ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della  regione  Emilia-Romagna
 notificato  il  2  febbraio  1990,  depositato  in  Cancelleria   l'8
 successivo  ed  iscritto  al  n.  3  del  registro  ricorsi 1990, per
 conflitto di attribuzione sorto a seguito della sentenza della  Corte
 di  cassazione,  sezione  III  penale,  n. 2734 del 14 novembre 1989,
 depositata in Cancelleria il 12 dicembre 1989;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 3 aprile 1990 il Giudice relatore
 Mauro Ferri;
    Uditi  l'Avv.  Giandomenico Falcon per la regione Emilia-Romagna e
 l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.   -   La   regione  Emilia-Romagna  ha  promosso  conflitto  di
 attribuzione in relazione alla sentenza della  Corte  di  cassazione,
 sezione  III  penale,  n.  2734  del  14  novembre  1989, chiedendone
 l'annullamento per violazione degli artt. 117, primo comma, 101 e 134
 della  Costituzione, nella parte in cui detta sentenza afferma che il
 giudice ordinario puo'  disapplicare  le  leggi  regionali  ai  sensi
 dell'art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E.
    Espone la ricorrente che la Corte di cassazione - nel rigettare il
 ricorso contro la pronuncia di condanna della  Corte  di  appello  di
 Bologna,  resa  nei  confronti  di  Predieri  Vilder,  titolare di un
 allevamento suinicolo, per scarico in acque pubbliche di liquami  non
 depurati  - dopo aver rammentato il potere dell'autorita' giudiziaria
 ordinaria di disapplicare  i  provvedimenti  amministrativi  in  base
 all'art.  5  della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E (nella specie:
 la delibera 8 maggio 1980  del  Comitato  interministeriale  previsto
 dall'art.  3  della  legge  10  maggio  1976 n. 319), ha testualmente
 affermato: "il giudice penale puo' disapplicare in  base  all'art.  5
 anche la normativa regionale che recepisca tale delibera". Il che, di
 seguito, ha proceduto a fare con  esplicito  riferimento  alle  leggi
 della  regione  Emilia-Romagna  n. 7 del 1983, n. 13 del 1984 e n. 42
 del 1986.
    Detta  affermazione,  ed  il  conseguente  esercizio  da parte del
 giudice ordinario del potere di disapplicare  direttamente  le  leggi
 regionali  ritenute  illegittime integra, ad avviso della ricorrente,
 una violazione delle norme costituzionali prima indicate, ed altresi'
 della  garanzia del contraddittorio di cui all'art. 25, ultimo comma,
 della legge 11 marzo 1953, n. 87.
    In  particolare,  prosegue la regione, la caratteristica prima del
 valore di legge di un atto normativo e' - per la legge  statale  come
 per la legge regionale - la sola ed esclusiva sindacabilita' da parte
 della Corte costituzionale, e non invece degli altri giudici, i quali
 dispongono  del  solo  potere  di  provocare  il giudizio della Corte
 stessa: come pacificamente risulta dall'art. 101 della  Costituzione,
 che   vincola   il   giudice   alla  legge,  e  dall'art.  134  della
 Costituzione, che riserva alla Corte costituzionale il giudizio sulla
 legittimita' costituzionale delle leggi statali e regionali.
    Ne'  varrebbe  in  contrario  osservare  che,  secondo la Corte di
 cassazione, la legge regionale avrebbe  interferito  con  la  materia
 penale,  da ritenersi in via di principio soggetta a riserva di legge
 statale. Da una parte, prosegue la ricorrente, la sentenza n. 487 del
 1989  della  Corte  costituzionale  afferma  che non e' precluso alla
 legge  regionale  di  "concorrere  a   precisare,   secundum   legem,
 presupposti   di   applicazione   di  norme  penali  statali",  o  di
 "concorrere ad attuare le stesse norme",  e  che  comunque  la  legge
 regionale  puo' ampiamente intervenire quando "dalle leggi statali si
 subordinino  effetti  incriminatori  o  decriminalizzanti   ad   atti
 amministrativi (o legislativi) regionali".
     D'altra  parte,  non  rileva  in  questa  sede sapere se la legge
 regionale che il giudice ordinario ha  disapplicato  sia  o  non  sia
 conforme  a  Costituzione,  ma  soltanto  conta  affermare  che  tale
 complesso giudizio di legittimita' costituzionale e' proprio cio' che
 -   a  completamento  e  protezione  dell'autonomia  regionale  -  la
 Costituzione riserva  alla  Corte  costituzionale.  In  nessun  modo,
 percio',  si  potrebbe  sfuggire  alla  conclusione  che  il  giudice
 ordinario, disapplicando la legge regionale, ha menomato  l'autonomia
 costituzionale  delle Regioni, esercitando un potere di giurisdizione
 che la Costituzione affida solo al Giudice costituzionale.
    Del  tutto  pretestuoso  ed  arbitrario  risulta quindi, ad avviso
 della regione, il riferimento all'art. 5 della legge sul  contenzioso
 amministrativo,  che  conferisce  al  giudice  ordinario il potere di
 disapplicare gli atti amministrativi ed i regolamenti illegittimi, ma
 non certo le leggi.
    La  regione,  infine,  sottolinea  come  la  sentenza in esame sia
 pienamente sindacabile in questa sede.
    Rammenta la ricorrente che sin dalla sentenza n. 289 del 1974 (con
 orientamento ribadito ancor di recente con le ordinanze nn. 244 e 245
 del  1988)  questa  Corte  ha  chiarito  che,  se  da  una  parte  e'
 inammissibile   l'impugnazione,   mediante   conflitto,    di    atti
 giurisdizionali  quando  si  chieda  in  sostanza  la  correzione  di
 eventuali errori in iudicando  nei  quali  il  giudice  sia  incorso,
 mirando  ad  ottenere nel merito la revisione della sentenza, d'altra
 parte il conflitto e' pienamente ammissibile  quando  sia  denunciata
 una  lesione derivante "dal solo fatto di esercitare la giurisdizione
 nei confronti di atti... che si affermino ad essa sottratti da  norme
 costituzionali".
    2.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato.
    La  difesa del Governo eccepisce in primo luogo l'inammissibilita'
 del  ricorso  in  quanto  volto  a  censurare  il  modo   stesso   di
 esplicazione   della  funzione  giurisdizionale  nel  caso  concreto,
 denunciando  errori  in  iudicando  che   non   spetta   alla   Corte
 costituzionale  conoscere,  non  potendo  essa esercitare le funzioni
 proprie del giudice dell'impugnazione.
    Nella  specie,  prosegue  l'Avvocatura,  la Corte di cassazione ha
 deciso dell'esistenza di un reato di inquinamento senza  tener  conto
 di  una  legge  regionale che sanzionava quell'infrazione solo in via
 amministrativa.
    L'errore  della  Corte,  quindi,  se  errore  vi  e' stato, non si
 sarebbe tradotto nella menomazione di  competenze  costituzionalmente
 garantite  alla  regione  Emilia-Romagna,  in  quanto  avrebbe  avuto
 effetti limitati alla sola lite oggetto del giudizio,  non  impedendo
 alla  legge  regionale,  in ipotesi violata, di spiegare tutti i suoi
 effetti nell'intero ordinamento dello Stato.
    In  secondo  luogo,  l'asserito  errore  integrerebbe  semmai  gli
 estremi di un comune errore di diritto (del tipo  previsto  dall'art.
 360,  n.  3,  del codice di procedura civile) che, se non fosse stato
 commesso dal giudice di vertice, avrebbe potuto  formare  oggetto  di
 un'ordinaria impugnazione, ma non di un conflitto di attribuzione.
    Nel merito l'Avvocatura eccepisce incidentalmente l'illegittimita'
 costituzionale delle leggi della regione  Emilia-Romagna  nn.  7  del
 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti in cui hanno qualificato
 gli allevamenti suinicoli, del  tipo  cui  si  riferisce  l'impugnata
 sentenza,  come  insediamenti  civili,  con  la  conseguenza che agli
 eventuali inquinamenti dovrebbero applicarsi sanzioni  amministrative
 regionali,  in  luogo  delle  sanzioni  penali  previste  dalla legge
 statale per gli insediamenti industriali.
    In  tal modo le leggi regionali avrebbero depenalizzato una o piu'
 fattispecie criminose, ove invece e' escluso che le  regioni  possano
 abrogare norme penali statali, in quanto la fonte del potere punitivo
 risiede nella legislazione dello Stato e conseguentemente le regioni,
 pur  possedendo  potesta'  normativa in certe materie, non dispongono
 della  possibilita'  di  comminare,  rimuovere  o  variare  pene,   o
 concedere sanatorie da valere quali esimenti di sanzioni penali.
    Cadute  le tre leggi indicate, sostiene l'Avvocatura, il conflitto
 potrebbe essere dichiarato "privo di fondamento".
     3.  -  In  prossimita'  dell'udienza  la ricorrente ha presentato
 memoria  con  la   quale   ha   ribadito   le   argomentazioni   gia'
 precedentemente svolte.
                         Considerato in diritto
   1.   -   Il   conflitto  di  attribuzione  proposto  dalla  regione
 Emilia-Romagna nei confronti dello Stato ha per oggetto  la  sentenza
 della  Corte  di  cassazione,  sezione  III  penale,  n.  2734 del 14
 novembre (rectius 12 dicembre) 1989, con la quale e' stato  rigettato
 il  ricorso  di  Predieri  Vilder  avverso la sentenza della Corte di
 appello di Bologna del 6 ottobre 1988. Secondo la regione ricorrente,
 la  Corte  di  cassazione  ha  disapplicato, in base all'art. 5 della
 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, le leggi  regionali  n.  7  del
 1983,  n. 13 del 1984 e n. 42 del 1986, sia perche' le ha considerate
 alla stregua di un atto amministrativo i cui contenuti esse avrebbero
 recepito  (deliberazione 8 maggio 1980 del Comitato interministeriale
 previsto dall'art. 3 della legge 10 maggio 1976 n. 319), sia  perche'
 ha  ritenuto  le  medesime  leggi  costituzionalmente illegittime per
 avere interferito in  una  materia,  quella  penale,  riservata  allo
 Stato.  In  tal modo la Corte di cassazione avrebbe esercitato poteri
 che non le competono, con violazione delle norme  costituzionali  che
 disciplinano il regime di sindacabilita' delle leggi, anche regionali
 (artt. 117, primo comma, 101 e 134 della Costituzione).
    2.  -  Cosi'  precisati  i  termini  del  conflitto,  e' opportuno
 innanzitutto richiamare il  principio  enunciato  nella  sentenza  di
 questa  Corte  n.  110 del 1970 e concordemente seguito in successive
 pronunce (cfr. sentt. nn. 211 del 1972, 178 del 1973, 289  del  1974,
 75  del  1977,  183  del  1981,  70  del  1985):  "nulla vieta che un
 conflitto di attribuzione tragga origine da un atto  giurisdizionale,
 se  ed  in  quanto si deduca derivarne una invasione della competenza
 costituzionalmente garantita alla regione: la figura dei conflitti di
 attribuzione  non  si  restringe  alla  sola ipotesi di contestazione
 circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno  dei  soggetti
 contendenti  rivendichi  per  se',  ma  si estende a comprendere ogni
 ipotesi  in  cui  dall'illegittimo  esercizio  di  un  potere  altrui
 consegua    la    menomazione    di   una   sfera   di   attribuzioni
 costituzionalmente assegnate all'altro soggetto".
    Non  sfugge  al  Collegio  la  particolare delicatezza del caso in
 esame, che investe una sentenza della Corte di cassazione (del  resto
 gia'  in precedenza verificatosi: sent. n. 66 del 1964). Ma una volta
 ammesso il conflitto su di  un  atto  giurisdizionale,  nulla  rileva
 quale sia il giudice che l'ha emanato; che anzi si potrebbe osservare
 come, proprio perche' il conflitto ha  luogo  nei  confronti  di  una
 sentenza  avverso  la  quale non e' dato alcun mezzo di impugnazione,
 non  possono  sorgere  nemmeno  eventuali  problemi   relativi   alla
 possibile  concomitanza  tra  giudizio  sul  conflitto  e giudizio di
 impugnazione.
    3.  -  Poste  queste  premesse,  si  deve esaminare l'eccezione di
 inammissibilita' sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri.
 In  sostanza, secondo l'Avvocatura, la regione censura il modo in cui
 la  funzione  giurisdizionale  e'  stata  esercitata   in   concreto,
 denunciando  presunti errori in iudicando, di guisa che si verrebbe a
 chiedere alla Corte di  assumere  le  funzioni  proprie  del  giudice
 dell'impugnazione,  funzioni che chiaramente non competono alla Corte
 stessa. L'Avvocatura  sostiene  inoltre  che  non  vi  sarebbe  stata
 comunque  menomazione di competenze costituzionalmente garantite alla
 regione, in quanto gli effetti della  sentenza  della  Cassazione  si
 limitano  al giudizio deciso dalla medesima, non impedendo alle leggi
 regionali di spiegare la loro efficacia in via generale.
    3.1. - L'eccezione non puo' essere accolta.
    La  regione  in  realta'  non  sostiene  che la sentenza di cui si
 discute  si  fondi  su  erronee  interpretazioni  di   legge   ovvero
 sull'errata  individuazione  della  normativa  da  applicare nel caso
 concreto; essa lamenta invece che la Cassazione, pur avendo  ritenuto
 riferibili  alla  fattispecie  le  citate  leggi  regionali, le abbia
 espressamente  disapplicate,  considerandole  alla  stregua  di  atti
 amministrativi;  e  piu'  ancora  che,  in base ad una valutazione di
 incostituzionalita' delle  anzidette  leggi,  anziche'  sollevare  la
 relativa  questione  dinanzi alla Corte costituzionale, sia pervenuta
 direttamente alla disapplicazione delle medesime.
    Non  si  e' dunque dinanzi alla denuncia di un error in iudicando,
 nel senso in cui questa Corte in precedenti sentenze (cfr. sentt. nn.
 289  del 1974, 70 del 1985; ordd. nn. 77 e 98 del 1981, 244, 245, 246
 del 1988) lo ha ritenuto  sottratto  al  proprio  giudizio  come  non
 idoneo a costituire materia di conflitto di attribuzione. L'errore di
 cui si discute e' consistito,  secondo  la  ricorrente,  nell'erroneo
 convincimento  che ha indotto la Corte di cassazione ad esercitare un
 potere che non le compete, errore cioe' che  e'  caduto  sui  confini
 stessi  della  giurisdizione e non sul concreto esercizio di essa. Ed
 e' proprio l'esercizio di tale potere di disapplicazione delle  leggi
 che costituisce l'oggetto del presente conflitto.
    3.2.  -  Quanto  al  punto  se  venga  o  meno  in discussione una
 menomazione di  una  competenza  costituzionalmente  attribuita  alla
 regione,  non  puo' esservi dubbio che la prospettata disapplicazione
 di leggi regionali, sia sotto il profilo di una loro equiparazione ad
 atti   amministrativi,  sia  in  quanto  ritenute  costituzionalmente
 illegittime, violi, ove accertata, le invocate norme costituzionali e
 incida,  in  particolare, sulla competenza legislativa garantita alla
 regione dall'art. 117, primo comma. Ne' ha pregio l'argomento addotto
 dall'Avvocatura  dello  Stato  secondo cui gli effetti della sentenza
 sarebbero limitati all'oggetto  del  giudizio,  cosi'  che  la  legge
 regionale  continuerebbe  integra  a spiegare la sua efficacia in via
 generale:  l'efficacia  della  legge  sta  proprio  nell'obbligo  del
 giudice  di  applicarla  nel  caso concreto che gli e' sottoposto. La
 disapplicazione della legge anche in un solo caso - come  esattamente
 osserva  la  difesa  della  regione  -  viene a negarne la intrinseca
 natura, e costituisce pertanto una  lesione  del  potere  legislativo
 regionale.
    4.  -  Accertata  l'ammissibilita' del conflitto, il Collegio deve
 ora procedere all'esame  della  sentenza  che  vi  ha  dato  origine.
 L'imputato  ha  proposto  ricorso  per  cassazione contro la sentenza
 della Corte di appello di Bologna precedentemente citata,  sostenendo
 l'insussistenza   del   reato,  essenzialmente  perche'  "le  imprese
 agricole  in  base  alla  delibera  8  maggio   1980   del   Comitato
 interministeriale  e  alle leggi regionali Emilia-Romagna n. 7/83, 23
 marzo 1984 n. 13 e 42/86 sono  insediamenti  civili,  come  tali  non
 soggetti  alle  sanzioni  penali  stabilite  dall'art. 21 della legge
 statale n. 319/76....".
    4.1.  -  La  decisione,  dopo  aver  premesso  che  "il ricorso e'
 infondato e deve, percio', essere rigettato  con  le  conseguenze  di
 legge",   si   sofferma   prima   sulla   questione   "della   natura
 dell'insediamento(civile o  produttivo)  delle  imprese  agricole  di
 allevamento"  alla stregua dell'orientamento sviluppato in precedenti
 pronunce della Corte di cassazione.  Enunciata  diffusamente  "questa
 impostazione  generale  circa  la  problematica connessa alle imprese
 agricole", la  terza  sezione  penale  della  Cassazione  viene  alle
 ulteriori  precisazioni che rappresentano in effetti l'esame del vero
 motivo dedotto nel ricorso, vale a dire la mancata applicazione delle
 leggi  regionali sopra citate, il cui precetto riproduce il contenuto
 della deliberazione 8/5/80 del  Comitato  interministeriale.  A  tale
 proposito,  dopo  aver  richiamato  l'affermazione  di una precedente
 sentenza (Sez. III, 10.12.1985) secondo cui "la delibera 8 maggio  80
 del  Comitato  interministeriale  non  puo'  vincolare il giudice....
 perche' le sue statuizioni sono state emanate  senza  una  preventiva
 determinazione  dei  principi e criteri direttivi nella legge 650 del
 1979", la motivazione prosegue testualmente: "Ne  consegue  che  tale
 deliberazione  non  si sottrae al sindacato del giudice ordinario, ai
 sensi dell'art. 5 legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E.  Ed  anzi,  il
 giudice  penale  puo' disapplicare in base al citato art. 5, anche la
 normativa regionale che recepisca  tale  delibera  in  modo  tale  da
 vincolare  di  fatto l'interprete, in sede penale, ai parametri della
 delibera  (che  invece,  come  si  e'  detto,  vengono  ritenuti  non
 vincolanti)".
    Appare   quindi  chiaramente  per  tabulas  che  i  giudici  della
 Cassazione  hanno  ritenuto  di  poter  disapplicare   la   normativa
 regionale,  nella specie costituita dalla legge n. 7 del 1983 e dalle
 successive leggi nn. 13 del 1984 e 42 del 1986 (le quali  -  prosegue
 la  motivazione  -  "si  muovono nella medesima logica"), trattandole
 alla stregua di un atto amministrativo. Essi hanno dunque  esercitato
 un  potere  del  tutto  abnorme,  non previsto nel nostro ordinamento
 costituzionale, con palese violazione degli artt. 101, secondo comma,
 e 117, primo comma, della Costituzione.
     4.2.  -  Ma  la  motivazione  non  si  ferma qui: i giudici della
 Cassazione si diffondono a  dimostrare,  citando  anche  sentenze  di
 questa  Corte,  che  le  regioni  non possono interferire con proprie
 leggi in materia penale, come tale riservata alla  sola  legislazione
 statale.  A  questo  punto,  gli  stessi  giudici, anziche' pervenire
 all'unica conclusione ad essi consentita, quella cioe'  di  sollevare
 questione di legittimita' costituzionale delle leggi regionali, hanno
 tratto   da   tale   argomento   un'ulteriore   giustificazione   per
 disapplicare  le  leggi  stesse, in violazione, oltre che degli artt.
 101 e 117, anche dell'art. 134 della  Costituzione,  che  attribuisce
 esclusivamente alla Corte costituzionale il sindacato di legittimita'
 costituzionale sulle leggi e sugli atti aventi forza di  legge  dello
 Stato e delle regioni.
    E' appena il caso di aggiungere che ben altra ipotesi e' quella di
 leggi statali o regionali confliggenti con regolamenti comunitari. In
 tal   caso  il  potere-dovere  del  giudice  di  applicare  la  norma
 comunitaria anziche' quella nazionale (riconosciuto ai giudici  dalla
 sentenza n. 170 del 1984 di questa Corte e dalle successive che hanno
 confermato  e  sviluppato  tale  giurisprudenza  )   non   si   fonda
 sull'accertamento  di  una  presunta  illegittimita' di quest'ultima,
 bensi' sul presupposto che l'ordinamento comunitario  e'  autonomo  e
 distinto  da  quello  interno,  con  la conseguenza che nelle materie
 previste dal Trattato CEE la normativa regolatrice e' quella  emanata
 dalle  istituzioni  comunitarie  secondo  le  previsioni del Trattato
 stesso, fermo beninteso il rispetto dei principi fondamentali  e  dei
 diritti  inviolabili  della persona umana: di fronte a tale normativa
 l'ordinamento interno si ritrae e non e' piu' operante.
    Tanto  precisato, va riaffermato che uno dei principi basilari del
 nostro sistema costituzionale e' quello per cui i giudici sono tenuti
 ad  applicare  le  leggi,  e,  ove  dubitino  della loro legittimita'
 costituzionale, devono adire questa Corte che  sola  puo'  esercitare
 tale  sindacato,  pronunciandosi,  ove  la questione sia riconosciuta
 fondata, con sentenze aventi efficacia erga omnes.  Questo  principio
 non puo' soffrire eccezione alcuna.
    4.3.  -  Si deve dunque concludere che nel caso in esame i giudici
 della Cassazione non si sono limitati ad esercitare il loro potere di
 verificare  quale  legge  dovesse  applicarsi  nel caso concreto e di
 interpretare la legge stessa, bensi' hanno espressamente disapplicato
 leggi  regionali,  con  violazione  degli  artt. 101, 117 e 134 della
 Costituzione.
     5.  -  Va  per  ultima  esaminata la subordinata istanza avanzata
 dalla Presidenza del Consiglio. L'Avvocatura  dello  Stato  eccepisce
 l'illegittimita'  costituzionale  delle  leggi  della regione Emilia-
 Romagna nn. 7 del 1983, 13 del 1984 e 42 del 1986, nelle parti cui si
 e'   riferita   l'impugnata  sentenza  della  Cassazione,  per  avere
 interferito in materia  penale,  riservata  all'esclusiva  competenza
 della legge statale: dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle
 suddette norme - sostiene l'Avvocatura -  il  conflitto  risulterebbe
 "privo di fondamento".
    La questione e' inammissibile.
    Questa  Corte  e'  chiamata  a  decidere  se  spetta alla Corte di
 cassazione  disapplicare  leggi   regionali   ritenute   illegittime.
 Accertare  se  tale illegittimita' sussista o meno non e' strumentale
 alla  soluzione  del  conflitto,  e  la  relativa  questione  risulta
 pertanto  irrilevante  (cfr.,  per  un caso analogo, sent. n. 162 del
 1976).
    6.   -   Accertato   che  non  spetta  alla  Corte  di  cassazione
 disapplicare le leggi regionali, la sentenza  oggetto  del  conflitto
 deve essere annullata in applicazione degli artt. 41 e 38 della legge
 11 marzo 1953 n. 87.
    Non  e' infatti possibile separare la motivazione dal dispositivo,
 sia perche' in linea generale la sentenza costituisce un  unico  atto
 inscindibile,  sia  perche',  nel  caso  in  esame,  si tratta di una
 sentenza di rigetto di un ricorso per cassazione: percio',  anche  in
 presenza  di  autonomi  e  distinti  motivi  della  decisione,  basta
 l'accertato vizio  di  incompetenza  nella  parte  della  motivazione
 relativa  alla  disapplicazione delle leggi regionali - che del resto
 e' quella che principalmente sorregge il dispositivo di rigetto  -  a
 rendere conseguenziale e necessario l'annullamento.