LA CORTE D'APPELLO
    Ha  pronunciato  l'allegata  ordinanza  con l'intervento del p.g.,
 rappresentato dal  sig.  dott.  Luigi  Tucci,  sostituto  procuratore
 generale  della  Repubblica  con l'assistenza della segretaria sig.ra
 Rosanna Del Russo, nella causa penale a carico di Lovecchio Giovanni,
 nato  a  Castellana  Grotte  il  3  giugno  1952 ivi residente in via
 Imbriani n. 42, rappresentato e difeso dall'avv. V. Gironda, da Bari,
 Mimpelli  Pietro,  nato  a  Taranto  il  25 giugno 1954 e residente a
 Castellana in via Macerasa n. 27, rappresentato e difeso dall'avv. G.
 Chiariello, da Bari, nonche' Raida Beizad, nato in Palestina (Lebina)
 il 9 luglio 1964 e residente a Castellana in piazza Garibaldi.
    Imputati tutti:
       a)  del delitto di cui agli artt. 61, n. 2, 110 e 614 cpv., del
 c.p., perche', in unione e concorso tra loro ed al fine di commettere
 il  delitto  di  cui  al  capo  c),  forzando  la porta d'ingresso si
 introducevano nell'abitazione dei germani Pugliese contro la volonta'
 degli stessi ed ivi si trattenevano usando anche violenza e minacce;
       b)  della  contravvenzione  di  cui  all'art.  4 della legge 18
 aprile 1975, n. 110, perche' in unione e di concerto tra loro,  senza
 giustificato mitivo portavano fuori dalla loro abitazione un coltello
 di genere proibito;
       c) del delitto di cui agli artt. 81 cpv., 110, 519 e 542, n. 2,
 del c.p. perche' in concorso tra loro e piu' volte, si  congiungevano
 carnalmente   con  Pugliese  Angela,  menomata  psichica,  contro  la
 volonta'  della  stessa  ed  usando  anche  violenze  e  minacce.  In
 Putignano il 17 settembre 1988.
    Appellanti  avverso la sentenza del tribunale di Bari del 5 giugno
 1989 che, unificati i reati  per  continuazione  ed  in  concorso  di
 attenuanti  generiche  per il solo Lovecchio, condannava quest'ultimo
 alla pena di anni due e mesi due di reclusione;  il  Mimpelli  veniva
 condannato  alla pena di ani tre, mesi due di reclusione. Lovecchio e
 Mimpelli venivano assolti dal  reato  sub  C)  per  insufficienza  di
 prove.
    Nonche':
    Il Raida Beizad veniva condannato per i reati di cui ai capi A) B)
 e C), unificati per continuazione, alla pena di anni tre e  mesi  tre
 di reclusione e L. 100.000 di ammenda.
                           IN SEDE DI APPELLO
    Preliminarmente  i  difensori  di  Lovecchio  e  Mimpelli,  avv.ti
 Gironda e Chiariello, si riportano alla loro memoria del 22  novembre
 1989,  insistendo  di  essere  ammessi  al patteggiamento di cui agli
 artt. 444 e segg. del c.p.p.
    Il  p.g.  nega  il  consenso  perche'  ritiene  improponibile tale
 istituto in sede di appello.
    I  difensori,  stante  il  mancato  consenso  da  parte  del  p.g.
 necessario per la definizione del  processo  con  il  patteggiamento,
 eccepiscono  l'incostituzionalita'  dell'art.  248 delle disposizioni
 transitorie per contrasto con  l'art.  3  della  Costituzione,  nella
 parte  in  cui non prevede espressamente l'estensibilita' al giudizio
 di appello dell'istituto del patteggiamento per i processi  pendenti,
 tanto per contrasto con l'art. 3 della Carta costituzionale.
    La  corte d'appello di Bari, sez. prima, alla pubblica udienza del
 13 dicembre 1989 ha pronunciato e  pubblicato  mediante  lettura  del
 dispositivo la seguente.
                           O R D I N A N Z A
    Pronunciando  sulla  eccezione di incostituzionalita' proposta dai
 difensore di Lovecchio Giovanni e Mimpelli Pietro;
    Sentito il p.g.
    Ritenuto  che per i procedimenti pendenti al momento di entrata in
 vigore  del  nuovo  c.p.p.,  l'art.  444  di  questo  e'  stato  reso
 applicabile  soltanto  per  i  giudizi  pendenti in primo grado e non
 anche per quelli gia' in grado di appello, secondo l'art.  248  delle
 disposizioni transitorie;
    Considerato  che  la  pendenza  in  appello di un procedimento, in
 applicazione di tale norma riuscirebbe pregiudizievole rispetto a chi
 ha  pendenze  penali  ancora  in  primo  grado,  come pure a chi, per
 avvenuta separazione di procedimenti, e' stato giudicato  rispetto  a
 coimputati per i quali si sia verificata una causa di sospensione del
 procedimento;
      che   il  rimedio  di  cui  all'art.  599  del  c.p.p.  vigente,
 richiamato dall'art. 245 delle disp. transitorie non puo'  sanare  la
 disparita'  di  regolamento  legislativo  di situazioni identiche, in
 quanto  lo  stesso  art.  599  detto   e'   norma   istituzionalmente
 applicabile  anche  per  i  procedimenti che in primo grado abbiano o
 avvrebbero goduto delle procedure speciali, di cui ai titoli primo  e
 secondo, specialmente del libro sesto del c.p.p. vigente;
    Ritenuto  che  tutto  quanto osservato urta contro il principio di
 eguaglianza di trattamento, di cui  all'art.  3  della  Costituzione,
 principio  gia'  affermato  dal legislatore nell'art. 2, terzo comma,
 del c.p., onde si ravvisa la necessita' di rimettere  gli  atti  alla
 Corte  costituzionale,  data  l'evidente rilevanza della questione ai
 fini della determinazione delle pene.