IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza; Viste le istanze di affidamento in prova al servizio sociale e di semiliberta' avanzate da Ruggeri Roberto, nato a Colmurano il 1 agosto 1949 ed ivi residente via Aldo Moro n. 8, condannato alla pena di mesi 1 di reclusione con sentenza del pretore di Gallarate in data 21 marzo 1988; Considerato che l'istante, ritualmente citato, non e' comparso all'odierna udienza, ove il p.m. e il difensore hanno concluso come in atti; O S S E R V A L'istante, condannato alla pena di cui in premessa, si trova attualmente in liberta', avendo ottenuto dalla pretura di Gallarate la sospensione dell'ordine di carcerazione ai sensi dell'art. 47, quarto comma, della legge n. 354/1975, attesa l'ammissibilita' dell'istanza di semiliberta'. A giudizio di questo tribunale deve essere prioritariamente esaminata l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale, stante il suo minor contenuto afflittivo. Poiche' il Ruggeri, tuttora libero, non risulta aver espiato neppure un giorno di custodia cautelare, l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale dovrebbe essere dichiarata inammissibile; ex art. 47, terzo comma, della legge n. 354/1975, che prevede testualmente che la misura de quo "puo' essere disposta senza procedere all'osservazione in istituto quando il condannato, dopo un periodo di custodia cautelare, ha goduto di un periodo di liberta' serbando un comportamento tale da consentire il giudizio di cui al precedente comma secondo" (relativo all'idoneita' della misura a contribuire alla rieducazione del reo e a prevenire il periodo della commissione di altri reati). La novella introdotta con la legge 10 ottobre 1986, n. 663, ha opportunamente modificato l'art. 47 dell'ordinamento penitenziario, introducendo il principio del ripudio della sanzione detentiva allorche' l'inizio dell'esecuzione penale avvenga - come spesso accade - a distanza di tempo dal commesso reato. Puo' risultare infatti controproducente, ed e' comunque desocializzante la risposta in chiave detentiva ad episodi risalenti nel tempo, allorche' appaiano mutate le condizioni soggettive del condannato, che puo' avere in atto, ovvero puo' avere gia' compiuto, un processo rieducativo. In tale ipotesi il legislatore, sostituendo l'osservazione scientifica della personalita' con una "osservazione atipica", avente ad oggetto la condotta serbata in liberta' dal condannato, ha previsto opportunamente quello che e' stato definito un meccanismo privilegiato di accesso alla misura, meccanismo che, lungi dal far venir meno alla stessa i caratteri tipici della probation penitenziaria, investe peraltro l'affidamento in prova al servizio sociale di una funzione specifica, quale quella di non sconvolgere la realta' e la condizione di inserimento sociale nella quale vive il condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna. Non appare comprensibile il limite posto dal legislatore relativo alla necessita' di una pregressa custodia cautelare. E' ragionevole prevedere che laddove ci sia stata una esecuzione, ne sia impedita la ripetizione, ovviamente ove ricorrano le condizioni oggetto della cosiddetta "osservazione atipica" (condotta serbata in liberta' dopo la custodia cautelare). Censurabile invece, la preclusione all'accesso alla misura del condannato che non abbia subi'to alcuna custodia cautelare se non previa espiazione di almeno un mese di pena, termine minimo per procedere alla osservazione, non si comprende, infatti perche' la particolare valenza trattamentale dell'affidamento in prova al servizio sociale in relazione ai casi in cui la definitivita' della condanna (e pertanto, l'esecuzione della pena) sopraggiunga a distanza di tempo dal commesso reato, debba venir meno nei confronti di soggetti che fin dal momento della commissione mostravano una pericolosita' sociale meno spiccata, tanto da non vedersi sottoposti ad alcun provvedimento restrittivo cautelare. Altrettanto incomprensibile appare la ragione per cui il legislatore abbia previsto l'obbligatorio ingresso in carcere (onde procedere all'osservazione) da parte di coloro che, condannati ad una pena inferiore ai tre anni, non abbiano sofferto custodia cautelare. L'affidamento in prova al servizio sociale e' un trattamento extramurario che mira al raggiungimento di risultati sul piano della rieducazione oltre che su quello della prevenzione della recidiva, tramite lo sganciamento totale del condannato dalla struttura penitenziaria e la parallela sottoposizione a prescrizioni. Sfugge pertanto la ratio del necessario ingresso in Istituto del condannato che non abbia sofferto custodia cautelare, modalita' che si pone in stridente contrasto con la finalita' rieducativa della misura stessa. Si tratta, infatti, di un passaggio obbligatorio che, seppure finalizzato alla eventuale concessione della misura de quo puo' venire ad interrompere un processo rieducativo in atto o ad incidere su uno gia' compiuto rappresentando comunque un momento desocializzante per il condannato. E' irragionevole ipotizzare che il legislatore abbia inteso evitare una ulteriore carcerazione a coloro che abbiano gia' subi'to custodia cautelare, in quanto l'efficacia ammonitiva della sanzione detentiva ha gia' operato sul condannato, determinando, in ipotesi, ad un corretto comportamento durante la liberta'. A parte il fatto che cosi' ragionando si considererebbe la pena in funzione esclusivamente specialpreventiva, non potendosi attribuire alcuna finalita' rieducativa alla custodia cautelare, quest'ultima finirebbe con il perseguire una delle finalita' che sono proprie dell'affidamento in prova al servizio sociale, nella misura in cui il beneficio, anche tramite adeguate prescrizioni, assicura la prevenzione del pericolo della commissione di futuri reati. Va ancora ricordato che l'art. 47, terzo comma, ord. penit. richiede un periodo minimo di custodia, non specificandone peraltro la durata: e' ipotizzabile, pertanto, anche un solo giorno di custodia cautelare. In tale evenienza, di non escludersi a priori, non si puo' certo attribuire alcuna efficacia ammonitiva alla carcerazione presofferta, ne' si puo' ragionevolmente attribuire a quest'ultima una anche minima valenza trattamentale. La norma in questione non specifica neppure quanto tempo debba intercorrere tra la custodia cautelare sofferta e l'eventuale ammissione alla misura de quo, dimodoche', se la condanna e' passata in giudicato in tempi brevi, il comportamento oggetto del giudizio di cui all'art. 47, terzo comma, o.p., puo' essere anche molto limitato nel tempo e, pertanto, molto poco significativo. L'art. 47, terzo comma, ord. penit. neppure richiede un giudizio positivo sulla condotta tenuta durante la custodia cautelare: se tale lacuna puo' essere colmata tenendo conto che il giudizio sulla rieducazione deve essere globale, e' anche vero che in materia di liberta' personale e' opportuno che siano sempre indicati con precisione gli elementi e gli eventuali parametri su cui deve basarsi la valutazione giudiziale. Pare pertanto a questo collegio che l'art. 47, terzo comma, ord. penit. sia sospetto di illegittimita' costituzionale sotto diversi profili. Quanto all'art. 3 della Costituzione, esso appare violato in quanto due situazioni simili (in relazione ad entrambe, infatti, l'affidamento in prova al servizio sociale si configura come strumento diretto ad evitare l'impatto con il carcere a soggetti che hanno mutato atteggiamenti e condotte di vita rispetto al momento della commissione del fatto) vengono sottoposte a trattamenti differenziati sulla base di un criterio discriminante, quale la pregressa custodia cautelare, che non e' di per se' rilevante ai fini della valutazione che spetta al tribunale di sorveglianza in ordine alla prognosi favorevole circa la rieducazione e la prevenzione della recidiva. Non puo' ritenersi sufficiente a superare l'iniquita' della distinzione la previsione, di cui all'art. 50, primo e quarto comma, ord. penit., della possibilita' di richiesta da parte di soggetti non legittimati ad avanzare istanza ai sensi dell'art. 47, terzo comma, ord. penit. di ammissione al regime di semiliberta'. Tale possibilita' e' infatti limitata ai casi in cui siano da espiare la pena dell'arresto o della reclusione non superiore a sei mesi, e riguarda una misura, la semiliberta', che comporta purtuttavia l'assegnazione del condannato a sezioni di istituti di pena per trascorrervi le ore notturne. La violazione dell'art. 13 della Costituzione appare gia' grave nell'attuale sistema, e ancora di piu' lo sara' alla luce del nuovo codice di procedura penale, che ha previsto un sistema articolato di misure coercitive (capo secondo e terzo, titolo primo, libro quarto) proponendo altresi' un uso graduale del potere coercitivo (art. 275). L'art. 284, come e' noto, prevede la misura degli arresti domiciliari (che ricalca quella prevista dal codice vigente) e al quinto comma dispone che "l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare". Non cosi' puo' considerarsi l'imputato sottoposto alla misura dell'obbligo di dimora prevista dell'art. 283, rafforzata dalla prescrizione di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno (quarto comma). Il contributo afflittivo di tale misura e' indiscutibile, ed e' irrazionale ritenere che il soggetto sottoposto a quest'ultima "piu' blanda forma di arresti domiciliari", in quanto non sottoposto a custodia cautelare, non potra' vedersi affidato in prova al servizio sociale ai sensi dell'art. 47, terzo comma, ord. penit. Infine, anche l'art. 27 della Costituzione appare violato, in quanto non si puo' attribuire alcuna finalita' rieducativa ad una pena detentiva che vada espiata in carcere per il tempo necessario allo svolgimento dell'osservazione scientifica della personalita', pena detentiva che, viceversa, viene convertita a coloro che hanno sofferto custodia cautelare. Ma nemmeno si puo' attribuire alcuna finalita' alla custodia cautelare, come invece fa il legislatore consentendo che cio' legittimi unitamente ad una buona condotta in liberta', l'accesso "privilegiato" alla misura. Apparendo pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma, ord. penit., si impone, essendo indubbia la rilevanza della stessa ai fini della decisione del procedimento, la rimessione di ufficio degli atti alla Corte costituzionale.