LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso prodotto da Di Trani Nicola, residente in Dormelletto, via Buonarroti, n. 6, avverso l'ufficio imposte dirette di Arona; Letti gli atti; Sentiti il rag. Francesco Tavano per il ricorrente e, per l'ufficio imposte dirette di Arona, il dott. Francesco Pinzino; Udito il relatore dott. Mario Piscitello; RITENUTO IN FATTO Di Trani Nicola, residente a Dormelletto, in data 13 febbraio 1989 proponeva ricorso contro l'avviso di accertamento - notificatogli in data 23 dicembre 1988 - con il quale l'ufficio imposte dirette di Arona accertava l'omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per il 1982 ed un reddito di partecipazione di L. 20.932.000 nella S.n.c. Marmi e Graniti di Altamura e Di Trani. Il ricorrente chiedeva in via principale l'annullamento dell'impugnato avviso di accertamento e, in via subordinata, la riduzione del reddito "in rapporto all'eventuale reddito che dovesse essere definitivamente accertato nei confronti della S.n.c. Altamura e Di Trani". L'ufficio imposte dirette di Arona non presentava deduzioni scritte. Il ricorrente, in data 30 novembre 1989, presentava una memoria aggiunta. La decisione del ricorso, a parere di questo collegio, deve essere preceduta dalla soluzione di due questioni di legittimita' costituzionale. La Corte costituzionale, in diverse occasioni, piu' o meno esplicitamente, ha riconosciuto le incongruenze e le disfunzioni della giustizia tributaria. Gia' nel 1984 la Corte ha affermato che "... rimangono le molte deficienze del contenzioso tributario, ampiamente segnalate in dottrina e dagli operatori del settore, per le quali il Parlamento e' chiamato ora a porre rimedio" (sentenza 5 giugno 1984, n. 154) ed ancora piu' recentemente ha espresso "l'auspicio che la materia possa essere disciplinata in via generale" (ordinanza n. 379/1989). Ma, a tutt'oggi, il Governo, e per esso il Ministro delle finanze, non ha mai presentato alcun disegno di legge per la revisione del contenzioso tributario e nulla lascia prevedere che si voglia recuperare il tempo perduto. Pertanto, non resta che sollecitare la Corte costituzionale ad interventi, sia pure limitati, che possano contribuire al miglioramento della giustizia tributaria. A) Con la sentenza n. 50/1989, la Corte costituzionale, dopo due pronuncie "interlocutorie", ha finalmente disposto la pubblicita' delle udienze delle commissioni tributarie, affermando, tra l'altro, che "La generale conoscenza delle controversie tributarie puo' giovare alla concreta attuazione del sistema tributario e concorre a ridurre il numero degli inadempimenti e degli evasori in genere". Le udienze delle commissioni tributarie sono pubbliche, ma, paradossalmente, ancora non sono pubbliche le decisioni (rectius i dispositivi) delle commissioni tributarie. L'art. 20 del d.P.R. n. 636/1972 (nel testo modificato dal d.P.R. n. 739/1981), dopo aver affermato che "La decisione e' deliberata in camera di consiglio subito dopo la decisione...", stabilisce, nel quinto comma, che "Il dispositivo della decisione, sottoscritto dal presidente, e' depositato immediatamente nella segreteria e le parti (e non anche i terzi) possono prenderne visione". La citata disposizione, che di certo era coerente con la segretezza dell'udienza, non puo' non apparire anacronistica e illegittima dopo la sentenza n. 50 della Corte costituzionale e, comunque, dovrebbe ritenersi in contrasto con l'art. 101, primo comma, della Costituzione "La giustizia e' amministrata in nome del popolo", in quanto non prevede che la decisione venga pubblicata in udienza dal presidente o da un giudice del collegio mediante lettura del dispositivo. Trattasi di questione "non manifestamente infondata" e "rilevante" ai fini della definizione del presente giudizio, in quanto se la norma dovesse essere illegittima il dispositivo della decisione, prima di essere depositato in segreteria, dovrebbe essere letto in pubblica udienza. B) L'art. 37 del d.P.R. n. 636/1972 (nel testo sostituito dal d.P.R. n. 739/1981) stabilisce che la decisione, emessa in nome del popolo italiano, deve contenere, tra l'altro, i motivi in fatto e in diritto. Ma, a chi spetta, de iure condito, redigere la motivazione prevista dal citato art. 37? A questa domanda, a parere di questo collegio, non puo' essere data risposta o, quanto meno, non puo' essere data una sicura e facile risposta, perche' manca una norma che indichi il componente della commissione tributaria al quale spetti l'onere di redigere la motivazione o una norma che contenga il criterio per l'individuazione dell'estensore della motivazione. E' pur vero che il citato art. 37 prevede che la decisione deve essere sottoscritta dal presidente e dal relatore, ma dal dovere di sottoscrivere la decisione non si puo' far derivare, per il presidente e/o per il relatore, anche il dovere di stendere la relativa motivazione. Secondo una certa dottrina potrebbero e dovrebbero applicarsi, per analogia, la disposizione di cui all'art. 276, ultimo comma, del cod. proc. civ. "Chiusa la votazione, il presidente scrive e sottoscrive il dispositivo. La motivazione e' quindi stesa dal relatore, a meno che il presidente non creda di estenderla egli stesso o affidarla ad altro giudice" e la disposizione di cui all'art. 118, ultimo comma, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile "La scelta dell'estensore della sentenza prevista dall'art. 276, ultimo comma, del codice, e' fatta dal presidente tra i componenti il collegio che hanno espresso voto conforme alla decisione". Si tratta, pero', di disposizioni non richiamate dall'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 636/1972, il quale stabilisce che "Al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie si applicano... le norme contenute nel libro primo del codice di procedura civile" ma ne' il citato art. 276, ne' il citato art. 118 sono comprese nel libro primo del codice di procedura civile. Ubi lex voluit dixit, ubi nequit tacuit. Trattasi di norme che, in mancanza di una norma di rinvio, non possono trovare applicazione nel processo tributario, a meno che non si affermi (ed e' cio' che questo collegio auspica) l'applicabilita', per via analogica, di tutte le norme del codice di procedura civile, tra le quali, ad es., quelle che prevedono la tutela cautelare (artt. 700 e segg.). Lo stesso Governo, in occasione del decreto correttivo n. 739/1981, aveva formulato una norma che avrebbe esteso il rinvio a tutte le norme del codice di procedura civile, ma la modifica, inspiegabilmente, non trovo' accoglimento nella formulazione definitiva del testo legislativo. L'art. 39, primo comma, del d.P.R. n. 636/1972, in quanto non prevede l'applicabilita' davanti alle commissioni tributarie delle norme di cui all'art. 276, ultimo comma, del codice di procedura civile e dell'art. 118, ultimo comma, delle disposizioni di attuazione del suddetto codice, potrebbe essere costituzionalmente illegittimo in relazione agli artt. 3 (principio di razionalita') e 97, primo comma, (principio del buon andamento) della Costituzione. Trattasi di questione che, oltre ad essere "non manifestamente infondata", e' anche "rilevante" ai fini della definizione del presente giudizio, in quanto il presidente o il collegio deve procedere alla scelta del giudice per la redazione della motivazione.