ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 12 della legge
 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12  febbraio
 1955, n. 77, come modificato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973,
 n. 349, dal titolo:  Modificazioni  alle  norme  sui  protesti  delle
 cambiali  e  degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il
 26 aprile 1989 dal Pretore di Latina nel procedimento civile vertente
 tra  Provenzano  Giancarlo  e  la  Camera  di  Commercio,  Industria,
 Artigianato e Agricoltura di Latina, iscritta al n. 152 del  registro
 ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 23 maggio 1990 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Pretore di Latina, dopo aver emesso un provvedimento di
 urgenza con il quale ordinava alla Camera  di  Commercio,  Industria,
 Artigianato  e  Agricoltura  di Latina di sospendere la pubblicazione
 sul  bollettino  dei  protesti  di  un  assegno  bancario  emesso  da
 Giancarlo  Provenzano, all'esito del giudizio di merito ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3 e 24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973,
 n. 349 (rectius: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, nel
 testo  modificato  dall'art.  12 della legge 12 giugno 1973, n. 349),
 nella parte in cui non prevede per il traente di un assegno  bancario
 la  possibilita' di adire il Presidente del Tribunale per ottenere la
 cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti.
    Il   giudice   a  quo  ravvisa  una  irragionevole  disparita'  di
 trattamento tra il traente di una cambiale o di un vaglia  cambiario,
 il  quale,  ove  adempia  l'obbligazione  cambiaria nei cinque giorni
 successivi al protesto, puo' esperire il procedimento previsto  dalla
 disposizione  impugnata,  ottenendo in tale modo la sospensione della
 pubblicazione o la cancellazione del proprio nome nel bollettino  dei
 protesti,  ed  il  traente  di  un  assegno  bancario  al  quale tale
 possibilita' non e' concessa. Questa diversita' di disciplina sarebbe
 irragionevole per il giudice a quo anche in relazione al fatto che in
 entrambi i casi il protesto assolverebbe alla  medesima  funzione  di
 sanzione  civile  per  il  mancato  pagamento,  mentre la conseguente
 pubblicazione  nell'apposito  bollettino  avrebbe  il  carattere   di
 sanzione accessoria.
    Da tale differente disciplina risulterebbe altresi' violato l'art.
 24 della Costituzione, dal momento che non e' consentito  al  traente
 di  un  assegno bancario protestato di agire in giudizio a difesa dei
 propri diritti ed interessi legittimi.
    2.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, chiedendo, in primo luogo, che la questione sia  dichiarata
 inammissibile,  dal momento che non risulterebbero indicati i termini
 concreti della fattispecie oggetto del giudizio a  quo  in  relazione
 alla  fattispecie  assunta  a  tertium comparationis. La disposizione
 impugnata,  infatti,  prevede  la   possibilita'   di   chiedere   la
 cancellazione  del  nome  dal  bollettino  dei protesti sia quando il
 pagamento della cambiale o del vaglia cambiario venga effettuato  nei
 cinque  giorni  successivi  al  protesto,  sia  quando  l'istituto di
 credito o il pubblico ufficiale incaricato della levata del  protesto
 si   avvedono   che   la   stessa   e'  avvenuta  illegittimamente  o
 erroneamente. Secondo l'Avvocatura dello  Stato,  il  giudice  a  quo
 avrebbe  dovuto specificare quale delle due ipotesi si sia verificata
 nel caso dedotto in giudizio.
    In  ogni  caso,  sempre  ad  avviso  dell'Avvocatura, la questione
 sarebbe infondata, in quanto le situazioni comparate  dal  giudice  a
 quo  sarebbero  disomogenee. Infatti, mentre la cambiale assolverebbe
 alla funzione di strumento di credito,  l'assegno  bancario,  invece,
 sarebbe  essenzialmente  un  mezzo  di  pagamento,  la  cui emissione
 sarebbe basata sul presupposto che presso il trattario  esistano,  al
 momento  della  emissione stessa, fondi equivalenti a quelli indicati
 nel titolo. Inoltre, mentre il mancato pagamento di una cambiale o di
 un  vaglia  cambiario  non  determinerebbe  altra  conseguenza che la
 levata  del  protesto  ed  eventualmente  la  successiva  esecuzione,
 l'emissione  di  un  assegno  senza copertura, invece, darebbe luogo,
 oltreche'  alla  responsabilita'  cambiaria,   alla   responsabilita'
 penale.  In  altre  parole,  conclude  l'Avvocatura  dello  Stato, la
 posizione del debitore cambiario e quella del traente di  un  assegno
 senza  copertura  non sono in alcun modo assimilabili ed anzi la loro
 assimilazione ai fini  della  facolta'  prevista  dalla  disposizione
 impugnata  si  tradurrebbe  in  un  ingiustificato  ed  inconcepibile
 beneficio per il secondo.
    Quanto  alla  pretesa  violazione dell'art. 24 della Costituzione,
 l'Avvocatura osserva che in assenza di una norma che  attribuisce  ad
 un   soggetto   una   posizione  di  diritto  sostanziale,  manca  il
 presupposto stesso perche' possa porsi un problema  di  diritto  alla
 tutela giurisdizionale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  a quo dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349 (rectius: dell'art. 3
 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, come emendato dall'art. 12 della
 legge 12 giugno 1973, n. 349), nella parte in  cui  non  consente  al
 traente  di un assegno bancario protestato di adire il Presidente del
 Tribunale  per  ottenere  la  cancellazione  del  proprio  nome   dal
 bollettino  dei  protesti. A suo avviso, tale omissione costituirebbe
 una  violazione  del  principio  di   eguaglianza   (art.   3   della
 Costituzione),     in     quanto     stabilirebbe    un'irragionevole
 differenziazione  rispetto  al  debitore  cambiario,  al   quale   e'
 consentita  l'anzidetta  cancellazione  qualora paghi, nel termine di
 cinque giorni dal protesto,  l'importo  della  relativa  obbligazione
 cambiaria.  Inoltre, sempre ad avviso del giudice a quo, la ricordata
 omissione  determinerebbe   una   violazione   dell'art.   24   della
 Costituzione,   dal   momento  che  ne  risulterebbe  compromessa  la
 possibilita' di agire in giudizio per la difesa dei propri diritti.
    2.  -  Va  previamente  respinta  l'eccezione  di inammissibilita'
 presentata  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  per  la   quale
 l'ordinanza  di  rimessione non chiarirebbe a sufficienza quale delle
 due ipotesi di cancellazione del nome del debitore dal bollettino dei
 protesti  previste nelle disposizioni impugnate costituisca l'oggetto
 del giudizio sottoposto alla cognizione di questa Corte. In  realta',
 poiche'  dall'ordinanza  di rimessione si evince con chiarezza che il
 giudizio a quo e' stato instaurato dal traente di un assegno bancario
 protestato  e  poiche'  le  argomentazioni  svolte  dal giudice a quo
 concernono essenzialmente l'asserita disparita'  di  trattamento  tra
 debitore  cambiario  e traente di un assegno bancario deve ritenersi,
 senza dubbio alcuno, che la questione sollevata riguardi l'ipotesi di
 cancellazione  esperibile dal debitore che abbia adempiuto la propria
 obbligazione entro il termine di cinque giorni dal  protesto,  e  non
 gia'  quella  relativa  alla  cancellazione  esperibile  dai pubblici
 ufficiali o dalle aziende di credito qualora  si  avvedano  che  alla
 levata del protesto si sia proceduto illegittimamente o erroneamente.
    3.  - La questione non e' fondata, poiche', diversamente da quanto
 opina il giudice a quo, la posizione del debitore  cambiario  non  e'
 comparabile  con quella del traente di un assegno bancario in ragione
 della diversita' della funzione tipica  dei  due  titoli  di  credito
 considerati  e della differenza del regime giuridico che ne consegue.
    Come   e'  pure  sottolineato  nell'ordinanza  di  rimessione,  la
 funzione tipica dell'assegno e' quella di essere mezzo di  pagamento.
 A  questa  specifica funzione sono correlate le disposizioni di legge
 le quali esigono che presso la banca trattaria debbano esistere fondi
 in  misura  quanto meno pari a quella recata dall'assegno emesso, non
 solo nel momento del pagamento, ma anche in quello dell'emissione (v.
 art.  1, n. 5, e art. 116, n. 3, del R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736).
 Al contrario, funzione tipica della  cambiale,  come  del  resto  del
 vaglia  cambiario,  e' quella di essere strumento di credito, sicche'
 appartiene alla  sua  natura  giuridica  di  fungere  come  un  mezzo
 attraverso   il  quale  il  traente  si  procura  una  disponibilita'
 immediata a fronte dell'impegno di adempiere la relativa obbligazione
 in un momento successivo.
    Questa  netta  differenza  insita  nella  funzione  tipica dei due
 titoli di credito,  evidenziata  anche  dal  diverso  significato  da
 assegnare  all'indicazione  della  data nell'uno e nell'altro titolo,
 induce a concludere che l'ipotizzata  estensione  al  traente  di  un
 assegno della disciplina prevista per il debitore cambiario in ordine
 alla cancellazione del proprio nome dal bollettino dei  protesti  nel
 caso di pagamento del proprio debito entro cinque giorni dal protesto
 non potrebbe trovare nell'art. 3 della Costituzione una congrua  base
 di   giustificazione.   Non   e',   infatti,   irragionevole  che  il
 legislatore, nella sua discrezionale valutazione,  abbia  predisposto
 una disciplina differenziata per le due distinte ipotesi e non abbia,
 quindi, esteso al traente di un assegno bancario la  possibilita'  di
 richiedere  la  predetta  cancellazione,  ritenendo necessario che in
 quest'ultimo caso i fondi necessari per il pagamento  debbano  essere
 disponibili  presso  il  trattario  sin  dal  momento  dell'emissione
 dell'assegno.
    Ne'   questa   conclusione  puo'  essere  invalidata  dal  rilievo
 formulato dal giudice a quo, in base  al  quale  l'omogeneita'  delle
 ipotesi  considerate  deriverebbe dal fatto che nell'uno e nell'altro
 caso l'inadempimento del debito e' sanzionato civilmente dalla levata
 del   protesto.   Questo  rilievo,  infatti,  oltre  a  non  superare
 l'ostacolo relativo alla sostanziale diversita' di  funzione  fra  la
 cambiale e l'assegno bancario, non tiene conto del fatto che anche il
 regime sanzionatorio dell'una e dell'altro, ove sia considerato nella
 sua   globalita',   rivela   differenze  profonde  che  concorrono  a
 confermare la conclusione raggiunta. Mentre,  nel  caso  dell'assegno
 bancario,   la   mancanza  di  disponibilita'  di  fondi  al  momento
 dell'emissione  costituisce  un  illecito  penale,  al  contrario  il
 mancato  adempimento delle obbligazioni assunte con la cambiale o con
 il  vaglia   cambiario   non   e'   sanzionato   penalmente.   Questa
 significativa differenza relativa al regime sanzionatorio conferma la
 non irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore  circa  la
 non  estensione  al  traente di un assegno bancario della facolta' di
 chiedere  la  cancellazione  del  proprio  nome  dal  bollettino  dei
 protesti riconosciuta al debitore cambiario.
    La  conclusione  raggiunta  toglie  qualsiasi  base  alla  pretesa
 lesione dell'art. 24 della  Costituzione,  non  potendosi  a  ragione
 prospettare una tale violazione in difetto di una norma che riconosca
 una situazione di diritto sostanziale (v., ad esempio, sentt.  nn.  8
 del 1962, 286 del 1974, 71 e 98 del 1979, 164 e 186 del 1982, 185 del
 1986, nonche', di recente, ordd. nn. 563 del 1987, 205  del  1988,  e
 141 del 1990).