IL TRIBUNALE Rilevato come nel corso del giudizio nei confronti di Cicalese Francesco, imputato ai sensi dell'art. 72 della legge n. 685/1975, il pubblico ministero ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 438 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447, "nella parte in cui non prevede alcun controllo da parte del giudice sul parere del p.m., di guisa che una parte del processo diviene arbitro totale ed esclusivo delle sorti dell'imputato richiedente, che si vede privato della possibilita' di beneficiare del trattamento premiale previsto dall'art. 442, secondo comma, del d.P.R. cit.", ed ha assunto che le disposizioni della Costituzione violate da tali norme sono: l'art. 3 (sotto il profilo della disparita' di trattamento tra imputato ed imputato di fronte alla insindacabilita' del dissenso); l'art. 25, secondo comma, (sotto il profilo della violazione del principio di legalita'); l'art. 101, secondo comma, (sotto il profilo della violazione della indipendenza del giudice, soggetto soltanto alla legge); Ritenuto, in via primaria, che si impone preliminarmente di individuare con esattezza le norme giuridiche impugnate. Le stesse si identificano in quelle di cui agli artt. 247, terzo comma, del d.-l. 28 luglio 1989, n. 271, 438, primo comma, e 442, secondo comma del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447. Invero, pur non avendo il pubblico ministero espressamente indicato il primo degli articoli citati, anche la norma in questione va sottoposta al vaglio di costituzionalita', giacche' - premesso il richiamo che la stessa contiene agli artt. 438 e 442 del d.P.R. cit. - e' proprio tale norma a prevedere che, una volta non intervenuto il consenso del p.m., il giudice debba necessariamente prenderne atto e dispone con ordinanza che si proceda nrelle forme ordinarie; in tal modo escludendosi l'applicazione della diminuzione, in misura fissa di un terzo, della pena determinabile in concreto ex art. 442, secondo comma, del d.P.R. cit. Ritenuto che, proprio con riferimento a siffatto profilo, il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale sollevata. Ritenuto che siffatta questione sia manifestamente infondata, giacche' le norme succitate appaiono in contrasto con una pluralita' di parametri costituzionali laddove si abbia riguardo al ruolo che le norme stessa attribuiscono al pubblico ministero non solo nei confronti dell'imputato bensi' anche, e soprattutto, nei confronti del giudice. Non e' dubbbio che, sul punto, non appare formato alcun "diritto vivente", atteso il brevissimo periodo di applicazione dell'istituto in questione, del tutto nuovo per il nostro ordinamento; eppero' la questione in parola involge profili che una qualche assonanza presentano - con argomentazioni adoprabili a contrario - con quelli gia' oggetto di riflessione della Corte costituzionale (cfr. sentenza 18 aprile 1984, n. 120). Invero, l'istituto dell'applicazione della sanzione sostitutiva ex artt. 77 e 78 della legge 24 novembre 1981, n. 689, presenta affinita' con quello introdotto dagli artt. 438 e segg. del d.P.R. n. 447/1988 sotto il profilo del discendere, nell'un caso o nell'altro, da un apprezzamento discrezionale del pubblico ministero, l'applicabilita' o meno di uno specifico schema processuale. Purtuttavia, nell'istituto ex artt. 77 e 78 della legge n. 689/1981, la formulazione di un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero altra valenza non aveva a parere della Corte - che quella di precludere un epilogo del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita, quale e' il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti, salvo al giudice - una volta procedutosi alla fase del dibattimento - ogni potere decisionale, compreso quello di accogliere o no la richiesta dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto dal pubblico ministero. Ne consegue che, in quell'istituto e cosi' circoscritta la questione, non rileva la Corte in contrasto alcuno con i parametri costituzionali allora invocati. Nel caso di specie, di contro, contrasto di tal fatta pare emergere, con specifico riguardo ad una intravista compressione dell'integrita' del potere decisionale del giudice. In particolare, le norme in esame appaiono contrastare, nella parte in cui escludono non soltanto l'applicabilita' di uno specifico schema processuale ma anche della diminuzione, in misura fissa di un terzo, della pena determinabile in concreto dal giudice ex art. 442, secondo comma, del d.P.R. cit. con: 1) l'art. 3 della Costituzione, perche' le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta dell'imputato, si impongono, caso per caso ed in modo definitivo, al giudice, non potendo ricevere, da parte di questo, obiettiva ed imparziale valutazione nella fase del dibattimento sotto lo specifico profilo della richiesta diminuzione, in misura fissa di un terzo, della pena determinabile in concreto; 2) l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione perche' la richiesta dell'imputato viene ad essere sottratta in modo definitivo alla valutazione del giudice, a partire dall'impossibilita' di un piu' approfondito esame della richiesta stressa nel contraddittorio della fase dibattimentale; 3) l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, perche' il mancato intervento dell'atto di consenso del pubblico ministero comprime le attribuzioni di organo giudicante proprie del giudice, con specifico riguardo alla pienezza della sua liberta' di valutazione, non potendo questi emettere in sede dibattimentale qualsiasi sentenza: risulta, infatti, dal novero dei contenuti decisori escluso quello nel quale la pena da determinare in concreto sia diminuita in misura fissa di un terzo ex art. 442, secondo comma, del d.P.R. n. 447/1988; 4) l'art. 102, primo comma, della Costituzione, perche' cio' che attiene all'esercizio dell'azione penale, com'e' il caso di ogni richiesta vincolante di passaggio al dibattimento da parte del pubblico ministero come effetto del mancato intervento dell'atto di consenso nel caso di specie, non puo' - come, invece, nella fattispecie, esaminata - contenere efficacia vincolante anche dopo l'apertura del dibattimento, sconfinando, cosi', con l'esclusione sub 3) esposta, nel campo dell'attivita' decisoria riservata al giudice; 5) l'art. 111, secondo comma, della Costituzione, giacche' il mancato intervento dell'atto di consenso del pubblico ministero non comporta soltanto la mancata applicazione di un certo schema processuale ma integra gli estremi - attesa la sua efficacia vincolante sul potere valutativo del giudice - di un provvedimento decisorio non motivato e non ricorribile per cassazione. Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;