IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza letta in udienza sulla questione di legittimita' costituzionale sollevata di ufficio, si osserva; Nel progetto preliminare delle norme di coordinamento e transitorie del nuovo codice, venne formulato l'art. 24, che constava di un solo comma, del tutto analogo al primo comma dell'attuale art. 233 del d.lgs. 271/1989. La norma rimase invariata (salvo divenire art. 23) nel progetto definitivo, con l'osservazione che non si era ritenuto "di accogliere il parere della commissione parlamentare, secondo cui andrebbero mantenuti in vita il giudizio direttissimo in materia di armi e di reati a mezzo stampa. Le ragioni addotte a fondamento della disposizione nel testo del progetto preliminare sembrano invero conservare la loro validita' anche in relazione alle ipotesi segnalate per l'esclusione". In particolare, la nota illustrativa all'originario art. 24 spiegava che si era voluto riservare al p.m. "il potere di adottare la forma del rito giudicata piu' opportuna"; potere che, nell'assetto processuale precedente, era stato "sempre piu' compresso dalla tendenza, gia' manifestatasi nell'immediato dopoguerra e massicciamente incrementata dalla legislazione dell'emergenza, ad introdurre ipotesi di giudizio direttissimo obbligatorio, talora svincolate dalla non specialita' delle indagini". Si osservava inoltre che dalla prevista abrogazione non sarebbero discese conseguenze di rilievo, in quanto "da un lato, se ne ricorrono i presupposti, sara' sempre possibile adottare il rito speciale; dall'altro, le caratteristiche del nuovo processo sono gia' di per se' idonee a garantire le esigenze tutelate dalle leggi speciali con la previsione del rito direttissimo obbligatorio". Il collegio ritiene che la diversita' di trattamento dei reati commessi col mezzo della stampa rispetto agli altri, sia priva di razionale giustificazione e costituisca un mero residuo della concezione del rito direttissimo propria del vecchio sistema processuale, nel quale il legislatore, soprattutto del periodo dell'emergenza, non era motivato da finalita' garantistico-accusatorie, ma dal desiderio di stimolare una repressione "fulminea e spettacolarmente esemplare". In particolare, la norma di cui all'art. 21 legge n. 47/1948 intendeva invitare ad una discutibile "cautela" gli utenti della nuova liberta' prevista dalla Costituzione, la liberta' di stampa. Sotto questi profili, quindi, l'art. 233 cpv del d.lgs. n. 271/1989 appare in contrasto coi principi di uguaglianza e di liberta' di stampa (art. 3 e 21 della Costituzione). Vi sono poi altre considerazioni. La fase processuale anteriore al dibattimento assume, sia nel vecchio che nel nuovo sistema, una funzione di tutela dei diritti dell'indagato e dell'efficienza dell'amministrazione giudiziaria, come sanciti dagli artt. 24 e 97 della Costituzione, in quanto consente di accertare i casi piu' evidenti di innocenza dell'indagato, evitando allo stesso la sofferenza del giudizio, alla societa' il suo costo, economico e di credibilita'. Nel vecchio rito, tuttavia, tale funzione veniva sminuita dal regime processuale degli atti raccolti nell'istruzione, i quali, pienamente utilizzabili al dibattimento mediante il meccanismo delle letture, finivano col precostituire gli elementi per la decisione. Nel nuovo rito, invece, tale ultimo aspetto della indagine viene a cadere, si' che la stessa assume esclusivamente una funzione di filtro delle notitiae criminis infondate, azzardate e comunque non abbastanza consistenti (cfr. art. 125 del d.lgs. n. 271/1989). Conseguentemente, a fronte dell'art. 368 del vecchio c.p.p., che sanciva un generico obbligo di verificare le dichiarazioni dell'imputato, l'art. 358 del nuovo c.p.p. ha previsto l'obbligo del p.m. di svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore dell'indagato. Tale disposizione, criticata da coloro che sostengono una concezione del processo penale rimesso al solo gioco delle parti, non vuole certo attribuire al p.m. compiti diretti di difesa, ma soltanto l'obbligo di verificare con particolare cura la sussistenza dei presupposti positivi (e l'assenza di quelli negativi) per l'esercizio dell'azione penale, nella prospettiva degli artt. 24 e 97 della Costituzione. Orbene, nel caso di reati commessi per mezzo della stampa, la prova della colpevolezza postula l'infondatezza dell'exceptio veritatis (la falsita', gratuita o comunque inutile sconvenienza dell'affermazione offensiva), che puo' essere verificata solo attraverso le opportune indagini del p.m. Del rispetto dell'obbligo predetto e' normalmente garante e controllore, nel nuovo sistema processuale, il giudice, il quale, nell'udienza preliminare, ha anche il potere di indicare alle parti "temi nuovi o incompleti" (art. 422, primo comma, del c.p.p.). A tale principio si fa eccezione laddove la prova sia evidenze e sia rispettato il termine di cui all'art. 454 del c.p.p., nel caso di giudizio immediato, ma sempre con l'autorizzazione del g.i.p.; oppure, senza autorizzazione del g.i.p. e col rispetto di termini revissimi, in ipotesi particolarmente qualificate di prova evidente (arresto in flagranza, confessione), per il caso di giudizio direttissimo. Invece, per il giudizio direttissimo in materia di stampa, nessun controllo e' possibile sul rispetto dell'art. 358 del c.p.p. da parte del p.m., con violazione, per quanto si e' detto, degli artt. 24 e 97 della Costituzione. Ne' puo' sottacersi un ultimo, e forse decisivo, rilievo di illegittimita'. Il punto 43) dell'art. 2 legge-delega sanciva il potere del p.m. di citare l'imputato per il giudizio direttissimo, nei casi poi trasfusi nell'art. 449 del codice. Correlativamente, la citata nota illustrativa all'art. 24 del progetto preliminare norme transitorie enunciava l'intento di riservare al p.m. "il potere di adottare la forma del rito giudicata piu' opportuna". Tale potere, nel caso previsto dall'art. 233 cpv. del d.lgs. n. 271/1989, e' diventato un dovere, in chiara violazione della legge-delega (e quindi dell'art. 76 della Costituzione), che del resto ancorava lo stesso potere a ben precisi presupposti (quelli di cui all'odierno art. 449 del c.p.p.), completamente trascurati dalla norma censurata. E' evidente la rilevanza, nel presente giudizio, delle questioni proposte, non essendo stati rispettati i termini ex art. 449, quinto comma, del c.p.p.