispetto agli artt. 3, primo  comma,  e  38,  secondo
 comma,  della  Costituzione, della norma contenuta nell'art. 9, primo
 comma, del  d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124  (Testo  Unico  delle
 disposizioni  per  l'assicurazione  obbligatoria contro gli infortuni
 sul lavoro e le malattie professionali), norma  concernente  l'ambito
 di  applicabilita' della tutela antinfortunistica, e, di riflesso, ai
 sensi dell'art. 3, secondo comma,  dello  stesso  d.P.R.,  di  quella
 contro   le   malattie   professionali,   mediante   il   riferimento
 all'elemento soggettivo del datore di lavoro assicurante.
    Stabilendo che sono soggetti all'assicurazione i datori di lavoro,
 compresi lo Stato e gli  enti  pubblici,  che  occupano  persone  fra
 quelle  indicate  nell'art. 4 nell'esercizio delle attivita' previste
 dall'art. 1 del detto d.P.R. n. 1124 del 1965 (lavorazioni protette),
 la  norma,  secondo l'esatta interpretazione ad essa data dal diritto
 vivente,  limiterebbe  la  copertura   assicurativa   ai   lavoratori
 dipendenti   dal  titolare  del  processo  produttivo  nel  quale  si
 inseriscono le lavorazioni protette (o, come altrimenti si puo' dire,
 ai  lavoratori  addetti  alle  sole  lavorazioni protette gestite dal
 proprio datore di lavoro), escludendone  quelli  non  dipendenti  dal
 detto  titolare,  anche  se  tenuti verso altri a prestare la propria
 opera in correlazione alle dette lavorazioni e nel luogo in cui  esse
 si svolgono.
    Il   giudice   a  quo  si  riferisce  in  particolare  all'ipotesi
 comunemente denominata dell'"assistente contrario", vale  a  dire  di
 colui  che  sia investito della vigilanza su una lavorazione protetta
 ai sensi dell'art. 4, n. 2, del d.P.R. n. 1124 del 1965, non gia' dal
 titolare   suindicato,  come  nella  ipotesi  comunemente  denominata
 dell'"assistente diretto", bensi' da altro soggetto interessato,  per
 rapporti intercorrenti con il titolare, al corretto svolgimento della
 lavorazione in vista della bonta' dei suoi risultati.
    Cosi'  interpretata,  la norma sarebbe in contrasto: con l'art. 3,
 primo comma, della  Costituzione,  in  quanto  produrrebbe  in  danno
 dell'"assistente   contrario"   una   discriminazione  ingiustificata
 rispetto all'"assistente diretto" e  piu'  generalmente  rispetto  ai
 lavoratori  esposti,  per  il  fatto  di  prestare opera nello stesso
 ambiente di lavoro, allo stesso rischio  morbigeno;  con  l'art.  38,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  in  quanto  importerebbe,  con
 riferimento  ai  lavoratori  in  discorso,   un   vuoto   di   tutela
 assicurativa.
    2.  -  Il  diritto vivente in tema di "assistente contrario" e' in
 realta' nei sensi indicati dal giudice a quo. E' vero che l'indirizzo
 giurisprudenziale  cui  il  detto  giudice  si richiama ha escluso la
 tutela soprattutto sulla base dell'argomentazione  che  l'"assistente
 contrario" non e' neppure riconducibile, come l'"assistente diretto",
 alla figura delineata dall'art. 4, n. 2, d.P.R. n.1124 del 1965 cioe'
 del  dipendente  che,  pur senza partecipare materialmente al lavoro,
 sovraintende al lavoro di altri -  e  cio'  in  quanto  l'"assistente
 contrario",   siccome  non  dipende  dal  gestore  delle  lavorazioni
 protette, da  cui  dipendono  invece  i  lavoratori  esercenti  opera
 manuale  nelle  medesime,  non e' investito di poteri gerarchici o di
 vigilanza su di essi  e  pertanto  non  e'  tenuto  ad  una  continua
 presenza  nell'ambiente  qualificato dal rischio. Ma l'argomentazione
 attiene alla rilevanza della questione. E sul punto il giudice a  quo
 ha  motivato  adeguatamente  ed  esattamente, osservando che, ai fini
 della configurabilita' dell'ipotesi di cui all'art. 4, n.  2,  d.P.R.
 n.  1124  del 1965, e' sufficiente che si tratti di persona "comunque
 tenuta" a esser presente nell'ambiente morbigeno e ad esercitarvi  la
 sua  opera.  Vale  a  dire  di persona, la cui presenza nell'ambiente
 suddetto non sia occasionale, ma riferita a un obbligo di lavoro (non
 importa  verso  chi),  e  comunque  correlata al lavoro degli addetti
 materialmente alla lavorazione protetta, e cosi' a quest'ultima  (non
 importa  se  per  assicurare  l'osservanza  dei doveri dei suindicati
 addetti  verso  il  loro  datore  di  lavoro  ovvero   soltanto   per
 controllare i metodi e le modalita' della lavorazione in funzione dei
 risultati).
    3. - La questione e' fondata.
    Il  presupposto  su  cui  poggia  la  norma  impugnata, e cioe' la
 necessaria coincidenza, ai fini dell'individuazione  dei  beneficiari
 della  garanzia, fra assicurante (titolare del rapporto assicurativo)
 e  gestore  della  lavorazione  protetta   (titolare   del   processo
 produttivo  in  cui  essa  si  inserisce)  - e, quindi, la necessaria
 dipendenza del beneficiario dal  detto  gestore  -  non  risponde  ad
 alcuna esigenza del sistema vigente.
    Tale  sistema,  teso  alla protezione la piu' ampia dal rischio di
 infortuni   o   malattie   professionali   indotto   da   determinate
 lavorazioni,  implica  come  unico  presupposto di operativita' della
 garanzia, e quindi  come  unico  criterio  per  l'individuazione  dei
 destinatari della medesima, l'esposizione al rischio in parola, anche
 in via  di  mera  correlazione  ambientale  (cioe'  per  la  presenza
 nell'ambiente  dove  si svolgono le lavorazioni rischiose, e pertanto
 "protette").  Tanto  si  desume  da  cio',   che   l'esposizione   e'
 assicurabile  purche'  sia dovuta alle piu' varie ragioni di lavoro o
 connesse al lavoro, e cosi' non solo ai doveri inerenti a un rapporto
 di  lavoro  subordinato (come nella maggior parte dei casi), ma anche
 allo svolgimento di un'attivita' lavorativa autonoma,  e  persino  di
 un'attivita' di sperimentazione o ricerca in sede scolastica, ovvero,
 ricorrendo la qualita' di lavoratore subordinato, alla abitazione per
 esigenze  lavorative o per rapporti di parentela nei locali in cui si
 svolge la lavorazione (cfr. l'ipotesi dell'artigiano di cui  all'art.
 4, n. 3; quella degli alunni e degli insegnanti di cui all'art. 4, n.
 5; quella di cui all'art. 5 del d.P.R. n. 1124 del 1965).
    La  centralita'  dell'esposizione  al  rischio  e, implicitamente,
 l'esclusivita' del presupposto che essa vale a  costituire,  emergono
 del  resto  dalle  ripetute  affermazioni  di  questa  Corte circa la
 tendenziale estensione della garanzia a tutti  i  soggetti  che,  per
 ragioni  di  lavoro  latamente considerate, siano esposti allo stesso
 rischio  obbiettivamente  riferibile  alle   "lavorazioni   protette"
 (sentenze nn. 137 del 1989, 476 del 1987, 256 del 1986, 221 del 1985,
 206 del 1974).
    Con l'assumere come requisito necessario anche la coincidenza e la
 dipendenza suindicate,  la  norma  in  esame  restringe  l'ambito  di
 applicabilita'  della  garanzia  in  contrasto  con  le finalita' del
 sistema come perseguite  a  favore  della  generalita'  dei  soggetti
 esposti al medesimo rischio, e pertanto si rivela affetta da entrambi
 i vizi di illegittimita' costituzionale denunciati.
    Adeguato  rimedio  e'  che,  pur  conservandosi l'adottato modo di
 individuazione   dei   beneficiari    della    garanzia    attraverso
 l'individuazione  dei datori di lavoro soggetti all'assicurazione, la
 norma impugnata sia dichiarata illegittima in  quanto  non  comprende
 fra i datori di lavoro soggetti all'assicurazione coloro che occupano
 persone, fra quelle  indicate  nell'art.  4,  in  attivita'  previste
 dall'art.  1  dello  stesso  d.P.R.,  anche se esercitate da altri (e
 cosi' non estende la tutela ai lavoratori non dipendenti dal  gestore
 delle lavorazioni protette cui essi siano adibiti o in cui essi siano
 comunque coinvolti).
    A  cio'  non  e'  di  ostacolo la soluzione data al problema - cui
 soprattutto hanno avuto riguardo alcune delle decisioni rese in  tema
 di  "assistente contrario" - della individuazione (nella ipotesi) del
 soggetto tenuto agli adempimenti contributivi,  come  previsti  dalle
 disposizioni  vigenti,  nel  senso di non potersi considerare tale il
 titolare,  o  gestore,  delle  lavorazioni  protette.  Infatti   alla
 soluzione  non contraddice l'estensione della tutela operata mediante
 l'individuazione  dell'assicurante  (nella  detta  ipotesi)   in   un
 soggetto  (datore  di  lavoro)  diverso dal gestore delle lavorazioni
 protette. Estensione, la quale  anzi  implica,  in  coerenza  con  la
 soluzione stessa, che gli indicati adempimenti, in quanto destinati a
 coprire costi dell'assicurazione del lavoro, siano  messi  a  carico,
 anziche' del gestore delle lavorazioni protette, del datore di lavoro
 alla cui iniziativa e al cui interesse  l'adibizione  del  lavoratore
 alle   (o  il  suo  coinvolgimento  nelle)  lavorazioni  protette  e'
 riferibile.
    La  pronuncia  incide direttamente sulla disciplina delle malattie
 professionali, senza che sia necessario colpire separatamente  l'art.
 3   del  d.P.R.  n.  1124  del  1965,  che  dichiara  applicabili  le
 disposizioni  concernenti  gli  infortuni  (ovviamente  anche   quali
 risultano, come nel caso, da pronunce additive di questa Corte).