Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato con delibera della giunta regionale n. 55477 del 6 giugno 1990, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 4 maggio 1990, n. 107, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 108 dell'11 maggio 1990, concernente "disciplina per le attivita' trasfusionali relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di plasmaderivati", e in particolare degli artt. 1, ottavo e nono comma, 2, terzo comma, 11, primo, quarto e quinto comma, e 24, primo comma, della stessa legge. L'art. 4 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, n. 833/1978, prevede che "con legge dello Stato sono dettate norme dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale e stabilite le relative sanzioni penali, particolarmente 'fra l'altro' in materia di... raccolta, frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano". L'art. 6, lett. c), della medesima legge n. 833/1978 attribuisce alla competenza dello Stato le funzioni amministrative concernenti, fra l'altro "la produzione, la registrazione, la ricerca, la sperimentazione, il commercio e l'informazione concernenti... gli emoderivati". La legge n. 107/1990 si pone, formalmente, come attuazione delle predette norme della legge n. 833/1978 (art. 1, primo comma). Tuttavia la legge non si limita a dettare, come previsto, le norme in materia di raccolta, frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue, dirette ad assicurare condizioni e garanzie uniformi per tutto il territorio nazionale, e a stabilire le relative sanzioni penali, ne' a disciplinare la produzione e il commercio degli emoderivati (compiti tutti spettanti, come si e' detto, allo Stato) ma va oltre, in due sensi: sia cioe' dettando o prevedendo norme relative ad aspetti della materia che nulla hanno a che vedere con le competenze statali citate; sia rinviando, a tal fine, ad una miriade di atti regolamentari o pseudo regolamentari o amministrativi, per lo piu' attribuiti alla competenza del Ministro della sanita', che dovrebbero disciplinare in tutti i piu' minuti dettagli la materia e regolare, spesso direttamente, le attivita' amministrative e operative delle regioni e delle unita' sanitarie locali. Cosi' che - si puo' notare subito - la legge appare contemporaneamente non rispettosa delle competenze regionali e della sfera attribuita alla legge dall'art. 4, primo comma, n. 6, della legge n. 833/1978. Che la materia oggetto della legge rientri, nel suo insieme, in quella della sanita', di competenza delle regioni e delle province autonome, non vi puo' essere dubbio. Ed infatti la ricorrente, gia' con l.r. 7 giugno 1980, n. 80 "costituzione del consorzio regionale emoderivati", ora abrogata dall'art. 5 della l.r. 18 maggio 1990, n. 61), provvede a disciplinare l'attivita' della regione stessa e dei presidi sanitari in materia di raccolta, conservazione, distribuzione del sangue, e a promuovere la costituzione di un consorzio fra l'associazione volontari italiani del sangue lombarda, le altre associazioni volontarie di donatori del sangue operanti in Lombardia e l'istituto sieroterapico milanese "Serafino Belfanti", con lo scopo di assicurare, senza scopo di lucro, la produzione e la distribuzione degli emoderivati. Successivamente, con l.r. 30 maggio 1985, n. 65, veniva disciplinata organicamente la materia: venne approvato il piano regionale sangue e plasma, vennero regolate le attivita' nel settore, stabilita l'organizzazione delle strutture (centri di raccolta, sezioni trasfusionali ospedaliere, unita' operative trasfusionali, dipartimenti trasfusionali e di ematologia), disciplinata fra l'altro la promozione della donazione anche attraverso la collaborazione delle associazioni dei donatori. Piu' di recente, con l.r. 18 marzo 1990, n. 61 ("Secondo piano regionale sangue e plasma per gli anni 1990-92"), la regione ricorrente ha approvato una nuova "azione programmata", denominata "piano regionale sangue e plasma per il triennio 1990-92" (allegato 1 alla legge) e ha istituito il "Centro regionale per gli emoderivati della regione Lombardia, ente di diritto pubblico" (disponendo contestualmente lo scioglimento del consorzio regionale istituito in base alla l.r. n. 80/1980). Tale legge, approvata dal consiglio regionale il 21 marzo 1990, e' stata vistata dal commissario del Governo con nota dell'8 maggio 1990, ed e' stata pubblicata sul Bollettino ufficiale del 18 maggio 1990 (suppl. ord. al n. 20), entrando in vigore il 2 giugno successivo, quindi pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge statale n. 107/1990 (avvenuta il 26 maggio). La regione Lombardia dispone dunque, e non da oggi, di una organica, completa e aggiornata disciplina della materia, adatta alla concreta situazione della regione medesima e pienamente efficace in ordine agli obiettivi di tutela della salute concordemente perseguiti in questo campo dallo Stato e dalle regioni. Ora, il provvedimento legislativo impugnato tende invece a stabilire (o prevede sia stabilita, con successivi atti del Ministro) una disciplina rigidamente uniforme della delicata materia, del tutto inadatta a rispondere alla varieta' di situazioni fattuali presenti nelle diverse regioni. Fra le diverse zone del paese sussistono infatti in questo campo profonde differenze di tradizioni e di tipo di organizzazione, il che rende quanto mai inopportuno, a tacer d'altro, il tentativo di creare un sistema uniforme che e' destinato a rivelarsi un letto di Procuste. In particolare, poi, colpisce la quantita' incredibile di atti ministeriali a carattere sostanzialmente normativo e di preteso indirizzo e coordinamento, che sotto le piu' diverse vesti formali e denominazioni (schemi tipo, indicazioni, protocolli, normative tecniche, norme di indirizzo e coordinamento, o semplicemente decreti del Ministro: cfr. artt. 1, settimo e ottavo comma, 2, terzo comma, 3, secondo e quarto comma, 8, quarto comma, 10, secondo comma, 11, primo comma, 15, primo comma, 19, quarto comma), sono demandati al Ministro della sanita'. L'intera legge nella sua impostazione, dunque, che affida ogni specificazione e attuazione normativa al Ministro, e nega invece spazio alla regione, appare lesiva dell'autonomia regionale. In questo contesto normativo anomalo e incostituzionale, talune norme della legge appaiono ancor piu' gravemente lesive delle competenze delle regioni, in quanto piu' evidentemente travalicano i confini della materia riservata allo Stato e delle potesta' di indirizzo e coordinamento riservate allo Stato medesimo nella materia attribuita alle regioni: queste norme vengono, di seguito, fatte oggetto di ulteriori specifiche censure. L'art. 1, ottavo comma, prevede che la partecipazione di associazioni e di federazioni di donatori volontari di sangue aventi le finalita' di cui all'art. 2, primo comma "cioe' di concorrere ai fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale concernenti la promozione e lo sviluppo della donazione di sangue e la tutela dei donatori", alle attivita' trasfusionali, organizzate ai sensi dell'art. 4 "cioe' nei servizi delle u.s.l. oltre che a livello regionale ed interregionale", e' regolata da apposite convenzioni regionali adottate in conformita' allo schema tipo definito con decreto del Ministro della sanita', da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentita la commissione di cui all'art. 12. A sua volta il successivo quinto comma, prevede che "qualora, trascorsi sei mesi dal termine fissato nello schema tipo, i competenti organi regionali non abbiano proceduto alla stipulazione delle convenzioni di cui all'ottavo comma del presente articolo, si provvede ai sensi dell'art. 6, secondo comma, della legge 23 ottobre 1985, n. 595 'cioe' con intervento sostitutivo del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della sanita''". Ora, e' anzitutto palese che la materia della partecipazione delle associazioni di donatori alle attivita' trasfusionali organizzate dalle strutture del Servizio sanitario nazionale non concerne in alcun modo le garanzie di uniformita' delle condizioni di salute sul territorio nazionale. Detta partecipazione puo' rivelarsi, caso per caso, opportuna, ma la scelta di attivarla, e la individuazione delle associazioni e delle federazioni ritenute idonee, non possono che essere rimesse alle autorita' regionali e locali del servizio sanitario. Ancor piu', le modalita' specifiche di tale partecipazione non possono evidentemente che essere rimesse alle determinazioni di tali autorita' regionali e locali. Onde non si giustifica in alcun modo, ne' in nome di alcuna esigenza di carattere unitario riconducibile all'intera comunita' nazionale, la previsione di schemi tipo di convenzioni, adottati dal Ministro, e vincolanti per le regioni e per le province autonome, cosi' come invece disposto dall'art. 1, ottavo comma. La definizione di schemi tipo di convenzioni in questo campo trova pertanto giustificazione nella potesta' di indirizzo e coordinamento spettante allo Stato, come configurata nella giurisprudenza di questa Corte. Tale previsione, non accompagnata da alcun criterio legislativamente stabilito per l'esercizio della potesta' ministeriale, lede altresi' i principi di legalita' e di riserva di legge che debbono, come e' noto, essere osservati ai fini della previsione e dell'esercizio della funzione statale di indirizzo e coordinamento (sentenza n. 150/1982). A sua volta il potere sostitutivo attribuito al Governo dal nono comma dell'art. 1 e' carente dei presupposti che secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 177/1988), e secondo lo stesso richiamato art. 6, secondo comma, della legge n. 595/1985, possono giustificare tale tipo di intervento. Infatti la stessa partecipazione delle associazioni, come si e' detto, non e' una necessita', ma una mera eventualita' da apprezzare discrezionalmente caso per caso; onde la stipula di convenzioni (e tanto piu' di convenzioni con specifiche individuate associazioni: quali?) non configura un adempimento obbligatorio per la regione o la provincia autonoma. Tanto meno si configurano adempimenti "da svolgere entro termini perentori stabiliti dalla legge o risultanti dalla natura degli interventi da realizzare" (art. 6, secondo comma, della legge n. 595/1985). Infatti la legge non stabilisce, ne' lo poteva, alcun termine, ma illegittimamente attribuisce al Ministro il potere di fissarlo nello schema tipo; e la natura degli interventi e' tale da escludere che da essa possa ricavarsi un obbligo di provvedere entro un termine perentorio. E' pertanto illegittima e lesiva, da un lato, la previsione della definizione di schemi tipo vincolanti, che fissano altresi' termini per la stipula delle convenzioni (ottavo e nono comma); dall'altro lato, la previsione dell'intervento sostitutivo del Governo dopo trascorsi sei mesi. Senza dire che non si prevede qui alcun meccanismo di previa diffida, necessario invece, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 153/1986), per rendere l'intervento sostitutivo conforme al principio di leale cooperazione, e necessario altresi' perche' l'inerzia della regione o della provincia autonoma possa configurarsi come "persistente inattivita'", ai sensi del citato art. 6, secondo comma, della legge n. 595/1985. L'art. 2 della legge si riferisce ai donatori e alle loro associazioni; in particolare prevedendo che "le associazioni di donatori volontari di sangue e le relative federazioni concorrono ai fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale concernenti la promozione e lo sviluppo della donazione di sangue e la tutela dei donatori" (secondo comma). Il successivo terzo comma stabilisce che "rientrano tra le associazioni e le federazioni di cui al secondo comma quelle il cui statuto corrisponde alle finalita' della presente legge" (e fino a qui potrebbero non sorgere questioni), ma si aggiunge "secondo le indicazioni fissate dal Ministro della sanita' con proprio decreto, da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge". Tale ultima previsione significa in sostanza che le regioni e le province autonome potranno valersi della collaborazione di quelle sole associazioni che rispondano ai requisiti fissati dal Ministro, e fissati, di badi, con totale discrezionalita', posto che la legge non detta alcun criterio (salvo il generico riferimento alle finalita' della legge stessa) in ordine a tali requisiti. E' ben difficile immaginare quali mai esigenze di ordine unitario, attinenti alla garanzia di uniformi condizioni di salute in tutto il territorio nazionale, possono essere invocate per stabilire vincolativamente dal centro i requisiti degli statuti delle associazioni di donatori. Si tratta in realta' di un'altra indebita invasione, da parte del Ministro, di una competenza che spetta alle sole regioni e province autonome, anche tenendo conto del fatto che i caratteri e la realta' delle associazioni di donatori possono essere e sono diversi nelle diverse regioni. Anche tale disposizione appare percio' illegittima e lesiva dell'autonomia della ricorrente. Ai sensi dell'art. 11, quarto comma, della legge in questione, entro sei mesi dall'entrata in vigore di questa "il Ministro della sanita', sentita la commissione di cui all'art. 12, emana le norme di indirizzo e coordinamento alle quali devono conformarsi le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per l'attuazione della presente legge". Tale disposizione e' un esempio cospicuo di come la nozione e il concetto stesso della funzione di indirizzo e coordinamento (configurata come e' noto dal legislatore in sede di trasferimento delle funzioni alle regioni e al fine di conservare in capo allo Stato la possibilita' di tutelare interessi unitari, e intesa da questa Corte come "risvolto positivo" dei limiti che incontra l'autonomia del legislatore statale) tendano, nella prassi del legislatore statale, a snaturarsi, trasformando detta funzione in una sorta di passe-partout attraverso il quale si cerca giustificare qualsiasi intervento normativo dello Stato, in materie di competenze regionali, in forma non legislativa e ben al di la' dei limiti discendenti dalla Costituzione e dagli statuti speciali. Infatti: a) non si prevede qui un atto di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni, diretto a segnare obiettivi che debbono essere conseguiti al fine di garantire un preciso interesse unitario legislativamente individuato, legato alla programmazione (sanitaria, nel caso) o all'attuazione di obblighi internazionali, o ad altre esigenze di uniformita' di trattamento; si prevede invece l'emanazione, in via amministrativa, di "norme di indirizzo e coordinamento", vincolanti per le regioni e le province autonome, genericamente riferite a tutto l'ambito di materia coperto dalla legge, e nemmeno condizionate dalla statuizione in via legislativa di alcun criterio, ne' procedimentale (salvo il parere di una commissione) ne' sostanziale; b) l'oggetto delle norme stesse non e' un preciso ambito della materia, in cui il legislatore abbia individuato la presenza di un interesse unitario infrazionabile: e' genericamente "l'attuazione della presente legge". Da un lato, quindi, vi e' totale generecita' e assenza di criteri; dall'altro lato le norme previste sono del tutto scisse da specifiche esigenze di carattere unitario, e volte genericamente a dare "attuazione" alla legge. In buona sostanza ci troviamo di fronte alla previsione di una sorta di atipica e anomala potesta' regolamentare per l'attuazione della legge, demandata al Ministro della sanita'; c) tale potesta' regolamentare atipica riguarda peraltro una materia che appartiene alla competenza delle regioni e delle province autonome. Essa pertanto si esplica in diretta violazione di tale competenza, senza potersi fondare su alcuno dei presupposti che giustificano interventi normativi dello Stato in tale materia. Per di piu' essa appare in contrasto frontale con l'esplicita esclusione della potesta' regolamentare di "attuazione" e di "integrazione" della legge e dei decreti legislativi recanti norme di principio "relativi a materie riservate alla competenza regionale", disposta dall'art. 17, primo comma, lett. b), seconda parte, della legge n. 400/1988; e altresi' in contrasto con il disposto dello stesso art. 17 della legge n. 400/1988, la' dove prevede che regolamenti adottati con decreto ministeriale possano riguardare solo "materie di competenza del Ministro o di autorita' sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere" (terzo comma, parte prima), che essi debbano recare la denominazione di "regolamenti" ed essere adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (quarto comma). La elusione su tali precetti e' evidente, e ridonda altresi' in violazione delle competenze delle regioni e delle province autonome. La singolare impostazione della legge, per cui nella materia, che e' di competenza regionale, si prevede non gia' l'esplicarsi della potesta' legislativa delle regioni e delle province autonome, bensi' l'esplicazione di una potesta' normativa statale di attuazione, e' confermata e aggravata dalla disposizione contenuta nell'art. 24, primo comma, seconda parte, secondo cui "sino alla data di emanazione delle norme di indirizzo e coordinamento, di cui all'art. 11, primo comma, continuano a trovare applicazione, in quanto compatibili con la presente legge, le disposizioni recate dal decreto del Presidente della Repubblica 24 agosto 1971, n. 1256". Si tratta, come e' noto, del regolamento per l'esecuzione della legge 14 luglio 1967, n. 592, concernente la raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano. Ma, appunto, si tratta di un regolamento anteriore al trasferimento delle funzioni alle regioni in materia di sanita' (d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4) e alla istituzione del Servizio sanitario nazionale con la definizione compiuta delle competenze delle regioni e delle province autonome. Le norme di tale regolamento si applicavano percio' solo in mancanza di norme regionali o provinciali sopravvenute, secondo i principi generali (e percio' nel caso della ricorrente erano sostituite, nelle parti corrispondenti, dalle norme delle leggi regionali emanate in materia, e prima ricordate). Ora, invece, l'art. 24 della legge n. 107/1990 pretende di ribadire l'applicabilita' in tutto il territorio nazionale del vecchio regolamento statale fino all'emanazione delle (illegittimamente) previste nuove norme di indirizzo e coordinamento. Ma con cio' da un lato si viene indirettamente a confermare l'attribuzione a tali norme di indirizzo e coordinamento, previste dall'art. 11, primo comma, del carattere di norme regolamentari attuative della legge, in quanto tali lesive delle competenze regionali, e in contrasto con l'art. 17, primo comma, lett. b), della legge n. 400/1988; dall'altro lato si viola una volta di piu' direttamente la competenza delle regioni e delle province autonome, in particolare di quelle che hanno dettato in materia una normativa autonoma sostitutiva di quella recata dal vecchio regolamento statale (cfr. per la regione ricorrente le citate leggi regionali n. 65/1985 e n. 61/1990). Lo stesso art. 11 della legge, al quarto comma, stabilisce che - entro i soliti sei mesi dall'entrata in vigore della legge stessa "il Ministro della sanita', sulla base delle carenze segnalate dai centri regionali di coordinamento e compensazione dell'Istituto superiore di sanita', predispone, sentita la commissione di cui all'art. 12, un progetto mirato ad incrementare la donazione di sangue periodica ed occasionale nei comuni delle regioni nelle quali non sia stata raggiunta l'autosufficienza del sangue donato rispetto alle esigenze, anche mediante il coinvolgimento degli stessi comuni in attivita' di promozione e di supporto rispetto all'associazionismo". Ai sensi del successivo quinto comma "il progetto di cui al quarto comma prevede le iniziative piu' opportune tese a sensibilizzare l'opinione pubblica, ed in particolare i potenziali donatori, sui valori umani e solidaristici che si esprimono nella donazione del sangue e a promuovere l'associazionismo dei donatori al fine del raggiungimento dell'autosufficienza". Ora, che si possano prevedere progetti miranti a incrementare la donazione di sangue nelle aree del paese ove questo sia insufficiente al fabbisogno, e' senz'altro ragionevole. Ma non si comprende perche' tale progetto debba far capo non gia' - come sarebbe ovvio - alle regioni e alle province autonome in cui tale situazione si verifichi, magari con appositi supporti finanziari, ma al Ministro della sanita': trattandosi di progetti da attuare nell'ambito di ciascuna regione ("nei comuni delle regioni nelle quali non sia stata raggiunta l'autosufficienza") al fine di promuoverne l'autosufficienza. L'intervento ministeriale qui non si giustifica a seguito di una ipotizzata inerzia regionale: il semplice dato di fatto della carenza di donazioni in una regione giustificherebbe questa sorta di anomalo intervento sostitutivo dello Stato. Il progetto, si badi, dovra' prevedere "il coinvolgimento degli stessi comuni in attivita' di promozione e di supporto rispetto all'associazionismo": il che conferma che si tratta di attivita' di carattere nettamente infraregionale o locale. Tale previsione rende peraltro ancora piu' inspiegabile l'esclusione della regione da un'attivita' che sarebbe di sua competenza, che riguarda esigenze proprie, e specifiche differenziate del suo territorio, ed e' destinata a coinvolgere i comuni della medesima regione. Se si ha riguardo, del resto, al contenuto del progetto, quale e' delineato dal quinto comma, e' evidente come si tratti di attivita' di informazione, sensibilizzazione, propaganda, promozione, tipicamente connesse al contesto locale e regionale, e che nulla hanno a che fare con la cura di interessi unitari non frazionabili.