IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 1134/1989 proposto da Giucastro Enrico, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Vaccaro ed elettivamente domiciliato in Catania, via F. Crispi n. 225, contro: il Comando del distretto militare di Catania, in persona del comandante pro-tempore, non costituito in giudizio; il Ministero della difesa, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria; per l'annullamento previa sospensione, della cartolina precetto inviatagli dal Ministero della difesa, Comando militare mittente distretto di Catania con la quale gli e' fatto obbligo di presentarsi il giorno 6 luglio 1989 presso il 60 btg. F. "Col di Lana" di Trapani per prestare il servizio militare di leva; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa; Visti gli atti tutti della causa; Designato relatore per la camera di consiglio dell'8 luglio 1989 il referendario dott. Carlo Taglienti; Udito l'avv. Giovanni Vaccaro per il ricorrente; Ritenuto il fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Con il gravame introduttivo del giudizio si espone che al ricorrente in data 7 giugno 1989 e' stata comunicata la cartolina-precetto impugnata con la quale si disponeva che lo stesso era tenuto a presentarsi il giorno 6 luglio 1989 presso il 60 btg. F. "Col di Lana" di Trapani per adempiere al servizio di leva. Il ricorrente aveva gia' usufruito del ritardo nella prestazione del servizio di leva per motivi di studio sino al 1987, giacche' non aveva presentato richiesta di rinvio per l'anno 1988. Il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo per violazione dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191, in quanto prevede che, cessato il titolo del ritardo, coloro che ne fruiscono sono tenuti a prestare il servizio militare con il primo scaglione o contingente chiamato alle armi se dell'esercito o dell'aeronautica, con la conseguenza che sarebbe inibito all'amministrazione disporre la chiamata con ulteriori scaglioni senza limiti temporali, come e' avvenuto nella fattispecie oggetto del giudizio. Il Ministero della difesa, costituitosi in giudizio con il patrocinio dell'avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, ha chiesto il rigetto del gravame. Nella camera di consiglio dell'8 luglio 1989 il tribunale amministrativo regionale con coeva ordinanza collegiale n. 603 in accoglimento temporaneo della domanda cautelare, ha disposto la sospensione della esecuzione del provvedimento impugnato con il gravame di cui in epigrafe sino alla camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione dell'incidente di costituzionalita', sollevato con la presente ordinanza. DIRITTO 1. - Il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 21, secondo comma, della legge 31 maggio 1975, n. 191, per contrasto con gli articoli 3, 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione. Occorre premettere a tal proposito che secondo una prevalente giurisprudenza dei tribunali amministrativi regionali l'art. 21 della legge 31 maggio 1975, n. 191 - il quale prevede che, cessato il titolo al ritardo della chiamata alle armi, coloro che ne fruiscono sono tenuti a prestare il servizio militare col primo scaglione o contingente successivo - non puo' essere interpretato nel senso di generico riconoscimento all'amministrazione della difesa del potere di disporre la effettiva chiamata alle armi dell'interessato, ma piuttosto nel senso di specifica prescrizione dei tempi di esercizio di siffatto potere (t.a.r. Veneto 21 gennaio 1986, n. 5; t.a.r. Friuli-Venezia Giulia 20 gennaio 1986, n. 5; t.a.r. Sicilia Palermo, sez. II, 31 maggio 1988, n. 413). Il predetto orientamento giurisprudenziale e' stato condiviso dalla sezione staccata di Catania, del t.a.r. della Sicilia, che con numerose ordinanze ha sospeso provvedimenti di chiamata alle armi adottati in violazione del precetto normativo di cui all'art. 21 della legge n. 191/1975, interpretato nel modo predetto. Il giudice d'appello, e segnatamente il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana, con la decisione n. 110 del 19 aprile 1989 ha annullato la sentenza del t.a.r. Sicilia - sede di Palermo, n. 413/1988, muovendo dal presupposto che il termine di cui all'art. 21 della legge citata, non puo' avere carattere perentorio, per cui "mentre da un lato riafferma l'obbligo per l'arruolato di adempiere all'obbligo militare senza ulteriori indugi, assume carattere sollecitatorio nei confronti dell'amministrazione". La conseguenza di tale assunto e' che non sussisterebbe un termine nel sistema normativo di cui alla legge n. 191/1975 volto a limitare temporalmente il potere di imporre la chiamata alle armi. 2. - La decisione del giudice d'appello, lungi dal costituire un precedente vincolante nei confronti dei giudici di primo grado assume indubbiamente rilievo e cio' soprattutto in relazione alla esigenza di assicurare, sempre nei limiti della liberta' di coscienza del giudice, la certezza del diritto. Quanto mai dannoso si appalesa infatti un contrasto giurisprudenziale prolungato nel tempo sia in relazione alla azione della pubblica Amministrazione che in relazione all'assetto degli interessi privati in contestazione. Alla luce delle predette considerazioni il collegio muove dal presupposto che la interpretazione del dato normativo prescelta dal Giudice d'appello sia corretta per ritenere la questione di costituzionalita' rilevante al fine della decisione del gravame. La violazione dell'art. 21 della legge n. 191/1975 e', infatti, l'unico motivo di gravame; la soluzione esegetica propugnata dal giudice d'appello, determinerebbe il rigetto del gravame. Qualora invece la norma invocata fosse ritenuta incostituzionale, ovvero qualora la Corte costituzionale interpretasse il dato normativo in conformita' con i precetti costituzionali potrebbe pervenirsi all'accoglimento del gravame. 3. - Cio' premesso il collegio ritiene la questione di costituzionalita' dell'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1975 per contrasto con gli artt. 23, 52 e 97, primo comma, della Costituzione, non manifestamente infondata. In primo luogo e' opportuno ricordare che assume rilievo di principio costituzionale quello per cui nessuna prestazione personale possa essere imposta se non in base alla legge (art. 23 della Costituzione). L'art. 52 disciplina il servizio militare sia quale dovere del cittadino di difesa della Patria che quale obbligo comportante prestazione personale che va disciplinato per legge sia nelle modalita' che nei limiti. Per quanto riguarda il servizio militare, inoltre, il legislatore costituzionale ha fatto assurgere a principio ispiratore della attivita' legislativa quello relativo alla esigenza di non pregiudicare le posizioni lavorative e l'esercizio dei diritti politici. Il legislatore ha puntualmente disciplinato le modalita' ed i limiti (anche temporali) per l'esercizio del potere di imposizione del servizio di leva, in cio' dando concreta e sostanziale applicazione alla riserva di legge imposta dalla Costituzione. La normativa che disciplina, infatti, la chiamata alle armi per il servizio di leva contiene una serie di norme volte a limitare temporalmente il predetto potere ed in particolare prevede: all'art. 3 della legge 31 maggio 1975, n. 191, che la chiamata alle armi ha luogo nell'anno in cui i giovani arruolati compiono il diciannovesimo anno di eta', dando facolta' al Ministero per la difesa di anticipare o ritardare di un anno la chiamata stessa, quando speciali circostanze lo esigono; all'art. 100, lett. b), del d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 (norma ancora vigente ai sensi dell'art. 40 della legge n. 191/1975), che e' data la facolta' di dispensare dal compiere la ferma di leva agli arruolati eccedenti il fabbisogno quantitativo e qualitativo per la formazione dei contingenti o scaglioni di incorporare. Invero di discrezionalita' nel quid e nel quomodo non puo' parlarsi essendo l'evenienza regolata da rigide norme sostanziali e procedimentali, mentre anche la discrezionalita' nell' an e' strettamente vincolata dall'esistenza o meno della copertura di bilancio, onde non si vede dove possa trovare spazio una qualsiasi ponderazione di interessi pubblici da parte del Ministro, essendo l'intera vicenda o regolamentata da norme procedimentali tassative o rigidamente dipendente dalla concreta contingente situazione di bilancio. La predetta procedura che limita temporalmente la chiamata alle armi trova ragione di essere in quanto quest'ultima rappresenta al massimo grado di evidenza il momento dell'ablazione obbligatoria ed ha come immediato effetto quello di rendere operativa le situazioni soggettive (in prevalenza obblighi di prestazione) riferibili allo status di militare. Le norme predette trovano ovvia ratio sia nella esigenza di disciplinare temporalmente l'imposizione della prestazione personale, che altrimenti sarebbe sottratta alla riserva di legge, sia nella esigenza di non pregiudicare la posizione lavorativa del cittadino. Quest'ultimo, infatti, in caso di arruolamento, in via di fatto, subisce un danno derivante dalla soggezione all'obbligo di chiamata alle armi, che molto spesso e' causa ostativa dell'assunzione nelle imprese private e situazione che non consente scelte programmatiche di studio post-universitario o di attivita' professionali o lavorative autonome. Il limite temporale della chiamata alle armi ed il conseguente interesse legittimo a conseguire la dispensa ex art. 100, lett. b), del d.P.R. n. 237/1964, rispondono quindi a finalita' che trovano puntuale affermazione in norme costituzionali. La stessa Corte costituzionale ha ritenuto che il termine per la chiamata alle armi non ha natura ordinatoria in quanto posto per assicurare esigenze di valenza costituzionale, con la sentenza n. 164 del 6-24 maggio 1985. La Corte con quest'ultima decisione, in relazione alla natura del termine di cui all'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, ha precisato che "proprio perche' il termine ivi previsto non puo' essere considerato meramente ordinatorio perde consistenza l'asserto secondo cui chi si dichiara obiettore di coscienza resterebbe - a differenza degli altri obbligati alla leva - per un periodo indeterminabile alla merce' dell'amministrazione, esposto al rischio di comportamenti vessatori". La stessa Corte costituzionale con la sentenza richiamata ha rivolto un preciso monito alla amministrazione precisando "che di pari passo con la ricerca di soluzioni anche pratiche tendenti a realizzare equipollenza di contenuti tra i diversi tipi di servizio previsti per gli obbligati alla leva, ci si debba attendere una piu' puntuale applicazione dell'art. 3, secondo comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772, onde circoscrivere al minimo indispensabile gli innegabili disagi connessi ad ogni prolungata attesa. Al superamento degli inconvenienti, che si sono verificati e si verificano in concreto, dovrebbero dare sicuramente contributo positivo, oltre al progressivo assestamento delle varie componenti dell'istituto, sia l'impiego di strumenti organizzativi fortemente acceleratori quali l'informatica mette sempre piu' a disposizione". Operate le superiori premesse il collegio ritiene che se si ritenesse l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1971 norma che deroga al principio normativo per cui la chiamata alle armi non va disposta entro un termine perentorio, dovrebbero ritenersi violati l'art. 3 e l'art. 52 della Costituzione in quanto si determinerebbe una disparita' di trattamento rispetto agli arruolati i quali non usufruiscono del diritto al rinvio della chiamata alle armi. Questi ultimi infatti per il combinato disposto dell'art. 3, primo comma della legge n. 191/1975 e dell'art. 100, lett. b), del d.P.R. n. 237/1964, debbono essere depennati dalla chiamata alle armi in caso di eccedenza del fabbisogno dei contingenti nell'anno successivo al compimento del diciannovesimo anno di eta'. Inoltre qualora si ritenesse che l'art. 21, secondo comma, della legge n. 191/1985 non contenga un termine perentorio per la chiamata alle armi dovrebbero anche ritenersi violati gli artt. 52 e 23 della Costituzione perche' impone una prestazione personale (servizio di leva) senza limitazione temporale e quindi senza indicazione del limite e delle modalita' la cui disciplina e' coperta da riserva di legge. Infine l'art. 21, secondo comma, della legge citata viola l'art. 97, primo comma, della Costituzione in quanto profila, in materia soggetta a riserva di legge, un esercizio delle potesta' pubbliche non improntato alla esigenza costituzionale del buon andamento e della imparzialita'. Il collegio ritiene, pertanto, conclusivamente che ricorrono i presupposti normativi per la rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Va pertanto disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della sopra prospettata questione di costituzionalita'.