IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
                            RILEVA IN FATTO
    All'udienza  del  17  maggio  1990  Scarfo' Pasquale e Bruni Carlo
 venivano tratti a giudizio con rito  direttissimo  dinanzi  a  questo
 tribunale  per rispondere del reato loro in concorso ascritto al capo
 di imputazione.
    Preliminarmente  il  pubblico  ministero  manifestava  il  proprio
 dissenzio nei confronti della richiesta formulata  dallo  Scarfo'  di
 applicazione  della  pena  e della successiva istanza di entrambi gli
 imputati volta alla istaurazione di giudizio abbreviato.
    In  particolare  motivava  l'opposizione a questa ultima richiesta
 sotolineando i limiti  normativi  all'appellabilita'  delle  sentenze
 pronunciate all'esito di detto rito.
    Il  difensore  sollevava  questione di legittimita' costituzionale
 degli art. 452, secondo comma, e 438,  primo  comma,  del  c.p.p.  in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 101 della Costituzione.
                           OSSERVA IN DIRITTO
    L'art.  452,  secondo  comma del c.p.p. prevede che il giudice del
 dibattimento, sulla richiesta dell'imputato di  giudizio  abbreviato,
 disponga  la  prosecuzione  del  giudizio  osservando le disposizioni
 previste  per  l'udienza  preliminare.  Condizione   necessaria   per
 l'instaurazione del predetto rito e' la manifestazione di consenso da
 parte del p.m.
    Osserva in proposito il tribunale come nessuna possibilita' sia ad
 esso offerta di sindacare la fondatezza delle motivazioni addotte dal
 p.m.  a  sostegno  del  proprio  dissenso.  Tale disciplina appare in
 contrasto con le disposizioni  dettate  dagli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione,  secondo  le  considerazioni  gia'  svolte  dalla Corte
 costituzionale nella sentenza in data 8  febbraio  1990,  n.  66.  In
 primo  luogo,  infatti,  non  esiste  alcun  plausibile motivo per il
 trattamento differenziato di situazioni analoghe  quali  il  giudizio
 abbreviativo  e  l'applicazione  della pena su richiesta delle parti.
 Per l'istituto da  ultimo  richiamato  il  legislatore  del  1988  ha
 approntato  il  rimedio previsto all'art. 448, primo comma del c.p.p.
 che consente la valutazione da parte  del  giudice  del  dibattimento
 della  fondatezza  del  parere  espresso  dal  p.m. In secondo luogo,
 inoltre, la disposizione di cui all'art. 452, del secondo  comma  del
 c.p.p.,  vulnera  il  diritto  dell'imputato  a  vedere sottoposta al
 vaglio del giudice la valutazione negativa del p.m.
    In  ordine  alla  rilevanza  della questione sopra riportata, deve
 essere evidenziato che il presente giudizio  non  puo'  indubbiamente
 essere definito indipendentemente dalla risoluzione di essa (art. 23,
 secondo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87), poiche' il  p.m.  ha
 gia'  espresso il proprio dissenso in relazione all'instaurazione del
 rito abbreviato, e questo collegio, ove  non  disponesse  l'immediata
 trasmissione   degli   atti   al   giudice   delle   leggi,  dovrebbe
 necessariamente ordinare la prosecuzione del giudizio.