ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 26 del d.P.R.
 26  ottobre  1972,  n.   643   (Istituzione   dell'imposta   comunale
 sull'incremento  di  valore  degli  immobili), promosso con ordinanza
 emessa il 17 ottobre 1988 dalla Commissione tributaria di primo grado
 di  Vibo  Valentia  sul  ricorso proposto da Pugliese Felicita contro
 l'Ufficio del Registro di Vibo  Valentia,  iscritta  al  n.  647  del
 registro  ordinanze  1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1989;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  7  marzo 1990 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che  la  Commissione  tributaria  di primo grado di Vibo
 Valentia sul ricorso proposto da Felicita Pugliese  contro  l'Ufficio
 del  Registro di Vibo Valentia, con ordinanza in data 17 ottobre 1988
 (pervenuta alla Corte il 4 dicembre 1989), ha sollevato questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972,
 n. 643 (Istituzione dell'imposta comunale sull'incremento  di  valore
 degli  immobili)  nella  parte  in  cui  "non assicura al coobbligato
 alcuna difesa in ordine alla posizione  dell'obbligato  principale  e
 non  prevede una rimessione in termini per l'impugnativa da parte del
 coobbligato  degli  atti  di  accertamento   ai   quali   l'obbligato
 principale  sia  rimasto inerte", per contrasto con gli artt. 3, 24 e
 113 della Costituzione;
      che  e'  intervenuta l'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che la  questione  fosse  dichiarata  inammissibile  per  difetto  di
 motivazione  in  ordine  al  requisito  della  rilevanza o, comunque,
 manifestamente infondata;
     Considerato,  in relazione all'eccezione dell'Avvocatura generale
 dello Stato, che dal contesto della fattispecie sottoposta  all'esame
 della  Corte puo' desumersi la rilevanza della questione sollevata ai
 fini della definizione del giudizio a quo;
      che, nel merito, come piu' volte affermato da questa Corte (ord.
 n. 544 del 1987 e sent. n. 207  del  1988),  l'obbligazione  solidale
 tributaria  non  si  differenzia  da quella comune con la conseguenza
 che, in base ai principi civilistici, il responsabile  solidale  puo'
 tutelare  i  propri interessi nel processo tributario fin dal momento
 in cui gli venga notificato l'atto eventualmente lesivo ed anche  per
 far  valere  ragioni  che  attengono  a precedenti atti dei quali sia
 venuto a conoscenza in quell'occasione, e cio' in quanto  la  mancata
 notifica  di  tali  atti  non  determina  alcuna preclusione nei suoi
 confronti (vedi fra le altre: sentt. 108 e 207 del 1988,  184  e  246
 del 1989, e ord. 178 del 1990);
      che,  pertanto,  il  diritto  di difesa del coobbligato solidale
 risulta  adeguatamente  ed  autonomamente  tutelato   nei   confronti
 dell'atteggiamento  di  inerzia  o acquiescenza eventualmente assunto
 dagli altri coobbligati, rispetto al cui trattamento non e'  pertanto
 rilevabile, sul piano processuale, alcuna disparita';
      che, conseguentemente, la questione va dichiarata manifestamente
 infondata,  con  l'ulteriore  precisazione   che   l'istituto   della
 remissione  in  termini,  presupponendo  una  decadenza processuale e
 quindi l'astratta possibilita' dell'esercizio del diritto di  azione,
 appare,  rispetto  ai termini in cui e' stata formulata la censura di
 legittimita' costituzionale, impropriamente richiamato dal giudice  a
 quo.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.