Ricorso  della  regione  Lombardia, in persona del presidente della
 giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato  con  delibera
 della  giunta  regionale  n. 55477 del 6 giugno 1990, rappresentato e
 difeso dagli avvocati prof.  Valerio  Onida  e  Gualtiero  Rueca,  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma, largo della
 Gancia, 1, come da delega a margine  del  presente  atto,  contro  il
 Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore   per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge  4  maggio
 1990,  n.  107,  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale n. 108 dell'11
 maggio 1990, concernente "disciplina per le  attivita'  trasfusionali
 relative al sangue umano ed ai suoi componenti e per la produzione di
 plasmaderivati", e in particolare degli artt. 1, ottavo e nono comma,
 2,  terzo comma, 11, primo, quarto e quinto comma, e 24, primo comma,
 della stessa legge.
    L'art.  4 della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale,
 n. 833/1978, prevede che "con legge dello Stato  sono  dettate  norme
 dirette  ad  assicurare  condizioni e garanzie di salute uniformi per
 tutto il  territorio  nazionale  e  stabilite  le  relative  sanzioni
 penali,  particolarmente  'fra  l'altro'  in  materia di... raccolta,
 frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano".
    L'art.  6,  lett. c), della medesima legge n. 833/1978 attribuisce
 alla competenza dello Stato le funzioni  amministrative  concernenti,
 fra   l'altro  "la  produzione,  la  registrazione,  la  ricerca,  la
 sperimentazione, il commercio  e  l'informazione  concernenti...  gli
 emoderivati".
    La  legge  n. 107/1990 si pone, formalmente, come attuazione delle
 predette norme della legge n. 833/1978 (art. 1, primo comma).
    Tuttavia la legge non si limita a dettare, come previsto, le norme
 in materia di raccolta, frazionamento, conservazione e  distribuzione
 del  sangue, dirette ad assicurare condizioni e garanzie uniformi per
 tutto il territorio nazionale, e a  stabilire  le  relative  sanzioni
 penali,  ne'  a  disciplinare  la  produzione  e  il  commercio degli
 emoderivati (compiti tutti spettanti, come si e' detto,  allo  Stato)
 ma  va  oltre,  in  due  sensi: sia cioe' dettando o prevedendo norme
 relative ad aspetti della materia che nulla hanno a che vedere con le
 competenze  statali citate; sia rinviando, a tal fine, ad una miriade
 di atti regolamentari o pseudo regolamentari o amministrativi, per lo
 piu'  attribuiti  alla  competenza  del  Ministro  della sanita', che
 dovrebbero disciplinare in tutti i piu' minuti dettagli la materia  e
 regolare,   spesso   direttamente,   le  attivita'  amministrative  e
 operative delle regioni e delle unita' sanitarie locali.
    Cosi'   che   -   si   puo'   notare  subito  -  la  legge  appare
 contemporaneamente non rispettosa delle competenze regionali e  della
 sfera  attribuita  alla  legge  dall'art. 4, primo comma, n. 6, della
 legge n. 833/1978.
    Che  la  materia  oggetto della legge rientri, nel suo insieme, in
 quella della sanita', di competenza delle regioni  e  delle  province
 autonome,  non  vi puo' essere dubbio. Ed infatti la ricorrente, gia'
 con l.r. 7 giugno 1980, n. 80 "costituzione del  consorzio  regionale
 emoderivati",  ora abrogata dall'art. 5 della l.r. 18 maggio 1990, n.
 61), provvede a disciplinare l'attivita' della regione stessa  e  dei
 presidi sanitari in materia di raccolta, conservazione, distribuzione
 del sangue, e a  promuovere  la  costituzione  di  un  consorzio  fra
 l'associazione  volontari  italiani  del  sangue  lombarda,  le altre
 associazioni volontarie di donatori del sangue operanti in  Lombardia
 e l'istituto sieroterapico milanese "Serafino Belfanti", con lo scopo
 di assicurare, senza scopo di lucro, la produzione e la distribuzione
 degli emoderivati.
    Successivamente,   con   l.r.   30  maggio  1985,  n.  65,  veniva
 disciplinata organicamente  la  materia:  venne  approvato  il  piano
 regionale sangue e plasma, vennero regolate le attivita' nel settore,
 stabilita  l'organizzazione  delle  strutture  (centri  di  raccolta,
 sezioni  trasfusionali  ospedaliere,  unita' operative trasfusionali,
 dipartimenti trasfusionali e di ematologia), disciplinata fra l'altro
 la  promozione  della  donazione  anche  attraverso la collaborazione
 delle associazioni dei donatori.
    Piu'  di  recente,  con  l.r. 18 marzo 1990, n. 61 ("Secondo piano
 regionale  sangue  e  plasma  per  gli  anni  1990-92"),  la  regione
 ricorrente  ha  approvato  una nuova "azione programmata", denominata
 "piano regionale sangue e plasma per il triennio 1990-92" (allegato 1
 alla  legge)  e ha istituito il "Centro regionale per gli emoderivati
 della  regione  Lombardia,  ente  di  diritto  pubblico"  (disponendo
 contestualmente  lo scioglimento del consorzio regionale istituito in
 base alla l.r. n. 80/1980).
    Tale legge, approvata dal consiglio regionale il 21 marzo 1990, e'
 stata vistata dal commissario del  Governo  con  nota  dell'8  maggio
 1990,  ed  e' stata pubblicata sul Bollettino ufficiale del 18 maggio
 1990 (suppl.  ord.  al  n.  20),  entrando  in  vigore  il  2  giugno
 successivo,  quindi pochi giorni dopo l'entrata in vigore della legge
 statale n. 107/1990 (avvenuta il 26 maggio).
    La  regione  Lombardia  dispone  dunque,  e  non  da  oggi, di una
 organica, completa e aggiornata disciplina della materia, adatta alla
 concreta  situazione  della regione medesima e pienamente efficace in
 ordine agli obiettivi di tutela della salute concordemente perseguiti
 in questo campo dallo Stato e dalle regioni.
    Ora,   il  provvedimento  legislativo  impugnato  tende  invece  a
 stabilire (o prevede sia stabilita, con successivi atti del Ministro)
 una disciplina rigidamente uniforme della delicata materia, del tutto
 inadatta a rispondere alla varieta' di situazioni  fattuali  presenti
 nelle diverse regioni.
    Fra  le  diverse zone del paese sussistono infatti in questo campo
 profonde differenze di tradizioni e di tipo di organizzazione, il che
 rende quanto mai inopportuno, a tacer d'altro, il tentativo di creare
 un sistema  uniforme  che  e'  destinato  a  rivelarsi  un  letto  di
 Procuste.
    In  particolare,  poi,  colpisce  la quantita' incredibile di atti
 ministeriali a  carattere  sostanzialmente  normativo  e  di  preteso
 indirizzo  e coordinamento, che sotto le piu' diverse vesti formali e
 denominazioni  (schemi  tipo,  indicazioni,   protocolli,   normative
 tecniche, norme di indirizzo e coordinamento, o semplicemente decreti
 del Ministro: cfr. artt. 1, settimo e ottavo comma, 2,  terzo  comma,
 3,  secondo  e  quarto comma, 8, quarto comma, 10, secondo comma, 11,
 primo comma, 15, primo comma, 19, quarto comma),  sono  demandati  al
 Ministro della sanita'.
    L'intera  legge  nella  sua  impostazione, dunque, che affida ogni
 specificazione e attuazione normativa  al  Ministro,  e  nega  invece
 spazio alla regione, appare lesiva dell'autonomia regionale.
    In  questo  contesto  normativo anomalo e incostituzionale, talune
 norme  della  legge  appaiono  ancor  piu'  gravemente  lesive  delle
 competenze  delle regioni, in quanto piu' evidentemente travalicano i
 confini della materia  riservata  allo  Stato  e  delle  potesta'  di
 indirizzo e coordinamento riservate allo Stato medesimo nella materia
 attribuita alle regioni: queste  norme  vengono,  di  seguito,  fatte
 oggetto di ulteriori specifiche censure.
    L'art.   1,   ottavo  comma,  prevede  che  la  partecipazione  di
 associazioni e di federazioni di donatori volontari di sangue  aventi
 le  finalita'  di cui all'art. 2, primo comma "cioe' di concorrere ai
 fini istituzionali del Servizio sanitario  nazionale  concernenti  la
 promozione  e  lo  sviluppo della donazione di sangue e la tutela dei
 donatori",  alle  attivita'  trasfusionali,  organizzate   ai   sensi
 dell'art.  4  "cioe'  nei  servizi  delle  u.s.l. oltre che a livello
 regionale ed interregionale", e'  regolata  da  apposite  convenzioni
 regionali  adottate  in  conformita'  allo  schema  tipo definito con
 decreto del Ministro della sanita', da emanarsi entro sei mesi  dalla
 data   di   entrata  in  vigore  della  presente  legge,  sentita  la
 commissione di cui all'art. 12.
    A  sua  volta  il  successivo  quinto comma, prevede che "qualora,
 trascorsi  sei  mesi  dal  termine  fissato  nello  schema  tipo,   i
 competenti  organi  regionali non abbiano proceduto alla stipulazione
 delle convenzioni di cui all'ottavo comma del presente  articolo,  si
 provvede  ai sensi dell'art. 6, secondo comma, della legge 23 ottobre
 1985, n. 595 'cioe' con  intervento  sostitutivo  del  Consiglio  dei
 Ministri, su proposta del Ministro della sanita''".
    Ora, e' anzitutto palese che la materia della partecipazione delle
 associazioni di donatori  alle  attivita'  trasfusionali  organizzate
 dalle  strutture  del  Servizio  sanitario  nazionale non concerne in
 alcun modo le garanzie di uniformita' delle condizioni di salute  sul
 territorio  nazionale.  Detta partecipazione puo' rivelarsi, caso per
 caso, opportuna, ma la scelta di attivarla, e la individuazione delle
 associazioni  e  delle  federazioni  ritenute idonee, non possono che
 essere  rimesse  alle  autorita'  regionali  e  locali  del  servizio
 sanitario.
    Ancor  piu',  le  modalita'  specifiche di tale partecipazione non
 possono evidentemente che essere rimesse alle determinazioni di  tali
 autorita'  regionali  e locali. Onde non si giustifica in alcun modo,
 ne' in nome di alcuna esigenza di  carattere  unitario  riconducibile
 all'intera  comunita'  nazionale,  la  previsione  di  schemi tipo di
 convenzioni, adottati dal Ministro, e vincolanti per le regioni e per
 le  province autonome, cosi' come invece disposto dall'art. 1, ottavo
 comma.
    La definizione di schemi tipo di convenzioni in questo campo trova
 pertanto giustificazione nella potesta' di indirizzo e  coordinamento
 spettante allo Stato, come configurata nella giurisprudenza di questa
 Corte.
    Tale    previsione,    non    accompagnata   da   alcun   criterio
 legislativamente   stabilito   per   l'esercizio    della    potesta'
 ministeriale,  lede  altresi' i principi di legalita' e di riserva di
 legge che debbono, come e'  noto,  essere  osservati  ai  fini  della
 previsione  e  dell'esercizio  della  funzione statale di indirizzo e
 coordinamento (sentenza n. 150/1982).
    A  sua  volta il potere sostitutivo attribuito al Governo dal nono
 comma  dell'art.  1  e'  carente  dei  presupposti  che  secondo   la
 giurisprudenza  di  questa Corte (sentenza n. 177/1988), e secondo lo
 stesso richiamato art. 6, secondo comma,  della  legge  n.  595/1985,
 possono giustificare tale tipo di intervento.
    Infatti  la  stessa  partecipazione delle associazioni, come si e'
 detto, non e' una necessita', ma una mera eventualita' da  apprezzare
 discrezionalmente  caso  per  caso; onde la stipula di convenzioni (e
 tanto piu' di convenzioni con  specifiche  individuate  associazioni:
 quali?) non configura un adempimento obbligatorio per la regione o la
 provincia autonoma.
    Tanto  meno  si configurano adempimenti "da svolgere entro termini
 perentori stabiliti dalla  legge  o  risultanti  dalla  natura  degli
 interventi  da  realizzare"  (art.  6,  secondo comma, della legge n.
 595/1985).
    Infatti  la legge non stabilisce, ne' lo poteva, alcun termine, ma
 illegittimamente attribuisce al Ministro il potere di fissarlo  nello
 schema tipo; e la natura degli interventi e' tale da escludere che da
 essa possa ricavarsi  un  obbligo  di  provvedere  entro  un  termine
 perentorio.
    E'  pertanto illegittima e lesiva, da un lato, la previsione della
 definizione di schemi tipo vincolanti, che fissano  altresi'  termini
 per  la  stipula  delle convenzioni (ottavo e nono comma); dall'altro
 lato, la previsione  dell'intervento  sostitutivo  del  Governo  dopo
 trascorsi  sei  mesi.  Senza  dire  che  non  si  prevede  qui  alcun
 meccanismo  di  previa  diffida,  necessario   invece,   secondo   la
 giurisprudenza  di  questa  Corte (sentenza n. 153/1986), per rendere
 l'intervento sostitutivo conforme al principio di leale cooperazione,
 e  necessario  altresi'  perche'  l'inerzia  della  regione  o  della
 provincia autonoma possa configurarsi come "persistente inattivita'",
 ai sensi del citato art. 6, secondo comma, della legge n. 595/1985.
    L'art.  2  della  legge  si  riferisce  ai  donatori  e  alle loro
 associazioni; in  particolare  prevedendo  che  "le  associazioni  di
 donatori  volontari di sangue e le relative federazioni concorrono ai
 fini istituzionali del Servizio sanitario  nazionale  concernenti  la
 promozione  e  lo  sviluppo della donazione di sangue e la tutela dei
 donatori" (secondo comma).
    Il  successivo  terzo  comma  stabilisce  che  "rientrano  tra  le
 associazioni e le federazioni di cui al secondo comma quelle  il  cui
 statuto  corrisponde  alle  finalita' della presente legge" (e fino a
 qui potrebbero non sorgere questioni), ma  si  aggiunge  "secondo  le
 indicazioni  fissate  dal Ministro della sanita' con proprio decreto,
 da emanarsi entro sei mesi dalla data  di  entrata  in  vigore  della
 presente legge".
    Tale  ultima  previsione significa in sostanza che le regioni e le
 province autonome potranno valersi  della  collaborazione  di  quelle
 sole associazioni che rispondano ai requisiti fissati dal Ministro, e
 fissati, di badi, con totale discrezionalita', posto che la legge non
 detta  alcun  criterio  (salvo il generico riferimento alle finalita'
 della legge stessa) in ordine a tali requisiti.
    E' ben difficile immaginare quali mai esigenze di ordine unitario,
 attinenti alla garanzia di uniformi condizioni di salute in tutto  il
 territorio   nazionale,   possono   essere   invocate  per  stabilire
 vincolativamente  dal  centro  i  requisiti   degli   statuti   delle
 associazioni  di  donatori. Si tratta in realta' di un'altra indebita
 invasione, da parte del Ministro, di una competenza che  spetta  alle
 sole regioni e province autonome, anche tenendo conto del fatto che i
 caratteri e la realta' delle associazioni di donatori possono  essere
 e sono diversi nelle diverse regioni.
    Anche  tale  disposizione  appare  percio'  illegittima  e  lesiva
 dell'autonomia della ricorrente.
    Ai  sensi  dell'art.  11,  quarto comma, della legge in questione,
 entro sei mesi dall'entrata in vigore di questa  "il  Ministro  della
 sanita', sentita la commissione di cui all'art. 12, emana le norme di
 indirizzo e coordinamento alle quali devono conformarsi le regioni  e
 le  province  autonome  di Trento e di Bolzano per l'attuazione della
 presente legge".
    Tale  disposizione  e' un esempio cospicuo di come la nozione e il
 concetto  stesso  della  funzione  di   indirizzo   e   coordinamento
 (configurata  come  e'  noto dal legislatore in sede di trasferimento
 delle funzioni alle regioni e al fine  di  conservare  in  capo  allo
 Stato  la  possibilita'  di  tutelare  interessi unitari, e intesa da
 questa  Corte  come  "risvolto  positivo"  dei  limiti  che  incontra
 l'autonomia  del  legislatore  statale)  tendano,  nella  prassi  del
 legislatore statale, a snaturarsi, trasformando detta funzione in una
 sorta  di  passe-partout  attraverso  il  quale si cerca giustificare
 qualsiasi intervento normativo dello Stato, in materie di  competenze
 regionali,  in  forma  non  legislativa  e  ben  al di la' dei limiti
 discendenti dalla Costituzione e dagli statuti speciali.
    Infatti:
       a)  non  si  prevede  qui  un atto di indirizzo e coordinamento
 delle attivita'  amministrative  delle  regioni,  diretto  a  segnare
 obiettivi  che  debbono  essere  conseguiti  al  fine di garantire un
 preciso interesse unitario legislativamente individuato, legato  alla
 programmazione  (sanitaria,  nel  caso)  o all'attuazione di obblighi
 internazionali, o ad altre esigenze di uniformita' di trattamento; si
 prevede  invece  l'emanazione,  in  via  amministrativa, di "norme di
 indirizzo e coordinamento", vincolanti per le regioni e  le  province
 autonome,  genericamente riferite a tutto l'ambito di materia coperto
 dalla  legge,  e  nemmeno  condizionate  dalla  statuizione  in   via
 legislativa di alcun criterio, ne' procedimentale (salvo il parere di
 una commissione) ne' sostanziale;
       b)  l'oggetto delle norme stesse non e' un preciso ambito della
 materia, in cui il legislatore abbia individuato la  presenza  di  un
 interesse  unitario  infrazionabile:  e'  genericamente "l'attuazione
 della presente legge".
    Da un lato, quindi, vi e' totale generecita' e assenza di criteri;
 dall'altro lato le norme previste sono del tutto scisse da specifiche
 esigenze   di  carattere  unitario,  e  volte  genericamente  a  dare
 "attuazione" alla legge.
    In  buona  sostanza  ci  troviamo di fronte alla previsione di una
 sorta di atipica e anomala potesta'  regolamentare  per  l'attuazione
 della legge, demandata al Ministro della sanita';
       c)  tale  potesta'  regolamentare atipica riguarda peraltro una
 materia che appartiene alla competenza delle regioni e delle province
 autonome.  Essa  pertanto  si  esplica  in diretta violazione di tale
 competenza, senza potersi  fondare  su  alcuno  dei  presupposti  che
 giustificano interventi normativi dello Stato in tale materia.
    Per  di  piu'  essa  appare  in contrasto frontale con l'esplicita
 esclusione  della  potesta'  regolamentare  di  "attuazione"   e   di
 "integrazione" della legge e dei decreti legislativi recanti norme di
 principio "relativi a materie riservate alla  competenza  regionale",
 disposta  dall'art.  17,  primo comma, lett. b), seconda parte, della
 legge n. 400/1988; e altresi' in  contrasto  con  il  disposto  dello
 stesso  art.  17  della  legge  n.  400/1988,  la'  dove  prevede che
 regolamenti adottati con decreto ministeriale possano riguardare solo
 "materie  di  competenza  del Ministro o di autorita' sottordinate al
 Ministro, quando  la  legge  espressamente  conferisca  tale  potere"
 (terzo  comma, parte prima), che essi debbano recare la denominazione
 di "regolamenti" ed essere adottati previo parere  del  Consiglio  di
 Stato, sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti
 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale (quarto comma).
    La  elusione  su  tali precetti e' evidente, e ridonda altresi' in
 violazione delle competenze delle regioni e delle province  autonome.
    La  singolare impostazione della legge, per cui nella materia, che
 e' di competenza regionale, si prevede non  gia'  l'esplicarsi  della
 potesta'  legislativa delle regioni e delle province autonome, bensi'
 l'esplicazione di una potesta' normativa statale  di  attuazione,  e'
 confermata  e  aggravata  dalla  disposizione contenuta nell'art. 24,
 primo comma, seconda parte, secondo cui "sino alla data di emanazione
 delle  norme  di indirizzo e coordinamento, di cui all'art. 11, primo
 comma, continuano a trovare applicazione, in quanto  compatibili  con
 la  presente legge, le disposizioni recate dal decreto del Presidente
 della Repubblica 24 agosto 1971, n. 1256".
    Si  tratta,  come  e' noto, del regolamento per l'esecuzione della
 legge 14 luglio 1967, n. 592, concernente la raccolta,  conservazione
 e  distribuzione  del  sangue  umano.  Ma,  appunto,  si tratta di un
 regolamento anteriore al trasferimento delle funzioni alle regioni in
 materia  di sanita' (d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4) e alla istituzione
 del Servizio sanitario nazionale con la  definizione  compiuta  delle
 competenze delle regioni e delle province autonome.
    Le  norme  di  tale  regolamento  si  applicavano  percio' solo in
 mancanza di norme regionali o  provinciali  sopravvenute,  secondo  i
 principi   generali  (e  percio'  nel  caso  della  ricorrente  erano
 sostituite, nelle  parti  corrispondenti,  dalle  norme  delle  leggi
 regionali emanate in materia, e prima ricordate).
    Ora,  invece,  l'art.  24  della  legge  n.  107/1990  pretende di
 ribadire  l'applicabilita'  in  tutto  il  territorio  nazionale  del
 vecchio     regolamento    statale    fino    all'emanazione    delle
 (illegittimamente) previste nuove norme di indirizzo e coordinamento.
    Ma  con  cio'  da  un  lato  si  viene indirettamente a confermare
 l'attribuzione a tali norme di indirizzo  e  coordinamento,  previste
 dall'art.  11,  primo  comma,  del  carattere  di norme regolamentari
 attuative  della  legge,  in  quanto  tali  lesive  delle  competenze
 regionali, e in contrasto con l'art. 17, primo comma, lett. b), della
 legge n. 400/1988;  dall'altro  lato  si  viola  una  volta  di  piu'
 direttamente  la  competenza delle regioni e delle province autonome,
 in particolare di quelle che hanno dettato in materia  una  normativa
 autonoma sostitutiva di quella recata dal vecchio regolamento statale
 (cfr. per la regione ricorrente le citate leggi regionali n.  65/1985
 e n. 61/1990).
    Lo  stesso  art. 11 della legge, al quarto comma, stabilisce che -
 entro i soliti sei mesi dall'entrata in vigore della legge stessa "il
 Ministro della sanita', sulla base delle carenze segnalate dai centri
 regionali di coordinamento e compensazione dell'Istituto superiore di
 sanita',  predispone,  sentita  la commissione di cui all'art. 12, un
 progetto mirato ad incrementare la donazione di sangue  periodica  ed
 occasionale  nei  comuni  delle  regioni  nelle  quali  non sia stata
 raggiunta l'autosufficienza del sangue donato rispetto alle esigenze,
 anche  mediante il coinvolgimento degli stessi comuni in attivita' di
 promozione e di supporto rispetto all'associazionismo".
    Ai sensi del successivo quinto comma "il progetto di cui al quarto
 comma prevede le iniziative  piu'  opportune  tese  a  sensibilizzare
 l'opinione  pubblica,  ed  in  particolare i potenziali donatori, sui
 valori umani e solidaristici che si  esprimono  nella  donazione  del
 sangue  e  a  promuovere  l'associazionismo  dei donatori al fine del
 raggiungimento dell'autosufficienza".
    Ora,  che  si possano prevedere progetti miranti a incrementare la
 donazione di sangue nelle aree del paese ove questo sia insufficiente
 al fabbisogno, e' senz'altro ragionevole. Ma non si comprende perche'
 tale progetto debba far capo non gia' - come  sarebbe  ovvio  -  alle
 regioni e alle province autonome in cui tale situazione si verifichi,
 magari  con  appositi  supporti  finanziari,  ma  al  Ministro  della
 sanita':  trattandosi  di progetti da attuare nell'ambito di ciascuna
 regione  ("nei  comuni  delle  regioni  nelle  quali  non  sia  stata
 raggiunta     l'autosufficienza")     al    fine    di    promuoverne
 l'autosufficienza.
    L'intervento  ministeriale  qui non si giustifica a seguito di una
 ipotizzata inerzia regionale: il semplice dato di fatto della carenza
 di  donazioni in una regione giustificherebbe questa sorta di anomalo
 intervento sostitutivo dello Stato.
    Il  progetto,  si  badi, dovra' prevedere "il coinvolgimento degli
 stessi comuni in attivita'  di  promozione  e  di  supporto  rispetto
 all'associazionismo":  il  che conferma che si tratta di attivita' di
 carattere nettamente infraregionale o locale.
    Tale   previsione   rende   peraltro   ancora   piu'  inspiegabile
 l'esclusione  della  regione  da  un'attivita'  che  sarebbe  di  sua
 competenza, che riguarda esigenze proprie, e specifiche differenziate
 del suo territorio, ed e' destinata  a  coinvolgere  i  comuni  della
 medesima regione.
    Se  si ha riguardo, del resto, al contenuto del progetto, quale e'
 delineato dal quinto comma, e' evidente come si tratti  di  attivita'
 di    informazione,    sensibilizzazione,   propaganda,   promozione,
 tipicamente connesse al contesto locale  e  regionale,  e  che  nulla
 hanno a che fare con la cura di interessi unitari non frazionabili.