IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro De Pasquale Gaudenzio nato a Lipari il 6 giugno 1940 e residente a Bracciano in via Claudia, 115 ten. col. E.I. capo della 817a sez. magazzino dell'undicesima zona militare in Civitavecchia, imputato di peculato militare (artt. 215 del c.p.m.p.) perche' in data imprecisata comunque nell'ottobre dell'anno 1987, nella qualita' di capo della 817a sezione magazzino dell'unidicesima zona militare, distraeva a proprio profitto un automezzo militare Fiat 242 di cui aveva il possesso in ragione del suo ufficio, facendovi trasportare da Civitavecchia a Bracciano tre militari di leva ed un sottufficiale per impiegarli alcune ore in una sua proprieta' in qualita' di manovali. FATTO E DIRITTO All'esito della sommaria istruzione, condotta con ordine di comparizione, l'imputato De Pasquale Gaudenzio veniva rinviato a giudizio davanti a questo tribunale militare, per rispondere del reato di peculato militare sopra specificato. Nell'odierna udienza, aperto il dibattimento, il difensore del De Pasquale ha preliminarmente eccepito la illegalita' costituzionale dell'art. 215 del c.p.m.p., in relazione all'art. 3 della Costituzione. La sollevata questione di costituzionalita' - oltre a non essere manifestamente infondata per le ragioni di seguito illustrate - e' in concreto rilevante, poiche' la conferma in sede dibattimentale degli elementi di accusa raccolti nella sommaria istruzione indurrebbe questo collegio ad affermare la penale responsabilita' dell'imputato in ordine al reato ascrittogli. Con il disporre il rinvio a giudizio, il pubblico ministero ha invero ritenuto sussistenti sia l'elemento oggettivo che il corrispondente elemento soggettivo del reato di peculato militare descritto in rubrica, nella forma della distrazione - a profitto proprio - del mezzo militare sopra indicato, del quale l'ufficiale aveva la disponibilita' giuridica e di fatto. Quest'ultimo, nelle circostanze specifiche nel capo di imputazione, avrebbe dunque impiegato per finalita' private del tutto estranee al servizio il suddetto veicolo, (immediatamente restituito dopo l'uso), cosi' sottraendolo temporaneamente alla sua naturale e legalmente prefissata destinazione ed utilizzandolo ad un fine assolutamente incompatibile rispetto a quello per il quale gli era stato posto concretamente a disposizione. Dovrebbe pertanto, nei confronti del De Pasquale, essere applicata la pena che il vigente art. 215 del c.p.m.p. stabilisce per il peculato militare, senza distinguere l'ipotesi di "appropriazione" da quella di "distrazione", e cioe' la reclusione da un minimo di due anni ad un massimo di dieci anni. Questo tribunale militare, nel recepire l'eccezione sollevata dalla difesa e sentito in proposito il pubblico ministero dubita, peraltro, della legittimita' costituzionale del citato art. 215 del c.p.m.p., nella parte in cui equipara sotto il profilo sanzionatorio le condotte della approvazione e della distrazione del denaro o della cosa mobile apparentemente alla amministrazione militare, per contrasto con il fondamentale canone di cui all'art. 3 costituzionale, in relazione al recentissimo intervento di riforma del legislatore penale comune che, con la legge 26 aprile 1990, n. 856, (contenente modifiche in tema di delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione), ha sostanzialmente riscritto l'intero capo primo del titolo secondo del secondo libro del codice penale (artt. 314 e seguenti), senza nulla disporre circa le corrispondenti o analoghe norme incriminatrici contenute nella legislazione penale militare. Prima di tale intervento di riforma, la fattispecie dell'art. 215 del c.p.m.p. ricalcava sostanzialmente quella dell'art. 314 del c.p. vecchio testo (salvo l'indispensabile adattamento soggettivo), tanto sotto il profilo dei presupposti del reato (... avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso...), che dall'oggetto materiale (denaro o altra cosa mobile appartenente all'amministrazione) e della condotta, (... se l'appropria ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri); identica era, in particolare, la pena edittale massima, pari a dieci anni di reclusione, con una lieve differenza in punto di pena edittale minima, (due anni di reclusione per il peculato militare e tre anni per il peculato comune). Tra le novita' piu' rilevanti della disciplina introdotta con la legge n. 86/1990, spicca oggi il riordino della norma sul peculato comune, con la testuale scomparsa del peculato per distrazione, la estensione dell'oggetto materiale del reato (... denaro o altra cosa mobile altrui) e la introduzione - al secondo comma della norma comune risultante dalla modificazione legislativa - del peculato d'uso, allorche' il colpevole abbia posto in essere la condotta indicata al primo comma al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa e questa, dopo l'uso momentaneo, sia stata immediatamente restituita. La nuova figura del peculato d'uso viene ora sanzionata con la piu' lieve pena della reclusione da sei mesi a tre anni. Alla luce del quadro normativo ora delineato, emerge con evidenza una profonda differenza di regime sanzionatorio tra fatti sostanzialmente identici a seconda che gli stessi si verifichino in ambito militare o meno. Secondo la normativa del codice penale comune, infatti, l'eventuale distrazione - da parte del pubblico funzionario - di beni di cui egli abbia il possesso o la disponibilita' e' oggi sanzionabile, ricorrendone tutti i presupposti, a titolo di peculato d'uso (reclusione da sei mesi a tre anni); ovvero forse, residualmente ed in altre prospettabili ipotesi, a titolo di abuso d'ufficio nei casi non preveduti specificatamente dalla legge (art. 323 del c.p. nuovo testo: reclusione fino a due anni). La medesima condotta infedele, se compiuta dal "pubblico funzionario militare", (altro non e' il militare incaricato di funzioni amministrative o di comando, individuando la norma dell'art. 215 del c.p.m.p. un'area di soggetti tendenzialmente coincidente con quella dei pubblici ufficiali ed incaricati di un pubblico servizio, ex art. 314 del c.p.), rimane oggi, invece, punibile con la ben piu' grave pena della reclusione da due a dieci anni, essendo - come accennato - rimasta inalterata la comprensivita' della norma incriminatrice dell'art. 215 del c.p.m.p. Tale situazione, lungi dal rispondere ad insindacabili valutazioni discrezionali del legislatore, ed anzi frutto di un cronico disinteresse normativo per il settore dell'ordinamento penale militare, appare, invero, manifestamente irrazionale, (e come tale censurabile sotto il profilo della legittimita' costituzionale), poiche' - per quanto subiettivamente diversificati nella dizione legislativa - i due comportamenti posti a raffronto si differenziano tra loro soltanto per aspetti non essenziali e ledono con la medesima intensita' gli stessi interessi protetti, quello patrimoniale e quello alla correttezza della azione del pubblico funzionario, mentre non si rinvengono nel sistema ulteriori valide ragioni che possano in qualche modo giustificare, sotto il profilo logico, ed in relazione anche ad eventuali specifiche esigenze delle forze armate, l'indicata disparita' di trattamento. Osserva peraltro questo collegio che i problemi interpretativi nascenti dalla nuova normativa sui delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione - in punto di coordinamento tra legge penale e legge penale militare - sono in realta' piu' numerosi ed ampi rispetto al solo prospettato, involgendo essi necessariamente - tra l'altro - anche il raffronto con gli ulteriori reati militari di peculato e malvesazione contemplati dal c.p.m.p. (art. 216, 217 e 218): a causa della irrilevanza nel giudizio a quo, pero', tali questioni non possono essere affrontate in questa sede, salva, per la Corte, la possibilita' di estendere d'ufficio il proprio giudizio alle altre norme la cui illegittimita' dovesse derivare come conseguenza della decisione adottata, ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Per le ragioni sopra esposte, prospettandosi nell'interpretazione di questo tribunale militare come rilevante e non manifestatamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 215 del c.p.m.p. sollevata dalla difesa, nei termini di cui alla motivazione ed in relazione all'art. 3 della Costituzione, se ne rimette l'esame alla Corte costituzionale, previa sospensione del procedimento in corso.