IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
   All'esito dell'odierna udienza preliminare  del  5  dicembre  1990;
 poiche'  nella  concreta fattispecie in detta sede privata - imputato
 ha richiesto applicarsi la pena ex art. 444 nuovo  c.p.p.,  il  tutto
 con  contestuale  consenso  anche  della  parte  pubblica  - pubblico
 ministero che non ha formulato la richiesta;
    Premesso che il testo letterale dell'art. 444 statuisce al termine
 del secondo comma che "se vi e'  costituzione  di  parte  civile,  il
 giudice  non  decide  sulla  relativa  domanda;  non  si  applica  la
 disposizione dell'art. 75, terzo comma" e  questo  e'  l'unico  punto
 della  norma  in  cui  il  legislatore  si e' ricordato di menzionare
 quella parte offesa che si e' ritenuta talmente tale da  costituirsi,
 giustamente, parte civile";
    Non  ritenendosi  equo  il sostenere che, non essendo prevista una
 decisione sulla domanda della parte civile, la  stessa  debba  essere
 inesorabilmente  e  completamente  pretermessa, il che sarebbe esatto
 soltanto che l'applicazione della pena richiesta  dalle  parti  fosse
 obbligata,  se  cioe' il giudice non avesse, in ordine all'adesione o
 meno alla richiesta delle parti, quel margine di valutazione che  gli
 deve  essere riconosciuto, in primo luogo anche stando all'originaria
 formulazione dell'art. 444 sulla qualificazione giuridica del  fatto,
 sull'applicazione  e comparazione delle circostanze prospettate dalle
 parti, sulla sospensione condizionale della pena, giudizio quindi non
 di  mera  delibazione  formale,  bensi'  di controllo sostanziale, in
 secondo luogo stando alla piu'  recente  giurisprudenza  della  Corte
 costituzione  di  cui  a  sent.  n. 313 del 26 giugno 1990 (dep. il 2
 luglio 1990) che ha statuito l'illegittimita' dell'art. 444,  secondo
 comma,  del  nuovo  codice di procedura penale nella parte in cui non
 prevede che il giudice, se ritiene che  la  qualificazione  giuridica
 del   fatto   e   l'applicazione  e  comparazione  delle  circostanze
 prospettate dal pubblico ministero e  dall'imputato  siano  corrette,
 anziche'  limitarsi  ad  irrogare la condanna nella misura concordata
 dagli stessi, possa valutare la congruita'  della  pena  indicata  in
 relazione  alle  prospettive di rieducazione dell'imputato e, in caso
 di valutazione negativa, rigettare la richiesta e  irrogare  la  pena
 autonomamente;
    Poiche' quindi l'intervento accordo delle parti determina soltanto
 una  riduzione  dei temi di decisione ai detti gruppi di questioni, e
 comunque  la  pronuncia  di  cui  al  444  e'  solo  eventuale  e  di
 conseguenza  lo  e' anche la mancata decisione sulla domanda di parte
 civile, non apparendo quindi corretto far discendere da una fatura  e
 allo   stato  (cioe'  prima  della  pronuncia  giudiziale)  ipotetica
 decisione (carente ex lege  nei  confronti  della  domanda  di  parte
 civile), l'immediata estromissione della parte civile;
   Non   potendosi   sostenere   obiettivamente  che  l'esclusione  di
 qualsiasi facolta', anche  d'intervento,  della  p.c.,  derivi  dalla
 rilevata  limitazione  della  materia  del  decidere a questioni alle
 quali la p.c. e' del tutto estranea e sulle quali non  e'  mai  stata
 ritenuta  abilitata  ad  interferire,  obiezione  che  non coglie nel
 segno, ad avviso di chi scrive, in quanto la p.c. puo'  sempre  avere
 interesse ad una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella
 prospettata dalle altre parti, ritenendosi comunque che nella specie,
 l'interesse  processuale  della  p.c.  investa  la  scelta del rito e
 stante tutte le questioni, e solo le questioni, che  su  tale  scelta
 possano  incidere,  in  quanto valutabili a tal fine dal giudice, non
 sembrando contestabile l'interesse non di mero fatto bensi di  natura
 processuale  spettante  alla  parte  civile  quale  parte che trovasi
 ancora all'interno del processo, alla adozione o meno della pronuncia
 applicativa della pena richiesta dalle altre parti (in caso contrario
 si  dovrebbe  postulare  l'immediata  estromissione  della  p.c.  nel
 momento  stesso  in  cui  viene  presentata  la  richiesta di p.m. ed
 imputato ed una sua re-immissione all'orche' il giudice  respinga  la
 richiesta  stessa, non sembrando quindi possibile negare alla p.c. la
 facolta'  di  intervenire  per  tutelare  questo  proprio   interesse
 chiedendo  il  rigetto  del  patteggiamento,  istituto  comunque  che
 sarebbe piu' corretto non definire tale, non essendo contrattuale  ma
 di  diritto  pubblico,  intervento comunque che concerne tutti quegli
 aspetti  che  possano  influire  sulla  decisione  del  giudice,  non
 potendosi  di  per  se'  invocare il pregiudizio che produrrebbe alla
 p.c. l'assenso del giudice  al  patteggiamento,  cosi'  come  sarebbe
 ingiustificato  ex art. 448 il dissenso del p.m. fondato solo su tale
 ragione, ben potendo quindi la p.c. sollevare questioni procedurali o
 di  legittimita'  costituzionale,  come  la  presente,  al  contrario
 rilevabile  d'ufficio,  in  quanto  non  manifestamente  infondata  e
 rilevante nel corrente  processo,  stante  la  manifesta  lacunosita'
 dell'art.  444  n.  2)  laddove non contempla esplicitamente la detta
 facolta'  di  intervenire,  in violazione quindi degli artt. 2), 3) e
 24) della Costituzione, quest'ultimo sul diritto di difesa  che  com-
 pete a tutte le parti, pubbliche e private, in ogni stato e grado del
 procedimento,  a  maggiore  ragione  compresa  la fase autenticamente
 processuale, ove la parte  offesa  si  e'  addirittura  tramutata  in
 p.c.);
    Poiche'  le  pregresse  considerazioni  non possano colmare in via
 esegetico-interpretativa  le  dette  manifeste  lacune,   stante   la
 generica  formulazione  della  norma,  che  sotto  un  certo  profilo
 sembrerebbe  precludere  soltanto  una  pronuncia   sulla   richiesta
 risarcitoria,  sotto un altro profilo sembra estromettere a tutti gli
 effetti la p.c. dall'udienza, preliminare o non preliminare;
    Ritenuto che nel senso di cui alla presente ordinanza si  e'  gia'
 parzialmente  pronunciata  la  giurisprudenza del tribunale di Milano
 tramite ordinanza 14 novembre 1989 (Archivio  della  nuova  procedura
 penale  Marzo-Aprile  1990,  anno  1, n. 2), pur senza pervenire alla
 presente eccezione, che costituisce dunque un traguardo piu' avanzato
 della pregevole problematica giuridica;
    Rilevato che ex art. 445 n. 1  del  codice  di  procedura  penale,
 anche  quando  e'  pronunciata  dopo la chiusura del dibattimento, la
 sentenza non ha efficacia nei  giudizi  civili  e  amministrativi,  e
 salve diverse disposizioni di legge, la sentenza stessa e' equiparata
 ad  una  autentica  pronuncia  di condanna, e cio' e' contraddittorio
 perche' inibisce a detta condanna l'efficacia di  giudicato,  benche'
 diventi  definitiva,  nella  causa  civile  per il risarcimento danni
 ledendo ancora una volta i diritti della parte offesa, con il rischio
 che nel processo civile si pervenga addirittura ad  un  giudicato  di
 segno   contrario  anche  sull'an  debeatur  senza  tener  conto  del
 principio che anche sotto il vecchio codice l'eventuale  concorso  di
 colpa  riscontrato  in  sede  di  motivazione  del giudice penale non
 inficiava la validita' della condanna in sede civile, pur limitandone
 la quantificazione sotto il profilo del risarcimento dei danni;