ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli artt. 452, 438,
 primo comma, e 440, primo comma, del codice di procedura  penale  del
 1988,  in relazione all'art. 442, secondo comma, dello stesso codice,
 promossi con le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 20 novembre 1989 dal Tribunale di Roma
 nel procedimento penale a carico di De Angelis Viviardo, iscritta  al
 n.  18  del  registro  ordinanze  1990  e  pubblicata  nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n.  4,  prima  serie  speciale,  dell'anno
 1990;
      2)  ordinanza  emessa  il 23 novembre 1989 dal Tribunale di Roma
 nel procedimento penale a carico di Montaruli Davide, iscritta al  n.
 19  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  marzo 1990 il Giudice
 relatore Giovanni Conso;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Tribunale di Roma, ottava sezione penale, con ordinanza
 del 20 novembre 1989 - premesso  che  l'imputato  citato  a  giudizio
 direttissimo  aveva  richiesto  l'abbreviazione  del  rito  e  che il
 pubblico ministero aveva  negato  il  consenso  -  ha  sollevato,  in
 riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questioni
 di legittimita' dell'articolo 452 del codice di procedura penale  del
 1988,  "in quanto non prevede la possibilita' che l'organo giudicante
 possa valutare la trasformazione in rito  abbreviato  proposta  dalla
 difesa  nel  caso  di  mancato  consenso del pubblico ministero", con
 violazione "del diritto della difesa  a  veder  comunque  valutata  e
 decisa  dal  giudice  la  sua  istanza dalla quale possono discendere
 conseguenze non solo processuali ma  anche  sostanziali  di  notevole
 rilievo",   rimesse,   invece,  all'"insindacabile  valutazione"  del
 pubblico ministero.
    2.   -   Prima   dell'apertura  di  altro  dibattimento  con  rito
 direttissimo, un diverso collegio dell'ottava sezione  del  Tribunale
 di  Roma, rilevato che l'imputato aveva richiesto l'abbreviazione del
 rito senza ottenere il  consenso  del  pubblico  ministero,  ha,  con
 ordinanza  del 23 novembre 1989, sollevato, in riferimento agli artt.
 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'
 degli artt. 452, secondo comma, 438, primo comma, e 440, primo comma,
 del codice di procedura penale  del  1988,  "nella  parte  in  cui  i
 menzionati  articoli del C.P.P. non prevedono che il P.M., nel negare
 il proprio consenso alla definizione del processo con rito abbreviato
 allo  stato  degli atti, sia tenuto a motivarlo, e nella parte in cui
 non e' consentito al giudice di valutare  le  motivazioni  addotte  a
 giustificazione del dissenso stesso al fine di applicare la riduzione
 di pena prevista dall'art. 442, 2Πco. c.p.p.".
    Il  principio  di  eguaglianza  risulterebbe  vulnerato sia per la
 disparita' di  trattamento  rispetto  all'istituto  dell'applicazione
 della  pena  su  richiesta,  nel quale il dissenso e' sindacabile dal
 giudice, sia perche' verrebbe riconosciuta al pubblico ministero  una
 "posizione   di   supremazia   sull'imputato,  tale  da  condizionare
 irrimediabilmente l'esercizio della funzione giurisdizionale prevista
 e configurata (artt. 3, 25, 101, 2Πco. Cost.)".
    Sussisterebbe,   inoltre,   violazione   del   diritto  di  difesa
 dell'imputato "a vedere in ogni caso valutata e decisa  dal  giudice"
 un'"istanza"  dalla  quale  possono  discendere  anche conseguenze di
 carattere sostanziale (riduzione della pena di un terzo).
    Infine,  l'insindacabilita' del dissenso attribuirebbe al pubblico
 ministero "quel diritto potestativo  alla  scelta  del  rito  che  in
 quanto  tale  e'  stato  gia'  dichiarato contrario alla Costituzione
 dalla Corte costituzionale con sentenza 28 novembre 1969, n. 117".
    3.  -  Le due ordinanze, ritualmente notificate e comunicate, sono
 state entrambe pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 4, prima  serie
 speciale, del 1990.
    In  nessuno  dei  due giudizi si sono costituite le parti private,
 ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei  ministri.
                         Considerato in diritto
    1.  - Con la prima delle due ordinanze in epigrafe il Tribunale di
 Roma, ottava sezione penale, sottopone  al  vaglio  di  questa  Corte
 l'"art.   452   CPP.,   in  relazione  all'art.  24  II  comma  della
 Costituzione, in quanto non  prevede  la  possibilita'  che  l'organo
 giudicante  possa  valutare  la  trasformazione  in  rito  abbreviato
 proposta dalla difesa nel caso di mancato consenso del P.M.".
    La  seconda  ordinanza,  emessa  tre giorni dopo da altro collegio
 della stessa sezione del Tribunale di Roma, denuncia gli "artt.  452,
 2Π co., 438, 1Πco. e 440, 1Πco. C.P.P., per violazione degli artt.
 3, 24, 2Πco. della Costituzione, nelle parti  in  cui  i  menzionati
 articoli  del c.p.p. non prevedono che il P.M., nel negare il proprio
 consenso alla definizione del processo con il  rito  abbreviato  allo
 stato degli atti, sia tenuto a motivarlo, e nelle parti in cui non e'
 consentito  al  giudice  di  valutare  le   motivazioni   addotte   a
 giustificazione del dissenso stesso al fine di applicare la riduzione
 di pena prevista dall'art. 442, 2Πc. c.p.p.".
    Poiche'  da  entrambe  le  ordinanze  viene denunciato l'art. 452,
 secondo comma, del codice di procedura penale del  1988,  i  relativi
 giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica sentenza.
    2.   -   Le   due   ordinanze   di  rimessione  risultano  emanate
 anteriormente all'apertura  di  dibattimenti  promossi  dal  pubblico
 ministero  con rito direttissimo ai sensi dell'art. 449, terzo comma,
 del nuovo codice di procedura penale: a seguito, cioe', di arresti in
 flagranza  convalidati.  Nell'uno  e  nell'altro  caso, pur essendosi
 l'imputato avvalso della facolta' di chiedere la  trasformazione  del
 giudizio   direttissimo   in   giudizio   abbreviato,   espressamente
 conferitagli  dall'art.  452,  secondo  comma,   primo   inciso,   il
 Tribunale,  di  fronte  al  mancato  consenso del pubblico ministero,
 avrebbe dovuto dichiarare aperto il dibattimento cosi' da  far  luogo
 al  giudizio direttissimo. Ma proprio l'essere precluso al giudice di
 "valutare e decidere l'istanza dell'imputato", rendendo  il  pubblico
 ministero  arbitro  delle  conseguenze anche di carattere sostanziale
 (riduzione della pena di un terzo) collegate al giudizio  abbreviato,
 ha   indotto  in  entrambi  i  casi  a  dubitare  della  legittimita'
 costituzionale  della  norma  che  rende  comunque  insuperabile   il
 dissenso  immotivato  del  pubblico ministero alla trasformazione del
 giudizio  direttissimo  in  giudizio  abbreviato:   norma   ravvisata
 dall'una  ordinanza nell'art. 452 e dall'altra nel combinato disposto
 degli artt. 452, secondo comma, 438, primo comma, e 440, primo comma,
 del nuovo codice.
    La  parziale  differenza  - che viene cosi' ad emergere tra le due
 ordinanze quanto all'oggetto, prima  ancora  che  quanto  al  petitum
 rispettivamente perseguito ed ai parametri rispettivamente invocati -
 trova il suo fondamento nel diverso modo di intendere i rapporti  tra
 la  disciplina  "tipica" del giudizio abbreviato, quale dettata dagli
 artt. 438- 442, e la disciplina "atipica" prevista per  l'ipotesi  di
 cui  all'art.  452,  secondo  comma. La prima ordinanza, considerando
 tale ipotesi alla stregua di una  forma  processuale  a  se'  stante,
 prescinde  da  qualsiasi  richiamo  alla  disciplina-base,  mentre la
 seconda, incline a ravvisare in quella una specificazione di  questa,
 coinvolge  nel giudizio di legittimita' anche gli articoli 438, primo
 comma, e 440, primo comma.
    3. - Pur non potendosi negare che la disciplina prevista dall'art.
 452, secondo comma, sia sotto piu' aspetti una  specificazione  della
 disciplina  delineata  dagli artt. 438-442, tanto da renderla oggetto
 di molteplici rinvii ("Si applicano le  disposizioni  previste  dagli
 articoli  441 comma 2, 442 e 443", conclude il dettato dell'art. 452,
 secondo comma),  e'  altrettanto  innegabile  che,  contrariamente  a
 quanto  parrebbe  sottintendere la seconda ordinanza, i rinvii non si
 estendono ne' all'art. 438, primo  comma,  ne'  all'art.  440,  primo
 comma.
    Il  silenzio  serbato  a  tale  duplice  proposito  dall'art. 452,
 secondo comma, non e' che il risultato dell'apposita regolamentazione
 cui  quest'ultimo  assoggetta  la richiesta di giudizio abbreviato da
 parte dell'imputato nei confronti del quale  si  procede  a  giudizio
 direttissimo,  il  necessario  consenso  del pubblico ministero ed il
 conseguente provvedimento del giudice. Vi trovano, infatti, posto non
 la  richiesta, accompagnata dal consenso del pubblico ministero, "che
 il processo sia definito nell'udienza preliminare" (art.  438,  primo
 comma),  ne' l'alternativa per il giudice dell'udienza preliminare di
 disporre "il giudizio abbreviato se ritiene  che  il  processo  possa
 essere  definito  allo  stato  degli atti" (art. 440, primo comma) o,
 altrimenti,   di   rigettarla,   salva   la   possibilita'   di   una
 riproposizione successiva (art. 440, terzo comma), bensi' la semplice
 richiesta di "giudizio abbreviato", in seguito  alla  quale,  se  "il
 pubblico  ministero  vi  consente", sempre "il giudice, prima che sia
 dichiarato  aperto  il  dibattimento,  dispone   con   ordinanza   la
 prosecuzione  del  giudizio  osservando  le disposizioni previste per
 l'udienza preliminare, in  quanto  applicabili"  (art.  452,  secondo
 comma,   primo   periodo),   con  gli  ulteriori,  eventuali,  poteri
 specificati dall'art. 452, secondo comma, secondo periodo.
    Sotto  questi  profili  - i soli qui ad interessare, mettendosi in
 discussione da parte di entrambe le ordinanze i rapporti tra pubblico
 ministero  e giudice preposto al dibattimento nell'eventualita' di un
 mancato consenso del primo alla richiesta dell'imputato  l'atipicita'
 della  forma  di giudizio abbreviato prevista dall'art.  452, secondo
 comma, rispetto alla sua forma ordinaria  appare  incontestabile.  In
 particolare,  ai  fini  del requisito della rilevanza, da commisurare
 sempre alla concreta applicabilita'  nel  procedimento  a  quo  delle
 norme  denunciate,  assume  un  peso  decisivo  il fatto che il ruolo
 esplicato dal consenso del  pubblico  ministero  risulta  oggetto  di
 autonoma  previsione  nell'art.  452,  secondo  comma.  Anche se cio'
 avviene sul modello  di  quanto  contemplato  dall'art.   438,  primo
 comma,  questa  disposizione  non  e' necessariamente coinvolta nella
 decisione dei giudizi a quibus,  e  lo  stesso  si  deve,  a  maggior
 ragione,  dire  per la disposizione di cui all'art. 440, primo comma:
 le  questioni  relative   ad   esse   vanno,   pertanto,   dichiarate
 inammissibili.
    4.  -  Cosi'  circoscritta  - e proprio in coincidenza con il solo
 testo denunciato  da  entrambe  le  ordinanze,  appunto  l'art.  452,
 secondo  comma, del nuovo codice di procedura penale l'individuazione
 delle norme oggetto delle questioni da  affrontare  nel  merito,  con
 riferimento  ai  vari  parametri costituzionali invocati, non si puo'
 non ripetere l'osservazione da cui questa Corte  ha  preso  le  mosse
 nella  sentenza  n.  66  del  1990 (n. 4 del Considerato in diritto),
 relativa ad altre norme incentrate sul mancato consenso del  pubblico
 ministero  al  giudizio  abbreviato:  e  cioe'  che i dubbi sollevati
 vengono a collocarsi idealmente lungo tre linee.
    Stando  all'ordinanza  dalla motivazione piu' articolata, la prima
 di tali linee ha per oggetto l'art. 452, secondo comma,  nella  parte
 in  cui non prevede che "il P.M., nel negare il proprio consenso alla
 definizione del processo con il  rito  abbreviato  allo  stato  degli
 atti,  sia  tenuto  a motivarlo"; la seconda ha per oggetto lo stesso
 comma nella parte in cui "non e' consentito al giudice di valutare le
 motivazioni  addotte a giustificazione del dissenso stesso"; la terza
 ha per  oggetto  ancora  quel  comma  nella  parte  in  cui,  "quando
 all'esito  dell'esame degli atti la richiesta (dell'imputato) risulti
 fondata", non e' consentito al giudice "di applicare la riduzione  di
 pena prevista dall'art. 442, 2Πco. c.p.p.".
    La  progressione  logica  che  caratterizza  il passaggio dall'una
 all'altra delle tre linee cosi' individuate, la prima finalizzata  al
 raggiungimento  della  seconda  e,  di  qui,  al raggiungimento della
 terza,  emerge  con  particolare  chiarezza  dall'ordinanza  or   ora
 richiamata,  con  la  quale  si  richiede  alla  Corte  di dichiarare
 illegittimo l'art. 438, secondo comma - oltreche' "nella parte in cui
 non  prevede  che  il  P.M.,  nel  negare  il  proprio  consenso alla
 definizione del processo con il  rito  abbreviato  allo  stato  degli
 atti, sia tenuto a motivarlo" - "nella parte in cui non e' consentito
 al giudice di valutare le motivazioni addotte a  giustificazione  del
 dissenso  stesso",  e cio' "al fine di applicare la riduzione di pena
 prevista dall'art. 442, 2Πco. c.p.p.".
    Altrettanto  coerentemente,  i  parametri invocati riguardano allo
 stesso modo tutte le norme  denunciate.  Come  sottolinea  la  stessa
 ordinanza,  "la  insindacabilita'  del dissenso del P.M. da parte del
 giudice non consente a quest'ultimo di applicare la riduzione di pena
 di  cui  all'art.  442,  secondo  co.  c.p.p. anche quando, all'esito
 dell'esame degli atti, la richiesta" dell'imputato "risulti fondata".
 Pretendere che il dissenso venga motivato e non renderlo suscettibile
 di alcuna forma di controllo ad  opera  del  giudice  significherebbe
 negare  alla prescrizione avuta di mira ogni reale portata giuridica.
 Le questioni vanno, percio', esaminate congiuntamente.
    5.  - Parametro di riferimento comune alle due ordinanze e' l'art.
 24, secondo comma, della Costituzione, perche', come osserva la prima
 ordinanza,  sembra  violato "il diritto della difesa a veder comunque
 valutata e decisa dal giudice la  sua  istanza  dalla  quale  possono
 discendere  conseguenze  non solo processuali ma anche sostanziali di
 notevole rilievo" o, per usare le parole  dell'altra  ordinanza,  "in
 quanto viola il diritto della difesa a vedere in ogni caso valutata e
 decisa dal giudice la istanza del richiedente:  istanza  dalla  quale
 possono  discendere  anche  le  conseguenze  di carattere sostanziale
 sopra indicate (riduzione della pena di un terzo)". In questa seconda
 circostanza,  pero',  la  violazione  dell'art.  24  viene addotta in
 aggiunta ("inoltre") alla violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
 a  sua  volta  ravvisata  sotto due ordini di profili. Anzitutto, per
 l'"ingiustificata  disparita'  di  trattamento"  rispetto  a  "quanto
 accade  nel  caso  di  applicazione  della pena a norma dell'art. 448
 c.p.p."; e, poi, per il "contrasto col  principio  costituzionale  di
 parita' di tutti i cittadini di fronte alla legge, non potendosi piu'
 riconoscere al P.M., in nessun stato e grado del procedimento, alcuna
 posizione   di   supremazia   sull'imputato,   tale  da  condizionare
 irrimediabilmente l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  come
 costituzionalmente  prevista  e configurata" dagli "artt. 3, 25, 102,
 2Πco. Cost.", gli ultimi due dei quali, peraltro, non piu'  indicati
 nel dispositivo, a differenza degli artt. 3 e 24, secondo comma.
    Gia'  sotto  il  primo  dei  due  profili invocati con riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, cioe' quello che  chiama  in  causa  i
 rapporti  tra  giudizio  abbreviato  ed  applicazione  della  pena su
 richiesta delle parti, i dubbi di legittimita' risultano fondati.
    6.  - Il giudice a quo sembra dare per scontata l'esistenza di una
 forte analogia tra i due procedimenti posti a raffronto. Ed  infatti,
 solo   adottando   una  prospettiva  del  genere,  la  disparita'  di
 trattamento   che   viene   lamentata   potrebbe   dirsi   priva   di
 giustificazione   e,   quindi,   in  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione, cosi' da  comportare  la  necessita'  di  estendere  le
 soluzioni,  piu'  favorevoli  all'imputato, proprie dell'applicazione
 della pena su richiesta (motivazione e,  quindi,  sindacabilita'  del
 dissenso  del  pubblico ministero; riconoscimento di quanto richiesto
 dall'imputato quando il giudice ritenga ingiustificato tale dissenso)
 all'altro rito.
    Ma un discorso basato sulle analogie tra i due istituti e, quindi,
 volto a sottolinearne gli aspetti comuni non sarebbe sufficiente allo
 scopo,   a  causa  delle  innegabili  differenze  che,  accanto  alle
 innegabili somiglianze, emergono  mettendo  a  confronto  questi  due
 procedimenti speciali.
    D'altra  parte,  un  raffronto completo non varrebbe neppure a far
 considerare  senz'altro  non  irragionevoli   tutte   le   differenze
 contestate  dal  giudice  a quo: coinvolgendo, per i gia' evidenziati
 motivi di rilevanza, non tanto gli artt. 438 - 442, da un lato, e gli
 artt.  444  -  448, dall'altro, quanto gli artt. 451, quinto comma, e
 452, secondo comma, tale  raffronto  viene  ad  intercorrere  tra  un
 giudizio   abbreviato   atipico,   come   quello   conseguente   alla
 trasformazione del giudizio direttissimo, e l'applicazione della pena
 su  richiesta  presentata  dall'imputato in sede di instaurazione del
 giudizio direttissimo: due discipline, cioe', meno distanti fra  loro
 delle rispettive discipline tipiche.
    Ne  discende  che  soltanto una valutazione estesa pure alle altre
 differenze e, insieme, alle analogie ravvisabili tra  la  fattispecie
 prevista dall'art. 452, secondo comma, e l'applicazione della pena su
 richiesta dell'imputato citato  per  il  giudizio  direttissimo  puo'
 consentire   di  verificare  se,  visto  l'intero  quadro,  l'aspetto
 concernente  il   dissenso   del   pubblico   ministero   giustifichi
 l'adozione,  quanto a sindacabilita' o no, di soluzioni differenziate
 tra le due discipline.
    In  termini piu' specificamente normativi, la differenza lamentata
 si sostanzia nel fatto che la prescrizione di cui all'art. 446, sesto
 comma  ("Il  pubblico ministero, in caso di dissenso, deve enunciarne
 le ragioni"), ed il conseguente dettato dell'art. 448,  primo  comma,
 seconda   parte   ("...il  giudice  provvede  dopo  la  chiusura  del
 dibattimento di primo grado o nel giudizio  di  impugnazione,  quando
 ritiene  ingiustificato  il  dissenso del pubblico ministero..." - ai
 quali l'art. 451, quinto comma, fa globale  rinvio  per  il  caso  di
 applicazione  della  pena  richiesta  dall'imputato citato a giudizio
 direttissimo - non trovano riscontro nella disciplina  relativa  alla
 richiesta  di  trasformazione  del  giudizio direttissimo in giudizio
 abbreviato.
    Nell'ottica  del  profilo  costituzionale  in  esame, il dubbio di
 legittimita' si traduce nel domandarsi, anzitutto, se sia razionale o
 no che l'enunciazione delle ragioni del dissenso opposto dal pubblico
 ministero  alla  richiesta   dell'imputato,   enunciazione   ritenuta
 necessaria  nell'ambito  della disciplina prevista per l'applicazione
 della pena su richiesta avanzata in sede  di  giudizio  direttissimo,
 venga  ritenuta  non necessaria nell'ambito della disciplina prevista
 per  la  trasformazione  del  giudizio   direttissimo   in   giudizio
 abbreviato.
    7.  -  Questa  Corte  ha gia' richiamato (sentenza n. 66 del 1990)
 quel brano della  Relazione  al  progetto  preliminare,  dove  -  con
 riguardo  al  giudizio  abbreviato  ed all'applicazione della pena su
 richiesta delle parti, entrambi  considerati  nella  loro  fisionomia
 ordinaria  -  si  precisa come venga ad essi "affidata la funzione di
 evitare il passaggio alla fase dibattimentale di un  gran  numero  di
 procedimenti,  secondo  uno  schema  di  deflazione  comune a tutti i
 sistemi processuali che si ispirano al modello  accusatorio"  e  come
 sia  l'uno sia l'altro si fondino "sull'accordo tra accusa e difesa",
 quest'ultima variamente "incentivata" ad avvalersene.
    Le  differenziazioni  tra i due riti muovono proprio di qui. Al di
 la' degli impliciti vantaggi comuni (costi ridotti e pubblicita'  del
 dibattimento  evitata),  diverse sono le soluzioni premiali e diversi
 gli strumenti di approdo: un approdo cui si giunge "sulla base  degli
 atti  acquisiti al momento della formulazione della richiesta, ma con
 una notevole differenza di ordine temporale: nel giudizio  abbreviato
 ordinario  la  richiesta  puo'  aver luogo fino a cinque giorni prima
 dell'udienza preliminare o nel corso di questa (sentenza  n.  66  del
 1990),  mentre  la  richiesta  di applicazione della pena puo' essere
 formulata fino alla dichiarazione di  apertura  del  dibattimento  di
 primo grado.
    Anche  per  il  giudizio  abbreviato  cui l'imputato chiede che si
 addivenga attraverso  la  trasformazione  del  giudizio  direttissimo
 promosso  dal  pubblico  ministero in uno dei casi previsti dall'art.
 449, la richiesta e' proponibile fino a che non siano state  compiute
 le  formalita'  di  apertura  del  dibattimento  -  e, quindi, sempre
 durante  la  sola  brevissima  fase  predibattimentale  propria   del
 giudizio  direttissimo  -  allo  stesso  modo  di  quanto avviene per
 l'applicazione della pena su richiesta, allorche' quest'ultima  venga
 formulata  dall'imputato alla stregua dell'art. 451, quinto comma, e,
 percio', allo stato degli atti nella fase predibattimentale.
    Tale  ulteriore  accostamento del giudizio abbreviato ex art. 452,
 secondo comma, all'applicazione della pena su richiesta dell'imputato
 e'  sottolineato  con  particolare incisivita' dallo stesso art. 451,
 quinto comma, che impone al presidente del tribunale o della corte di
 assise di avvisare "l'imputato della facolta' di chiedere il giudizio
 abbreviato ovvero l'applicazione della pena a norma dell'art. 444" e,
 quindi,  anche  a  norma  dell'art.  446,  primo  comma  ("fino  alla
 dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado").
    Il  fatto  che dalla Relazione al progetto preliminare il giudizio
 abbreviato venga contrapposto, in via  generale,  al  "patteggiamento
 sulla  pena o sul merito del processo" come "patteggiamento sul rito"
 non equivale a disconoscerne la realta', invero piu'  complessa,  che
 e'  quella di un accordo delle parti sul rito avente pure un effetto,
 certo non lieve, sul merito. L'essere  la  diminuzione  di  un  terzo
 della  pena (o, se del caso, la sostituzione della reclusione di anni
 trenta all'ergastolo: art. 442, secondo comma)  un  effetto  soltanto
 "indiretto"  ed "eventuale" non toglie che pure essa, come l'adozione
 del rito semplificato, sia  condizionata  al  consenso  del  pubblico
 ministero,   proprio   come   al  consenso  di  quest'ultimo  risulta
 condizionata, nel  caso  di  applicazione  della  pena  su  richiesta
 dell'imputato, non solamente l'intesa sulla pena, ma anche l'adozione
 del rito semplificato.
    Allorche'  -  ed  e'  quanto  accade  nelle  ipotesi  disciplinate
 rispettivamente  dall'art.  452,  secondo  comma,  e  dal   combinato
 disposto  degli  artt.  444  e 451, quinto comma - i riti che possono
 rispettivamente subentrare al  giudizio  direttissimo  si  trovano  a
 corrispondere  tra  loro  per  cio'  che  concerne il giudice (sempre
 quello competente per il dibattimento),  il  momento  ultimo  per  la
 richiesta  (prima  dell'apertura  del  dibattimento)  e la sede (fase
 predibattimentale), non si giustifica, come gia' osservato  in  altra
 occasione  (sentenza  n.66  del 1990), che "il pubblico ministero, di
 fronte ad una richiesta di giudizio  abbreviato,  possa  sacrificare,
 oltre  al  rito,  anche  l'effetto  sulla  pena,  senza neppure dover
 enunciare le ragioni del proprio dissenso,  a  differenza  di  quanto
 avviene  di  fronte  ad  una richiesta di applicazione della pena" da
 parte dell'imputato: una richiesta che  il  pubblico  ministero  puo'
 "sacrificare",  in  ordine  al rito, "solo enunciando le ragioni" del
 suo dissenso e, in  ordine  alla  pena  richiesta,  solo  se  il  suo
 dissenso  non  verra'  ritenuto  ingiustificato  dal  giudice dopo la
 chiusura del dibattimento di primo grado.
    Diverso  problema  e' quello dei criteri cui il pubblico ministero
 dovrebbe rapportare  la  motivazione  del  dissenso.  Pure  a  questo
 proposito   si   e'  gia'  rilevato  (sentenza  n.66  del  1990)  che
 l'argomento addotto dalla Relazione  al  progetto  preliminare  circa
 l'impossibilita'  che  "i parametri" del dissenso vengano "tipizzati"
 sarebbe in grado di valere al massimo  per  la  disciplina  del  rito
 abbreviato  tipico,  anche  perche'  la sua collocazione nell'udienza
 preliminare  renderebbe  difficilmente  ipotizzabile   l'esternazione
 delle  ragioni  del  mancato  consenso  del  pubblico  ministero alla
 richiesta di giudizio abbreviato proveniente dall'imputato,  peraltro
 reiterabile  fino a quando non siano formulate le conclusioni ex art.
 439, secondo comma. Ma, pure a prescindere da cio', le argomentazioni
 della  Relazione  "in  tanto sono condivisibili in quanto il pubblico
 ministero, non tenuto a motivare, possa  liberamente  determinarsi  a
 dissentire",  situazione che, ovviamente, viene meno allorche' l'art.
 452, secondo comma, sia dichiarato illegittimo nella parte in cui non
 prevede  che il pubblico ministero debba enunciare le ragioni del suo
 dissenso, cosi' da renderlo sindacabile dal giudice.
    Una volta mutati i termini della situazione, la circostanza che la
 disciplina del giudizio abbreviato faccia costante richiamo, sia  pur
 con  formule e moduli non sempre coincidenti, al "poter decidere allo
 stato degli atti", non autorizza - almeno per il momento, tanto  piu'
 nel  silenzio  dell'"analogo"  art.  446, sesto comma, implicitamente
 richiamato   dall'art.   451,   primo   comma,   terzo   periodo    -
 un'interpretazione  diversa  da quella (v. gia' la sentenza n. 66 del
 1990)  di  raccordare  la  scelta   del   pubblico   ministero   alla
 definibilita' del processo allo stato degli atti.
    8.  -  L'accertata  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 452,
 secondo comma, nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il  pubblico
 ministero,  in  caso  di  dissenso, debba enunciarne le ragioni - con
 conseguente assorbimento delle altre  censure  avanzate  allo  stesso
 fine  dalle ordinanze di rimessione - viene a rendere rilevanti anche
 le questioni aventi per oggetto il medesimo art. 452, secondo  comma,
 nelle  parti  in  cui  "non  e'  consentito al giudice di valutare le
 motivazioni  addotte  a  giustificazione  del  dissenso  stesso"   e,
 conseguentemente,   "di  applicare  la  riduzione  di  pena  prevista
 dall'art. 442, 2Πcomma, c.p.p.".
    Dato  lo stretto collegamento, gia' rimarcato nella sentenza n. 66
 del 1990, tra questi due aspetti (in tanto il giudice  ha  motivo  di
 sindacare  le ragioni addotte dal pubblico ministero in quanto, a sua
 volta dissentendone, possa far luogo alla  diminuzione  di  pena;  e,
 viceversa,  in  tanto  il  giudice puo' far luogo alla diminuzione di
 pena in quanto sia legittimato a sindacare le ragioni  enunciate  dal
 pubblico ministero), le relative questioni, sollevate con riferimento
 agli stessi parametri precedentemente richiamati, danno luogo ad  una
 sola censura, anch'essa fondata.
    La  forte  analogia fra la disciplina del giudizio abbreviato e la
 disciplina  dell'applicazione  della  pena  su  richiesta  quando  la
 richiesta  dell'imputato  abbia  come  obiettivo  il  superamento del
 giudizio direttissimo, e' tale da rendere inaccettabile,  nell'ottica
 del  primo  dei  due profili invocati in riferimento all'art. 3 della
 Costituzione, anche  l'omessa  previsione  da  parte  dell'art.  452,
 secondo  comma,  di un potere corrispondente a quello che l'art. 451,
 primo comma, attraverso il rinvio all'art. 444 e, pertanto,  all'art.
 448,  primo comma, conferisce al giudice, allorche', dopo la chiusura
 del dibattimento, ritenga ingiustificato  il  dissenso  del  pubblico
 ministero   nei  confronti  dell'applicazione  della  pena  richiesta
 dall'imputato.
    Cio' conduce all'accoglimento della doglianza attraverso cui viene
 lamentato  che  al  giudice  non  sia  consentito  di  "applicare  la
 riduzione  di  pena  ex 442, 2Πcomma, c.p.p. anche quando, all'esito
 dell'esame degli atti, la richiesta risulti fondata". Ne consegue  la
 declaratoria  di illegittimita' costituzionale dell'art. 452, secondo
 comma, nella parte in cui non prevede che, svoltosi il  giudizio  con
 il  rito  direttissimo,  il  giudice  possa  applicare,  in  caso  di
 condanna, la riduzione di pena  contemplata  dall'art.  442,  secondo
 comma,  se ritenga ingiustificato il dissenso del pubblico ministero.
    Pure  qui  sono da intendersi assorbite le altre censure formulate
 dalle ordinanze di rimessione.