IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Con ricorso depositato in data 12 giugno 1987 tale Michelangeli Laura chiedeva a questo tribunale ai sensi dell'art. 274 del c.c. di essere ammessa ad esperire nell'interesse del figlio minore Michelangeli Flavio l'azione di dichiarazione giudiziale di paternita', prevista dall'art. 269 del c.c., nei confronti di tale Brucchietti Giorgio residente a Rieti. Nel presupposto del radicarsi della competenza presso il tribunale per i minorenni di Roma, foro del convenuto, secondo la disciplina ordinaria della competenza per le azioni di stato in applicazione del principio del foro generale delle persone fisiche e della sua inderogabilita' e rilevabilita' d'ufficio ai sensi del combinato disposto degli artt. 18, 28 e 38 del c.p.c. (principio seguito da questo tribunale sulla base di una costante giurisprudenza della Corte suprema il p.m., con richiesta in data 2 giugno 1988 sollevava questione di legittimita' costituzionale degli articoli 273 e 274 del c.c. e 18 del c.p.c. nella parte in cui non prevedono che il tribunale per i minorenni territorialmente competente e' quello del luogo ove si trova il minore o di residenza del minore per violazione dell'art. 25, primo comma, della Costituzione e cio' in considerazione del fatto che un tribunale minorile diverso da quello avente giurisdizione sul luogo ove il minore si trova o risiede non potrebbe emettere una decisione quale giudice specializzato nei confronti e sullo status del minore stesso di cui non puo' conoscere il vissuto, la personalita' e l'ambiente di vita se non indirettamente e certamente non con quella immediatezza e conoscenza della cultura locale necessaria ad una corretta decisione". Con lo stesso mezzo il p.m. sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt. 273 e 274 del c.c. nella parte in cui non prevedono, nel caso di azione proposta dal genitore che esercita la potesta' prevista dall'art. 316 del c.c. nell'interesse del figlio infrasedicenne, che si valuti l'interesse del minore alla dichiarazione giudiziale di paternita' e maternita', per violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto tale valutazione "non solo e' richiesta a norma di legge per altri istituti che hanno come effetto l'instaurazione del rapporto di filiazione", ma costituisce anche nel sistema "il tratto principale che caratterizza e giustifica la specializzazione del giudice minorile". Occorre preliminarmente osservare che questo tribunale non ha potuto procedere immediatamente all'esame delle questioni proposte in quanto, essendo la rilevanza della prima di esse strettamente collegata, come sopra si e' rilevato, ad una certa giurisprudenza, ha ritenuto opportuno attendere una sua riconferma o meno da parte della Corte suprema essendo questa stata investita, sull'argomento, di un regolamento di competenza richiesto in altra procedura pendente presso questo tribunale. Con sentenza 21 aprile 1989, n. 3999, depositata il 6 ottobre successivo, la suddetta Corte, risolvendo il regolamento e mutando quello che era sato il suo costante orientamento, ha enunciato il principio che il criterio di individuazione della competenza per territorio del giudice minorile non puo' che essere unico per tutte le materie "in quanto espressione della funzione istituzionale di questo giudice specializzato che e' quella di dare una risposta appropriata, sia sotto il profilo delle conoscenze specifiche dei componenti del collegio che sotto quello della vicinanza fisica del giudice al minore, ai problemi ed alle esigenze dei minori" e che pertanto anche nelle azioni per la dichiarazione giudiziale della paternita' e maternita' debba affermarsi la competenza del tribunale minorile del luogo ove il minore si trova. Tale nuova decisione, venendo a togliere rilevanza alla questione di legittimita' costituzionale della norma processuale, esime questo tribunale dal prenderla in considerazione. In ordine alla seconda questione sollevata dal p.m., qusto tribunale, che gia' in altra procedura ne aveva dichiarato l'infondatezza, ritiene che le nuove e ampie argomentazioni del p.m., inquadrando il problema in un compiuto e organico esame di tutto il sistema, impongano una diversa valutazione e debbano condurre a una diversa conclusione. In particolare, l'impostazione della questione che nel precedente esame era stata incentrata da questo tribunale sulla preminenza dell'interesse pubblicistico alla certezza dello status della persona (cosi' da apparire con esso incompatibile qualsiasi deroga apportata in nome di altre istanze) e sugli interessi (costituzionalmente rilevanti ai sensi dell'art. 30 della Costituzione quali quelli all'educazione, all'istruzione e al mantenimento) del minore collegati alla predetta certezza, deve essere rettificata alla luce delle disarmonie e incongruenze del sistema cosi' come messe meglio in evidenza dalle nuove argomentazioni. Premesso che "l'attribuzione della competenza dell'azione de quo al tribunale per i minorenni a norma dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha una portata molto piu' ampia di un semplice spostamento di competenza, in quanto si e' passati da un giudice ordinario ad un giudice specializzato che ha modalita' di acquisizione del materiale probatorio, criteri di valutazione e contributi di professionalita' diversi nell'emissione della decisione rispetto al giudice ordinario" e premesso che la stessa Corte costituzionale con sentenza n. 193/1987 nel ritenere infondata, con riferimento agli artt. 3 e 102 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 68 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui dispone la competenza del tribunale per i minorenni a provvedere ai sensi dell'art. 269, primo comma, del c.c. nel caso di minori, ha sottolineato (richiamando gli artt. 273, secondo comma, 277, secondo comma, del c.c. e 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184) che "non si debbono sottovalutare gli altri e piu' particolari poteri demandati al giudice quando l'azione per la dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita' naturale riguardi un minore, poteri questi ben confacenti al tribunale per i minorenni nell'ottica della sua specializzazione ai sensi dell'art. 102 della Costituzione", rileva il p.m. che tale ottica e' vanificata dalla impossibilita' da parte del tribunale per i minorenni di valutare l'interesse del minore, nei cui confronti e' competente, alla dichiarazione giudiziaria di paternita' o di maternita'. E' opportuno a questo punto riferire puntualmente le serrate argomentazioni esposte dal p.m.: "Il legislatore del 1983, riformando la legge 6 giugno 1967, n. 431, sulla adozione speciale, ha confermato ed anzi rafforzato il principio della competenza generale del giudice minorile nelle materie afferenti i minori, e la tendenza ha trovato poco dopo autorevolissima e decisiva conferma nella nota sentenza 15 luglio 1983, n. 222, della Corte costituzionale, dichiarativa della incostituzionalita' della norma che sottraeva al loro giudice naturale i minorenni coimputati con adulti. Alla luce di questi principi, va considerato che, se e' vero che la dichiarazione giudiziale di paternita' e di maternita' postula sempre l'accertamento della procreazione, e cioe' di un dato di fatto a carattere storico e oggettivo, diversi sono i suoi effetti qualora il procreato sia maggiorenne ovvero minorenne. In quest'ultima ipotesi, infatti, consegue alla sentenza (che ha gli stessi effetti del riconoscimento: cfr. art. 277, primo comma, del c.c.) l'insorgere della potesta' parentale in capo al soggetto o ai soggetti dichiarati genitori; il che ovviamente non si verifica se il procreato e' invece maggiorenne. Trattasi dunque di una diversa situazione, nella quale la tutela de minore merita particolare attenzione e cutela, essendo ragionevole suppore che colui il quale ha dovuto essere citato in giudizio per essere dichiarato forzatamente genitore, non sempre sia il soggetto piu' idoneo a prendersi cura del figlio. E cio' e' tanto vero che lo stesso art. 277 sopracitato prevede, al secondo comma, la possibilita' che siano contestualmente dati i provvedimenti opportuni a tutela del figlio. Il testo novellato dell'art. 38 delle disp. att. appare perfettamente armonico al sistema che, sin dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, attribuiva alla competenza esclusiva del giudice minorile (appunto in quanto giudice specializzato, e non speciale) le questioni connesse allo status della persona minore, proprio al fine di consentire la tempestiva regolamentazione dei delicati rapporti insorgenti per effetto del mutamento dello status medesimo. A questo punto sembra lecito affermare che con l'aggiunta dell'inciso "nonche' nel caso di minori dell'art. 269, primo comma" all'art. 39 delle disp. att. del c.c. il legislatore abbia completato il disegno di attribuire tutte le azioni che tendono ad un apparente miglioramento dello status del minore (da riconosciuto da parte di un sol genitore a riconosciutto da entrambi (art. 250); da riconosciuto da parte di uno od entrambi i genitori a legittimato (art. 284); da figlio riconosciuto da parte di uno od entrambi i genitori o figlio di genitori ignoti a figlio la cui paternita' e maternita' naturale e' stata giudizialmente accertata (269 del c.c.) al tribunale per i minorenni. L'espressione "apparente" usata sta a sintetizzare il principio piu' volte affermato dalla dottrina e dalla giurisprudenza (vedi Cass., sezione prima, del 25 maggio 1982; Cass., sezione prima, sentenza n. 6649, del 13 novembre 1986; Cass., sezione prima, sentenza n. 7535, del 12 ottobre 1987) che non sempre il dare una veste legale alla filiazione biologica corrisponde all'interesse del minore, in quanto non puo' essere sufficiente limitarsi alla considerazione della sola presunzione, che l'esistenza di entrambe le figure genitoriali amplia la sfera dei rapporti affettivi del minore, ne arricchisce la personalita' completandola e conferendole equilibrio materiale e psichicho (Cass., sezione prima, sentenza n. 4273 del 22 giugno 1983) ma e' necessario valutare le opposte ragioni, nonche' ogni altro elemento di giudizio in quanto ai fini della concreta tutela dell'interesse del minore i valori da tenere presenti sono anche di ordine morale con esclusione di ogni elemento o motivo estraneo od esterno al rapporto genitore-figlio. Il legislatore invece, ha lasciato alla competenza del giudice ordinario tutte quelle azioni il cui accoglimento importa il venir meno, nel mondo del diritto, del rapporto di filiazione: azione di disconoscimento (art. 244 del c.c.), azione di contestazione della legittimita' (248 del c.c.), impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicita' (263 del c.c.). Analizzando le caratteristiche comuni a ciascun gruppo di azioni, caratteristiche che rispondono a valide esigenze di coerenza sistematica, si rileva che ogni qualvolta l'azione e' devoluta alla cognizione del tribunale per i minorenni e' fatto obbligo, tranne per il caso in esame, di accertare quale sia in concreto l'interesse del minore al di la' del dato oggettivo della filiazione biologica; tale esigenza di accertamento non ricorre, invece, in tutte le azioni dianzi elencate di competenza del tribunae ordinario in cui - con rigorosa applicazione del principio generale per cui la situazione di diritto deve corrispondere per quanto e' possibile alla situazione di fatto - accertata l'inesistenza del rapporto biologico di filiazione il legislatore automaticamente ne fa discendere la cancellazione del rapporto medesimo dal mondo del diritto senza che l'interesse del minore sia in qualche modo rilevante ai fini della decisione. Orbene l'azione ex art. 269 e segg. del c.c., pur rientrando nel primo gruppo e pur essendo stata attribuita alla cognizione del giudice specializzato non prevede una rilevanza del piu' volte citato interesse del minore almeno nella ipotesi come nella specie in cui la stessa sia proposta dal genitore che esercita la potesta' prevista dall'art. 316 del c.c. ed il figlio non abbia compiuto il sedicesimo anno di eta'. Infatti, nel caso di azione promossa da altri soggetti legittimati una valutazione dell'interesse e' prevista, piu' o meno esplicitamente, dall'art. 273 del c.c. Per quanto riguarda l'azione promossa dal tutore questi deve chiedere l'autorizzazione al giudice il quale puo' anche nominare un curatore speciale; il giudice, dopo lo spostamento di competenza, altri non puo' essere che il tribunale per i minorenni il quale valutera' l'interesse del minore alla proposizione dell'azione o se non ha i mezzi e gli elementi per effettuare tale valutazione ne deleghera' il compito ad un curatore speciale. Il figlio ultra-sedicenne invece, deve prestare il proprio consenso per l'inizio od il proponimento dell'azione. Trattasi infatti di diritti ed interessi personalissimi rimessi alla autovalutazione del titolare, appena questi ne abbia la capacita' naturale. Quando invece tale capacita' manca, e' stato dalla legge nel caso del tutore ritenuta necessaria una preventiva valutazione dell'organo statuale il quale per mezzo dell'autorizzazione rinnova l'ostacolo che deriva dalla natura personalissima del diritto azionato, al promuovimento dell'azione stessa. Orbene non si comprende perche' il genitore che esercita la potesta' prevista dell'art. 316 del c.c. possa invece liberamente agire in giudizio e la sua richiesta, neppure nella successiva fase di esame di ammissibilita' dell'azione non debba essere valutata quale corrispondente o meno all'interesse del minore". Esattamente il p.m. continua osservando come l'assunzione della figura genitoriale in un momento successivo alla nascita e' un'altra delle caratteristiche che accomuna i procedimenti ex artt. 250, 269 e 284 del c.c. e che, proprio in vista del momento in cui nasce il rapporto, il legislatore ha ritenuto di meglio tutelare l'interesse del minore alla instaurazione del rapporto medesimo con l'anticipazione dell'intervento statuale (art. 250, quarto comma, e 284 del c.c.) al momento dell'accertamento costitutivo del rapporto diminuendo grandemente, in tale modo, la probabilita' dell'insorgere della necessita' di un secondo intervento giurisdizionale ai sensi degli artt. 330 e segg. del c.c. - "Quest'ultimo procedimento, infatti, e' riparatorio e non preventivo del danno subito dal minore per il cattivo esercizio della potesta' e quindi meno idoneo a tutelare il minore medesimo. Ugualmente riparatori quindi sono i provvedimenti di cui all'art. 277 del c.c., e non si vede perche' il momento della valutazione dell'interesse del minore, saliente ed irrinunciabile, deve essere procrastinato al momento in cui l'interesse tutelato puo' essere ormai compromesso piu' o meno definitivamente. In conclusione se la nascita del rapporto di filiazione coincide con la nascita biologica, sarebbe impensabile uno strumento di tutela preventiva e quindi sono necessari, se del caso, gli interventi successivi ex art. 330 e segg. del c.c.; ma se il rapporto di filiazione nasce in un momento successivo a quello della nascita biologica del figlio, il legislatore ritiene necessaria una preventiva valutazione dell'interesse di quest'ultimo anche a fine di evitare, quanto piu' possibile, l'intervento ex art. 330 e segg. del c.c. sempre e comunque traumatico per tutti i soggetti interessati. Solo nell'ipotesi di cui agli artt. 269 e segg. manca la previsione di una valutazione preventiva". Queste considerazioni inducono a ritenere il dubbio di costituzionalita' degli artt. 273 e 274 del c.c. in relazione all'art. 3 "in quanto la dizione delle norme del c.c. non permette al giudice la valutazione dell'interesse sostanziale del minore alla dichiarazione giudiziale di paternita' o maternita', quanto meno nell'ipotesi, come nella fattispecie, che sia il genitore ad agire; valutazione che invece non solo e' richiesta a norma di legge per altri istituti che hanno come effetto instaurazione del rapporto di filiazione, ma che anche, nel sistema, costituisce il principale tratto che caratterizza e giustifica la specializzazione del giudice minorile, come ad esempio in tutto l'iter adozionale in cui a norma di legge l'interesse del minore e' preminente sia rispetto alla filiazione biologica, che viene giuridicamente resa inefficace, sia rispetto alla filiazione adottivo che viene instaurata con quella coppia di adulti che meglio possano rispondere ai bisogni del minore e quindi realizzare il suo interesse". E' dinanzi all'ampiezza e allo spazio riservati a questo interesse, riconosciuto dal legislatore negli istituti sopra menzionati, che devono essere ridimensionate le valutazioni incentrate sulla preminenza, in ogni caso, dell'interesse pubblico alla certezza dello status della persona, certezza rispetto alla quale il legislatore, con sua scelta insindacabile, ha inteso chiaramente e piu' volte, come sopra illustrato, apportare una deroga a miglior tutela del minore. Per altro verso la rilevanza costituzionale ex art. 30 della Costituzione dell'interesse del minore al mantenimento e all'istruzione (attuabili attraversso il contributo patrimoniale del genitore dichiarato tale) non puo' dirsi che abbia maggiore rilevanza e dignita' rispetto al diritto, ugualmente rilevante costituzionalmente, ad una adeguata educazione la quale, a ogni evidenza, puo' essere impartita solo da un genitore degno di esercitare la potesta' genitoriale. Per quanto concerne la rilevanza nella fattispecie della sollevata questione di legittimita', e' da osservare che teoricamente essa e' riscontrabile in ogni caso in quanto e' evidente che, a parte il dubbio circa la capacita' genitoriale gia' suggerito dal fatto stesso della latitanza e della riluttanza di un soggetto ad assumere le proprie responsabilita', non e' possibile, se non attraverso una apposita e mirata istruttoria diretta a tal fine, appurare le caratteristiche e le capacita' della persona convenuta. Ma, a parte queste considerazioni, puo' nondimeno affermarsi che, nella fattispecie, si profilano alcune connotazioni e talune circostanze, quale "il comportamento contraddittorio ed ambivalente che il resistente ha tenuto nei confronti sia della ricorrente che del nascituro" che, come afferma il p.m., dimostrano oggettivamente "in quali grosse difficolta' - il convenuto si troverebbe dovendosi confrontare con un rapporto di filiazione per di piu' imposto e non liberamente scelto. Ne', a quanto risulta, il Brucchietti, che certamente non e' in grado di offrire al figlio un valido modello affettivo genitoriale, sembra possa garantire allo stesso un apporto materiale ed economico tale da far ritenere quest'ultimo tipo di vantaggi prevalenti sullo svantaggio di essere un cattivo genitore. Infine non va sottovalutato il rischio che una volta pervenuti alla dichiarazione di paternita' del Brucchietti, al solo scopo di ritorsione nei confronti della ricorrente possa usare il figlio disturbando cosi' una crescita che, come dalla stessa Michelangeli affermato, e' sana, allegra ed affettivamente piena. Deve essere quindi preventivamente valutato l'interesse del piccolo Flavio ad avere un padre che tale non vuole e non puo', sotto il profilo psichico, essere".