IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Sull'eccezione di incostituzionalita' dell'art. 248 delle disp. attuazione del c.p.p., per violazione dell'art. 3 della costituzione e del principio di ragionevolezza, sollevata dalla difesa degli imputati Bellosio Luca e Marvini Cesare; Sentito il p.m. che ha concluso per la non rilevanza e manifesta infondatezza della questione sollevata; O S S E R V A 1. - Il presente procedimento, instaurato secondo il vecchio c.p.p., ha visto l'apertura del dibattimento in data 19 settembre 1988; in data odierna gli imputati hanno richiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'art. 248 delle disp. att. del c.p.p. sollevando la predetta questione di incostituzionalita' con riferimento al decorso termine di decadenza stabilito nell'art. 248 e quantificando la pena richiesta in mesi tre di reclusione. Il p.m. si e' opposto alla applicazione della pena sotto il profilo della incongruita' della stessa e sotto il profilo della tardivita' della richiesta. 2 (Sulla rilevanza della questione). - Il p.m. ha espresso parere contrario all'applicazione della pena richiesta. Tale dissenso non appare ostativo alla decisione sulla rilevanza della questione di illegittimita' sollevata, posto che il giudice e' autorizzato ad applicare la pena richiesta anche in caso di dissenso del p.m. ex art. 448 del c.p.p. cosi' come richiamato dall'art. 248 delle disp. trans. In questo caso compito del giudice sarebbe quello di valutare la ragionevolezza del dissenso del p.m. e la congruita' della pena proposta. Sotto questo profilo il tribunale ritiene che, impregiudicata la questione relativa alla responsabilita' degli imputati, la pena di mesi tre di reclusione possa considerarsi congrua con riferimento all'art. 133 del c.p., tenuto conto dei profili di colpa contestati rispettivamente ai due imputati e alle emergenze probatorie relative alla sussistenza di attenuanti. Pertanto la questione di illegittimita' costituzionale appare rilevante ai fini del decidere, posto che la sua risoluzione incide direttamente sulla quantificazione dell'irroganda pena. 3 (Sulla non manifesta infondatezza). - Nel valutare la fondatezza o meno della questione sollevata appare preliminare analizzare la natura della norma di cui all'art. 248, con riferimento a quella di cui all'art. 444 del c.p.p.; in particolare appare preliminare stabilire se tali istituti abbiano natura processuale ovvero sostanziale giacche' nel primo caso infondata sarebbe la questione proposta alla luce del principio tempus regit actum che disciplina la successione delle leggi processuali nel tempo. Indubbiamente gli istituti dell'applicazione della pena su richiesta delle parti in via ordinaria e in via transitoria esplicano efficacia squisitamente processuale determinando una modifica del rito applicabile. Peraltro gli effetti ulteriori che tale norma produce sul piano della quantificazione della pena, dell'esclusione della condanna a pene accessorie e della estinzione del reato hanno sicuramente carattere sostanziale. E' pertanto evidente la disparita' di trattamento sostanziale che la norma produce con riferimento alle due categorie di imputati che si trovano rispettivamente nella fase processuale precedente o in quella successiva all'apertura del dibattimento; disparita' di trattamento collegata a circostanza del tutto occasionale e indipendente dalla volonta' dell'imputato, non essendo la fissazione del processo nella disponibilita' del medesimo. Viene in rilievo, fatte tali premesse, la disciplina dettata in tema di successione nel tempo di leggi penali dall'art. 2 del c.p. In proposito si e' sostenuto che il principio di irretroattivita' della legge penale costituzionalmente statuito dell'art. 25, secondo comma, dovrebbe essere necessariamente integrato da quello di cui al citato art. 2 sul principio di applicazione della legge piu' favorevole al reo. Cio' a parere del tribunale appare condivisibile non tanto sotto il profilo della attribuzione di forza costituzionale al principio di cui all'art. 2 del c.p., quanto sotto quello di riconoscimento al medesimo di rilevanza costituzionale, nel senso che una norma che intendesse contravvenire a tale principio dovrebbe rispondere a principi anch'essi di rilevanza costituzionale. Tali diversi principi costituzionali potrebbero individuarsi, per quello che qui interessa, in quelli garantiti dall'art. 97 della Costituzione, sotto il profilo del buon andamento dell'attivita' giudiziaria. E' infatti del tutto ovvio che a tale principio si ispirino le norme di cui agli artt. 248 delle disp. trans. e 444 del c.p.p.: l'effetto deflattivo da loro originato perseguirebbe proprio lo scopo di meglio sfruttare le risorse di persone e mezzi dell'apparato giudiziario. Questo tribunale ritiene che la ratio di questi istituti sia da ravvisare esclusivamente in tale intento deflattivo; il fatto che accessoriamente sia previsto che, anche il caso di dissenso del p.m., il giudice possa applicare la pena richiesta dall'imputato non contraddice a tale ratio ma costituisce solo un necessario correttivo ai fini di evitare una altrimenti evidente incostituzionalita' della norma. Il legislatore del 1989 ha inteso in realta' perseguire un intento deflattivo di maggiore portata da quello che si ricaverebbe dalla semplice lettura dell'art. 248. Infatti l'aver previsto l'applicabilita' in via transitoria anche degli istituti previsti dall'art. 599 in sede di appello autorizza a ritenere che l'intento di fondo fosse quello di evitare qualunque attivita' dibattimento anche successiva all'apertura del dibattimento di primo grado, sfruttando a tal fine le procedure abbreviate. Pertanto si appalesa irragionevole la limitazione posta dall'art. 248 delle disp. trans. la' dove non si prevede, per i dibattimenti gia' aperti alla data del 24 ottobre 1989, la possibilita' di chiedere il rito speciale, sia pure eventualmente fissando in un congruo termine. Con cio' si sarebbe evitata la differenza di trattamento fra dibattimenti non ancora aperti e quelli gia' iniziati, tenendo cosi' conto della evidente impossibilita' dell'imputato di richiedere l'applicazione della pena prima dell'entrata in vigore del nuovo codice. Una tale previsione avrebbe pienamente rispettato l'effetto deflattivo che ha informato l'intero sistema del nuovo c.p.p., comprese le norme transitorie allo stesso, evitando la prosecuzione di dibattimenti in ipotesi anche lunghi e complessi e avrebbe inoltre rispettato pienamente il principio, di rilevanza costituzionale, dell'art. 2 del c.p.. Pertanto, conclusivamente, questo tribunale ritiene che la disposizione di cui all'art. 248 delle disp. trans., nella sua mancata previsione, per i procedimenti in fase successiva all'apertura del dibattimento, di un termine per chiedere l'applicazione delle pena, contrasti con l'art. 3, per ingiustificata disparita' di trattamento, 25, secondo comma, e 97 della Costituzione. Il giudizio deve pertanto essere sospeso con rimessione degli atti alla Corte costituzionale.