ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale della legge regionale
 dell'Emilia-Romagna riapprovata il  9  novembre  1989  dal  Consiglio
 regionale,  avente  per  oggetto:  "Credito agrario di conduzione con
 provvista in valuta  estera",  comunicata  il  14  novembre  1989  al
 Commissario  del  Governo,  promosso  con  ricorso del Presidente del
 Consiglio dei ministri, notificato il 29 novembre 1989, depositato in
 Cancelleria  il  6  dicembre  successivo  ed  iscritto  al n. 103 del
 registro ricorsi 1989;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 6 marzo 1990 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Uditi  l'Avvocato  dello  Stato Gaetano Zotta per il ricorrente, e
 l'avvocato Giandomenico Falcon per la Regione;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso notificato il 29 novembre 1989, il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
 generale   dello   Stato,   ha   impugnato  la  legge  della  Regione
 Emilia-Romagna approvata l'8 giugno 1989 e riapprovata il 9  novembre
 1989  (nel  medesimo  testo  rinviato  dal  Governo),  concernente il
 "credito agrario di conduzione con provvista in valuta estera".
    Si  deduce  in  primo  luogo  nel  ricorso  che  la concessione ad
 istituti esercenti il credito agrario di contributi "a  garanzia  del
 rischio di cambio", per le operazioni relative all'acquisto di valuta
 estera  destinata  all'accensione  di  "prestiti  di  conduzione"  ad
 imprenditori    agricoli    singoli    o    associati,    favorirebbe
 l'indebitamento  all'estero  in  valuta,  rendendo  incompatibile  la
 disciplina  in  oggetto  con  l'art.  117  della Costituzione che non
 consente alle regioni di intervenire  direttamente  o  indirettamente
 sui flussi finanziari con l'estero, incidendo sul mercato dei cambi e
 quindi sul valore esterno della moneta nazionale.
    La normativa impugnata violerebbe inoltre l'art. 109 del d.P.R. n.
 616 del 1977 che - in attuazione dell'art.  117  della  Costituzione,
 dal cui ambito esula la materia monetaria e creditizia e, ovviamente,
 la provvista all'estero di risorse finanziarie -  avrebbe  trasferito
 alle  regioni  una  serie di funzioni tassativamente indicate, tra le
 quali non rientra la concessione di contributi a garanzia del rischio
 di  cambio.  Peraltro, quand'anche tal tipo di intervento - in quanto
 diretto  ad  agevolare  l'accesso  al  credito  -  si  ritenesse   di
 competenza  delle regioni, l'attivita' di quest'ultime resterebbe pur
 sempre limitata - ai sensi del quarto comma del citato art. 109  alla
 mera  determinazione  dei  criteri  applicativi dei provvedimenti (di
 incentivazione) definiti in sede statale.
    Un  ulteriore  motivo  di  incostituzionalita' viene poi ravvisato
 nella violazione dei principi della legislazione statale in  materia,
 espressi  dall'art.  13 della legge 22 dicembre 1984, n. 887, nei cui
 commi terzo e seguenti si prevede che lo Stato - per le operazioni di
 credito  agrario  in  valuta  estera  - possa garantire il rischio di
 cambio, ma a determinate condizioni e limiti che  non  risulterebbero
 rispettati  dalla  denunciata  normativa  regionale. Contrariamente a
 quest'ultima, infatti, nella disciplina statale,  la  garanzia  viene
 accordata  solo per crediti agrari di miglioramento, per oscillazioni
 eccedenti il 2%, per operazioni di durata minima ultraquinquennale, e
 non oltre un controvalore massimo - in linea capitale predeterminato.
    La  circostanza  poi che l'operativita' del contributo regionale a
 garanzia del rischio  di  cambio  non  sia  subordinata  al  semplice
 verificarsi dei suoi presupposti legali, ma venga invece condizionata
 (art. 2 della legge)  alla  previa  stipula  di  convenzioni  fra  la
 regione  e  gli  istituti  di credito, restando cosi' sostanzialmente
 affidata alle libere scelte degli amministratori  regionali,  darebbe
 luogo,   ad   avviso   del  ricorrente,  ad  una  concreta  ingerenza
 nell'"ordinamento creditizio", con conseguente  violazione  dell'art.
 109,  comma  2, del d.P.R. n. 616 del 1977, che riserva allo Stato la
 competenza in tale settore.
    Si  deduce,  infine, l'illegittimita' della norma di cui al quarto
 comma dell'art. 1 della legge in questione che, ponendo "a carico del
 beneficiario"  l'eventuale  onere  derivante  da  una  variazione del
 cambio  in  misura  superiore  a  quella  garantita  dalla   regione,
 utilizzerebbe il termine "beneficiario" in modo tutt'altro che chiaro
 "con possibili riflessi sulla disciplina dei rapporti inteprivati".
    2.   -  Con  atto  depositato  il  22  dicembre  1989  la  Regione
 Emilia-Romagna   si   e'   costituita    in    giudizio    eccependo,
 preliminarmente,  che  tutte  le  censure  contenute nel ricorso - ad
 eccezione di quella concernente la presunta violazione  dei  principi
 generali  posti  nella  materia dalla legge statale n. 887 del 1984 -
 risulterebbero inammissibili, perche' formulate per la prima volta in
 sede di impugnativa, senza essere state in alcun modo prospettate nel
 precedente atto di rinvio governativo.
    Circa il lamentato effetto di indebitamento verso l'estero, che la
 normativa impugnata provocherebbe, la regione osserva che  il  motivo
 di    illegittimita'   cosi'   dedotto   risulterebbe   ulteriormente
 inammissibile, in quanto attinente ad una  violazione  dell'interesse
 nazionale   la   cui   cognizione  e'  di  esclusiva  competenza  del
 Parlamento. Nel merito, peraltro, la censura sarebbe  infondata,  sia
 perche'  poggiante  su  di  una  mera illazione, sia perche' la legge
 regionale, non essendo diretta a disciplinare il fenomeno del ricorso
 alla  provvista di valuta estera, ma, piu' semplicemente ad agevolare
 un  determinato  tipo  di  credito  agrario,  atterrebbe,  ai   sensi
 dell'art.   109  del  d.P.R.  n.  616/77,  a  materie  di  competenza
 regionale. Peraltro, il quarto comma del  predetto  art.  109,  letto
 unitamente  alle  disposizioni  che  lo  precedono, non ridurrebbe le
 funzioni  regionali  ad  una  semplice  potesta'  attuativa,  ma,  al
 contrario,  garantirebbe  l'esercizio  di  poteri  regionali anche in
 presenza di benefici a carattere statale o comunitario.
    In  ordine alla presunta inosservanza dei principi stabiliti nella
 materia dall'art. 13 della legge n. 887 del 1984, la regione  osserva
 che  tale  norma  confermerebbe  anzitutto che, alla luce del vigente
 ordinamento, tra i  vari  strumenti  di  incentivazione  del  settore
 agricolo,  deve comprendersi anche la garanzia del rischio di cambio.
 Per  quanto  attiene  invece  alla  diversita'  di   disciplina,   la
 resistente   afferma   che   le  differenze  denunciate  dallo  Stato
 costituirebbero una  semplice  espressione  della  propria  autonomia
 legislativa  e  non  gia' una violazione di regole che non possono in
 alcun modo considerarsi principi.
    Quanto  alla censurata necessita' di stipulare convenzioni con gli
 istituti di credito ai  fini  dell'operativita'  della  garanzia,  la
 regione  ritiene  che tale garanzia non potrebbe mai operare "in modo
 automatico" come sostiene invece il ricorrente, in quanto l'attivita'
 degli  operatori finanziari non puo' costituire oggetto di disciplina
 regionale. La denunciata indeterminatezza del termine  "beneficiario"
 di cui all'art. 1, quarto comma, della legge impugnata, non potrebbe,
 infine, vanificare l'evidente intento della disposizione di porre  un
 limite,  oltre  il  quale  il rischio di cambio deve comunque gravare
 (come accadrebbe in assenza  di  qualsiasi  garanzia)  sull'effettivo
 beneficiario dell'operazione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Con  ricorso in via principale, il Presidente del Consiglio
 dei ministri ha  impugnato  la  legge  regionale  dell'Emilia-Romagna
 riapprovata  il  9  novembre 1989, concernente il "credito agrario di
 conduzione con provvista in valuta estera". Si sostiene  nel  ricorso
 che  la  legge, prevedendo un contributo della Regione a garanzia del
 rischio  di  cambio  per  la  erogazione,  da  parte  degli  istituti
 esercenti  il  credito agrario, di "prestiti di conduzione" con fondi
 derivanti da provvista in valuta estera  e  disciplinando  la  misura
 massima   e  le  modalita'  di  concessione  ed  erogazione  di  tale
 contributo, contrasta: a) con l'art. 117 della  Costituzione  perche'
 interviene  sui flussi finanziari con l'estero, incidendo sul mercato
 dei cambi; b) con l'art. 109 del d.P.R. n. 616 del  1977  perche'  la
 materia   monetaria  e  creditizia  esula  da  quelle  di  competenza
 regionale e perche', quand'anche i contributi si inquadrassero  negli
 interventi  diretti  ad agevolare l'accesso al credito, la competenza
 regionale  resterebbe  limitata  alla  determinazione   dei   criteri
 applicativi  dei  provvedimenti  di  incentivazione  definiti in sede
 statale; c) con i principi della  legislazione  statale  in  materia,
 espressi  dall'art.  13  della  legge  22  dicembre  1984, n. 887 che
 prevede la garanzia solo per i crediti di  miglioramento,  di  durata
 ultraquinquennale,  relativamente alle variazioni di cambio superiori
 al 2%, e, in ogni  caso  limitatamente  ad  un  controvalore  massimo
 predeterminato,  la'  dove  la  legge  regionale impugnata estende la
 garanzia ai crediti di conduzione, senza  limiti  di  tempo,  per  le
 variazioni  inferiori  al  2%  e  senza  la  predeterminazione  di un
 controvalore. Si sostiene, altresi', in particolare:  che  l'art.  1,
 quarto  comma,  ponendo a carico del "beneficiario" l'eventuale onere
 derivante da una variazione del cambio superiore al 2% ed utilizzando
 il  termine  "beneficiario"  in modo ambiguo, nel senso, cioe', della
 sua  possibile  riferibilita'  all'Istituto   di   credito   anziche'
 all'imprenditore   agricolo,  possa  incidere  sulla  disciplina  dei
 rapporti interprivati, addossando all'Istituto tale onere; che l'art.
 2  della legge impugnata contrasti con l'art. 109, secondo comma, del
 d.P.R.  n.  616  del  1977,  perche'  subordina  l'operativita'   del
 contributo  in parola non al verificarsi dei suoi presupposti legali,
 ma alla precisa stipula di convenzioni fra la regione e gli  istituti
 di  credito,  lasciando  cosi' l'individuazione di questi ultimi alla
 libera determinazione degli amministratori regionali, con conseguente
 ingerenza nel settore del credito.
    2.1.    -    Va    preliminarmente    disattesa   l'eccezione   di
 inammissibilita' formulata dalla  Regione  Emilia-Romagna  -  sia  in
 relazione  alle  censure riguardanti la legge nel suo complesso ed in
 precedenza indicate sub a)  e  b),  sia  in  relazione  alle  censure
 concernenti,  in  particolare,  l'art.  1,  quarto comma e l'art. 2 -
 nell'assunto  che  le  stesse  non  sarebbero  state  in  alcun  modo
 prospettate nel precedente atto di rinvio governativo.
    In  proposito  va rilevato che, come questa Corte ha costantemente
 affermato (sentt. n. 221 del 1975, n. 212 del 1976, n. 72 del 1985 ed
 altre  ivi  richiamate), e' sufficiente, ai fini della ammissibilita'
 delle censure, che esse trovino  riscontro  sia  pur  generico  nella
 determinazione  governativa  di  rinvio,  purche'  i motivi di questa
 coincidano con quelli della  successiva  impugnazione  "almeno  nelle
 loro  linee  essenziali"  (sent.  n.  132 del 1975 e n. 147 del 1972)
 anche se in sede di rinvio solo "sinteticamente enunciati" (sent.  n.
 8 del 1967).
    Nella  specie  sussiste  tale rispondenza tra le censure formulate
 nel ricorso ed il provvedimento di rinvio nel quale non  solo  si  fa
 riferimento  ad  una  asserita ingerenza della Regione "nella materia
 dell'ordinamento del credito" ma si individua, altresi', il parametro
 normativo  nell'art.  109  del  d.P.R. n. 616 del 1977, e cioe' i due
 punti essenziali su cui si sviluppa il successivo iter  argomentativo
 del  ricorso.  Risultano percio' soddisfatte le condizioni cui questa
 Corte  ha  costantemente  subordinato,  sotto  il  profilo  indicato,
 l'ammissibilita' dell'impugnativa delle leggi regionali.
    2.2. - Va disattesa anche l'eccezione di inammissibilita' relativa
 alla parte del ricorso in cui  si  lamenta  che  la  legge  regionale
 "incentiverebbe  l'indebitamento estero in valuta". L'assunto secondo
 cui si sarebbe in presenza di una censura di merito non  puo'  essere
 condiviso  perche',  secondo questa Corte (sent. n. 991 del 1988), le
 censure di merito si differenziano da quelle di legittimita'  per  il
 dato formale che le regole o gli interessi assunti come parametro del
 giudizio non siano sanciti in alcuna norma della Costituzione, mentre
 nel  caso  in  esame  il  ricorrente fonda le proprie richieste sulla
 pretesa  violazione  di  norme   costituzionali   (art.   117   della
 Costituzione)  e di norme interposte (art. 109 del d.P.R.  n. 616 del
 1977).
    3.1. - Nel merito il ricorso e' infondato.
    Per  quel  che riguarda le censure in precedenza indicate sub a) e
 sub b) va rilevato che, una volta che l'art. 109,  primo  comma,  del
 d.P.R.  n.  616  del  1977  considera tra le funzioni trasferite alle
 Regioni "ogni tipo di intervento per agevolare l'accesso  al  credito
 nei  limiti  massimi  stabiliti  in  base  a  legge  dello Stato", e'
 inevitabile che in via indiretta si producano effetti  sulla  manovra
 del  credito e che, quando, come nella specie, si tratti di attingere
 da risorse estere,  tali  interventi  finiscano  con  l'incidere  sui
 movimenti  valutari  e  quindi  sulla  moneta.  Ma voler dedurre, dal
 prodursi di tali effetti mediati, l'impedimento  per  le  Regioni  di
 intervenire  con  misure  agevolative  del  credito,  significherebbe
 svuotare la competenza loro espressamente  attribuita  dall'art.  109
 del  d.P.R.  n.  616.  D'altronde  l'eventualita'  che, attraverso un
 eccesso di interventi agevolativi, possa verificarsi una  alterazione
 delle  linee  di  politica nazionale in materia creditizia e, quindi,
 monetaria e valutaria,  e'  scongiurata  dalle  previsioni  contenute
 nello  stesso  art. 109, il quale precisa che tali interventi possano
 attuarsi "nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello Stato" e
 "che   resta  ferma  la  competenza  degli  organi  statali  relativa
 all'ordinamento creditizio, agli istituti che esercitano il  credito,
 alla  determinazione  dei  tassi  minimi praticabili dagli istituti",
 rinviando altresi' alla legislazione dello Stato (art.  3,  legge  22
 luglio  1975,  n.  382)  per  la  determinazione dei "tassi minimi di
 interesse agevolati a carico dei beneficiari".
    Cosi'  individuati  i limiti della legislazione concorrente, in un
 quadro  di   contemperamento   dell'interesse   regionale   volto   a
 perseguire,  attraverso  una politica di incentivi, lo sviluppo delle
 attivita' economico-produttive attinenti alle materie trasferite, con
 quello  statale  diretto  a  mantenere  sotto controllo l'ordinamento
 creditizio ed i riflessi sui flussi monetari  e  valutari,  non  puo'
 condividersi    l'altro    assunto   del   ricorrente   secondo   cui
 l'attribuzione  regionale  riguarderebbe  "solo"   le   funzioni   di
 determinazione di criteri applicativi delle agevolazioni stabilite in
 sede  statale.  Invero  il  quarto  comma  dell'art.  109   cit.   fa
 riferimento  alle misure applicative non per escluderne altre, ma per
 comprendere anche quelle che servano a rendere  operativi  sul  piano
 concreto   i   provvedimenti   regionali.  Quest'ultima  disposizione
 stabilisce difatti che: "Il trasferimento di funzioni di cui al primo
 comma comprende le funzioni di determinazione dei criteri applicativi
 dei  provvedimenti   regionali   di   agevolazione   creditizia,   di
 prestazione  di  garanzie e di assegnazione di fondi, anticipazioni e
 quote  di  concorso,  destinati  alla  agevolazione  dell'accesso  al
 credito  sulle  materie  di competenza regionale, anche se relativi a
 provvedimenti  di  incentivazione  definiti   in   sede   statale   e
 comunitaria".
    Sulla  base  del  testo della disposizione citata non puo' percio'
 seguirsi la tesi secondo cui in virtu' di essa le Regioni  potrebbero
 determinare,  come  si  afferma nel ricorso, solo criteri applicativi
 "allorquando lo Stato esercita la sua competenza  -  che  e'  rimasta
 generale  - in tema di agevolazioni dell'accesso al credito". Invece,
 sia da detta disposizione che dalla  rimanente  parte  dell'art.  109
 cit.  (di  cui  si  e' gia' fatto cenno in precedenza) risulta che le
 Regioni, "nei limiti massimi stabiliti in base a legge dello  Stato",
 possano esse stesse adottare provvedimenti di carattere agevolativo e
 che, quando li adottino, possano anche  determinare  i  loro  criteri
 applicativi.
    Difatti,  come si e' rilevato, per l'art. 109, quarto comma, cit.,
 "il  trasferimento  di   funzioni...   comprende   le   funzioni   di
 determinazione  dei  criteri applicativi dei provvedimenti regionali"
 destinati alla agevolazione dell'accesso al credito nelle materie  di
 competenza  regionale,  il  che  suppone che non siano solo i criteri
 applicativi ad essere contemplati nella disposizione  interposta,  ma
 anche  le  misure  innovative  adottate  nel  rispetto  dei  principi
 statali.
    3.2.  -  Quanto  alla  censura  (indicata  sub c), con la quale si
 denuncia una asserita  violazione  dei  principi  della  legislazione
 statale  in  materia,  espressi  dall'art. 13 della legge 22 dicembre
 1984, n.  887,  va  rilevato  che  da  detta  disposizione  non  puo'
 ricavarsi, come si assume, un impedimento per le regioni ad adottare,
 per i prestiti con  provvista  dall'estero,  misure  agevolative  sul
 rischio di cambio anche per crediti agrari di conduzione.
    La  circostanza  che  il citato art. 13 si occupi solo dei crediti
 agrari di miglioramento non esclude che le regioni, ove ritengano  di
 intervenire, possano adottare provvedimenti agevolativi per i crediti
 di conduzione, perche' dalla citata disposizione, rivolta  a  dettare
 principi  e  limiti  per  i crediti agrari di miglioramento, non puo'
 certo desumersi il divieto per le regioni di intervenire con  crediti
 di conduzione.
   Come  ha  chiarito  questa  Corte (sent. n. 441 del 1988), se dalla
 legislazione  statale  in  tema  di  agevolazioni   creditizie   puo'
 desumersi  un  principio  che  esclude  facilitazioni  a carico delle
 finanze pubbliche per crediti di  mero  esercizio,  questo  principio
 generale  e'  derogato  per  il credito agrario dall'art. 1, lett. d)
 della legge 1Πluglio  1977,  n.  403,  data  la  peculiarita'  della
 materia,  il che conferma che all'art. 13 della legge n. 887 del 1984
 non puo' attribuirsi l'effetto impeditivo affermato dalla ricorrente.
    3.3.  -  Chiarita  nei  sensi  anzidetti  la  portata dell'art. 13
 citato, i principi  ed  i  limiti  ivi  dettati  per  i  prestiti  di
 miglioramento,  non  sono  applicabili  a quelli di conduzione aventi
 caratteristiche diverse. Cosi' e',  in  particolare,  per  il  limite
 degli  interventi  agevolativi  previsti  solo  per i prestiti aventi
 durata ultraquinquennale, dal momento  che  una  durata  del  genere,
 concepibile  per  i  crediti  di miglioramento, non puo' riguardare i
 prestiti di esercizio necessariamente legati a periodi piu' brevi.
    Cosi',  ancora,  e'  per l'altra previsione dell'art. 13 cit. che,
 relativamente ai prestiti di miglioramento, limita il contributo  per
 il  rischio  di  cambio  solo  alle variazioni superiori al 2%: e' di
 tutta evidenza come la diversa previsione della legge regionale,  che
 contempla  invece  il contributo della regione solo per le variazioni
 inferiori al 2%, discenda proprio dalla peculiarita' del  credito  di
 conduzione,  legato a periodi brevi e ad oscillazioni presumibilmente
 inferiori perche' appunto  riferite  alla  annata  agraria,  per  cui
 appare  giustificata  la  scelta  legislativa della regione diretta a
 coprire, in funzione agevolativa, le perdite piu' probabili.
    Quanto  infine  alla  mancata indicazione di un controvalore delle
 operazioni complessivamente  compiute  che,  nella  citata  normativa
 statale,  concernente  i  crediti di miglioramento, e' determinato in
 una misura massima  in  linea  capitale  che  costituisce  il  limite
 globale  degli  incentivi,  va  rilevato  che  nella  legge regionale
 impugnata gli interventi non sono previsti senza limiti. Questi  sono
 difatti  rinvenibili nella copertura finanziaria indicata dall'art. 4
 della legge, disposizione che non e'  stata  peraltro  impugnata  per
 quanto attiene alle modalita' di previsione della copertura stessa.
    4. - Anche la censura che riguarda in particolare l'art. 1, quarto
 comma, deve essere disattesa perche', come risulta dalla  sua  stessa
 formulazione, fatta in modo dubitativo, essa muove da una lettura non
 consentita dal testo della norma impugnata.
    La  Presidenza  del  Consiglio accenna, difatti, alla possibilita'
 che  il  termine  "beneficiario",  ivi  adoperato  nell'addossare  il
 rischio  delle  variazioni superiori al 2%, possa intendersi riferito
 all'Istituto di credito anziche' al destinatario  del  prestito,  per
 cui  la  norma inciderebbe sui rapporti interprivati. Non puo' invece
 dubitarsi che, adoperando il suddetto termine, la legge regionale  si
 sia  riferita al destinatario del prestito, il che esclude che si sia
 voluta addossare all'ente creditizio l'eventuale  perdita,  eccedente
 tale  variazione, per cui la perdita stessa rimane, invece, in capo a
 colui nei cui confronti dovrebbe  comunque  incidere  la  variazione,
 anche indipendentemente dalle misure agevolative.
    5.  -  Per quel che riguarda infine la censura relativa all'art. 2
 della legge impugnata, la circostanza che, in base a quanto  previsto
 da  tale  norma, la regione che si accolla l'onere dell'intervento si
 premunisca con la stipula di convenzioni con  gli  enti  di  credito,
 costituisce una elementare misura per garantire che i risultati siano
 conformi agli scopi perseguiti dalla legge. Che poi la  scelta  degli
 Istituti  possa  in  tal  modo  essere  condizionata  da  valutazioni
 arbitrarie e' un rischio che attiene  ad  ogni  scelta  di  carattere
 discrezionale,  la  cui  conformita'  alle  regole dell'imparzialita'
 rimane pur sempre affidata al meccanismo dei controlli amministrativi
 e della responsabilita' politica, connessi all'esercizio dei pubblici
 poteri da parte degli organi regionali.