ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  della  Regione  Emilia-Romagna
 notificato il 16 febbraio  1990,  depositato  in  Cancelleria  il  21
 successivo  ed  iscritto  al  n.  6  del  registro  ricorsi 1990, per
 conflitto di attribuzione sorto a seguito della  deliberazione  della
 Commissione   di   Controllo   sull'Amministrazione   della   Regione
 Emilia-Romagna del 15 dicembre 1989, prot. 9105 rg. 6901;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore
 Enzo Cheli;
    Uditi  gli  avvocati  Valerio  Onida  ed  Alberto  Predieri per la
 Regione Emilia-Romagna e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ricorso in data 8 febbraio 1990 la Regione Emilia-Romagna
 ha sollevato conflitto di attribuzioni  avverso  la  decisione  della
 Commissione   di   controllo   sull'amministrazione   della   Regione
 Emilia-Romagna 15  dicembre  1989,  prot.  9105  reg.  6901,  che  ha
 annullato  le  deliberazioni  del  Consiglio regionale n. 2620 del 29
 giugno 1989 e n. 2897 del 30 novembre 1989,  recanti  l'adozione  del
 Piano paesistico regionale.
    La  Regione  chiede  che questa Corte dichiari che non spetta allo
 Stato, e per esso alla Commissione di controllo  sull'amministrazione
 della  Regione  Emilia-Romagna, annullare le delibere di adozione del
 Piano paesistico regionale per i motivi enunciati  nel  provvedimento
 impugnato   e,   pertanto,   annulli   la  suddetta  decisione  della
 Commissione  in  quanto  lesiva  delle  competenze   regionali,   per
 violazione degli artt. 117, 118 e 125 Cost.
   Nel  ricorso  si espone che con deliberazione n. 2620 del 29 giugno
 1989 il Consiglio regionale, su proposta della Giunta,  stabiliva  di
 adottare  il  Piano paesistico regionale di cui all'art. 1- bis della
 legge 8 agosto 1985, n. 431, che ha convertito in  legge  il  decreto
 legge  27  giugno  1985  n.  312, recante disposizioni urgenti per la
 tutela delle zone di particolare interesse ambientale.
    La  Commissione  di  controllo, dopo una richiesta di chiarimenti,
 annullava  la  suddetta  deliberazione  regionale,  unitamente   alla
 deliberazione  di  controdeduzioni  n.  2897  del  30  novembre 1989,
 deducendo due ordini di censure. In primo luogo veniva contestato che
 il Piano paesistico adottato fosse stato esteso all'intero territorio
 regionale anziche' alle sole zone di cui all'art. 1- bis della  legge
 n.  431  del  1985:  cosi'  operando  la  Regione  avrebbe violato il
 principio di legalita' dell'azione amministrativa, per  il  fatto  di
 avere  ampliato, mediante un piano urbanistico-territoriale, i beni e
 le aree individuate dalla legge n. 431,  senza  aver  preventivamente
 individuato  i  beni  stessi  mediante  specifici elenchi adottati ai
 sensi dell'art. 5 della legge 29 giugno  1939  n.  1497.  In  secondo
 luogo veniva censurato che il Piano in questione, pur disponendo solo
 dell'efficacia di un atto  regolamentare,  in  talune  sue  norme  (a
 titolo di esempio si richiamavano gli artt. 6, secondo e terzo comma,
 13, secondo comma, 23, quarto e quinto comma, 26,  primo  comma,  37,
 quinto comma) sarebbe venuto a innovare e mutare precetti posti dalla
 legislazione nazionale e regionale.
    La  Regione deduce che la competenza da essa esercitata con l'atto
 annullato non  rientra  nell'ambito  delle  funzioni  di  tutela  del
 paesaggio, delegate ai sensi dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977,
 ma e', invece, espressione delle attribuzioni in materia  urbanistica
 gia'  trasferite alla Regione con l'art. 1 del d.P.R. n. 8 del 1972 e
 disciplinate  dalla  legge  regionale  7  dicembre  1978,  n.  47   e
 successive   modificazioni.  Tali  attribuzioni  concernono  l'intero
 territorio regionale e  ricomprendono  anche  la  tutela  dei  valori
 paesistici,  come  risulta  in  particolare  dal  trasferimento delle
 funzioni in tema di  piani  paesistici,  di  cui  all'art.  1,  comma
 quarto,  del  d.P.R.  n. 8 del 1972 ed all'art. 80 del d.P.R.  n. 616
 del 1977.
    Il  provvedimento  impugnato incorrerebbe, quindi, ad avviso della
 ricorrente, in un fondamentale equivoco:  di  trattare  cioe'  l'atto
 soggetto a controllo come se esso fosse interamente ed esclusivamente
 soggetto alla normativa propria dei piani paesistici in senso stretto
 (quelli  di  cui all'art. 5 della legge n. 1497 del 1939) e non fosse
 invece espressione della piu' ampia potesta' regionale in materia  di
 pianificazione territoriale.
    La Regione ricorda che la legge n. 431 del 1985 ha previsto per le
 Regioni, ai fini della tutela delle  zone  di  particolare  interesse
 ambientale,  la  possibilita'  di  scegliere tra "piani paesistici" e
 "piani  urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei
 vincoli  paesistici  ed  ambientali":  questa  scelta attribuita alla
 Regione e' un punto qualificante della legge n.  431  del  1985,  che
 venne  introdotto  espressamente  in  sede di conversione del decreto
 legge n. 312 del 1985, dove  si  faceva  riferimento  ai  soli  piani
 paesistici  di cui alla legge 1497 del 1939. Ma i "piani urbanistico-
 territoriali con particolare considerazione dei valori  paesistici  e
 ambientali"  non costituiscono uno strumento nuovo, la cui formazione
 da parte della Regione sia stata prevista per la  prima  volta  dalla
 legge  431  del  1985.  Essi sono uno strumento gia' rientrante nelle
 competenze regionali urbanistiche, vincolato  nel  fine  dalla  legge
 statale in ordine alla necessaria tutela dei valori paesistici.
    Con  le deliberazioni annullate dalla Commissione di controllo, la
 Regione - si afferma - ha adottato un  Piano  paesistico  come  piano
 urbanistico territoriale ai sensi dell'art. 1- bis della legge n. 431
 del 1985 e del titolo II della legge regionale n.  47  del  1985.  La
 ricorrente  richiama  a  questo  riguardo la sentenza di questa Corte
 costituzionale n. 153 del 1986, che ha riconosciuto che  i  piani  di
 cui  all'art.  1-  bis  della  legge  n.  431 del 1985 sono strumenti
 urbanistici in funzione di tutela paesistica; nonche' la sentenza  n.
 151  del 1986 nella quale questa stessa Corte ha affermato che l'art.
 1-bis regola l'esercizio qualificato e teleologicamente orientato  in
 senso   estetico-culturale   di   competenze  regionali  in  tema  di
 urbanistica.
    La  ricorrente  sottolinea,  inoltre,  che  una  copiosa  dottrina
 giuridica    e'    concorde    nel    ritenere    che    il     piano
 territoriale-urbanistico  e'  espressione  di  competenze  in materia
 urbanistica.  Esso  configura,  quindi,  un  intervento  a  carattere
 generale,  che  puo'  investire  l'intero  territorio  e  che  attua,
 mediante  peculiari  precetti,  il  valore  primario  di  tutela  del
 paesaggio.  A  fronte  di  tale  piano generale, ed in alternativa ad
 esso, sta il piano paesistico, quale  intervento  speciale,  limitato
 alle sole aree vincolate.
    L'erronea  valutazione  di  questi  due diversi strumenti compiuta
 dalla Commissione di controllo  si  rifletterebbe,  ad  avviso  della
 Regione,  anche  nelle  censure specifiche mosse dalla Commissione, a
 titolo esemplificativo, nei confronti di norme di dettaglio del Piano
 regionale.
    In   particolare,  si  ricorda  che  la  Commissione  ha  ritenuto
 illegittimo l'art. 13, secondo comma, del Piano paesistico,  relativo
 ai  piani zonali di sviluppo agricolo, in quanto tali piani hanno una
 compiuta disciplina legislativa nella legge regionale n. 34 del 1983,
 che non potrebbe essere modificata con atto amministrativo: invece, -
 ad  avviso  della  Regione  -  il  piano  paesistico   e'   strumento
 pregiudiziale   rispetto   ai   piani   zonali,   con   funzione   di
 pianificazione  sopraordinata,  volta  ad   indirizzare   i   singoli
 strumenti  territoriali  per  il  perseguimento coordinato del valore
 primario paesistico.
    Inoltre la Commissione ha ritenuto che il provvedimento annullato,
 nello stabilire prescrizioni e vincoli che prevalgono su quelli degli
 strumenti urbanistici, abbia leso le competenze delle amministrazioni
 comunali nonche' gli interessi  e  le  aspettative  dei  privati:  in
 realta'  -  osserva la Regione - i piani urbanistico-territoriali con
 considerazione dei valori paesistici si sovrappongono  legittimamente
 agli  strumenti  urbanistici,  sia  perche'  sono  piani territoriali
 riconducibili al modello dell'art. 5 della legge urbanistica  statale
 sia perche' sono piani attraverso cui si realizzano valori primari.
    Infine  la  Commissione  ha  affermato che il Piano paesistico non
 puo' dettare norme per le aree archeologiche,  perche'  la  legge  n.
 1089  del  1939  attribuisce  allo  Stato,  e  non  alle  Regioni, la
 competenza in materia archeologica: al contrario - obietta la Regione
 -  l'art.  1 della legge 431 del 1985 individua le zone archeologiche
 come   aree   da   disciplinare   con   i    piani    paesistici    o
 urbanistico-territoriali.
    2.  -  Si  e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere  che
 il ricorso sia dichiarato inammissibile o respinto.
    Nell'atto  di  costituzione  si espone che la Regione considera il
 provvedimento della Commissione di controllo invasivo  della  propria
 competenza  in  quanto  affetto  da  un  vizio  nei motivi enunciati.
 Siffatta prospettazione sarebbe peraltro da ritenersi  inammissibile,
 in   quanto   sposterebbe   dal  giudice  amministrativo  alla  Corte
 costituzionale tutte le controversie sulla  legittimita'  degli  atti
 statali di controllo.
    Nel  merito,  l'Avvocatura  rileva  che  piano  paesistico e piano
 urbanistico-territoriale restano tra di loro strumenti  distinti  per
 contenuto,  finalita'  ed effetti giuridici. In particolare, il piano
 paesistico  concerne  solo   la   salvaguardia   di   taluni   valori
 culturali-ambientali,  con  funzione  di  conservazione e protezione,
 mentre  il  piano  urbanistico-territoriale  persegue  obiettivi   di
 generale coordinamento di interessi e valori tra loro inevitabilmente
 divergenti,   con   funzioni   plurime   "di   salvaguardia   e    di
 trasformazione" (art. 80 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616).
    La competenza regionale per la redazione ed approvazione dei piani
 paesistici  costituirebbe  pertanto  -  secondo  l'Avvocatura  -  una
 anomala  deroga  alla  separatezza delle due diverse discipline ed un
 "ritaglio" di attribuzione "trasferita" in un ambito solo "delegato".
 Cio'  puo'  indurre  le  Regioni  a  preferire lo strumento del piano
 territoriale rispetto a quello del piano paesistico o  a  configurare
 figure  intermedie di piano territoriale "stralcio" o "monotematico".
 Questa   possibile   commistione   di   competenze   paesistiche   ed
 urbanistiche  all'interno  di  uno  stesso  documento, emanato da uno
 stesso   soggetto,   puo'   ingenerare   ambiguita'   e   difficolta'
 interpretative.  Resta  comunque  fermo  che,  per la imposizione dei
 vincoli  paesistici  deve  essere  rispettata  la  riserva  di  legge
 statale,  stabilita  dalle  leggi n. 1497 del 1939 e n. 431 del 1985.
 Ne' puo' reputarsi - afferma ancora l'Avvocatura - che la  "specifica
 considerazione  dei valori paesistici ed ambientali", di cui all'art.
 1- bis della legge n. 431 qualifichi il piano  urbanistico-paesistico
 come  un  tertium  genus  dotato  di maggiore forza rispetto ad altri
 strumenti urbanistici, o che, comunque,  il  piano  paesistico  debba
 ritenersi  praticamente  "assorbito"  dal piano territoriale e quindi
 implicitamente superato.
    Il  Piano  approvato  dalla  Regione  Emilia-Romagna, ed annullato
 dalla Commissione di controllo rappresenterebbe, invece, una sorta di
 "mix" tra un piano paesistico ed un piano territoriale stralcio (c.d.
 monotematico), al quale la Regione intenderebbe pero' attribuire  gli
 effetti tipici del piano paesistico.
    La Commissione ha, pertanto, giustamente - conclude l'Avvocatura -
 annullato  tale  atto,  in  quanto  un  piano   paesistico   potrebbe
 riguardare  soltanto le categorie di beni previste dalla legge n. 431
 del 1985, nonche' i beni e le localita' vincolati specificamente  con
 atto  amministrativo  ai  sensi della legge n. 1497 del 1939; mentre,
 d'altro  canto,  non  potrebbe  essere  consentito  alla  Regione  di
 realizzare  un  livello  di pianificazione territoriale produttivo di
 prescrizioni sovrastante il livello di pianificazione locale e lesivo
 delle potesta' urbanistiche dei Comuni.
    3.  -  In  prossimita'  dell'udienza, la Regione Emilia-Romagna ha
 depositato   memoria,   dove   si   replica   alla    eccezione    di
 inammissibilita'  sollevata  dall'Avvocatura dello Stato e si insiste
 sui motivi posti a base del conflitto.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Forma  oggetto  del  conflitto  in  esame la decisione della
 Commissione   di   controllo   sull'amministrazione   della   Regione
 Emilia-Romagna del 15 dicembre 1989 (prot. 9105, reg. 6901), mediante
 la  quale  sono  state  annullate  le  deliberazioni  del   Consiglio
 regionale  dell'Emilia-Romagna  n.  2620 del 29 giugno 1989 e n. 2897
 del  30  novembre  1989,  recanti  l'adozione  del  Piano  paesistico
 regionale  di  cui  all'art.  1- bis della legge 8 agosto 1985 n. 431
 (c.d. "legge Galasso").
   Tale annullamento e' stato disposto nei confronti dell'intero Piano
 regionale con  riferimento  a  due  profili  principali,  concernenti
 rispettivamente:  a)  il  fatto  che tale Piano avrebbe indebitamente
 esteso la propria efficacia a tutto il territorio regionale, anziche'
 limitarsi  soltanto  ai  beni  ed alle aree elencate nel quinto comma
 dell'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977 (come modificato dall'art.  1
 della  legge n. 431 del 1985) ovvero alle aree gia' sottoposte ad uno
 specifico vincolo paesistico, secondo  la  procedura  prevista  dalla
 legge  n.  1497  del  1939;  b)  il fatto che lo stesso Piano avrebbe
 introdotto, con norme di natura regolamentare, vincoli nei  confronti
 delle  amministrazioni  locali  e  dei  privati  non  previsti  e non
 consentiti dalla legislazione statale e regionale.
    Ad avviso della ricorrente l'atto di controllo cosi' come motivato
 risulterebbe invasivo della  competenza  spettante  alla  Regione  ai
 sensi degli artt. 117 e 118 Cost., in relazione all'art. 1- bis della
 legge 431 del 1985, venendo altresi' a violare i limiti del potere di
 controllo  sugli  atti  regionali consentito allo Stato dall'art. 125
 Cost.: dal che la richiesta diretta ad ottenere la  dichiarazione  di
 non  spettanza  allo  Stato  del  potere  di annullare le delibere di
 adozione del Piano paesistico regionale "per i motivi  enunciati  nel
 provvedimento  impugnato", con la conseguente domanda di annullamento
 della decisione della Commissione di controllo.
    2.  -  Va in primo luogo esaminata l'eccezione di inammissibilita'
 del  ricorso  prospettata  dalla  Presidenza  del   Consiglio.   Tale
 eccezione  viene  fondata  sul  fatto  che  la Regione ricorrente non
 contesta il potere di controllo dello Stato, ma i "motivi  enunciati"
 nell'atto  di  controllo:  con  tale  prospettazione, ad avviso della
 resistente, si  verrebbe  peraltro  a  spostare  dalla  giurisdizione
 amministrativa  (gia'  adita  della Regione parallelamente al ricorso
 per   conflitto)   alla   giurisdizione   costituzionale   tutte   le
 controversie   relative  alla  legittimita'  degli  atti  statali  di
 controllo, con una indebita sovrapposizione tra le due giurisdizioni.
    In   proposito   va   soltanto   ricordato   che  una  consolidata
 giurisprudenza di questa Corte ha da tempo affermato l'ammissibilita'
 dei  conflitti sollevati nei confronti degli atti emanati dall'organo
 di controllo sull'amministrazione regionale per il cattivo  esercizio
 della  funzione,  quando  la motivazione di tali atti risulti fondata
 sull'asserito difetto di competenza  della  Regione  ai  sensi  della
 normativa  costituzionale  sulla  competenza  (cfr.  sent. n. 178 del
 1973; n. 130 del 1976; nn. 740 e 1013 del 1988).
    In  questi  casi,  la  giurisdizione  in  tema di conflitti opera,
 com'e' noto, su di un piano diverso, per presupposti e finalita',  da
 quello  proprio  della  giurisdizione amministrativa, dal momento che
 nella prima, a differenza che nella seconda, viene in gioco  soltanto
 il  profilo del disconoscimento o della menomazione di una competenza
 costituzionale  dell'ente  controllato  conseguente   all'illegittimo
 esercizio  della  funzione  di  controllo, mentre il giudizio risulta
 orientato, prima che  in  direzione  dell'annullamento  dell'atto,  a
 definire  nei  loro  aspetti  relazionali  le  sfere  di attribuzioni
 rispettivamente  garantite   dalla   disciplina   costituzionale   al
 controllato ed al controllante.
    Con  riferimento  al  caso di specie risulta d'altro canto chiaro,
 sia dal contenuto del ricorso che dalle conclusioni formulate, che la
 Regione  lamenta  la  lesione  della sfera delle proprie attribuzioni
 costituzionali in materia urbanistica, dal momento  che  l'organo  di
 controllo, attraverso l'annullamento operato, ha contestato in radice
 il potere della stessa Regione ad adottare, ai sensi dell'art. 1- bis
 della  legge n. 431 del 1985, un piano territoriale paesistico esteso
 a  tutto  il  territorio  regionale,  caratterizzato  da  determinati
 contenuti e da una determinata efficacia.
    L'eccezione si presenta, pertanto, insussistente e va respinta.
    3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
    Ai   fini  della  soluzione  del  conflitto  occorre  innanzitutto
 precisare quale sia l'esatta natura del Piano adottato dalla  Regione
 Emilia-Romagna,  che  ha  formato oggetto dell'annullamento di cui e'
 causa: a tale natura viene, infatti, a collegarsi la  qualita'  e  la
 misura  del  potere che, attraverso gli atti annullati, la Regione ha
 inteso esercitare.
    L'art.  1-  bis  della  legge  n. 431 del 1985 impone alle Regioni
 l'obbligo  di  sottoporre  a  specifica  normativa  di   uso   e   di
 valorizzazione   ambientale  i  territori  di  particolare  interesse
 paesistico elencati nel quinto comma dell'art. 82 del d.P.R.  n.  616
 del  1977:  per  la  formulazione di tale normativa le stesse Regioni
 hanno la possibilita' di scegliere tra  due  strumenti,  che  vengono
 dalla   legge   indicati   nei   "piani   paesistici"  e  nei  "piani
 urbanistico-territoriali  con  specifica  considerazione  dei  valori
 paesistici   ed   ambientali".  Questi  strumenti  presentano  natura
 diversa, dal momento che i "piani paesistici" trovano la  loro  prima
 base  normativa  nella  disciplina  relativa  alla  protezione  delle
 bellezze naturali (art. 5 legge 29 giugno 1939  n.  1497  e  art.  23
 regio   decreto   3   giugno   1940   n.   1357),   mentre   i  piani
 urbanistico-territoriali,  variamente  regolati  nella   legislazione
 regionale,  si  vengono  a  inquadrare  nella  materia  urbanistica e
 trovano il loro nucleo iniziale di disciplina nei "piani territoriali
 di  coordinamento" previsti dall'art. 5 della legge 17 agosto 1942 n.
 1150. Ma al dila' di tale inquadramento resta comunque fermo  che  le
 competenze   amministrative   relative   sia  ai  piani  territoriali
 paesistici che ai piani territoriali di coordinamento  spettano  oggi
 alle  Regioni ordinarie come competenze proprie, in quanto trasferite
 dal d.P.R. 12 gennaio 1972, n. 8 (cfr. art. 1, quarto comma e secondo
 comma, lett. a).
   Ora,  con  le  delibere  nn.  2620  e  2897  del  1989  la  Regione
 Emilia-Romagna ha adottato un atto formalmente qualificato  ora  come
 "Piano  paesistico regionale" ora come "Piano territoriale paesistico
 regionale": potrebbe,  pertanto,  risultare  incerto  -  come  rileva
 l'Avvocatura  dello  Stato  -  se  la Regione, attraverso il richiamo
 all'art. 1- bis della legge n. 431, abbia inteso  adottare  un  piano
 paesistico ovvero un piano territoriale-urbanistico ovvero un atto di
 natura mista destinato a combinare le caratteristiche  di  ambedue  i
 piani.  Il  dubbio puo' essere, peraltro, superato attraverso l'esame
 delle norme della legislazione regionale che nella specie sono  state
 applicate  e  che  vengono  richiamate  sia  nelle  premesse  che nel
 contenuto del Piano.
    Questo  esame  consente di rilevare come il Piano in questione sia
 stato formato "secondo il combinato disposto dell'art.15 della  legge
 regionale  5  settembre  1988,  n.  36  e del punto 2 del primo comma
 dell'art. 4 della legge regionale 7 dicembre 1978, n. 47 "  (art.  1,
 primo  comma,  del  Piano).  L'art.  4, primo comma, n. 2 della legge
 regionale n. 47 del 1978 - collocato nel  titolo  II,  dedicato  alla
 "pianificazione  territoriale  regionale"  -  si  riferisce ai "piani
 territoriali stralcio relativi all'intero territorio  regionale  o  a
 parti di esso", mentre l'art. 15 della legge regionale n. 36 del 1988
 - in relazione all'abrogazione disposta da questa legge nei confronti
 del  ricordato  titolo II della legge n. 47 - fa salve le procedure e
 gli effetti del progetto di piano paesistico deliberato dalla  Giunta
 regionale  con  atto  n.  6522 del 29 dicembre 1986, da cui ha tratto
 origine il procedimento che ha condotto al piano in  esame.  Da  tale
 intreccio   normativo   si  puo',  di  conseguenza,  desumere,  senza
 possibilita' di  dubbio,  che  il  Piano  paesistico  adottato  dalla
 Regione  Emilia-Romagna  deve  essere  ricondotto  alla categoria dei
 "piani urbanistici  territoriali  con  specifica  considerazione  dei
 valori  paesistici  e ambientali" (di cui all'art. 1- bis della legge
 n. 431 del 1985) e specificamente inquadrato nei "piani  territoriali
 stralcio  relativi  all'intero territorio regionale" (di cui all'art.
 4, primo comma, n. 2 della legge regionale n. 47  del  1978):  piani,
 questi  ultimi,  altrimenti  qualificati  come  "tematici", in quanto
 destinati a disciplinare -  ove  risultino  estesi,  come  quello  in
 esame,  all'intero  territorio regionale - non il complessivo assetto
 urbanistico della Regione, ma determinati settori funzionali.
    La  natura  di  strumento  urbanistico  (ancorche' prevalentemente
 orientato verso la protezione di valori paesistici e ambientali)  del
 Piano  adottato  dalla  Regione  Emilia Romagna trova, d'altro canto,
 piena conferma anche nei  contenuti  dallo  stesso  espressi.  Questo
 Piano,  infatti, non ricalca la struttura del piano paesistico di cui
 all'art. 5 della legge n. 1497 del  1939,  dal  momento  che  non  si
 collega    alla   protezione   di   determinate   bellezze   naturali
 specificamente  individuate  in   elenchi   disposti   dall'autorita'
 amministrativa  ne'  e'  orientato  a disciplinare l'operativita' del
 vincolo paesistico di cui alla stessa legge n. 1497, determinando  un
 regime  di autorizzazione caso per caso: esso si propone, invece, con
 riferimento alle finalita' indicate nell'art. 1 ed ai sistemi di aree
 elencati   nell'art.   2  -  di  formulare  per  l'intero  territorio
 regionale, "indirizzi, direttive  e  prescrizioni"  (art.  4),  cioe'
 criteri di orientamento per la successiva attivita' di pianificazione
 ovvero vincoli per l'attivita' di utilizzazione e trasformazione  del
 suolo.
    In  ogni  caso,  il  Piano  viene ad operare con le tecniche e gli
 effetti  propri  degli  strumenti  di   pianificazione   urbanistica,
 ancorche'  teleologicamente  orientato  verso l'obbiettivo preminente
 della protezione di valori estetico-culturali (cfr. sent.  n.  151  e
 153 del 1986).
    4.  -  L'inquadramento del Piano paesistico adottato dalla Regione
 Emilia-Romagna  nell'ambito   degli   strumenti   di   pianificazione
 urbanistica   (e,   in   particolare,   nella  categoria  dei  "piani
 urbanistici territoriali" di cui all'art. 1- bis della legge  n.  431
 del 1985 e dei "piani territoriali stralcio" di cui all'art. 4, primo
 comma, n. 2  della  legge  regionale  n.  47  del  1978)  conduce  ad
 affermare  l'infondatezza della tesi fatta valere dall'organo statale
 di controllo in sede di annullamento, secondo cui il piano regionale,
 al  fine  di  non  violare  il  principio  di  legalita'  dell'azione
 amministrativa,  si  sarebbe  dovuto  in  ogni  caso  limitare   alla
 disciplina delle sole zone elencate nel quinto comma dell'art. 82 del
 d.P.R. n. 616 del 1977 o  delle  altre  specificamente  vincolate  ai
 sensi della legge n. 1497 del 1939.
    Tale  limitazione, se appare connaturata alla disciplina specifica
 del vincolo paesaggistico, espressa nella legge n. 1497  del  1939  e
 nella legge n. 431 del 1985, risulta, invece, estranea agli strumenti
 di  pianificazione  urbanistica,  la  cui  efficacia  e'  normalmente
 orientata   verso   l'assetto  dell'intero  territorio  di  spettanza
 dell'ente investito del potere di pianificazione (cfr.  per  i  piani
 regolatori  comunali  l'art.  7, primo comma, della legge n. 1150 del
 1942), mentre la stessa legislazione regionale che  nella  specie  e'
 stata  applicata  prevede  espressamente  per  il  tipo  di  piano in
 concreto  adottato  l'estensione  "all'intero  territorio  regionale"
 (art. 4, primo comma, n. 2 legge regionale n. 47 del 1978).
   Se  e'  vero,  pertanto,  che  l'art.  1-  bis  della  legge n. 431
 riferisce   il   piano   urbanistico   territoriale   con   specifica
 considerazione  dei  valori  paesistici  ed  ambientali - al pari del
 piano paesistico - "ai beni ed alle aree elencati  nel  quinto  comma
 dell'art.  82  del  d.P.R.  24 luglio 1977 n. 616", e' anche vero che
 tale riferimento non puo' essere correttamente inteso come limitativo
 delle   ordinarie  competenze  regionali  in  materia  urbanistica  o
 modificativo  della  naturale  forza  espansiva  degli  strumenti  di
 pianificazione  urbanistica  affidati  alla  Regione  ai  sensi della
 legislazione statale e regionale. In realta', la norma  in  esame  si
 limita   soltanto  a  porre  a  carico  della  Regione  l'obbligo  di
 procedere, entro il 31 dicembre 1986, alla redazione di uno strumento
 programmatico (piano paesistico o piano urbanistico territoriale), in
 grado di tutelare, attraverso una normativa d'uso e di valorizzazione
 ambientale,  determinate  aree specificamente elencate: ma questo non
 esclude che la stessa Regione, nell'esercizio  delle  sue  competenze
 urbanistiche, possa estendere l'efficacia dello strumento anche al di
 la' della sua sfera "necessaria", fino ad investire aree territoriali
 non  comprese  nella  disciplina  della  legge  n. 431, una volta che
 risultino rispettati i caratteri propri e naturali del tipo  di  atto
 in  concreto  impiegato. E in proposito va ricordato che questa Corte
 ha gia' avuto modo di sottolineare  come  la  protezione  preordinata
 dalla  legge  n. 431 del 1985 sia pur sempre "minimale" e non escluda
 ne' precluda "normative regionali  di  maggiore  o  pari  efficienza"
 (cfr. sent. n. 151 del 1985, par. 8).
    L'estensione  dell'efficacia  del  piano  puo',  infatti,  trovare
 adeguata giustificazione  nell'esigenza  di  far  salva  una  visione
 organica dell'intero territorio regionale e di provvedere alla tutela
 dei valori paesistici nel quadro di una valutazione  complessiva  dei
 valori sottesi alla disciplina dell'assetto urbanistico.
    5.  - Analoghi rilievi possono valere anche per quanto riguarda il
 secondo  ordine  di  censure  formulate  dall'organo  di   controllo,
 mediante  le quali, attraverso il richiamo all'asserita violazione di
 leggi statali e  regionali,  viene,  nella  sostanza,  contestata  la
 competenza   della  Regione  a  formulare,  nel  Piano,  indirizzi  e
 prescrizioni  suscettibili  di  vincolare  le  scelte  dei   soggetti
 pubblici  investiti  di competenze pianificatorie ovvero direttamente
 l'azione dei privati. Tale contestazione, nell'atto di  annullamento,
 risulta   fondata   sul   disconoscimento   della   natura  di  piano
 territoriale regionale proprio del  Piano  in  esame.  Ma  una  volta
 affermata  -  sulla  scorta  delle  osservazioni che precedono - tale
 natura, e inquadrato lo strumento in esame nella categoria dei "piani
 territoriali  stralcio"  di  cui  all'art. 4, primo comma, n. 2 della
 legge regionale n. 47 del  1978,  al  Piano  adottato  dalla  Regione
 Emilia-Romagna  non  potranno  non  essere  riconosciuti  gli effetti
 tipici previsti dalla  legislazione  regionale  per  questo  tipo  di
 piani.  Tali  effetti  (fatti  salvi, per quanto concerne il Piano in
 esame, dall'art. 15 della legge regionale n. 36 del  1988)  risultano
 regolati  dall'art.  6, quinto comma, della legge regionale n. 47 del
 1978, dove si statuisce che le previsioni e le prescrizioni contenute
 nei  piani territoriali stralcio, che comportano vincoli di carattere
 generale o particolare,  "sono  rese  immediatamente  impositive  nei
 confronti  di  chiunque e prevalgono sulle diverse destinazioni d'uso
 contenute negli strumenti urbanistici vigenti o adottati".
    Tale  formulazione  impone,  dunque, di riferire al Piano adottato
 dalla Regione Emilia-Romagna non solo gli effetti propri di un  piano
 di  direttive  -  destinato  a  orientare e condizionare l'azione dei
 soggetti pubblici investiti di competenze  urbanistiche  (secondo  lo
 schema  gia' adottato per i piani territoriali di coordinamento dagli
 artt. 5 e 6  della  legge  n.  1150  del  1942)  -  ma  anche  quelli
 connaturati  ad  un  piano di prescrizioni, immediatamente vincolante
 per i soggetti privati.
    E'  vero,  dunque - come afferma l'Avvocatura generale dello Stato
 -, che il Piano paesistico di cui e' causa, in quanto fonte di  rango
 regolamentare, non puo' considerarsi legittimato a esprimere norme in
 grado di innovare o mutare la disciplina posta da fonti primarie;  ma
 e'  anche  vero  che allo stesso Piano non potra' essere riconosciuta
 una efficacia (direttiva e prescrittiva) inferiore  o  piu'  limitata
 rispetto   a  quella  normalmente  conferita  ai  piani  territoriali
 regionali dalla legislazione statale e regionale.
    6.  -  Le  considerazioni  esposte  sono  sufficienti  al  fine di
 riconoscere  che  la  Commissione   di   controllo,   nel   procedere
 all'annullamento  dell'intero  Piano territoriale paesistico adottato
 dalla Regione Emilia-Romagna - sulla scorta di  motivi  connessi  sia
 alla   sua   estensione  territoriale  che  all'efficacia  delle  sue
 prescrizioni -  ha  indebitamente  leso  la  sfera  delle  competenze
 spettanti  alla  Regione  in materia urbanistica ai sensi degli artt.
 117 e 118 Cost. e dell'art. 1- bis della legge n. 431 del 1985.
    Resta, di conseguenza, assorbito l'esame dei profili formulati nel
 ricorso  con  riferimento  alle  censure   specificamente   enunciate
 dall'organo  di controllo, a titolo esemplificativo, nei confronti di
 particolari norme del Piano.