IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
    A scioglimento della riserva nel proc. pen. n. 577/90 r. gip;
    Pronunciando sull'eccezione di incostituzionalita' degli artt. 438
 e segg.  del  c.p.p.  in  relazione  agli  artt.  3,  25,  111  della
 Costituzione  proposta  dall'avv.  G.  Dal  Fiume difensore di Uldanh
 Massimiliano  nel  processo  penale  a  carico  di  quest'ultimo  (in
 concorso  con altri due), imputato, in istato di arresti domiciliari,
 del reato di cui agli artt. 110,  81  cpv.,  del  c.p.  72,  primo  e
 secondo comma, della legge n. 19 685/75;
    Sentito  il  pubblico  ministero  (dott.  F. Saluzzo) che aderisce
 all'eccezione;
                           PREMESSO IN FATTO
      che  nel  corso  di  udienza  preliminare  gli  imputati  Uldanh
 Massimiliano  e  La  Forgia   Roberto   tempestivamente   formulavano
 richiesta  di  definizione del processo con giudizio abbreviato, alla
 quale,  pero',  si  opponeva  il  p.m.,  sul  presupposto  che  fosse
 necessaria  l'audizione  degli  agenti  di p.g. che avevano proceduto
 all'arresto (in fragranza) degli imputati,  motivando  cosi'  il  suo
 dissenso  con  l'inidoneita'  dello  stato  degli  atti a sortire una
 definizione anticipata rispetto alle forme del rito ordinario;
      che  il g.u.p., preso atto della mancanza di consenso del p.m. e
 del carattere vincolante  dello  stesso,  rigettava  la  richiesta  e
 ordinava  procedersi con le forme ordinarie, rimettendo le parti alle
 conclusioni ai sensi dell'art. 421, terzo comma, del c.p.p.;
      che  il difensore dell'imputato Uldanh Massimiliano eccepiva che
 l'ordinanza reiettiva era stata emessa sulla base di norme (artt. 438
 del  c.p.p.)  costituzionalmente  illegittime,  per  violazioni degli
 artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, laddove principalmente  non  e'
 dato al giudice di sindacare il dissenso del p.m. e perche' si rende,
 cosi', possibile una  disparita'  di  trattamento  sanzionatorio,  da
 annettersi  alla  opinabilita'  delle  valutazioni  del  p.m. ed alla
 mancata applicazione  della  diminuzione  di  un  terzo  della  pena,
 disparita' che, invece, recentemente sono state eliminate dalla Corte
 costituzionale, con la sentenza n. 66/1990 (e con declaratoria  della
 illegittimita'   dell'art.   247  delle  disp.  trans.  del  c.p.p.),
 nell'omologa disciplina transitoria per il caso di diniego  del  p.m.
 al consenso;
                          RITENUTO IN DIRITTO
      che  l'eccezione  e'  rilevante,  perche' implica una censura di
 legittimita' dell'attivita' processuale in corso, dato che, se questa
 avesse  le diverse forme del giudizio abbreviato piuttosto che quelle
 ordinarie, avrebbe connotati e conseguenze  diverse  sotto  l'aspetto
 sostanziale,  prima ancora che sotto quello formale, per la possibile
 applicabilita' della diminuzione di pena di cui all'art. 442, secondo
 comma,  del  c.p.p., talche' non e' indifferente al presente giudizio
 l'applicazione delle norme, della cui legittimita' costituzionale  si
 discute;
      che  la  fragranza  del  reato,  da  cui e' caratterizzata nella
 specie la posizione degli imputati, nonche' la chiamata in  correita'
 dell'Uldanh  da  parte  del  La  Forgia  (vds.  verbale di udienza di
 convalida  di  arresto),  costituiscono  elementi   validi   per   la
 valutazione  positiva  della  "rilevanza" della questione, dovendo ad
 essi rapportarsi la delibazione  sulla  definibilita'  della  vicenda
 allo stato degli atti;
      che l'eccezione non e' manifestamente infondata sotto molteplici
 profili, anzitutto in relazione al principio di uguaglianza (art.  3,
 primo  comma, della Costituzione), perche' sembra che vi contrasti il
 fatto che situazioni  del  tutto  coincidenti,  sotto  l'aspetto  del
 diritto  sostanziale  (identica  imputazione,  identita' gravita' del
 reato, identica capacita' a delinquere) nonche' sotto  l'aspetto  del
 comportamento processuale (identica richiesta di giudizio abbreviato)
 potrebbero sortire, alla  stregua  dell'attuale  disciplina  ex  art.
 438/59   del   c.p.p.,   una   palese   differenza   di   trattamento
 sanzionatorio, legata alla possibilita',  o  meno,  di  ottenere  una
 riduzione di un terzo della pena in concreto, a seconda che vi sia, o
 no, l'adesione facoltativa del p.m. all'adozione del rito abbreviato;
      che  sembra, altresi', profilabile il contrasto col principio di
 legalita' della pena (art. 25,  secondo  comma  della  Costituzione),
 atteso  che,  secondo  il  dettato  costituzionale, la quantita' e la
 qualita' della pena, da irrogare, devono  essere  prestabilite  dalla
 legge  e  non  possono essere condizionate alla condotta di una parte
 processuale con determinazione non motivata, od erroneamente motivata
 e  per  di  piu'  non sindacabile da parte del giudice, mentre invece
 secondo la disciplina di cui all'art. 438 e segg. del c.p.p., viene a
 riconoscersi  al  p.m.  una  facolta'  discrezionale  che  vincola il
 giudice  nella  determinazione  della  pena  e  pone  il  singolo  in
 condizioni  di  non  sapere  quale  pena puo' essere comminata per un
 reato, facolta' che, stante la assenza di  parametri  predeterminati,
 potrebbe  essere  dettata  da  mere  ragioni di opportunita' quali il
 notevole numero dei processi di un ufficio giudiziario;
      che un'ulteriore problema di legittimita' costituzionale si pone
 in  rapporto  all'art.  25,  primo  comma,  della  Costituzione,   al
 principio  cioe'  del  giudice  naturale,  nella  considerazione che,
 qualora all'imputato  si  attribuisca  un  reato  di  competenza  del
 tribunale  o  della  corte  d'assise, il diniego di consenso alla sua
 richiesta di giudizio abbreviato lo sottrarra' al giudice monocratico
 dell'udienza  preliminare,  sottoponendolo  al giudizio di un giudice
 collegiale diversamente competente;
      che  se e' vero come si osserva in dottrina - che il legislatore
 puo'  predeterminare  spostamenti  di  competenza,  senza  porsi   in
 contrasto  con  la  Costituzione,  conseguenti  a fatti accertati nel
 corso del processo (cfr. Nobili Comm.  Cost.) e  che  una  situazione
 simile  potrebbe  essere  ravvisata  nel caso del rito abbreviato, e'
 anche vero, come ha avuto modo di asserire  la  Corte  costituzionale
 (cfr.  sentenza  n.  82/1971) che il potere di spostare la competenza
 deve essere condizionato a fattispecie preventivamente descrite dalla
 legge   con  delimitazioni  sufficienti  ad  escludere  un'illimitata
 discrezionalita',  nel  senso,  che  solo  l'esistenza  di  parametri
 obiettivi  fa  si'  che  la scelta del giudice venga effettivamente e
 direttamente a dipendere in via generale da una norma giuridica e non
 da  scelta  operata  in concreto da qualsivoglia soggetto diverso dal
 legislatore (cfr. Lozzi relaz. sul nuovo c.p.p. convegno C.S.M.  Roma
 23-25 giugno 1989);
      che si pongono ancora dubbi di legittimita' costituzionale per i
 seguenti altri rilievi, che ora si rilevano di ufficio;
        a)  in  relazione all'art. 101/2 Cost., perche' il diniego del
 consenso del P.M. incide non solo  sull'individuazione  del  rito  ma
 anche   sulla   determinazione   della  pena  e  si  traduce  in  uno
 sconfinamento del P.M.  in  un'attivita'  decisoria,  che  e'  invece
 riservata esclusivamente agli organi giurisdizionali;
        b)  in  relazione  all'art.  24,  comma primo e secondo, della
 Costituzione sul presupposto  che  la  insindacabilita'  e  l'effetto
 vincolante  della  decisione  del  p.m. finiscono col precludere ogni
 sorta di difesa dell'imputato;
        c)  in  relazione all'art. 111, primo comma della Costituzione
 posto che la motivazione dell'ordinanza di rigetto del  g.u.p.  (  ex
 art.  440  del  c.p.p.) consiste in una presa d'atto del dissenso del
 p.m. (motivato o immotivato che sia) e pare cosi' in contrasto con la
 necessita' di motivare tutti i provvedimenti giurisdizionali;
      che  in  ordine  ai  profili come sopra enunciati sono del reato
 illuminanti   le   intervenute   decisioni   della    stessa    Corte
 costituzionale:
       1) laddove detta Corte nel verificare la compatibilita', con la
 Costituzione, dell'art. 71 della  legge  24  novembre  1981,  n.  689
 (patteggiamento  per  l'applicazione  di sanzioni sostitutive), aveva
 avuto modo di affermare che il  parere  del  p.m.  potesse  risultare
 vincolante nella scelta di rito, ma non per la decisione sul merito e
 aveva  introdotto  la  possibilita'  per  il  giudice  di  applicare,
 comunque,  il  beneficio  della  sanzione sostitutiva anche contro le
 conclusioni dell'accusa (sentenza Costituzionale 30 aprile  1984,  n.
 120);
       2)  laddove peraltro la stessa Corte, a proposito dell'art. 389
 vecchio c.p.p.,  con  due  successivi  interventi  (68/117  e  71/40)
 incideva  sulla  discrezionalita'  del  p.m. circa la scelta del rito
 (sommario o  formale),  consentendo  all'imputato  la  sindacabilita'
 limitatamente  alle ragioni dell'adottato rito sommario e propiziando
 quella modifica legislativa, che poi s'introduceva con la novella  di
 cui alla legge 7 novembre 1969, n. 780;
       3) laddove, infine, recentemente ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 247 delle  disp.  trans.  del  c.p.p.  nella
 parte  in  cui  questa  norma  non  prevede  che  il p.m., in caso di
 dissenso, debba enunciarne le  ragioni  e  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il giudice possa applicare all'imputato la riduzione di
 pena ex art. 442 del c.p.p., quando, a dibattimento concluso, ritiene
 ingiustificato il dissenzo del p.m. (sentenza Cost. n. 66/1990);
      che, conclusivamente, si presenta rilevante e non manifestamente
 infondata la questione di legittimita'  costituzionale,  degli  artt.
 438,  439,  440, 442 del c.p.p., per contrasto con gli artt. 3, primo
 comma, 25, primo e secondo comma, 101, secondo  comma  e  111,  primo
 comma,  della  Costituzione  nella parte in cui non si prevede che il
 p.m. sia tenuto a motivare il diniego di  consenso  alla  definizione
 del processo col rito abbreviato e nella parte in cui non si consente
 al giudice il potere di sindacato al dissenso del p.m.