Ricorso della regione Veneto, in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, autorizzato con deliberazione della giunta reg. n. 3359 del 5 giugno 1990, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giorgio Berti ed elettivamente domiciliato presso il dipartimento per la rappresentanza regionale in Roma, piazza Borghese, 91, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, per l'annullamento della circolare del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 23/1990 del 2 aprile 1990, pervenuta alla regione Veneto il 23 aprile 1990, avente ad oggetto "Vigilanza sulle attivita' formative. Istruzioni sulle verifiche e controlli del Ministero del lavoro effettuate attraverso gli ispettorati del lavoro". L'impugnata circolare del Ministero del lavoro ridisciplina (o pretende di disciplinare), come si ricava dalla sua stessa intitolazione, la vigilanza sull'attivita' di formazione, sul presupposto che tale attivita' abbia una connotazione pressoche' esclusivamente statale. Cio' che colpisce innanzitutto e che merita di essere posto in rilievo e' la stessa struttura della circolare, che sembra richiamare un vero e proprio piano generale sulla formazione professionale: intanto si esordisce con la indicazione di uno scopo di carattere generale, quale l'organizzazione di un'efficace sorveglianza dell'attivita' di formazione svolta da operatori pubblici e privati al fine di "accertare la regolare utilizzazione delle sovvenzioni concesse"; quindi, si cerca di individuare, per cosi' dire, la base normativa di tale complesso di interventi ("premessa") della circolare), proponendo una ricostruzione, come si vedra', inaccettabile degli elementi normativi essenziali della materia quali storicamente consolidatisi: si afferma invero che, a seguito della recente revisione comunitaria della disciplina dei fondi a vocazione strutturale, emergerebbe "una connotazione sempre piu' marcata per il privilegiamento di azioni rivolte alla promozione dell'occupazione"; che inoltre "un ulteriore elemento distintivo rispetto al passato e' costituito dalla maggiore valenza che acquista la caratteristica del cofinanziamento delle azioni da svolgersi e la strumentalita' degli obiettivi perseguiti rispetto alle politiche di sviluppo e di crescita, nonche' alla programmazione economica nazionale". Questa prevalenza della politica dell'occupazione sulla politica della formazione troverebbe conferma, sempre secondo il Ministero, anche in una sentenza della Corte costituzionale 3 giugno 1987, n. 216. Alla ricerca affannosa di costruire o meglio inventare una qualche (apparente) base legittimante per la propria iniziativa, il Ministero ritiene anche di proporre, non si sa su quale fondamento giuridco-normativo, una distinzione tra la sfera di intervento regionale "normalmente sostanziata dagli accertamenti tecnico-contabili" e una "attivita' di sorveglianza in senso lato" che spetterebbe invece allo Stato e che, se ben si intende, comprenderebbe "la prevenzione in vista delle sanzioni per eventuali irregolarita', nonche' la verifica periodica della pertinenza e congruita' delle azioni cofinanziate dallo Stato e dalla "Comunita'". Di qui, secondo il Ministero, discenderebbe l'esigenza di "provvedersi alla determinazione di nuovi criteri e direttive per l'esercizio delle attivita' di vigilanza e di controllo da svolgersi da parte di questo Ministero e, per esso, dall'ispettorato del lavoro, avvalendosi per questo scopo della facolta' di cui all'art. 4, lett. g), della legge 22 luglio 1961, n. 628". Infine, la parte preliminare dell'atto impugnato si chiude con un ultimo fuorviante riferimento alla disciplina C.E.E. contenuta nei due regolamenti nn. 4253 (art. 23 e 25) e 2052 del 1988, quasi che l'esistenza, sul piano dell'organizzazione sovranazionale, di obblighi a carico dello Stato potesse giustificare la invenzione, oltretutto con atto amministrativo, di competenze statali nuove in sfere di competenza regionale, quale e' la formazione professionale. Ma la parte piu' "significativa" della circolare, nel senso della riduzione o della compressione delle attribuzioni regionali, e' certo costituita dalla parte dispositiva dell'atto, laddove il Ministero si fa a ridisegnare compiutamente lo schema delle competenze nel settore della formazione professionale, procedendo ad una vera e propria redistribuzione delle competenze stesse, a tutto vantaggio, ovviamente, dello Stato. Basti dire che, dopo una formale ma innocua affermazione secondo cui nulla sarebbe cambiato nell'assetto dei poteri statali e regionali quale stabilito nella legge n. 845/1978, l'atto impugnato procede ad una verifica delle competenze statali e regionali, apparentemente solo ricognitiva, ma in realta' "creativa" di una nuova grande sfera di compiti statali rispetto ad una piccola e ormai inutile (nella configurazione ministeriale) sfera regionale. Si pensi che le ipotesi di competenza concorrente (tra Stato e regione) vengono individuate non su base normativa, ma unicamente attraverso il profilo del finanziamento: solo ove vi sia un intervento cofinanziato da Stato e regione sarebbe configurabile una competenza regionale. A parte l'evidente ed inaccettabile rovesciamento della logica normativa (la competenza seguirebbe anziche' precedere, come necessario, la componente finanziaria), le maggiori perplessita' sono suscitate dalla configurazione complessiva della sfera regionale che si ricava dalla impugnata circolare, specie se posta a confronto con l'ampiezza della sfera considerata esclusiva dello Stato (v. i due allegati alla circolare). D I R I T T O 1. - Violazione delle attribuzioni regionali attraverso la violazione e falsa applicazione delle norme di cui alla legge 21 dicembre 1978, n. 845, in particolare in quelle contenute negli artt. 3, 4, 5, 8, 18 e 24; delle norme dettate con gli artt. 35 e segg. del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616; delle norme sulla funzione di indirizzo e coordinamento, in particolare contenute nell'art. 3 della legge 22 luglio 1975, n. 382; delle disposizioni relative all'applicazione da parte delle regioni della normativa comunitaria. Eccesso di potere sotto vari profili. Vari sono i punti di vista da cui deve essere esaminata l'impugnata circolare ministeriale per metterne in luce le molteplici illegittimita', sfocianti nella violazione della sfera regionale. Vi e' tuttavia una considerazione di carattere generale che e' da premettere a tutto il resto, in quanto attiene alla stessa utilizzazione dello strumento amministrativo (appunto la circolare) per finalita' che certamente avrebbero richiesto l'intervento del legislatore da un lato, e, dall'altro, del massimo organo governativo dello Stato: questo perche' l'oggetto dell'atto ministeriale corrispondente in realta' ad una pretesa ridefinizione di una materia regionale (compito sicuramente spettante al legislatore), quale l'istruzione professionale, nonche' alla individuazione di poteri pubblicistici statali in connessione con pretese esigenze di carattere unitario (al che si sarebbe dovuto provvedere attraverso l'esercizio, nelle forme di legge, della funzione di indirizzo e coordinamento). Su queste basi si configura pertanto, per l'impugnata circolare, il vizio di eccesso di potere al massimo della gravita' e, quindi, della lesivita' dell'interesse e della competenza regionale. Del resto lo stesso Ministero si dimostra consapevole dei limiti della legittimita' del proprio tentativo di operare una riforma (giacche' e' questo, nella sostanza, l'obiettivo perseguito) in una materia regionale attraverso l'impiego di un atto per sua natura interno, esplicante i propri effetti (ammesso che si possa parlare di vari e propri effetti giuridici per una circolare) solo nell'ambito dell'organizzazione amministrativa statale. E' questa la ragione per la quale, come si e' illustrato nelle premesse di fatto, una parte cospicua della circolare e' dedicata alla ricerca ed esposizione di pretese basi di legittimazione dell'intervento ministeriale: ma non uno di tali elementi, come si vedra', e' ovviamente idoneo allo scopo; anzi, tali indicazioni nel loro complesso rendono assai evidente il "vuoto" di legittimazione che caratterizza l'atto statale impugnato. Non deve ingannare, innanzitutto, il fatto che la circolare dichiari di riguardare o di limitarsi al solo profilo della sorveglianza: in realta', la definizione della funzione di controllo presuppone e si connette ad una ridefinizione dell'intera materia della formazione ed e' formulata in modo da ricomprendere l'intera gamma delle attivita' di formazione, attuate da operatori pubblici e privati (pag. 2). Ne' deve fuorviare la limitazione del controllo al solo momento finanziario, limitazione che e' solo apparente, dato che in esso viene ricompresa (pag. 3) la verifica della "pertinena e congruita' delle azioni", la quale certo richiederebbe una valutazione sul merito e sull'opportunita' delle azioni di formazione. In sintesi, emerge con chiarezza la volonta', da parte dell'autorita' statale, di riappropriarsi, attraverso il controllo, del complesso delle funzioni amministrative nel settore. Tra gli elementi principali che, secondo il Ministero, giustificherebbero il proprio intervento, rendendo necessaria una riconsiderazione delle modalita' di svolgimento della vigilanza, vi sarebbe una trasformazione della formazione professionale, che opererebbe sia nel senso di privilegiare le azioni rivolte alla promozione dell'occupazione, sia nel senso di accrescere la strumentalita' di dette azioni rispetto alle politiche di sviluppo e alla programmazione economica nazionale. Evoluzione cui contribuirebbero anche recenti modificazioni della normativa comunitaria sui fondi strutturali (reg. nn. 2052 e 4253 del 1988). Posta a confronto con il sistema normativo della formazione professionale, una tale ricostruzione si dimostra immediatamente ingannevole: anche un superficiale conoscitore di tale sistema sa infatti che e' nell'essenza o nella natura della formazione professionale, quale configurata sin dall'inizio nel nostro ordinamento (v. ad es. le leggi 29 aprile 1949, n. 264 e 19 gennaio 1955, n. 25), la connessione con la disciplina del lavoro e dell'occupazione. Anzi, e' proprio sul presupposto di tale connessione che il legislatore statale, dopo il completamento dell'ordinamento regionale anche sul piano delle funzioni amministrative, ha dettato, con la legge n. 845/1978, una disciplina rispettosa della sfera di autonomia regionale: detta legge e' invero, non solo di nome, una lege-quadro che delinea con molta ampiezza il campo dell'intervento regionale, affidando alla regione compiti non solo esecutivi, ma anche di programmazione, di gestione e controllo finanziario, di attuazione di compiti comunitari (v. specialmente gli artt. 3, 4, 5, 7, 8, 15, 20 e 24 e, per converso, l'art. 18 sulle competenze dello Stato). La promozione dell'occupazione ha dunque sempre avuto un posto di preminenza tra la azioni delle attivita' di formazione, il che non ha impedito l'attribuzione alle regioni di un complesso organico di competenze: attribuzione che appunto, nel disegno della legge n. 845/1978, precede la regolamentazione dei profili finanziari e la condiziona, secondo un corretto criterio di logica normativa. Ora, la circolare impugnata pretende di stravolgere tale disegno, a tutto vantaggio della riappropriazione della materia da parte dello Stato, lasciando cosi' solo apparentemente immutato il quadro normativo, che assegna, come detto, un ruolo tutt'altro che secondario alla regione. Una considerazione della distribuzione delle competenze tra Stato e regione rispettosa del sistema normativo sulla formazione quale effetivamente in vigore, conduce anche a vanificare la portata per cosi' dire "statalistica" del riferimento all'ordinamento comunitario. Da un lato, i tratti di fondo della disciplina C.E.E. sono rimasti immutati, a partire dal Trattato istitutivo della Comunita' e dalla disciplina in esso contenuta della "politica sociale" della Comunita', e in particolare del Fondo sociale europeo (artt. 123 e segg.): perseguimento di obiettivi di sviluppo e collegamento con la programmazione economica, degli Stati membri e della Comunita' nel suo complesso, contrassegnano, per vero, sia l'impostazione originaria del Fondo strutturale, sia i successivi sviluppi normativi, quali in particoalre si ricavano dai recenti regolamenti nn. 2052 e 4253 del Consiglio delle comunita'. Di piu': l'ordinamento comunitario, come e' noto, non interferisce in alcuna misura nell'ordinamentointerno dei poteri dei singoli Stati: cio' che rileva, per la Comunita', e' solo l'assolvimento degli obblighi comunitari, possibilmente secondo modalita' e tempi che si concilino con il perseguimento degli obiettivi previsti dal Trattato come specificati dai successivi atti che ne hanno sviluppato o attuato le norme. In questa prospettiva, dunque, il solo riferimento che rileva e' quello all'ordinamento statale, da intendersi come tramite normativo necessario tra ente territoriale minore e Comunita'. E allora bisogna sottolineare la recente valorizzazione "interna" della regione nella attuazione delle politiche comunitarie (legge 16 aprile 1987, n. 183, artt. 9, 10 e 11; legge 9 marzo 1989, n. 86, artt. 9 e 10), proprio sul presupposto di una maggiore idoneita' della amministrazione locale, rispetto alla amministrazione dello Stato, alla attuazione delle politiche comunitarie. Anche da questo punto di vista e' dunque facile dimostrare l'infondatezza delle argomentazioni con cui il Ministero cerca di puntellare la propria iniziativa. La distinzione concettuale tra politica per l'occupazione e politica per la formazione e' dunque sempre stata presente nel nostro ordinamento; dopo l'istituzione delle regioni, essa non e' venuta meno, ma e' stata adattata alla nuova distribuzione di poteri tra Stato e autonomie territoriali: il ruolo delle regioni nella formazione professionale non puo' quindi oggi essere compresso, e quasi annullato, col pretesto di un emergere improvviso e inaspettato delle esigenze legate all'occupazione. A questo riguardo, codesta eccellentissima Corte con la sentenza 8 giugno 1987, n. 216, si e' gia' espressa per una riaffermazione o conferma delle funzioni regionali nella materia della formazione professionale, anche nelle ipotesi di azioni di portata nazionale o pluriregionale finanziate con contributi di un Fondo europeo. In questo quadro, si comprende come la regione non possa restare inerte di fronte alla iniziativa statale concretizzatasi nella circolare impugnata.