ha pronunciato la seguente ORDINANZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato E (Legge sul contenzioso amministrativo), e degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie), promosso con ordinanza emessa il 14 ottobre 1989 dal pretore di Teramo - Sezione distaccata di Atri - nel procedimento penale a carico di Spitilli Nicolino, iscritta al n. 28 del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1990; Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 21 marzo 1990 il giudice relatore Ettore Gallo; Ritenuto che, con ordinanza 14 ottobre 1989, il pretore di Teramo - Sezione distaccata di Atri, sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt. 4 e 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E (Legge sul contenzioso amministrativo) e, di riflesso, degli artt. 13 e 22 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) in riferimento agli artt. 3, 70, 97, 101 e 112 della Costituzione; che riferiva il pretore nell'ordinanza di una concessione edilizia n. 45 rilasciata il 26 aprile 1989 dal Sindaco di Atri a tale Nicolino Spitilli per la "ristrutturazione senza alcun aumento di volume" di un fabbricato preesistente sito in zona agricola gravata da vincolo paesistico; che, al contrario, lo Spitilli - come risultava dagli accertamenti dei carabinieri - non soltanto aveva quasi totalmente demolito l'edificio anche nei muri perimetrali, ma per di piu' lo aveva poi ricostruito non solo in violazione delle norme di disciplina dello strumento urbanistico vigente, ma altresi' in contrasto con l'art. 70 della legge della regione Abruzzo n. 18 del 1983; che, a seguito di cio', lo Spitilli veniva imputato del reato di cui all'art. 20, lettera b, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e il cantiere sottoposto a sequestro; che, pero', lo Spitilli il 30 agosto 1989 avanzava istanza per l'accertamento di conformita' ex art. 13 della citata legge n. 47 del 1985, e l'assessore delegato del Comune gli rilasciava concessione in sanatoria n. 104 in data 22 settembre 1989; che, a quel punto, il pretore sollevava la questione di legittimita' di cui s'e' detto, rilevando che la concessione in sanatoria non si e' affatto preoccupata dell'accertamento di conformita' di cui all'art. 13 della legge (che lo Spitilli peraltro aveva espressamente richiesto) e difatti non ve n'e' alcun cenno nella parte motiva della concessione, mentre gli accertamenti della polizia giudiziaria avevano messo in luce che strumento urbanistico vigente e legge regionale erano stati violati quanto ad indice planivolumetrico, quanto al rapporto con la minima entita' colturale (mq 10.000 per art. 70 della legge; mq 8810 nella realta' di specie), e quanto alle distanze tra fabbricato e confine (di gran lunga inferiori a quelle di piano); che il pretore si mostra ben edotto, nella lunga motivazione dell'ordinanza, della largamente consolidata giurisprudenza della Cassazione, anche a Sezioni Unite (non superata nei principi da due piu' recenti decisioni), secondo la quale il giudice ordinario non puo' disapplicare il provvedimento amministrativo di cui - salvo i casi di lesione di diritti soggettivi o di illiceita' penale - non puo' valutare la legittimita' neppure "incidenter tantum", atteso quanto dispongono gli artt. 4 e 5 del citato all. E della legge n. 2248 del 1865 (giurisprudenza che egli dichiara "condivisibile"), cosi' come riconosce che la detta giurisprudenza, originariamente riguardante le concessioni edilizie per costruzione, e' stata poi estesa anche a quelle in sanatoria; che parimenti il pretore si dichiara bene a conoscenza dell'analoga giurisprudenza di questa Corte, particolarmente rappresentata dalla sentenza 23-31 marzo 1988 n. 370 (e successive ordinanze d'inammissibilita') con la quale la questione e' stata dichiarata infondata; che, tuttavia, ritiene il pretore di dovere risollevare la questione sotto profili che egli definisce "nuovi", in quanto opina che il principio di eguaglianza vada correlato agli art. 70 e 97 della Costituzione, in guisa da far risaltare il primato della legge; che da cio' deriverebbe l'incompatibilita' di ogni preclusione al giudice dell'esercizio della funzione giurisdizionale in presenza di specifiche violazioni di legge, specie quando si tratti di violazione di fattispecie penalistica intesa alla tutela di interessi pubblici; che, nella specie, un reato e' stato sicuramente commesso, ed il giudice penale deve poter accertare direttamente se si siano verificate le condizioni che consentono di dichiarare l'estinzione del reato, anziche' arrestare la sua attivita' giurisdizionale innanzi ad un provvedimento amministrativo, che oltre tutto nulla dice sul punto perche' nulla ha accertato; Considerato che il giudice rimettente e' bene informato sia sulla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che dichiara condivisibile, sia su quella di questa Corte, non si vede in che consista la novita' del profilo che il pretore intende presentare risollevando una questione che la Corte ha dichiarato infondata soltanto or e' un anno; che, infatti, proprio l'argomento dominante dell'ordinanza, secondo cui, vincolando il giudice penale all'esito di un procedimento amministrativo, l'art. 22 impugnato subordinerebbe il giudice penale ad altro giudice e al suo provvedimento, anziche' alla legge, rivela - secondo la citata sentenza di questa Corte - "la fragilita' della proposta questione", in quanto, " a voler seguire lo stesso assunto si dovrebbe giungere a sostenere che tutte le volte in cui la legge impone al giudice penale di attenersi ad accertamenti extragiudiziali, lo subordini non alla legge ma ad altre autorita' o ad altri giudici"; che la stessa sentenza ha, anzi, precisato che "chi, peraltro, sostenesse che l'accertamento della conformita' delle opere agli strumenti urbanistici vada demandato al giudice penale spoglierebbe l'autorita' amministrativa delle proprie istituzionali competenze"; che, pertanto, i principi sinora affermati devono essere confermati e la sollevata questione dichiarata manifestamente infondata, non senza rilevare, tuttavia, che l'illiceita' penale di una concessione non deriva soltanto dalla collusione (che il pretore esclude dalla specie), ma da qualsiasi violazione della legge penale che abbia a viziare il momento formativo della volonta' della pubblica amministrazione, e percio' anche dal delitto di cui all'art. 328 codice penale che incrimina la volontaria indebita omissione da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico codice penale che incrimina la volontaria indebita omissione da parte del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio di atti dell'ufficio o del servizio: omissione che nella specie poteva essere rappresentata dal mancato accertamento di conformita', richiesto dall'istanza dell'interessato, che la legge pone alla base della concessione in sanatoria, e di cui non esiste alcun accenno nel provvedimento amministrativo (fattispecie peraltro ora sostituita dall'art. 16 della legge 26 aprile 1990, n. 36, che ne ha modificato la configurazione).