IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nella causa iscritta al n.
 r.g. 7170/87 tra l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro  gli
 infortuni   sul   lavoro  -  I.N.A.I.L.,  in  persona  del  direttore
 pro-tempore della sede di Torino, rappresentato per mandato alle liti
 not.  Palermo  11  ottobre  1985,  rep.  2735, dall'avv. Ciro Carola,
 presso il quale e' elettivamente domiciliato in Torino, corso Galileo
 Ferraris,   1,   ricorrente,   e   il  fallimento  Lostumbo  e  Mauro
 autoriparazioni S.d.f., in persona del curatore dott. Giuseppe Nesci,
 resistente contumace;
    Udienza di spedizione delli 30 gennaio 1990;
                      Conclusioni per l'I.N.A.I.L.
    Piaccia  all'ill.mo  tribunale  adito  ammettere  al  passivo  del
 fallimento le seguenti somme: premi L. 1.804.580 privilegio 1º grado;
 50%  accessori  L.  2.916.407  privilegio  8º grado; 50% accessori L.
 2.916.407 chirografo. Spese vinte.
                            OSSERVA IN FATTO
    Con  ricorso  ex  art.  101  della  l.f. notificato, unitamente al
 decreto del g.d. di fissazione dell'udienza di  comparazione,  il  31
 luglio  87,  l'I.N.A.I.L., sede di Torino, chiedeva di essere ammessa
 allo stato passivo del fallimento Lostumbo  &  Mauro  autoriparazioni
 S.d.f.  per  complessive  L.  7.737.395, di cui L. 4.770.990 (premi e
 meta' accessori) al privilegio, e L. 2.966.407 (meta'  accessori)  al
 chirografo.
    A   riprova  del  credito  allegava  verbale  di  accertamento  17
 settembre-1º  ottobre  1986,  redatto  alla  presenza  del  curatore,
 nonche'  prospetto  riepilogativo  dei versamenti assicurativi omessi
 nel periodo 1979-86, oltre interessi e sanzioni.
    Allegava   altresi'   relazione   1º   ottobre   1986   attestante
 l'insussistenza, in capo alla societa' fallita, di rapporti di lavoro
 subordinato.
    Alla  prima  udienza  compariva  il  curatore  il  quale,  pur non
 disconoscendo il credito, si opponeva  alla  sua  ammissione  in  via
 privilegiata,  sostenendo  trattarsi  di contributi di pertinenza dei
 soci  che  prestavano  la  loro   attivita'   personale   nell'ambito
 dell'impresa comune, e non gia' di contributi da lavoro dipendente.
    Dopo vari rinvii, determinati anche dall'opportunita' di attendere
 l'orientamento della s.C. sulla questione giuridica dedotta, la causa
 veniva  assegnata,  sulle conclusioni in epigrafe, alla decisione del
 collegio.
    Va dichiarata la contumacia del fallimento resistente.
                           OSSERVA IN DIRITTO
                  In punto non manifesta infondatezza
    L'art.  2754  del  c.c.  stabilisce  che:  "Hanno  pure privilegio
 generale sui mobili del datore di lavoro i crediti per  i  contributi
 dovuti  a  istituti  ed  enti  per  forme  di  tutela previdenziale e
 assistenziale diverse da quelle  indicate  dal  precedente  articolo,
 nonche'  gli accessori, limitatamente al cinquanta per cento del loro
 ammontare,  relativi  a  tali  crediti  ed  a  quelli  indicati   dal
 precedente articolo".
    La  norma  costituisce  il  complemento  dell'art.  2753 del c.c.,
 stabilendo il privilegio del credito per contributi previdenziali  ed
 assistenziali   diversi   da   quelli   afferenti   all'assicurazione
 obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i  superstiti  -  IVS
 (per i quali provvede appunto l'art. 2753).
    L'art.  2778  del  c.c.,  in  sede  di  graduazione  dei privilegi
 mobiliari, fornisce  poi  la  collocazione  dei  rispettivi  crediti,
 ponendo quelli ex art. 2753 del c.c. al grado primo, e quelli ex art.
 2754 del c.c. al grado ottavo.
    La  questione  che  qui si solleva attiene peraltro esclusivamente
 all'art. 2754 del c.c. (per quanto identiche  considerazioni  possano
 farsi  in  ordine  all'art.  2753  del  c.c.),  posto  che l'istituto
 ricorrente  vanta  crediti  contributivi   estranei   alla   gestione
 dell'assicurazione obbligatoria IVS.
    Il  dubbio che l'art. 2754 cit. si ponga in contrasto con l'art. 3
 della Costituzione deriva dalla limitazione del privilegio ai crediti
 per  contributi afferenti al solo rapporto di lavoro subordinato, con
 esclusione, a  contrario,  di  tutte  le  forme  di  lavoro  autonomo
 (commercianti,   artigiani,  soci  che  prestano  la  loro  attivita'
 personale nella societa' senza  essere  dipendenti  di  questa,  soci
 cooperativisti ecc. ...).
    La   limitazione  riposa,  in  primo  luogo,  sul  dato  letterale
 contenente la specificazione dei beni sui quali il privilegio ha modo
 di attuarsi: i mobili del "datore di lavoro".
    La  norma presuppone dunque che il privilegio operi solo allorche'
 parte del rapporto assicurativo o  previdenziale  sia  un  datore  di
 lavoro,  quindi  un  soggetto  essenziale del solo rapporto di lavoro
 subordinato.
    La  collocazione  della norma inquisita in un corpo complessivo ed
 autosudfficiente come il codice civile induce  d'altra  parte  a  non
 sottovalutare  la  tecnicita' dell'espressione adottata, la quale, se
 puo'  da  un  lato  ricondursi   alla   generica   denominazione   di
 "imprenditore" come controparte del "prestatore" di lavoro ( ex artt.
 2094 e segg.), non trova peraltro il benche' minimo  riscontro  nelle
 norme  ex  artt.  2222  e  segg.,  nemmeno  nell'ipotesi  estrema, ed
 evidentemente forzata, di considerare il lavoratore autonomo  "datore
 di se stesso".
    Il  giudizio  di  non  manifesta  infondatezza  non  puo' tuttavia
 prescindere dall'esplorazione di  vie  interpretative  alternative  a
 quella  letterale,  le  quali  consentano  in ipotesi di estendere il
 privilegio anche alla contribuzione su lavoro autonomo.
    E'  questo  anzi  un  compito  doveroso, avendo codesta Corte gia'
 affermato in via generale il principio dell'interpretazione in chiave
 di  compatibilita' costituzionale, nel senso che l'interprete deve in
 ogni caso privilegiare, tra varie interpretazioni  possibili,  quella
 che  risulti  conforme  ai  principi costituzionali in materia (Corte
 costituzionale n. 81/105).
    Ne'   disconosce  il  giudice  remittente  come  l'estensione  del
 privilegio al lavoro autonomo, dopo non sopite dispute in dottrina  e
 non  poche  incertezze  giurisprudenziali  di merito, abbia da ultimo
 trovato il consenso della s.C. (25 ottobre 1989, n. 4373).
    Peraltro,    nessuno    degli   argomenti   addotti   a   sostegno
 dell'interpretazione estensiva (tralasciando  per  ora  le  ulteriori
 considerazioni circa il ricorso ad analogia) appare decisivo.
    E  cio' anche alla luce di una interpretazione che tenga in debito
 conto l'evoluzione della normativa assistenziale e previdenziale,  la
 quale  ha  pacificamente  assimilato,  sotto  il  profilo del sistema
 contributivo obbligatorio, il lavoro autonomo a quello subordinato.
    In effetti, la legge 6 marzo 1966, n. 613, ha esteso ai lavoratori
 autonomi  l'assicurazione  obbligatoria  IVS  prevendendo  anche  per
 costoro  l'applicazione  del  regime  di  cui all'art. 54 del d.-l. 4
 ottobre 1935, n. 1827.
    Quest'ultima  disposizione  accordava il privilegio "ai crediti di
 qualsiasi specie verso il datore di  lavoro,  derivanti  dal  mancato
 versamento  dei contributi assicurativi per il personale dipendente",
 in cio' anticipando il principio poi recepito negli artt. 2753 e 2754
 del c.c.
    A sua volta, l'art. 66 della legge 30 aprile 1969, n. 153, aboliva
 il riferimento al "datore di lavoro" nell'attribuire un diverso grado
 di  privilegio  "ai  crediti per contributi dovuti ad istituti enti o
 fondi speciali,  compresi  quelli  sostitutivi  od  integrativi,  che
 gestiscono  forme  di assicurazione obbligatora per l'invalidita', la
 vecchiaia ed i superstiti".
    Pur  prendendo  atto dell'elemento storico rappresentato da questa
 evoluzione normativa (indicente anche sui  fondi  diversi  dall'IVS),
 non  puo' non rilevarsi, cionondimeno, come la materia dei privilegi,
 anche assistenziali e previdenziali, sia stata  riformulata  ex  novo
 dalla legge 29 luglio 1975, n. 426, la quale ha innovato altresi' gli
 artt. 2753 e 2754 del c.c.
    Quest'ultima legge ha abrogato, in parte espressamente ed in parte
 implicitamente, tutte le norme anteriori incompatibili,  tra  cui  il
 citato art. 1 della legge n. 613/1966.
    Ne  deriva  che  le  disposizioni  del  codice  civile  in oggetto
 costituiscono la fonte normativa esclusiva del privilegio sui crediti
 contributivi.
    Il fatto che il legislatore del 1975 abbia ribadito il riferimento
 al  "datore  di  lavoro"  denota  la   corrispondente   volonta'   di
 riaffermare   il  privilegio  limitatamente  al  rapporto  di  lavoro
 subordinato.
    Del  resto,  la  circostanza che questa riaffermazione si ponga in
 contrasto con i precedenti storici in materia non appare di  per  se'
 elemento   sufficiente   ad  accreditare  una  svista  da  parte  del
 ligislavore.
    E'  al  contrario da ritenere che la riforma si sia mossa in linea
 con i  precedenti  codicistici  ed  abbia  pertanto  inteso  innovare
 deliberatamente  le  norme  su privilegi contenute nella legislazione
 assicurativa previgente.
    L'esame  dei lavori preparatori della legge n. 426/1975 (v. seduta
 del  6  maggio  1975)  consente  a  sua  volta   di   escludere   una
 trascuratezza  del riformatore, posto che questi si era espressamente
 prefissata la possibilita' (tramite l'aggiunta di un art. 4- bis)  di
 trasformare  nel  codice  civile  il contenuto del cit. art. 66 della
 legge n. 153/1969.
    Se   la  tesi  del  lapsus  potrebbe  trovare  alimento  allorche'
 risultasse la  completa  obliterazione  del  problema  da  parte  del
 legislatore, essa appare al quanto debole allorche' consti che questi
 ha adottato la soluzione poi recepita negli artt.  2753  e  2754  del
 c.c.,  proprio dopo essersi posto apertis verbis la questione; quindi
 in esito ad un consapevole iter deliberativo.
    Esclusa   l'interpretazione   estensiva   (intesa   come   massima
 espansione  della  portata  semantica  dell'espressione),  resta   da
 valutare  l'esistenza  dei  presupposti per far luogo all'analogia ex
 art. 12, ultimo comma, del c.c.
    Il  richiamo  all'analogia  come  strumento ermeneutico appare qui
 particolarmente calzante, vertendosi esattamente nell'ipotesi in  cui
 una  lacuna  dell'ordinamento  (relativa al mancato privilegio per il
 lavoro autonomo) dovrebbe essere supplita con l'applicazione  di  una
 norma  disciplinante  un caso del tutto analogo (quello, appunto, del
 lavoro subordinato).
    Senonche',  l'analoga  pare  senz'altro  da  escludersi  stante la
 natura eccezionale delle norme sui privilegi.
    Al  principio  generale  secondo  cui  "I  creditori  hanno uguale
 diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore", si  oppone  con
 portata derogatoria la salvezza delle "cause legittime di prelazione"
 art. 2741 del c.c.).
    Ne' puo' attribuirsi al termine "legittime" altro significato che:
 "stabilite dalla legge".
    Lungi  dal  costituire  una lettura angusta e formale della norma,
 questa interpretazione appare in armonia con il disposto secondo cui:
 "Il privilegio e' accordato dalla legge in considerazione delle causa
 del credito" (art. 2745 del c.c.).
    Ne  esce  un  sistema  eccezionale  e  tassativo  delle  cause  di
 prelazione, essendo riservato al legislatore (con  esclusione  quindi
 dell'interprete)  di  sindacare  sulla causa del credito legittimante
 l'attribuzione del privilegio.
    Un'opposta  conclusione,  che  indentifichi il termine "legittime"
 con "sostanziamente giuste" (come  desumibile  da  Cass.  n.  4373/89
 cit.),   al   dila'  della  non  incontestabile  adozione  di  canoni
 interpretativi  giusnaturalistici,  finirebbe  con   lo   sfilacciare
 l'intero impianto dei privilegi, incidendo direttamente sul principio
 generale della par condicio creditorum (principio a sua volta fondato
 sull'art. 3 della Costituzione).
    Non  vi sono d'altra parte elementi per sostenere che, all'interno
 della normativa di cui agli artt. 2745 e seguenti del c.c., si  possa
 differenziare  tra  privilegi  tout court e privilegi assistenziali o
 previdenziali.
    La  soluazione  qui  prescelta  (natura eccezionale delle norme in
 questione e non ricorribilita' all'analogia ex art. 14  prel.)  trova
 del  resto il conforto della giurisprudenza di legittimita' anteriore
 alla recente decisione piu' volte  citata  (a  partire  da  Cass.  30
 maggio 1960, n. 1398 con conferme successive.
    Ritenendo,  in  definitiva, che l'art. 2754 del c.c. non possa che
 riferirsi (esclusivamente) al credito per  omessa  contribuzione  nel
 corso  del  rapporto  di  lavoro subordinato, occorre esaminare sotto
 quale profilo sia individuabile l'affermata  violazione  dell'art.  3
 della   Costituzione,   nonche'  la  possibilita'  che  una  siffatta
 violazione  (anche  quando  fosse  riconosciuta)   risulti   peraltro
 ispirata  a  considerazioni  di  ragionevolezza  secondo  il costante
 insegnamento della Corte costituzionale.
    Va  premesso  che  non  si  tratta  qui  di tutela dei diritti dei
 lavoratori (sia  autonomi  che  subordinati),  ne'  di  paventare  la
 violazione  del principio secondo cui "i lavoratori hanno diritto che
 siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro  esigenze  di
 vita  in  caso  di  infortunio,  malattia,  invalidita'  e vecchiaia,
 disoccupazione volontaria" (art. 38 della Costituzione).
    L'art.   2754   del  c.c.,  infatti,  non  ha  per  destinatari  i
 lavoratori,  bensi'  gli  "istituti"   ed   "enti"   che   gestiscono
 determinate forme assicurative.
    In  altre  parole,  rilevano  qui  non  i  crediti  dei lavoratori
 (tutelati,  anche  sotto  il   profilo   direttamente   contributivo,
 dall'art.  2751-  bis del c.c.), bensi' solo i crediti degli istituti
 di gestione.
    Il  coinvolgimento  del  lavoratore beneficiario della prestazione
 assicurativa avviene, nella specie, solo in via mediata nella  misura
 in  cui  una insufficiente tutela dei crediti di detti istituti possa
 comprovatamente  ripercuotersi  sulla  concreta  possibilita'   degli
 stessi  di precostituirsi (attraverso il recupero dei propri crediti)
 i mezzi materiali necessari per dare pratica attuazione  all'art.  38
 della Costituzione).
    Viene  in definitiva in considerazione il momento satisfattivo del
 rapporto assistenziale, momento in cui  la  norma  denunciata  tratta
 diversamente  crediti  aventi  "causa"  uguale,  accordando  agli uni
 (lavoro dipendente) la tutela rafforzata del privilegio, e  relegando
 gli altri (lavoro autonomo) al rango del chirografo.
    La   situazione   normativa   cosi'   delineata   incide  pertanto
 direttamente  sulla  par  condicio  creditorum  (a  nulla  rilevando,
 evidentemente,  che i due differenti tipi di credito possano far capo
 allo stesso creditore), spedifica emenazione, in materia, dell'art. 3
 della Costituzione).
    Quanto  alla  "uguaglianza"  delle  cause  di credito ex art. 2745
 cit., sara' sufficiente evidenziare  come  la  linea  di  tendenziale
 accostamento ed equiparazione, ai fini previdenziali ed assicurativi,
 tra  lavoro  autonomo  e  lavoro  subordinato  sia  in  primo   luogo
 desumibile  dall'evoluzione della legislazione in materia (come si e'
 sinteticamente tratteggiata).
    Cio'  appare  a  sua volta determinato dall'influenza dell'art. 38
 della Costituzione il quale  nell'accordare  determinati  diritti  ai
 "lavoratori" non ha pacificamente inteso differenziare tra dipendenti
 ed autonomi.
    Non  solo,  ma  la stessa giurisprudenza costituzionale in materia
 previdenziale ha mostrato di perseguire l'assimilazione  tra  le  due
 posizioni (Corte costituzionale nn. 1086/1988, 179/1979, ed altre).
    Non  si ravvisano, per contro, elementi comprovanti una intrinseca
 razionalita' della discriminazione evidenziata.
    Tale  non  e'  la considerazione degli effetti dell'inadempimento,
 nel senso che il mancato versamento da parte  del  datore  di  lavoro
 giustificherebbe  il  privilegio  in quanto incidente su beni non del
 lavoratore,  mentre  l'omesso  versamento  da  parte  del  lavoratore
 autonomo  non  potrebbe  comportare analogo privilegio sui beni dello
 stesso.
    A  tacere  del fatto che anche la contribuzione da lavoro autonomo
 conosce ipotesi di rapporto trilatero in cui l'obbligo del versamento
 grava  su  soggetti  diversi  dai  beneficiari  (come  nel  caso  dei
 familiari  coadiuvanti,  in  cio'  rievocando  la  stessa  situazione
 propria  del  lavoro dipendente, resta comunque la circostanza che la
 minor tutela costituita dal difetto di privilegio non  puo'  leggersi
 alla stregua di una sanzione per il lavoratore autonomo inadempiente.
    E  cio'  proprio  perche' l'art. 2754 del c.c. prescinde del tutto
 dall'intento  di  tutelare  il  credito  del   lavoratore,   inerendo
 esclusivamente  al credito dell'isituto, per il quale, invero, non fa
 differenza che l'inadempimento si ripercuota nella sfera patrimoniale
 del datore di lavoro piuttosto che del lavoratore autonomo obbligato.
    Parimenti,  la  disparita'  esposta  non  e'  resa regionevole dal
 diverso meccanismo  di  erogazione  della  prestazione  assicurativa,
 svincolata   nell'un   caso   (lavoro   subordinato)   dall'effettivo
 versamento  dei  contributi  da  parte  del   datore,   e   viceversa
 condizionata   nell'altro   (lavoro  autonomo)  dall'adempimento  dei
 versamenti dovuti.
    Bastera'  infatti  osservare  come  anche  la c.d. "automaticita'"
 delle prestazioni (nei limiti  in  cui  ancora  operi)  attenga  alla
 tutela  dei  lavoratori  con  riguardo  all'effettivita' dell'art. 38
 della Costituzione (questione peraltro qui del tutto irrilevante),  e
 non  gia'  alla  tutela  dei  crediti  e quindi alla reperibilita' di
 risorse finanziarie da parte degli istituti.
                           In punto rilevanza
    La  questione  sollevata  appare  fornita,  nel giudizio dal quale
 prende lo spunto, di rilevanza sia giuridica che di fatto.
    Sotto  il  primo  profilo si osserva come il credito insinuato sia
 riferito alla S.d.f.  Lostumbo  &  Mauro,  in  cui  entrambi  i  soci
 svolgevano attivita' personale di autoriparazione.
    In difetto di specificazione da parte del creditore ricorrente, e'
 da ritenere che l'insinuazione sia fatta tanto nel  fallimento  della
 societa',  tanto in quello dei due soci illimitatamente responsabili.
    Quanto  alle masse personali di costoro, la questione si ripropone
 negli esatti termini generali che si  sono  svolti  a  proposito  del
 lavoro autonomo.
    Relativamente  invece  alla  massa sociale, si pone il problema di
 verificare sei il privilegio dell'art. 2754 del c.c. sia per  ipotesi
 escluso   anche  nel  caso  in  cui  soggetto  passivo  del  rapporto
 assicurativo sia la stessa societa' di fatto, assunta  come  autonomo
 centro di imputazione giuridica ed al contempo "datore di lavoro" dei
 soci (dalla relazione I.N.A.I.L. in atti  e'  esclusa  in  radice  la
 presenza di lavoratori alle dipendenze della societa').
    Il riconoscimento del privilegio potrebbe in tal caso derivare dal
 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico  delle  disposizioni  per
 l'assicurazione  obbligatoria  contro  gli  infortuni sul lavoro e le
 malattie professionali), il quale stabilisce, all'art. 4, n. 7),  che
 sono compresi nell'assicurazione anche "i soci delle cooperative e di
 ogni altro tipo di societa', anche  di  fatto,  comunque  denominata,
 costituita  od esercitata, i quali prestino opera manuale, oppure non
 manuale alle condizioni di cui al precedente n. 2)".
    L'art.  9,  inoltre,  stabilisce  che  sono  considerati datori di
 lavoro "ai fini del presente titolo", anche "le societa'  cooperative
 e  ogni  altro  tipo di societa', anche di fatto, comuque denominata,
 costituite  totalmente  o  in  parte  da  prestatori   d'opera,   nei
 confronti, dei propri soci addetti ai lavori nei modi previsti nel n.
 7) dell'art. 4".
    In realta', la normativa riportata si limita a stabilire l'obbligo
 contributivo  in  rapporto  al  lavoro  dei   soci   (questione   non
 controversa,  stante  la  piena  ammissibilita' del credito insinuato
 allo stato passivo,  sia  pure  in  via  chirografaria),  nonche'  ad
 individuare i soggetti obbligati ai versamenti.
    Nulla dice circa il privilegio che assiste il credito per l'omesso
 versamento.
    Peraltro, una cosa e' individuare nel datore di lavoro l'obbligato
 alla contribuzione, altra cosa e' individuare nel datore di lavoro il
 soggetto  nella  cui  sfera patrimoniale si rinvengono i beni oggetto
 del privilegio.
    In  effetti,  la  materia  della  tutela del credito, e quindi dei
 privilegi, resta disciplinata, in toto dalle norme del codice  civile
 (per  giunta  successive  al  d.P.R. n. 1124/1965), in cui la dizione
 "datore di lavoro" viene adottata, come si e' esposto, ad indicazione
 del solo rapporto di lavoro subordinato.
    In  definitiva,  anche  nell'ipotesi di specie (lavoro manuale non
 dipendente dei soci nella societa') l'art. 2754 del c.c. si configura
 come  il  referente  normativo  imprescindibile,  atteso  che  la sua
 eventuale resistenza nell'ordinamento (nei termini in  cui  e'  stato
 interpretato)    condurrebbe   senz'altro   all'ammissione   in   via
 chirografaria.
    Quanto  alla  rilevanza di mero fatto, sara' sufficiente segnalare
 come le concrete possibilita' di soddisfacimento, in sede di riparto,
 del   credito   dedotto   dipendano   proprio  dal  riconoscimento  o
 dall'esclusione del privilegio, non risultando allo stato  un  attivo
 fallimentare sufficiente a soddisfare integralmente il chirografo.