IL TRIBUNALE
Ha pronunciato la seguente ordinanza colleggiale nella causa
civile n. 10536/87 r.g. (alla quale sono riunite le cause n.
10588/87, 5855/89, 5856/89, 5857/89, 5858/89, 5859/89, 8131/89,
5627/89, 5628/89, 10538/87, 5991/89, 5992/89, 5993/89, 5994/89,
5995/89, 5996/89, 5997/89, 10587/87, 5629/89, 5630/89, 5631/89 r.g.)
promossa dall'I.A.C.P. (Istituto autonomo case popolari) per la
provincia di Torino, rappresentato e difeso dall'avv. Griffa, attore
contro l'Istituto bancario San Paolo di Torino, rappresentato e
difeso dall'avv. Peracchio, convenuto.
Premesso:
che con atti di citazione separati l'I.A.C.P. faceva opposizione
alle esecuzione immobiliari iniziate contro l'ente dell'Istituto
bancario San Paolo di Torino, in forza di mutuo garantito da ipoteca,
affermando la impignorabilita' degli immobili compresi nel patrimonio
dell'ente, in quanto indisponibili perche' destinati ad un pubblico
servizio;
che l'opposto istituto si costituiva con comparsa, affermando la
inerenza del potere di espropriare al diritto di ipoteca previsto
dalla legislazione speciale quale garanzia dei mutui fondiari e la
pignorabilita' degli immobili dello I.A.C.P.;
che con successivi atti di citazione separati lo I.A.C.P. faceva
opposizione alle medesime esecuzioni, affermando la impignorabilita'
dei frutti e delle rendite dell'ente (canoni di locazione) fatti
depositare dal g.e. nel corso della esecuzione in quanto anch'essi
indisponibili;
che l'opposto istituto si costituiva con comparsa, affermando
che i predetti frutti sono destinati per legge proprio al pagamento
delle rate residue dei mutui contratti dall'ente;
che alla udienza collegiale, tutte le predette cause venivano
riunite;
Tutto cio' premesso;
Ritiene di sollevare d'ufficio la questione di legittimita'
costituzionale delle disposizioni di legge di cui in appresso e in
dispositivo per i seguenti
M O T I V I
E' opinione comune di dottrina e giurisprudenza, condivisa da
questo tribunale, che la natura degli I.A.C.P., istituiti con il t.u.
28 aprile 1938, n. 1165, sulla edilizia popolare ed economica sia
quella di enti pubblici non economici a circoscrizione territoriale.
Tali enti, secondo l'art. 1 del d.P.R. 14 febbraio 1975, n. 226,
che contiene l'approvazione del loro nuovo statuto-tipo, hanno "lo
scopo di provvedere alla realizzazione di programmi di intervento di
edilizia residenziale pubblica e di edilizia convenzionata ed
agevolata, nonche' alle opere di edilizia sociale ed alle
case-albergo di tipo economico e popolare"; tra i loro compiti
rientra quindi quello della realizzazione della c.d. "edilizia
residenziale pubblica" di cui alla legge 22 ottobre 1977, n. 865, che
costituisce, secondo l'opinione condivisa, un pubblico servizio.
L'attuazione di tali compiti avviene con una attivita' che consta,
secondo l'art. 2 dello stesso statuto, dell'acquisto o acquisizione
di terreni fabbricabili e di fabbricati, della costruzione di case
popolari, della loro dazione in locazione, con un contratto il cui
contenuto e' per la maggior parte determinato dalla legge, agli
assegnatari e, alla scadenza della locazione del trasferimento della
proprieta' dell'alloggio dall'ente all'assegnatario, con un altro
contratto di vendita.
Il d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che contiene tra l'altro
norme per l'assegnazione degli alloggi di edilizia residenziale
pubblica, all'art. 2 elenca i requisiti per tale assegnazione e tra
questi: alla lett. c): "Non essere titolare del diritto di
proprieta', di usufrutto, di uso o di abitazione... su di un alloggio
adeguato alle esigenze del proprio nucleo familiare ovvero... di uno
o piu' alloggi che, dedotte le spese nella misura del 25% annuo,
consentano un reddito annuo superiore a L. 4.000.000"; alla lett. e):
fruire "di un reddito annuo complessivo, per il nucleo familiare, non
superiore a L. 4.000.000";
Questo tribunale ritiene di prendere in esame quattro punti della
questione, per motivarne la rilevanza e non manifesta infondatezza.
Il primo e' quello del ricorso dello I.A.C.P. al finanziamento
privato per l'attuazione dei proprii compiti ed in particolare per la
costruzione degli alloggi; data la sua rilevanza nella causa a quo si
fa unicamente riferimento al finanziamento degli istituti di credito
fondiario, disciplinato dal t.u. 16 luglio 1905, n. 646.
A questo proposito l'art. 2 del d.P.R. 21 gennaio 1976, n. 7, che
contiene norme relative all'emissione obbligazionarie da parte degli
enti di credito fondiario ed edilizio e delle sezioni autonome per il
finanziamento di opere pubbliche recita: "Il credito fondiario ha ad
oggetto:
a) la concessione di mutui garantiti da ipoteca di primo grado
su immobili"
Il r.d. n. 1165/1938 all'art. 1 recita poi: "I prestiti per la
costruzione e l'acquisto di case popolari ed economiche possono
essere consentiti dai seguenti istituti o enti... 8) gli istituti di
credito fondiario e all'art. 16: "Sono ammessi a contrarre mutui...
3) gli istituti autonomi per le case popolari".
Lo stesso art. 2 del citato statuto-tipo dello I.A.C.P. recita:
"Per l'attuazione dei proprii fini l'istituto puo'... 1) contrarre
prestiti, con o senza garanzia ipotecaria".
E' quindi previsto dalla legge che lo I.A.C.P. contragga mutui
fondiari di finanziamento con dazione di ipoteca su immobili del
proprio patrimonio, con istituti di credito.
A questo punto va subito rilevato come dall'art. 2808 del nostro
codice civile, che recepisce il principio della tipicita' dei diritti
reali, sia disposto che "l'ipoteca attribuisce al creditore il
diritto di espropriare, anche nei confronti del terzo acquirente, i
beni vincolati a garanzia del suo credito".
Non e' quindi configurabile, coma fa lo I.A.C.P. in sede di
opposizione, un diritto di ipoteca senza facolta' di espropriazione.
Da cio' discende che, in caso di inadempimento dello I.A.C.P. al
proprio debito di restituzione, l'istituto mutuante, creditore
ipotecario, puo' procedere ad espropriazione forzata degli immobili
oggetto d'ipoteca.
Viene quindi all'esame del collegio il secondo punto della
questione, che costituisce anche il motivo dell'opposizione dello
I.A.C.P., quello relativo alla natura del patrimonio immobiliare
dell'ente.
Secondo l'opinione dominante e la stessa Cass. (C. 1 ottobre
1980, n. 5332 e 26 marzo 1988, n. 2593), la natura del patrimonio
dello I.A.C.P. e' quello di patrimonio indisponibile di un ente
pubblico, in quanto destinato a un pubblico servizio, quello della
edilizia residenziale pubblica.
Secondo l'art. 3 del piu' volte citato statuto "Il patrimonio
dello I.A.C.P. e' costituito... a) dai beni mobili e immobili di
proprieta' dell'istituto"; quindi gli alloggi economici e popolari
costruiti dallo I.A.C.P. fanno parte del suo patrimonio.
Tali alloggi costituiscono anch'essi dunque beni indisponibili.
E' loro applicabile percio' il c.d. degli artt. 828/30, secondo
comma, del c.c. secondo cui "i beni che fanno parte del patrimonio
indisponibile (n.d. e: anche degli enti pubblici non territoriali)
non possono essere sotratti alla loro destinazione se non nei modi
stabiliti dalle leggi che li riguardano".
E' opinione costante, in sede interpretativa di tale disposizione,
che essa comprenda il divieto di espropriare i beni ivi disciplinati.
Secondo le difese dello I.A.C.P. da quanto sopra esposto
discenderebbe che gli immobili dell'ente non sarebbero espropriabili.
Tuttavia questo tribunale ritiene che, nell'(apparente) conflitto
tra gli artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975
da una parte (norme speciali e, quanto all'ultima, anche posteriore)
ed i citati artt. 828/30 del c.c. dall'altra, siano prevalenti le
prime; la espropriazione forzata in attuazione della garanzia
ipotecaria, prevista dalle citate disposizioni, puo' ben essere
ritenuta un modo stabilito dalla legge per la sottrazione degli
immobili ancorche' indisponibili alla loro destinazione, come
previsto dalla clausola di salvezza del citato art. 828 del c.c.
Il tribunale ritiene in conclusione che soltanto in forza dei
citati artt. 1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e 2 del d.P.R. n. 226/1975,
in caso cioe' di mutui garantiti ipotecariamente, gli immobili
facenti parte del patrimonio dello I.A.C.P. siano espropriabili.
Da cio' deriva la rilevanza dei citati articoli, contenenti
disposizioni aventi forza di legge ed impugnabili avanti alla Corte
costituzionale, nel giudizio a quo.
Viene ora all'esame del tribunale il terzo punto della questione,
quello relativo ai rapporti tra I.A.C.P. ed i suoi assegnatari (tra
cui quelli degli alloggi ipotecati).
E' pacifico in dottrina e giurisprudenza che in tale rapporto
possano distinguersi due fasi: la prima costituita da un procedimento
amministrativo che ha come atto finale l'assegnazione dell'alloggio,
durante la quale l'assegnatario non puo' vantare nei confronti della
p.a. che interessi legittimi; la seconda che, in attuazione della
prima, pone in essere rapporti privatistici e durante la quale
l'assegnatario puo' vantare nei confronti della p.a. veri e proprii
diritti soggettivi.
La dottrina, salvo alcune voci isolate, e' concorde nella
qualificazione giuridica dei rapporti ente-assegnatari in questa
seconda fase.
Vi sono due contratti collegati tra loro: uno di locazione ed uno
di promessa o opzione di vendita (il c.d. "patto di futura vendita");
alla scadenza del contratto di locazione, adempiute dall'assegnatario
tutte le obbligazioni che gli fanno carico e prima tra tutte quella
del pagamento dei canoni, si arriva alla conclusione del contratto
definitivo di vendita dell'alloggio, con cui soltanto se ne attua il
trasferimento in proprieta' all'assegnatario.
La stessa giurisprudenza della Cass. (C. 13 luglio 1972, n. 2363;
21 luglio 1975, n. 3626) parla, in pendenza di un rapporto locativo,
di un diritto a mantenere il godimento dell'alloggio e di un diritto
alla cessione in proprieta' dello stesso.
Ecco percio' venire in esame il quarto punto della questione,
quello dei rapporti tra l'assegnatario e l'istituto procedente in
caso di espropriazione forzata dell'immobili assegnato e della tutela
della posizione del primo.
Da quanto abbiamo sin qui esposto discende che, in caso di
concessione di mutuo fondiario garantito da ipoteca sull'immobile
gia' assegnato in locazione ma ancora in proprieta' dello I.A.C.P.
nella ipotesi di mancata restituzione della somma da parte di
quest'ultimo, la banca puo' procedere contro l'ente ad espropriazione
forzata e percio' a vendita dell'immobile a terzi aggiudicatari, a
cui questo verra' infine trasferito in proprieta'. Percio'
l'assegnatario, essendo la sua locazione trascritta anteriormente al
pignoramento, potra' al massimo opporla - ex art. 2923 del c.c. -
all'aggiudicatario (anche se vi e' da ritenere che questo non possa
essere vincolato a tutto il contenuto predeterminato dalla legge); in
ogni caso l'assegnatario, anche nella ipotesi di adempimento di tutte
le obbligazioni gravanti su di se', perdera' il diritto alla cessione
in proprieta' dell'immobile.
Tale perdita gravera' inoltre su soggetti che hanno ottenuto
l'assegnazione degli alloggi de quibus secondo una graduatoria che
tiene conto soprattutto di requisiti di minor abbienza, maggiore
popolarita' del gruppo familiare e peggiori caratteristiche di
abitabilita' delle case precedentemente occupate e che percio'
appartengono alle categorie economicamente e socialmente meno
abbienti e piu' deboli.
Va inoltre rilevato come per tali soggetti la perdita del proprio
diritto consegua alla espropriazione del bene in attuazione della
garanzia ipotecaria dell'istituto per inadempimento di un debito non
dell'assegnatario, ma dell'ente.
Il tribunale ritiene quindi non manifestamente infondata la
questione della compatibilita' delle disposizioni sopracitate (artt.
1 e 16 del r.d. n. 1165/1938 e a 2 del d.P.R. n. 226/1975) con gli
artt. 2, 3, 42, secondo comma, e 47, secondo comma, della
Costituzione.
Secondo l'art. 47, secondo comma, infatti "La Repubblica favorisce
l'accesso del risparmio popolare alla proprieta' dell'abitazione".
Tale norma tutela, secondo opinione condivisa da questo collegio
il c.d. "diritto alla abitazione".
Esso trova fondamento anche nell'art. 2 della Costituzione,
secondo cui "La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua personalita' e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale".
Infatti se il significato attribuito al diritto all'abitazione e'
quello di diritto ad uno spazio abitabile in cui la personalita' si
svolge, questo diviene uno dei diritti inviolabili della
personalita', previsto dalla Costituzione e per la garanzia del quale
e' richiesto l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarieta'.
Dalla interpretazione sistematica delle disposizioni
costituzionali appare poi come molte direttive acquistino significato
anche se collegate alla garanzia del diritto all'abitazione come
diritto della personalita': l'art. 31 ad esempio con la tutela della
famiglia ed in particolare di quella numerosa, l'art. 37 con la
tutela della maternita' e della infanzia e l'art. 32 con la tutela
del diritto alla salute, intesa nel piu' ampio significato
psicofisico, necessitano per la loro attuazione anche della garanzia
del diritto alla abitazione come godimento di un habitat adeguato.
Va incidentalmente rilevato come sia la Dichiarazione universale
dei diritti dell'uomo sia il Patto internazionale dei diritti
economici, sociali e culturali, entrambi ratificati dallo Stato
italiano e percio' entrati a far parte del nostro ordinamento
auspicano l'accesso di tutti gli individui alla abitazione.
E intanto vi e' da ritenere che lo Stato abbia ratificato tali
convenzioni in quanto i principi in esse contenuti trovavano
riscontro nella sua costituzione formale e materiale.
Secondo l'orientamento sinora seguito dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale invece l'art. 47, secondo comma, tutela
soltanto, sebbene in forma privilegiata, un diritto alla proprieta'
della abitazione, che ha come soggetto il cittadino risparmiatore e
come oggetto la (casa di) abitazione; la situazione giuridica e'
quindi riportata nell'ambito dei rapporti economici tra lo Stato e i
cittadini e di questi tra loro.
Le disposizioni impugnate da questo tribunale, rendendone di fatto
inattuabile l'accesso da parte di individui, per cui peraltro
l'accesso e' favorito in considerazione anche della popolosita' del
loro nucleo familiare e delle caratteristiche di scarsa abitabilita'
degli alloggi precedenti, violano il loro diritto alla abitazione (ed
in senso lato alla salute), quale diritto della personalita', sia
come singoli, sia nella formazione sociale della famiglia e sono
percio' in contrasto con l'art. 47, secondo comma, nella sua
interpretazione piu' estensiva.
Tuttavia le disposizioni impugnate, prevedendo una ablazione della
proprieta' dell'alloggio nei confronti dell'ente verso cui il
cittadino risparmiatore ha maturato un diritto alla cessione in
proprieta' ostano comunque al favor costituzionale del diritto alla
proprieta' della abitazione sono in contrasto con l'art. 47, secondo
comma, della Costituzione anche nella sua interpretazione piu'
restrittiva.
Il citato articolo costituisce poi, nel sistema delle norme
costituzionali, un'attuazione del principio fondamentale di
uguglianza di fatto dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione,
secondo cui "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la liberta' e la
uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana, e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"; cio'
almeno secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Corte
costituzionale sul principio di uguaglianza secondo il criterio di
"ragionevolezza" della discriminazione di differenti situazioni.
Infatti l'intenzione del costituente, garantendo un maggior favore
alla proprieta' privata quando questa ha ad oggetto un bene primario
quale l'abitazione e a soggetto il lavoratore risparmiatore, e' che,
con l'attuazione dell'art. 47, secondo comma, sia rimosso, nei
confronti di questa categoria di soggetti, l'ostacolo di ordine
economico, costituito dall'alto costo del mercato dell'abitazione,
posto all'accesso alla proprieta' della medesima.
Ma le disposizioni impugnate, in quanto impediscono la cessione in
proprieta' degli alloggi agli assegnatari, appartenenti alle
categorie economicamente e socialmente meno abbienti, non rimuovono,
come invece nell'intenzione del legislatore del sistma della c.d.
edilizia residenziale pubblica, l'ostacolo economico e sociale che
questi incontrano all'accesso della proprieta' della casa e
contrastano con la realizzazione della uguaglianza di fatto dei
cittadini.
Se il diritto all'abitazione poi e' inteso come diritto della
personalita', come sopraesposto, il suo ostacolo impedisce "il pieno
sviluppo della persona umana".
Il citato art. 47, secondo comma, costituisce poi anche ulteriore
sviluppo dell'art. 42, secondo comma, della Costituzione, secondo
cui: "La proprieta' privata e' riconosciuta e garantita dalla legge,
che ne determina i modi di acquisto, di godimento ed i limiti allo
scopo di attuarne la funzione sociale e di renderla accessibile a
tutti".
Infatti, accentuando la garanzia della proprieta' dell'abitazione,
il legislatore detta una presunzione costituzionale di utilita'
sociale.
Tutto il sistema delle leggi che disciplina la c.d. "edilizia
residenziale pubblica", in quanto diretta a garantire a determinati
soggetti meno abbienti la proprieta' dell'abitazione a bassi costi,
puo' ritenersi emanata anche in attuazione dei principi sopraesposti.
Tuttavia ritiene questo collegio che le disposizioni impugnate, in
quanto prevedono la ipotecabilita' e percio' la espropriabilita' con
conseguente perdita per gli assegnatari del diritto alla cessione in
proprieta' degli alloggi di edilizia economica e popolare, gia'
assegnati in locazione, urti contro il favor costituzionale
all'accesso del risparmio popolare alla proprieta' (conformata dalla
funzione sociale) dell'abitazione.
Va infine rilevato come tali disposizioni paiano a questo collegio
in contrasto con il principio fondamentale di uguaglianza formale di
cui all'art. 3, primo comma, della Costituzione (sempre secondo
l'interpretazione datane dalla Corte costituzionale), secondo cui:
"Tutti i cittadini hanno pari dignita' sociale e sono uguale davanti
alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali".
Infatti queste disposizioni creano una disparita' di trattamento
tra gli assegnatari di alloggi espropriati e gli altri, disparita'
che, essendo gli assegnatari tali in quanto aventi tutti i requisiti
prescritti dalla legge, non ha ragione d'essere.