IL GIUDICE CONCILIATORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al ruolo n. 362/1989, posta in deliberazione all'udienza del 24 febbraio 1990 tra il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato, nei cui uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12 domicilia, opponente, contro Pignoloni Giovanni, elettivamente domiciliato in Roma, viale delle Milizie n. 9, presso lo studio degli avvocati Roberto Canestrelli e Carlo Rienzi che lo rappresentano e difendono giusta delega a margine del ricorso ingiuntivo, opposto, avente per oggetto: opposizione al decreto ingiuntivo n. 1292 emesso dal giudice conciliatore di Roma, primo mandamento il 21 febbraio 1989. F A T T O Con atto di citazione notificato il 30 marzo 1989, il Ministero delle poste e delle telecomunicazioni proponeva opposizione contro il decreto ingiuntivo in oggetto, emesso nei suoi confronti ed a favore del sig. Pignoloni Giovanni per l'importo di L. 3.000, oltre alle spese, a titolo di rimborso del corrispettivo, versato mediante affrancatura, per il servizio "espresso" non reso dall'Amministrazione p.t. stante l'abnorme ritardo nei tempi di recapito della lettera imbucata dal sig. Pignoloni a Portici (Napoli) e recapitata a Roma dopo ben sette giorni. Il Ministero p.t. chiedeva la revoca del provvedimento monitorio opposto eccependo: 1) la non risarcibilita' del diritto di "espresso" stante la natura di tassa del medesimo, non collegata funzionalmente al servizio reso; 2) la non proponibilita' dell'azione giudiziaria non essendo stato esperito il preventivo reclamo in via amministrativa, ex art. 20 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156; 3) la infondatezza della domanda non essendo previsto alcun termine minimo per il recapito di una lettera "espresso", nonche' la mancanza di certezza ed esigibilita' del credito vantato. All'udienza del 4 novembre 1989 si costituiva il sig. Pignoloni Giovanni, contestando tutto quanto ex adverso dedotto. Nella successiva udienza del 24 febbraio 1990, presente il solo procuratore di parte opposta, il quale concludeva chiedendo il rigetto dell'opposizione con vittoria, di spese, previa discussione orale, la causa passava in decisione. D I R I T T O Il primo gravame sollevato dall'amministrazione convenuta non e' meritevole di pregio in quanto le c.d. tasse postali non configurano tributi in senso proprio, ma integrano prestazioni correlate al servizio postale, rientranti nella categoria dei prezzi pubblici (Cass. sez. prima sentenza n. 6380 del 28 ottobre 1983); come tale dovra' essere rigettato. Per quanto attiene invece alla seconda doglianza, questo magistrato e' dell'avviso che la pronuncia sulla stessa vada preceduta dalla soluzione di una questione di legittimita' costituzionale. L'art. 20 del citato d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, dispone che l'azione giudiziaria contro l'amministrazione per i servizi postali, di bancoposta e delle telecomunicazioni, non puo' essere proposta se prima non sia stato presentato reclamo in via amministrativa e non siano trascorsi sei mesi ove entro tale termine l'amministrazione stessa non abbia provveduto. La norma, avente sostanzialmente lo scopo di attribuire all'Amministrazione p.t. il c.d. spatium deliberandi, prima di essere convenuta in giudizio, sembrerebbe, pero', porsi in contrasto con gli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, che sanciscono l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il diritto di agire in giudizio per far valere i propri diritti e la tutela giudiziale, ordinaria o amministrativa, dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione, senza esclusioni o limitazioni di sorta; e tanto piu' ora che la Corte costituzionale, con sentenza del 10 marzo 1988, n. 303, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 6, 28, 48 e 93 del d.P.R. n. 156/1973, nella parte in cui disponevano la limitazione di responsabilita' dell'Amministrazione p.t., relativa al risarcimento dei danni cagionati all'utente per disservizi vari. A seguito di tale autorevole pronuncia, l'Amministrazione delle poste ha perso i privilegi risalenti alle origini del servizio postale moderno, quando le prerogative, precedentemente accordate dal sovrano ai mastri postali, si sono consolidate in un privilegio per la p.a., comprendente anche l'immunita' da responsabilita' per danni verso l'utenza. Nell'ordinamento attuale, quindi, dove il servizio postale non puo' essere piu' considerato un bene patrimoniale dell'erario e si configura, invece, come un'impresa gestita dallo Stato nell'ambito dell'attivita' economica nazionale, e dove va trovando sempre piu' consensi la proposta, formulata dallo stesso Ministro delle p.t., di affidare alcuni servizi postali alla gestione dei privati, non sembra in alcun modo giustificabile l'esistenza di una norma che limiti l'azione giudiziaria diretta nei confronti dell'Amministrazione p.t., ponendo i cittadini in posizione di netta inferiorita' nei confronti della p.a., anziche' sui piani paritetici, come sancito dal sopra richiamato dettato costituzionale. Poiche' la problematica in discorso appare rilevante nel presente processo ai fini della pronuncia sul merito, questo magistrato ritiene di sollevare d'ufficio la relativa questione di legittimita' costituzionale.