LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO O S S E R V A Belli Cesare, Conti Romano, Conti Pier Luigi e Giordani Maria Jose' propongono appello avverso la sentenza n. 935/87 della commissione tributaria di primo grado di Pisa con la quale erano stati dichiarati improcedibili alcuni ricorsi e respinti nel merito altri. I ricorsi in primo grado erano stati proposti dagli appellanti e da Gabbani Enza per l'annullamento degli avvisi di accertamento dell'u.i.d. di Pontedera relativi all'Ilor ed Irpef per gli anni dal 1976 al 1979 e dal solo Belli Cesare avverso l'iscrizione a ruolo operata dall'ufficio a norma dell'art. 15 del d.P.R. n. 603 per gli anni 1976/79. Gli accertamenti riguardavano i redditi derivanti dalla lottizzazione di un terreno in Vicopisano, ai sensi dell'art. 76, terzo comma, del d.P.R. n. 597/1973. L'improcedibilita' per tutti i ricorsi, ad eccezione di quelli presentati dalla Giordani, era stata ritenuta perche' gli atti introduttivi del giudizio di primo grado erano stati inviati in busta chiusa e non in plico raccomandato e, per cio' che concerne i ricorsi di Conti Romano e Conti Pierluigi, perche' tardivi in quanto la copia era stata inviata nei termini ad ufficio incompetente e quindi trasmessa tardivamente a quello territorialmente competente. La commissione di primo grado, poi, respingeva nel merito i ricorsi presentati dalla Giordani perche' riteneva congruo il criterio di determinazione del reddito utilizzato dall'ufficio, ed infine respingeva i ricorsi avverso le iscrizioni a ruolo per gli anni 1976/79 da Belli Cesare perche' riteneva l'operato dell'ufficio conforme al disposto dell'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973. Nell'atto di appello, Belli Cesare, Conti Pierluigi e Conti Romano, propongono numerose ed articolate questioni di rito e di merito. In primo luogo rilevano come le eccezioni proposte dall'Amministrazione siano contenute in una memoria tardiva, cio' dovendo comportare ex art. 24 d.P.R. n. 636 il rinvio al giudice di primo grado; quindi argomentano per dimostrare che il difetto di forma nella proposizione dei giudizi di primo grado dovesse ritenersi superato dalla regolare instaurazione del contraddittorio e percio' sanato ai sensi dell'art. 156 del c.p.c. e che l'invio della copia dei ricorsi ai f.lli Conti all'u.i.d. di Pisa non potesse ritenersi ragione di inammissibilita'; nel merito, poi, rilevano: a) come per essere la lottizzazione realizzata prima dell'i.i. 1974 non potesse trovare applicazione la normativa di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 579/1973; b) come dovesse dubitarsi della legittimita' costituzionale dell'art. 76, terzo comma, del d.P.R. n. 597/1973 per eccesso di delega e per violazione degli art. 3 e 53 della Costituzione; c) come in regime transitorio la fattispecie in questione avrebbe dovuto essere inquadrata sotto il regime dell'imposta di r.m., con la conseguente inversione dell'onere della prova sul c.d. intento speculativo; d) come, infine, ai fini della liquidazione dell'imposta dovesse tenersi conto non del valore dell'immobile al momento dell'acquisto, ma bensi' di quello del quinto anno anteriore, cio' comportando sulla base del ricalcolo, la carenza del reddito tassabile; e) come, comunque, ed in subordine, dovessero essere ammessi in deduzione i costi impiegati per la destinazione parziale a verde. Belli Cesare, ancora, e con atto distinto impugnava il capo della sentenza che respingeva nel merito i ricorsi avverso le iscrizioni a ruolo, invocando il disposto dell'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 da qualificarsi come norma eccezionale non applicabile analogicamente ed in subordine chiedendo l'annullamento del ruolo nella parte relativa alle obbligazioni accessorie ed interessi, non essendo l'imposta definitiva. Giordani Maria Jose' nel suo atto di appello eccepiva di non aver mai avuto comunicazione della data di udienza non essendo rappresentata in giudizio dal professionista presso cui erano state effettuate le notifiche; nel merito eccepiva che non vi era stato alcun incremento di reddito e che comunque il valore iniziale del terreno ammontava a L. 10.000.000 come accertato dall'ufficio del registro. Nelle proprie deduzioni l'ufficio oltre a contestare punto per punto gli argomenti degli atti di appello, eccepiva sul piano formale la irrituale presentazione di un unico atto di appello proposto contestualmente da tre ricorrenti e cio' con riferimento al ricorso Belli e Conti. All'udienza del 3 ottobre 1989, in esito alla discussione, la commissione, valutata la complessita' delle argomentazioni, si riservava di decidere. IN DIRITTO Ritiene questa commissione non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale proposta dal difensore di alcuni degli appellanti e relativa al disposto dell'art. 76, terzo comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in riferimento all'art. 76 della Costituzione (eccesso di delega). Al riguardo questa commissione fa proprie le argomentazioni contenute nell'ordinanza 20 aprile 1989 della commissione tributaria di primo grado di Padova, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 13 settembre 1989. L'art. 2 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, prevede, al punto 5, l'inclusione nel computo del reddito complessivo delle plusvalenze realizzate dalle persone fisiche a seguito di operazioni effettuate con fini speculativi su beni non relativi all'impresa commerciale. Il precedente storico immediato dell'art. 76 cit. e' costituito dal secondo comma dell'art. 81 del t.u. 1958 che prevedeva l'imposizione a r.m. delle plusvalenze speculative da chiunque realizzate in dispendenza di operazioni speculative. L'attivita' produttrice di plusvalori patrimoniali si concretizza nel c.d. intento speculativo la cui presenza rende tassabili gli eventuali plusvalori realizzati nella vendita e la cui mancanza li rende, invece, esenti da imposta (e per Cass. sez. un. 20 febbraio 1969, tale intento speculativo doveva sussistere sin dal momento dell'acquisto del bene). Come e' noto, invece, l'art. 76 cit. opera una presunzione assoluta sul solo mancato decorso del termine quinquennale fra la data dell'acquisto e quella di vendita del bene, precludendo la possibilita' di provare il contrario mentre il legislatore delegante (legge n. 825/1971), nulla ha disposto in termini di onere della prova sul c.d. intento speculativo, cosi' mostrando di voler mantenere, quantomeno per il solo profilo probatorio, il sistema previgente secondo cui onus probandi incumbit ei qui dicit. In tal senso la presunzione assoluta di cui si e' detto, e che nel giudizio sottoposto all'esame del collegio rappresenta il titolo esclusivo dell'imposizione tributaria, si configura come un vero e proprio eccesso di delega operato dal legislatore delegato che ha cosi' introdotto un criterio probatorio diverso da quello indicato nella legge di delega, ed in sostanza una definizione sostanziale diversa della plusvalenza speculativa (poiche' la presunzione assoluta finisce con l'operare sulla nozione stessa di reddito tassabile). Per le ragioni esposte appare rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 76, terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, in riferimento all'art. 76 della Costituzione. La rilevanza della questione e' in re ipsa.