IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso sul ricorso n. 982/1989 proposto dall'ins. Gilistro Giuseppa, rappresentata e difesa dall'avv. Domenico Condorelli, presso il cui studio, sito in Catania, via Parramuto n. 24, e' elettivamente domiciliata; contro il provveditore agli studi di Catania pro-tempore rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege; per l'annullamento previa sospensione, del decreto del provveditore agli studi di Catania n. 73647 del 18 marzo 1989 (notificato il 30 marzo 1989), con il quale e' stato annullato il decreto n. 73647 del 10 giugno 1987 di mantenimento in servizio della ricorrente fino al 31 agosto 1992 e l'interessata e' stata collocata a riposo con effetto dal 1 settembre 1987; e per ottenere la riammissione in servizio della ricorrente presso la scuola materna statale Plesso "Rosario" di Vizzini; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione scolastica intimata, con il patrocinio dell'avvocatura erariale; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la camera di consiglio del 7 luglio 1989 il referendario dott. Ettore Leotta; Udito l'avv. Domenico Condorelli per la ricorrente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO La ricorrente ins. Gilistro Giuseppa, nata a Vizzini il 5 gennaio 1922, aveva conferito un incarico a tempo indeterminato in qualita' di insegnante di scuola materna statale a decorrere dal 5 novembre 1976. Veniva immessa in ruolo con decorrenza giuridica dal 1 settembre 1977 ed economica dal 1 settembre 1979. Con decreto n. 73647 del 10 giugno 1987, il provveditore agli studi di Catania ne disponeva il mantenimento in servizio sino al 31 agosto 1992, al fine di farle conseguire il diritto a pensione. Successivamente, con decreto n. 73647 del 18 marzo 1989, lo stesso provveditore agli studi annullava l'atto di mantenimento in servizio dell'ins. Gilistro e ne disponeva il collocamento a riposo, "con decorrenza dal 1 ottobre 1987". Con il presente gravame, la ricorrente ha impugnato il d.p. n. 73647 del 18 marzo 1989, deducendo a sostegno delle proprie ragioni le seguenti censure: 1. - Eccesso di potere - Contraddittorieta' - Contrasto con precedenti provvedimenti - Illogicita'. L'amministrazione avrebbe tenuto nei confronti della ricorrente un comportamento contraddittorio: assoggettando gli emolumenti mensili corrisposti all'interessata alle trattenute per la quiescenza; emettendo il decreto di mantenimento in servizio del 10 giugno 1987 n. 73647. Tutto cio' avrebbe ingenerato nell'ins. Gilistro un'aspettativa ed un affidamento nel futuro trattamento pensionistico. 2. - Eccesso di potere - Carenza di motivazione. Nell'atto impugnato non sarebbero state esternate le ragioni d'interesse pubblico, che giustificano l'annullamento del d.p. del 10 giugno 1987. 3. - Eccesso di potere. Violazione del principio della continuita' didattica. La ricorrente avrebbe comunque dovuto essere mantenuta in servizio sino al termine dell'anno scolastico. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 477/1973, nella parte in cui esclude dai benefici minimi previsti dalla norma i dipendenti assunti successivamente al 1 ottobre 1974 ed i dipendenti che, assunti successivamente al 1 ottobre 1974, abbiano compiuto i sessantacinque anni senza raggiungere il minimo trattamento pensionistico. La norma in epigrafe si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 4 e 97 della Costituzione, in quanto: a) opererebbe una discriminazione tra il personale assunto anteriormente al 1 ottobre 1974 ed il personale assunto in data successiva; b) violerebbe il diritto al lavoro, penalizzando i dipendenti ultrasessantacinquenni, ancorche' privi del diritto al trattamento di quiescenza. L'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, costituendosi in giudizio, ha dedotto l'inammissibilita' e l'infondatezza del gravame, del quale ha chiesto il rigetto. Nella camera di consiglio del 7 luglio 1989, il tribunale, con ordinanza n. 563/1989, in accoglimento temporaneo della domanda cautelare, ha disposto la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, a seguito di decisione dell'incidente di costituzionalita', sollevato con la presente ordinanza. DIRITTO 1. - Il collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' del personale, ispettivo, direttivo, docente e non docente delle scuole statali di ogni ordine e grado e' disciplinato dall'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477, e dall'art. 109, primo comma, del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417. L'art. 15 della legge n. 477/1973 cosi' dispone: "A decorrere dal 1 ottobre 1974 il collocamento a riposo per raggiunti limiti di eta' per il personale ispettivo, direttivo, docente e non docente della scuola materna, primaria, secondaria ed artistica avviene il 1 ottobre successivo alla data di compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. Al personale ispettivo, direttivo, docente e non docente in servizio al 1 ottobre 1974 che, per effetto del disposto del comma precedente, debba essere collocato a riposo per raggiunti limiti di eta' e non abbia raggiunto il numero di anni di servizio attualmente richiesto per il massimo della pensione e' consentito rimanere in servizio su richiesta fino al raggiungimento del limite massimo e comunque non oltre il settantesimo anno di eta'. La disposizione di cui al comma precedente si applica fino al conseguimento dell'anzianita' minima per la quiescenza anche al personale che, in servizio al 1 ottobre 1974, al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' non abbia raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione". Con sentenza n. 207 del 9 luglio 1986 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del terzo comma dell'art. 15 citato, limitatamente alle parole "fino al conseguimento dell'anzianita' minima per la quiescenza". Con il primo comma dell'art. 15 della legge n. 477/1973, il legislatore ha voluto uniformare la normativa del collocamento a riposo per limiti di eta' del personale insegnante, eliminando i regimi differenziati all'epoca del personale insegnante, eliminando i regimi differenziati all'epoca esistenti tra le varie categorie di docenti. Infatti, prima che fosse introdotta la nuova disciplina unitaria, i docenti delle scuole secondarie erano collocati a riposo, qualunque fosse la loro anzianita' di servizio, al termine dell'anno scolastico in cui compivano il settantesimo anno di eta' (legge 7 giugno 1951, n. 500). Viceversa per gli insegnanti elementari il collocamento a riposo era previsto a decorrere dal 30 settembre successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (art. 1 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, ed articolo unico della legge 9 agosto 1954, n. 637). Parimenti per il personale non docente delle scuole statali il collocamento a riposo era previsto al compimento del sessantacinquesimo anno (art. 1, primo comma della legge 15 febbraio 1958, n. 46). Allorche' il limite di eta' per la permanenza in servizio e' stato unificato per tutto il personale scolastico a sessantacinque anni, il legislatore, al fine di non pregiudicare la posizione di coloro che contavano di essere collocati in pensione al compimento del settantesimo anno, ha introdotto delle particolari disposizioni secondo e terzo comma dell'art. 15 della legge n. 477/1973), in forza delle quali e' stato consentito a tutti i docenti ed i non docenti, in servizio al 1 ottobre 1974, di continuare a svolgere la loro attivita' lavorativa: a) fino a maturare il periodo di servizio richiesto per il massimo della pensione e comunque fino al settantesimo anno; b) fino al settantesimo anno, ove al compimento del sessantacinquesimo anno non fosse stato raggiunto il numero di anni richiesto per il minimo della pensione. A ben vedere, tenuto conto della pregressa normativa, tale particolare regime di lavoro avrebbe dovuto essere previsto soltanto per i docenti delle scuole secondarie di ogni ordine e grado, contemplati dalla legge 7 giugno 1951,,n. 500. Invece il legislatore ha esteso le c.d. norme transitorie anche agli insegnanti elementari e delle scuole materne, nonche' ai non docenti, per i quali il collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno non costituiva un quid novi. L'art. 109, primo comma del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417, (emanato dal Governo in forza della delega contenuta nella legge n. 477/1973) si e' limitato a prevedere che il personale docente "e' collocato a riposo, per raggiunti limiti di eta', dal 1 ottobre successivo alla data del compimento del sessantacinquesimo anno di eta' "omettendo di richiamare le prescrizioni di cui all'art. 15 della legge n. 477/1973. Analogamente, nessuna particolare disposizione sul collocamento a riposo per limiti di eta' del personale non docente e' data di rinvenire nel d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420 (emanato dal Governo sempre in forza della delega di cui alla legge n. 477/1973), il cui art. 39 si e' limitato a richiamare, per quanto non previsto, le norme sullo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato. Oltre alla particolare normativa, propria del personale della scuola, occorre individuare le disposizioni di carattere generale che disciplinano il collocamento a riposo per limiti di eta' del personale civile dello Stato. L'art. 6 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 9 maggio 1974, n. 120) ribadisce, al primo comma, che tutti gli impiegati civili di ruolo e non di ruolo vanno collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta'. La medesima disposizione, al terzo comma, fa salve le norme che stabiliscono limiti fissi di eta' per gli appartenenti a particolari categorie, quelle che stabiliscono per il personale insegnante una particolare decorrenza della cessazione dal servizio, nonche' le norme che prevedono il trattamento in servizio dopo il raggiungimento dei limiti fissi di eta'. 2. - Richiamata la normativa in atto vigente in materia di collocamento a riposo per limiti di eta' del personale della scuola, il tribunale puo' ora procedere all'esame della pretesa fatta valere dalla ricorrente con l'atto introduttivo del giudizio. La signora Gilistro Giuseppa, insegnante di scuola materna, nata il 5 gennaio 1922, e' stata nominata a tempo indeterminato dal 5 novembre 1976, ed e' stata immessa in ruolo ope legis con decorrenza giuridica dal 1 settembre 1977 ed economica dal 1 settembre 1979. Il provveditore agli studi di Catania con decreto n. 73647 del 10 giugno 1987 ha disposto il mantenimento in servizio dell'interessata fino al 31 agosto 1992, al fine di farle conseguire il diritto a pensione. Successivamente lo stesso provveditore, con decreto di pari protocollo del 18 marzo 1989 ha annullato l'atto di mantenimento in servizio ed ha collocato a riposo la Gilistro "con decorrenza dal 1 settembre 1987", motivando la propria determinazione con il fatto che l'interessata non era in servizio al 1 ottobre 1974. Con il presente ricorso, la Gilistro ha impugnato il decreto di collocamento a riposo, deducendo il vizio di eccesso di potere sotto vari profili (contraddittorieta' con precedenti atti della p.a.; difetto di motivazione; violazione del principio della continuita' didattica) e l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 477/1973. Il collegio, chiamato a deliberare in sede cautelare il fumus boni juris del gravame, non puo' fare a meno di rilevare che gli atti di mantenimento in servizio e di collocamento a riposo dei dipendenti pubblici rientrano nell'attivita' vincolata della pubblica amministrazione, onde nei loro confronti il vizio di eccesso di potere non e' configurabile (cfr. Cons. Stato IV, 18 marzo 1980, n. 272). Cio' dovrebbe comportare, allo stato, la reiezione della richiesta di inibitoria. 3. - Tuttavia, prima di adottare una pronuncia in proposito, il tribunale ritiene necessario che debba essere verificata la conformita' ai precetti costituzionali dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, nella parte in cui non prevede il mantenimento in servizio fino al settantesimo anno dei docenti e dei non docenti ultrasessantacinquenni, assunti dopo il 1 ottobre 1974, i quali non abbiano maturato l'anzianita' minima richiesta dalla legge per ottenere il trattamento di quiescenza. In proposito, debbono essere formulate le seguenti considerazioni. A) Nel settore del pubblico impiego esiste una stretta connessione tra il limite di eta' per l'assunzione dei dipendenti pubblici ed il limite di eta' prescritto per il loro collocamento a riposo, determinato in modo tale da garantire il conseguimento del diritto a pensione. L'esistenza di tale principio di carattere generale puo' essere agevolmente dimostrata raffrontando le norme vigenti in materia. I - L'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (nel testo modificato dall'art. 1 della legge 27 gennaio 1989, n. 25) consente la partecipazione ai concorsi pubblici da parte dei candidati di eta' non inferiore agli anni 18 e non superiore ai 40, nonche' da parte di coloro che non abbiano superato gli anni 45 ed appartengono a categorie per le quali siano previste deroghe da leggi speciali. A sua volta, l'art. 42, primo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, prescrive che i dipendenti che cessano dal servizio al raggiungimento del limite di eta' hanno diritto alla pensione normale se hanno compiuto 15 anni di effettivo servizio. Tra queste due disposizioni esiste un'intima correlazione, dal momento che: a) il limite di eta' per l'assunzione e' riferito alla data di scadenza del termine di presentazione delle domande di ammissione ai concorsi (art. 2, ultimo comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3). L'espletamento di un pubblico concorso richiede tempi lunghi (talvolta passano anni dalla presentazione delle domande di partecipazione alla nomina dei vincitori) e l'amministrazione ha facolta' di coprire i posti rimasti scoperti per rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori, nel termine di due anni dalla data di approvazione della graduatoria (art. 8 del. d.P.R. n. 3/1957). Conseguentemente coloro che appartengono a categorie aventi titolo all'elevazione del limite di eta' possono di fatto assumere servizio anche dopo parecchio tempo dalla pubblicazione del bando e quindi alla soglia dei cinquant'anni; b) tenuto conto che il limite di eta' per il collocamento a riposo e' costituito dal compimento del sessantacinquesimo anno, il legislatore ha conseguentemente previsto che coloro che iniziano l'attivita' lavorativa presso una pubblica amministrazione a quasi cinquanta anni di eta' possono conseguire il diritto a pensione con quindici anni di effettivo servizio. II - Allorche' disposizioni speciali hanno previsto l'assunzione agli impieghi prescindendo dai limiti di eta' indicati dall'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, il legislatore si e' preoccupato di far conseguire il diritto a pensione agli interessati, elevando il limite di eta' per il collocamento a riposo. Cio' e' avvenuto con l'art. 13 della legge 26 dicembre 1981, n. 763 (recante la normativa organica per i profughi), che cosi' dispone: "Ai soli fini delle assunzioni previste dalla legge 2 aprile 1968, n. 482, presso pubblici e privati datori di lavoro, i profughi, in possesso della formale qualifica, che siano disoccupati e che non abbiano superato il cinquantacinquesimo anno di eta', sono equiparati agli invalidi civili di guerra, di cui al secondo comma dell'art. 2 della detta legge. I benefici di cui alla legge 2 aprile 1968, n. 482, e' riconosciuto ai profughi, in possesso della formale qualifica, fino alla maturazione del periodo previdenziale minimo ai fini del conseguimento della pensione". Con sentenza n. 1028 del 26 luglio 1988, questo tribunale, sezione prima, ha precisato che la normativa richiamata e' coerente con la disciplina del trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato, permettendo ai profughi, i quali al termine legale del loro rapporto d'impiego non abbiano raggiunto un numero di anni di servizio sufficiente per ottenere il minimo della pensione, di restare eccezionalmente in servizio per conseguire quel diritto. III - Un intento analogo a quello di cui all'art. 13 della legge 26 dicembre 1981, n. 763, stato perseguito dal legislatore anche con l'art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1973. A ben vedere, tale disposizione ha natura duplice, trattandosi di: a) Norma transitoria di favore, nei confronti dei docenti delle scuole secondarie che, collocabili a riposo al compimento del settantesimo anno in forza della legge 7 giugno 1951, n. 500, avevano maturato delle legittime aspettative in ordine alla maturazione del diritto a pensione e che dalla riduzione del limite di eta' a sessantacinque anni avrebbero potuto essere pregiudicati irrimediabilmente; b) norma volta a garantire il diritto al trattamento di quiescenza di tutti i dipendenti della scuola statale che, assunti in ruolo ope legis e non per concorso (e quindi prescindendo dai limiti di eta' di cui all'art. 2 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3), non avrebbero potuto effettuare il servizio minimo richiesto dalla legislazione sulle pensioni, ove fossero stati mantenuti in servizio fino al sessantacinquesimo anno.(Per il personale scolastico le assunzioni in ruolo ope legi, sono un fenomeno assai ricorrente). Se il legislatore avesse perseguito unicamente la finalita' di cui alla superiore lett. a), la norma in esame avrebbe dovuto essere applicata limitatamente ai docenti delle scuole secondarie. Viceversa, rilevato che l'art. 15, terzo comma, si riferisce a tutte indistintamente le categorie del personale della scuola (ivi compresi i docenti delle scuole materne ed elementari ed i non docenti che, in forza della pregressa normativa, andavano collocati a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno), e' da ritenere che l'intendimento di cui alla lett. b) sia stato prevalente, rispondendo oltretutto ad una precisa esigenza di equita' sociale. Il legislatore non ha tuttavia portato tale scelta alle sue naturali conseguenze ed ha limitato il beneficio al personale in servizio al 1 ottobre 1974. Ad avviso di questo tribunale, l'esclusione dal mantenimento in servizio oltre il sessantacinquesimo anno dei docenti e dei non docenti assunti dopo il 1 ottobre 1974 (giustificabile ove l'art. 15, terzo comma, avesse avuto soltanto natura di norma transitoria, riferita unicamente ai docenti delle scuole secondarie) appare irrazionale e discriminatoria, dal momento che la disposizione in esame e' volta prevalentemente a garantire il diritto al trattamento minimo di pensione di tutti i dipendenti della scuola statale, anche se assunti in ruolo dopo il superamento dei limiti di eta' indicati dalla legge per partecipare ai pubblici concorsi. In sostanza, con tale limitazione si e' introdotta un'ingiustificata disparita' di trattamento tra dipendenti pubblici, chiamati ad esplicare identiche funzioni, in palese violazione dell'art. 3 della Costituzione. La diversa disciplina dell'eta' di collocamento a riposo dei docenti, a seconda che si siano trovati o meno in servizio al 1 ottobre 1974, non appare al collegio frutto di un ragionevole uso della discrezionalita' legislativa, poiche' l'esigenza di raggiungere un numero di anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione e' un interesse di tutti i lavoratori, a prescindere dall'epoca della loro assunzione. B) Va rilevato altresi' che la Corte costituzionale, con sentenza n. 238 del 24 febbraio-3 marzo 1988, ha posto in evidenza che l'esigenza di mantenere eccezionalmente in servizio un impiegato per un numero di anni sufficiente per ottenere il minimo della pensione va ricondotta, in via generale, ad un interesse tutelato dalla Costituzione come diritto del lavoratore in quanto tale (art. 38, secondo comma, della Costituzione), nei cui confronti appare perfino indifferente la circostanza che il dipendente risulti inserito in un rapporto d'impiego pubblico o in uno di tipo privato. Con la medesima sentenza, la Corte costituzionale ha chiarito che non si puo' rinvenire nella legislazione statale un principio consistente nel divieto assoluto di mantenere in servizio i dipendenti che abbiano raggiunto il limite massimo dell'eta' lavorativa legislativamente fissato per la categoria interessata. Al contrario, il principio oggi vigente permette che l'anzidetto limite possa essere eccezionalmente derogato a fini assicurativi o previdenziali. Cio', in quanto l'ordinamento deve tendere a "conferire il massimo di effettivita' alla garanzia del diritto sociale alla pensione, sotto forma del diritto ad una giusta retribuzione differita, riconosciuto dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione". L'art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1973 si pone in contrasto con la predetta disposizione costituzionale, non consentendo il conseguimento del diritto alla pensione minima da parte di quei lavoratori che, entrati in ruolo successivamente al 1 ottobre 1974, ad un'eta' inoltrata, in base alle regole generali del collocamento a riposo non riuscirebbero a completare il periodo di lavoro per ottenere il trattamento di quiescenza soltanto per pochi anni, se non addirittura per qualche mese o pochi giorni. Tale disposizione inoltre, non consentendo la permanenza in servizio di coloro che non hanno raggiunto l'anzianita' contributiva di legge, lede il diritto sociale alla pensione minima, impedendo che alcuni lavoratori come la ricorrente, pur avendo versato un numero di contributi non indifferente, perdono la possibilita' di godere del trattamento minimo di quiescenza per non aver potuto completare il periodo contributivo per poco tempo, venendo meno a quell'esigenza equitativa di rendere effettivo il diritto a pensione. Nel senso della necessita' della tutela del diritto al lavoro ed alla pensione nei confronti dei lavoratori ultrasessantacinquenni si e' pronunciata la Corte costituzionale, sia pure con riferimento all'impiego privato, con sentenza n. 176 del 27 giugno 1986. In base alle considerazioni che precedono, il sospetto di incostituzionalita' dell'art. 15, terzo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, nella parte in cui sono esclusi dalla possibilita' di permanere in servizio oltre il sessantacinquesimo anno i dipendenti scolastici assunti dopo il 1 ottobre 1974, appare non manifestamente infondato e rilevante ai fini della decisione. Circa la rilevanza della questione prospettata, va evidenziato che la sorte del ricorso e' indissolubilmente legata all'esito del giudizio di costituzionalita' del citato art. 15, terzo comma, della legge n. 477/1973, dal momento che la domanda della ricorrente puo' essere accolta solo in quanto risulti fondata la sollevata questione di legittimita' costituzionale.