IL PRETORE Visti gli atti del procedimento penale a carico di Bertolucci Renzo; Rilevato che l'imputato, ai sensi dell'art. 566, ottavo comma, del c.p.p. ha formulato, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, richiesta di applicazione della pena a norma dell'art. 444 del c.p.p., e che vi e' stato il consenso del p.m., e che quindi il giudicante, sempre a norma dell'art. 444 del c.p.p. ove ritenga corretta la qualificazione giuridica del fatto e l'applicazione e comparazione delle circostanze, e non debba pronunciare sentenza a norma dell'art. 129 del c.p.p., deve disporre con sentenza l'applicazione della pena richiesta; O S S E R V A Di fronte alla richiesta congiunta del p.m. ed imputato, il giudice, per usare le parole della relazione ministeriale, non puo' effettuare "alcun sindacato sulla congruita' della pena richiesta, trattandosi di materia riservata alla determinazione esclusiva delle parti", potendo egli valutare esclusivamente la "cornice" entro cui e' avvenuta la commisurazione della pena, e cioe' la mera correttezza della qualificazione giuridica del fatto, delle circostanze e della comparazione tra le stesse, fermo restando il disposto dell'art. 129 del c.p.p. La decisione del giudice nei limiti sopra trattati avviene sulla base degli atti, senza possibilita' di acquisizione di ulteriori elementi probatori (se pur si arrivi a ritenere tali gli elementi acquisiti in sede di indagini preliminari); inoltre la valutazione degli atti compiuti e' consentita e imposta al giudice al solo fine di controllare che ricorrano i presupposti voluti dalla legge per darsi luogo al rito alternativo. Tali profili sembrano, a questo pretore, poter porsi in contrasto con gli artt. 101, secondo comma, 102, primo comma, 13, primo e secondo comma, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 111, primo comma, della Costituzione. L'indipendenza del giudice, sancita dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione, appare infatti vulnerata in quanto l'accordo tra p.m. ed imputato va ad imporre all'organo giudicante l'emanazione di una sentenza di merito il cui contenuto prescinde del tutto (eccezion fatta per l'accertamento delle condizioni di legittimita' volute dalla legge per fare ricorso al rito differenziato) dal suo libero convincimento e da un accertamento di penale responsabilita', e comporta l'irrogazione acritica della pena concordata dalle parti anche ove questa possa apparire in contrasto con i criteri imposti dall'art. 133 del c.p.; e puo' ancora sottolinearsi come in tal modo, si privi il giudice di un potere dovere attribuitogli dalla legge, quello di determinare la pena secondo i parametri di cui all'art. 133 del c.p., non in virtu' di criteri rigorosamente predeterminati, e quindi verificabili, bensi' a causa dell'esercizio di un potere discrezionale attribuito ad altri soggetti - p.m. ed imputato - attivato al di fuori di ogni possibile valutazione e controllo in sede giurisdizionale: sembra cosi' che il giudicante non sia piu' soggetto soltanto alla legge ma alla volonta', giurisdizionalmente insindacabile delle parti. Inoltre l'interpretazione dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione che sembra potersi trarre dalle sentenze della Corte costituzionale n. 123/1971 e n. 120/1984, pare confermare come la garanzia costituzionale della indipendenza del giudice non possa essere erosa da disposizioni di legge che attribuiscono al p.m. un potere che vada a vincolare la liberta' di valutazione e di convincimento dell'organo giudicante: afferma, invero, la Corte costituzionale nella sentenza n. 123/1971 che "non puo' fondatamente ritenersi che, in violazione del principio di indipendenza sancito dall'art. 101, secondo comma, della Costituzione, l'art. 370 del c.p.p. vincoli il giudice istruttore limitandone il libero convincimento a dare esecuzione immediata e acritica alle richieste di ulteriori atti istruttori che gli pervengano dal p.m.", mentre la sentenza n. 120/1984, anch'essa interpretativa di rigetto, salvata la costituzionalita' degli artt. 77 e 78 della legge n. 689/1981 sul presupposto che il parere espresso dal p.m. lasciava comunque intatte "le attribuzioni di organo giudicante proprie del giudice nella pienezza della sua liberta' di valutazione e di convincimento". La disciplina di cui all'art. 444 del c.p.p. sembra inoltre contrastare con il disposto dell'art. 102, primo comma, della Costituzione: tale disposizione infatti pare riservare l'esercizio di funzioni giurisdizionali a contenuto decisorio al solo organo giudicante, mentre una tale competenza non puo' dirsi costituzionalmente riconosciuta al p.m. (cfr. Corte costituzionale sentenze n. 148/1963, n. 97/1975, n. 120/1984); la fondamentale distinzione tra potere d'azione e potere di decisione risulta anche dagli artt. 107, ultimo comma, 108 capoverso, 112, della Costituzione, oltre che dalle norme sull'ordinamento giudiziario esplicitamente richiamate dall'art. 102, primo comma, della Costituzione. L'art. 444 del c.p.p. prevede invece, sostanzialmente, un esercizio di potere giurisdizionale affidato alle parti - p.m. ed imputato - libere, secondo un modulo di discrezionalita' insindacabile di scegliere la misura della pena che il giudice sara' poi "costretto" ad applicare. Il fatto che la sentenza ex art. 444 del c.p.p. possa essere emanata sulla sola base di atti compiuti durante le indagini preliminari, qualunque spessore semantico tali atti abbiano (e non potendo il giudice ritenere di non poter decidere allo stato degli atti), sembra comportare che puo' essere emanata una condanna senza accertamento di responsabilita', riducendo inoltre, entro limiti che paiono angusti, la possibilita' concreta di emettere una pronuncia ex art. 129 del c.p.p. Tale profilo pare porsi in contrasto con gli artt. 13, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione ove si consideri che alla inviolabilita' della liberta' personale e del diritto di difesa consegue la indisponibilita' di tali diritti, talche' non sarebbe consentito all'imputato di rinunziare ad essi accedendo ad un rito differenziato nell'ambito del quale puo' essere emanata una sentenza di condanna per la quale, come si legge nella relazione ministeriale "non occorre un positivo accertamento della responsabilita' penale". Perche' sia emessa una sentenza di condanna ex art. 444, occorre che, sulla base degli atti, non possa essere pronunziata sentenza di non punibilita' ex art. 129 del c.p.p.: al riguardo va ancora sottolineato come, non essendo possibile effettuare ulteriori acquisizioni probatorie, e dovendo il giudice basarsi esclusivamente sul materiale in atti, qualunque valenza esso abbia, la possibilita' concreta di emettere una tale sentenza resti gravemente frustrata; il meccanismo predisposto dall'art. 444 in somma, consente ed impone che per pronunziare sentenza di condanna non sia necessario il previo accertamento probatorio di penale responsabilita' ma, al contrario, il mero accertamento che dagli atti non emergano le cause di non punibilita' di cui all'art. 129 del c.p.p.: sembra, cosi' che si realizzi una sorta di capovolgimento del canone di cui all'art. 27, secondo comma, della Costituzione in quanto il principio secondo cui "l'imputato non e' considerato colpevole sino alla condanna definitiva" esige invece che sia provata la responsabilita' penale e non certo l'innocenza. Lo stesso obbligo dimotivazione sancito dall'art. 111, primo comma, della Costituzione sembra non poter essere rispettato, proprio in considerazione della esiguita', se non della completa carenza, del materiale probatorio su cui va a fondarsi la sentenza emessa ex art. 444 del c.p.p. (ovviamente non nel caso in cui una tale sentenza sia emanata all'esito del dibattimento in seguito ad una valutazione negativa del dissenso del p.m.), e tenuto anche conto che una tale sentenza prescinde completamente dal libero convincimento del giudicante e da ogni sua valutazione nel merito, mentre, d'altro canto, all'enunciazione nel dispositivo che vi e' stata richiesta delle parti e' arduo assegnare il valore di motivazione. E non puo' sottacersi come l'obbligo di motivazione, permettendo un controllo sulle singole decisioni del giudice, sia collegato ad altri valori costituzionalmente garantiti come quelli di cui agli artt. 24, secondo comma, e 101, della Costituzione. Ne' sembra possa ritenersi al riguardo che "... quando il legislatore prevede come obbligatoria l'adozione di un provvedimento in relazione al verificarsi di certe ipotesi astrattamente previste, l'esigenza di motivazioni del provvedimento e' rispettata" (Corte costituzionale, sentenza n. 68/1967), in quanto, pur prescindendo dal fatto che difficilmente il consenso di p.m. e imputato, formatosi entro uno spazio di ampia ed incontrollabile discrezionalita', puo' qualificarsi come ipotesi astrattamente prevista, va sottolineato come la motivazione di provvedimenti restrittivi della liberta' personale - come nel caso di specie in cui le parti hanno chiesto l'applicazione di una pena di mesi otto di reclusione, senza benefici di sorta - sia costituzionalmente garantita non solo cal citato art. 111, primo comma, ma anche, ed in modo particolarmente inteso, dall'art. 13, secondo comma, della Costituzione. La rilevanza, ai fini della decisione, delle questioni di costituzionalita' prospettate e' evidente in quanto, nel caso di specie, la richiesta di applicazione della pena ex art. 444 del c.p.p. e' stata effettuata congiuntamente da imputato e p.m. prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, cosicche' risultando verificate le condizioni volute dalla legge per farsi ricorso al procedimento ex art. 44, questo pretore, proprio in applicazione di tale articolo, dovrebbe applicare con sentenza la pena richiesta basandosi sui soli elementi acquisiti ai fini della convalida dell'arresto valutati all'unico fine del riscontro delle condizioni legittimatrici del rito alternativo.