IL PRETORE
      Letti  gli atti del procedimento penale n. 2117/1989 a carico di
 Bazzica Giuseppe, Iannone  Renzo,  Mantanucci  Patrizio  e  Parserini
 Francesco,  imputati  "alla  contravvenzione prevista dagli artt. 110
 del c.p. e 20 lett. c), della legge 28  febbraio  1985,  n.  47,  per
 avere   in  concorso  tra  loro,  Bazzica  Giuseppe  in  qualita'  di
 proprietario e Iannone Renzo in qualita' di  committente,  Mantanucci
 Patrizio  di direttore dei lavori e Perserini Francesco di esecutore,
 senza essere  in  possesso  della  concessione  edilizia,  modificato
 l'aspetto esteriore di cui fabbricato sito in Orvieto via delle Donne
 n. 1 e realizzato un vano interrato avente un'altezza di m 2  ed  una
 superficie  di  mq  15 in contrasto con le norme del piano regolatore
 acc. in Orvieto il 28 settembre 1989" osserva quanto segue:
      poiche'  il  fabbricato  oggetto  di  intervento  in  assenza di
 concessione edilizia ricade in zona sottoposta a  vincolo  paesistico
 appare    allo   stato   corretta   la   configurazione   del   reato
 indipendentemente dalla modesta entita' dell'intervento stesso;
      la  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 20 lett.
 c), ultima parte della legge 28  febbraio  1985  n.  47,  che  questo
 pretore   si   appresta   a   sollevare  d'ufficio  risulta  pertanto
 sicuramente rilevante per la definizione  del  giudizio,  concernendo
 l'efficacia della norma alla stregua della quale deve essere valutata
 ed eventualmente sanzionata la condotta degli imputati;
      ne'  vale  a  "sospendere"  provvisoriamente  la rilevanza della
 questione l'eventuale  richiesta  di  concessione  in  sanatoria  dal
 momento   che,   trattandosi   di   richiesta   destinata  ad  essere
 necessariamente  respinta  perche'  avente  per  oggetto   opera   in
 contrasto  con  gli strumenti urbanistici generali, non sussistono le
 condizioni per sospendere l'esercizio dell'azione penale ex artt.  13
 e 22 della legge n. 47/1985;
      l'elemento  che  inficia  la  legittimita'  costituzionale della
 norma e'  ravvisabile  nella  elevata  entita'  del  minimo  di  pena
 edittale  (5 giorni di arresto e lire trenta milioni di ammenda) tale
 da non consentire mai, neanche in relazione ad interventi  di  minima
 entita'  ed in presenza di attenuanti generiche (le uniche attenuanti
 generalmente  riconoscibili  in  casi  del  genere)  la   sospensione
 condizionale della pena, consentita invece, ovviamente in presenza di
 tutte le altre condizioni, per reati da ritenere molto piu' gravi sia
 alla stregua di criteri legali (art. 16, terzo comma, del c.p.p.) sia
 in base al comune  sentire,  quali  per  esempio:  furto  semplice  o
 aggravato,  violenza  carnale  in  presenza  di attenuanti generiche,
 omicidio colposo, sequesto di persona, disastro colposo ecc.;
      inoltre,  per  effetto  dell'istituto  della continuazione ormai
 operante secondo la prevalente giurisprudenza (Corte  costituzionale,
 sentenza  17 marzo 1988, n. 312) anche tra delitti e contravvenzioni,
 si verifica che in caso di condanne per il reato di cui  all'art.  20
 lett.  c),  della  legge n. 47/1985 unificato ad un reato piu' grave,
 quale per esempio quello di cui  all'art.  324  del  c.p.  o  di  cui
 all'art.  631  del  c.p.,  puo'  essere  sospesa  la pena complessiva
 irrogata grazie ad un aumento della pena fissata per  il  reato  piu'
 grave  contenuto entro il limite di cui all'art. 163 del c.p., mentre
 non puo' esserlo in caso di assoluzione per il reato piu' grave o  di
 imputazione limitata al reato di cui all'art. 20 citato;
      la  disparita'  di trattamento evidenziata e' cosi' macroscopica
 da sconfinare nella irragionevolezza ed iniquita'  e  quindi  da  non
 poter  essere  giustificata  con  la  liberta'  del legislatore nelle
 scelte di politica normativa a tutela del territorio, dal momento che
 la  ragionevolezza e l'equita' sono valori immanenti dell'ordinamento
 giuridico e della Costituzione repubblicana;
    e  poiche'  una pena irragionevole ed iniqua lungi dal contribuire
 alla rieducazione del condannato, cosi' come prescrive invece  l'art.
 27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  suscita  un  sentimento  di
 ostilita'  se   non   addirittura   di   ribellione   nei   confronti
 dell'ordinamento,  appare manifesto il contrasto della norma che tale
 pena commina sia con l'art. 3 che con l'art. 27, terzo  comma,  della
 Costituzione.