IL TRIBUNALE RILEVATO IN FATTO Con ordinanza 12 ottobre 1988 il giudice istruttore presso il tribunale di Firenze ordinava il rinvio a giudizio di: Caputo Walter, Pratesi Daniela, Giannassi Stefano, Gramigni Cinzia, Marceddu Riccardo, Di Nardo Donato, Gabrielli Riccardo, Bennucci Massimo, Tanzy Luigi, Tempra Gennaro, Gigli Ivano ed altri per rispondere dei delitti p. e p. dagli artt. 75, 71 e 74, della legge n. 685/1975 ed altro. Il tribunale di Firenze, con sentenza 13 marzo 1989, declinava la propria competenza per territorio, trasmettendo gli atti a questo tribunale. La Corte di cassazione, risolvendo il conflitto di competenza sollevato da questo tribunale, attribuiva la competenza a questo tribunale. All'udienza 12 dicembre 1989 gli imputati Caputo Walter, Pratesi Daniela, Giannassi Stefano, Gramigni Cinzia, Marceddu Riccardo, Di Nardo Donato, Gabrielli Riccardo, Bennucci Massimo, Tanzy Luigi, Tempra Gennaro e Gigli Ivano, chiedevano - ai sensi degli artt. 247 delle disp. trans. del c.p.p. e 438 del c.p.p. - che il processo venisse definito allo stato degli atti; il p.m. negava il proprio consenso in ordine a tali richieste. I difensori dei predetti imputati, all'udienza odierna, hanno sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale del comb. disp. degli artt. 247 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271 e 438 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 447 "nella parte in cui esclude la sindacabilita' e l'impugnabilita' del dissenso del p.m. sulla richiesta di rito abbreviato" in relazione agli artt. 3, 24, primo e e secondo comma, 101, secondo comma, 102, primo comma, e 111, secondo comma. CONSIDERATO IN DIRITTO Il tribunale ritiene che il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di illegittimita' costituzionale sollevata. Ritiene altresi' che la questione non sia manifestamente infondata giacche' le norme impugnate appaiono in contrasto con una pluralita' di parametri costituzionali, con particolare riferimento al ruolo che le norme stesse attribuiscono al pubblico ministero, non solo nei confronti dell'imputato, ma anche, e soprattutto, nei confronti del giudice. Giova al riguardo richiamare quanto argomentato dalla Corte costituzionale con sentenza del 18 aprile 1984, n. 120. Invero, l'istituto dell'applicazione della sanzione sostitutiva ex artt. 77 e 78, della legge n. 689/1981, presenta affinita' con quello introdotto dagli artt. 438 e segg. del d.P.R. n. 447/1988 sotto il profilo del discendere, nell'uno e nell'altro caso, da un apprezzamento discrezionale del pubblico ministero l'applicabilita' o meno di uno specifico schema processuale. Tuttavia, nell'istituto ex artt. 77 e 78, della legge n. 689/1981, la formulazione di un parere negativo con efficacia vincolante da parte del pubblico ministero altra valenza non aveva - a parere della Corte - che quella di precludere un epilogo del procedimento in anticipo rispetto alla fase processuale maggiormente garantita qual e' il dibattimento imperniato sul contraddittorio diretto tra le parti, salvo al giudice - una volta procedutosi alla fase del dibattimento - ogni potere decisionale, compreso quello di accogliere o non la richiesta dell'imputato, indipendentemente dall'atteggiamento assunto dal p.m. Ne consegue che per quell'istituto la Corte non rileva alcun contrasto con parametri costituzionali. Per converso, nel caso di specie, contrasto pare emergere con specifico riguardo alla compressione dell'integrita' del potere decisionale del giudice. In particolare, le norme in esame appaiono contrastare, nella parte in cui escludono non soltanto l'applicabilita' di uno specifico schema processuale, ma anche della diminuzione in misura fissa di un terzo della pena determinabile in concreto dal giudice ex art. 442, secondo comma, del d.P.R. cit.: 1) l'art. 3 della Costituzione, perche' le ragioni del pubblico ministero, contrarie alla richiesta dell'imputato, si impongono, caso per caso ed in modo definitivo, al giudice, non potendo ricevere, da parte di questo, obiettiva ed imparziale valutazione nella fase del dibattimento sotto lo specifico profilo della richiesta diminuzione, in misura fissa di un terzo, della pena determinabile in concreto; 2) l'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, perche' la richiesta dell'imputato viene ad essere sottratta in modo definitivo alla valutazione del giudice, a partire dall'impossibilita' di un piu' approfondito esame della richiesta stessa nel contraddittorio della fase dibattimentale; 3) l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, perche' il mancato intervento dell'atto di consenso del pubblico ministero comprime le attribuzioni di organo giudicante proprie del giudice, con specifico riguardo alla pienezza della sua liberta' di valutazione, non potendo questi emettere in sede dibattimentale qualsiasi sentenza: risulta, infatti, dal novero dei contenuti decisori escluso quello nel quale la pena da determinare in concreto sia diminuita in misura fissa di un terzo ex art. 442, secondo comma, del d.P.R. n. 447/1988; 4) l'art. 102, primo comma, della Costituzione, perche' cio' che attiene all'esercizio dell'azione penale, com'e' il caso di ogni richiesta vincolante di passaggio al dibattimento da parte del pubblico ministero come effetto del mancato intervento dell'atto dopo l'apertura del dibattimento, sconfinando, cosi', con l'esclusione sub 3) esposta, nel campo dell'attivita' decisoria riservata al giudice; 5) l'art. 111, secondo comma, della Costituzione, giacche' il mancato intervento dell'atto di consenso del pubblico ministero non comporta soltanto la mancata applicazione di un certo schema processuale, ma integra gli estremi - attesa la sua efficacia vincolante sul potere valutativo del giudice - di un provvedimento decisorio non motivato e non ricorribile per cassazione.