Ricorso   della  provincia  autonoma  di  Trento,  in  persona  del
 presidente  della   giunta   provinciale   dott.   Mario   Malossini,
 autorizzato  con  delibera  della  giunta  provinciale n. 7493 del 29
 giugno 1990, rappresentato e difeso dagli avv. prof. Valerio Onida  e
 Gualtiero  Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in
 Roma, largo della Gancia, 1, per mandato  speciale  a  rogito  notaio
 dott.  Pierluigi Mott di Trento in data 3 luglio 1990, n. 55337 rep.,
 contro il Presidente del Consiglio dei Ministri  pro-tempore  per  la
 dichiarazione  di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, primo,
 secondo, terzo e quinto comma, 2, 3, 4, primo e  terzo  comma,  e  9,
 della   legge  5  giugno  1990,  n.  135,  contenente  "programma  di
 interventi urgenti per la prevenzione  e  la  lotta  contro  l'AIDS",
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale, serie generale, n. 132 dell'8
 giugno 1990.
   1. - Premessa.
    La  legge  5  giugno  1990,  n.  135,  concernente  "programma  di
 interventi urgenti per la  prevenzione  e  la  lotta  contro  l'AIDS"
 contiene tre gruppi di disposizioni: il primo gruppo (artt. 1, 4 e 9)
 concerne una serie di interventi finanziari  volti  al  potenziamento
 delle  strutture e delle attivita' sanitarie nel campo delle malattie
 infettive;  un  secondo  gruppo  (artt.  5  e   7)   disciplina   gli
 accertamenti  dei  casi  di  AIDS o di infezione da HIV, e prevede le
 norme di protezione dal contagio professionale; l'art.  8  istituisce
 presso   la   Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  il  comitato
 interministeriale per la  lotta  all'AIDS  e  prevede  una  relazione
 annuale  al  Parlamento  sulla  materia.  Infine  l'art.  10  dispone
 l'immediata entrata in vigore della legge.
   Mentre  sulle  disposizioni  del  secondo  e  del  terzo  gruppo la
 ricorrente non ha nulla  da  obiettare,  le  disposizioni  del  primo
 gruppo (artt. 1, 4 e 9) appaiono gravemente lesive delle competenze e
 dell'autonomia  della  ricorrente  medesimo,   sostanziandosi   nella
 previsione   di   una  serie  di  finanziamenti  e  di  procedimenti,
 derogatori rispetto alla disciplina comune, per la  realizzazione  di
 strutture sanitarie, per l'assunzione di personale, per la formazione
 professionale, sostanzialmente decisi e diretti dal  Ministero  della
 sanita',  in spregio alle attribuzioni delle regioni e delle province
 autonome, e con illegittima compressione della sua autonomia.
    L'intento  del  tutto  legittimo di combattere l'infezione da AIDS
 appare in realta' poco piu' che un pretesto per  attivare  interventi
 derogatori  e centralizzatori, per lo piu' riguardanti in generale le
 strutture  sanitarie  che,  pur  occupandosi  anche  di  AIDS,   sono
 genericamente  intese a combattere le malattie infettive (cfr. art. 1
 lettere b), c), d),  le  tossicodipendenze  (art.  1,  lett.  e),  le
 malattie a trasmissione sessuale (art. 1, lett. f).
    Secondo un modello ormai troppo diffuso nella nostra legislazione,
 si  muove  da  un  problema  reale  (l'AIDS  oggi,  come  ieri  altre
 "emergenze")  per  dettare discipline straordinarie e derogatorie, in
 cui - non a caso  -  il  dato  preminente  e'  l'accentramento  delle
 competenze   in   capo   ad  organi  ministeriali,  a  scapito  delle
 "ordinarie" competenze regionali e locali: quasi che l'unico modo  di
 affrontare seriamente i problemi emergenti nel campo (in questo caso)
 sanitario fosse quello  di  obliterare  il  quadro  delle  competenze
 costituzionalmente attribuite, e definite dalla legislazione organica
 di settore, per recuperare in capo agli organi centrali  potesta'  di
 programmazione  microsettoriale  e locale, poteri di amministrazione,
 poteri di allocazione specifica di risorse finanziarie.
    2. - Il piano ministeriale di interventi.
    L'art.  1 della legge, significativamente, configura uno strumento
 di programmazione  ad  hoc  denominato  "piano  ministeriale"  (primo
 comma,  inizio),  la cui predisposizione e' affidata alla commissione
 nazionale per la lotta  contro  l'AIDS,  creata  dal  Ministero,  fra
 l'altro, al di fuori di ogni previsione legislativa.
    Tale  piano  non  si configura come una semplice articolazione del
 piano  sanitario  nazionale,  il  quale  pure,  si  badi,   comprende
 un'apposita   "azione  programmata"  riguardante  la  lotta  all'AIDS
 (espressamente ricordata nella lett. a  dell'art.  1),  ma  come  uno
 strumento   aggiuntivo   specifico,   comprensivo  di  una  serie  di
 interventi assai diversi fra loro.
    Precisamente  si  prevedono interventi di carattere poliennale per
 la  prevenzione,  l'informazione,   la   ricerca,   la   sorveglianza
 epidemiologica  e  il sostegno dell'attivita' del volontariato, per i
 quali  tuttavia  si  rimanda  al  piano  sanitario  nazionale  e   ai
 finanziamenti  all'uopo disposti (lett. a); interventi di costruzione
 e ristrutturazione di reparti di ricovero per malattie  infettive,  e
 di  laboratori ospedalieri di virologia, microbiologia e immunologia,
 con un finanziamento ad hoc attraverso mutui della  BEI  e  di  altri
 istituti  di  credito  (lett.  b,  e  quinto  comma);  assunzione  di
 personale medico, infermieristico e tecnico nei reparti  di  malattie
 infettive   e  nei  laboratori  (lett.  c)  nonche'  nei  servizi  di
 assistenza ai tossicodipendenti (lett. e) e nei  servizi  multizonali
 per  le  malattie  a  trasmissione sessuale (lett. f), finanziata con
 quote vincolate allo  scopo  del  fondo  sanitario  nazionale  (sesto
 comma);  corsi  di formazione e di aggiornamento professionale (lett.
 d), anch'essi finanziati con  quote  vincolate  del  fondo  sanitario
 nazionale   (sesto   comma);   infine  potenziamento  degli  organici
 dell'Istituto superiore di sanita' (lett. g e settimo comma:  al  cui
 proposito, evidentemente, la ricorrente non ha titolo ne' interesse a
 dolersi).
    Gia' in questo ventaglio di interventi e' palese l'introduzione di
 elementi di illegittima compressione  delle  competenze  regionali  e
 provinciali,  in  tema  di  costruzione  di strutture ospedaliere, di
 organici e  assunzioni  di  personale,  di  formazione  professionale
 (lettere b, c, d, e, f).
    E' ben vero che i successivi artt. 3 e 9 prevedono in tali materie
 dei  programmi  o  delle  proposte  regionali  o   provinciali   (con
 disposizioni  le quali, come si vedra', non appaiono pero' rispettose
 dell'autonomia delle regioni e delle provine autonome). Ma proprio la
 qualificazione  del  piano  -  sancita  dall'art.  1  -  come  "piano
 ministeriale predisposto dalla commissione  nazionale  per  la  lotta
 contro  l'AIDS",  e  l'assenza  di  precise  statuizioni procedurali,
 rendono palese come non  vi  sia  alcuna  garanzia  che  i  programmi
 regionali vengano rispettati, sia pure coordinandoli, nelle decisioni
 degli organi centrali, le quali sono,  secondo  le  previsioni  della
 legge,   suscettibili   di   sovrapporsi   alle   proposte  regionali
 discostandosi da esse.
    Il  quinto  comma dell'art. 1 prevede che le somme provenienti dai
 mutui siano iscritte nello stato di previsione  del  Ministero  della
 sanita';  e  che  gli  oneri di ammortamento, stimati in 250 miliardi
 annui, siano fronteggiati "in relazione  alla  mancata  utilizzazione
 della quota di lire 3.000 miliardi autorizzata per il 1988 dal quinto
 comma dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67" (quinto  comma).
    Ora,  poiche' tale art. 20, quinto comma, prevede il finanziamento
 di programmi regionali  di  investimento  nel  settore  dell'edilizia
 ospedaliera,  con  mutui  stipulati  dalle  regioni  e dalle province
 autonome con oneri a carico dello Stato  (sesto  comma  dello  stesso
 art.  20),  cio' significa in pratica che la nuova legge sottrae alle
 regioni e alle province autonome  il  finanziamento  loro  attribuito
 dalla  legge  n.  67/1988,  per destinarlo ad una spesa, nello stesso
 settore   di   competenza   regionale   e   provinciale,   effettuata
 direttamente  dallo  Stato  e  gestita  da organi statali: nel che si
 concreta una ulteriore palese violazione dell'autonomia finanziaria e
 programmatoria delle regioni e delle province autonome.
    Per   quanto  riguarda  in  particolare  la  ricorrente  provincia
 autonoma di Trento, la predetta previsione di spesa viola altresi' le
 disposizioni  statutarie  e  di  attuazione  secondo  cui  tali somme
 dovrebbero essere attribuite alle province autonome senza vincolo  di
 destinazione  o  con  vincoli  soli  di  settore.  Infatti  ai  sensi
 dell'art. 78 dello statuto  speciale,  come  modificato  dall'art.  4
 della  legge  30  novembre  1989,  n.  386, e' devoluta alle province
 autonome una quota dell'Iva nella cui determinazione si  tiene  conto
 anche  delle  spese  per gli interventi generali dello Stato disposti
 nella  restante  parte  del  territorio  nazionale  nei  settori   di
 competenza  provinciale;  e  la  devoluzione avviene senza vincolo di
 destinazione a scopi determinati.
    Ai  sensi  dell'art.  5  della  legge  n. 386/1989 i finanziamenti
 recati da leggi statali in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a
 favore  delle  regioni  sono  assegnati  alle  province autonome "per
 essere utilizzati, secondo  normative  provinciali,  nell'ambito  del
 corrispondente  settore"; e per l'assegnazione e l'erogazione di tali
 finanziamenti "si prescinde da qualunque adempimento  previsto  dalle
 stesse  leggi  ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei
 parametri e delle quote di riparto".
    3. - I servizi domiciliari e le attivita' di ospedale diurno.
    Il  secondo  comma  dell'art.  1  prevede, sulla base di indirizzi
 regionali, la graduale attuazione di servizi  per  il  trattamento  a
 domicilio  dei  soggetti  affetti  da  AIDS e da patologie correlate,
 anche presso residenze collettive o case alloggio. Fin qui  nulla  da
 dire:   si   tratta   di   un'opportuna  innovazione  concernente  le
 prestazioni del servizio sanitario  nazionale  utili  per  combattere
 l'AIDS.
    Ma  tali  servizi,  nonche'  i  relativi  organici, sono anzitutto
 assoggettati ad un atto  di  indirizzo  e  coordinamento  che  dovra'
 stabilire  "criteri  uniformi"  per l'attivazione dei servizi e sugli
 organici relativi (terzo comma, in fine). Poiche' nulla dice la legge
 quanto  al  contenuto  di  tale  atto  di  indirizzo,  limitandosi  a
 prevedere che esso detti "criteri  uniformi",  senza  dettare  alcuna
 prescrizione  atta  a  delimitare  l'uso della potesta' di indirizzo,
 appare palese la violazione dei principi di legalita' e di riserva di
 legge  che,  secondo la giurisprudenza di questa Corte, devono essere
 rispettati nel disciplinare l'esercizio della potesta' di indirizzo e
 coordinamento.
    Per  di  piu',  la'  dove si prevede la realizzazione di residenze
 collettive e di case alloggio per  il  trattamento  domiciliare,  con
 ricorso   a   istituzioni   di   volontariato   o  ad  organizzazioni
 assistenziali all'uopo convenzionate o con personale  infermieristico
 convenzionato,  si  stabilisce che le "modalita' di convenzionamento"
 siano "definite da un apposito decreto ministeriale".
    In  tal  modo  si affida sostanzialmente al Ministro, senza alcuna
 prefissione di criteri e dunque in piena violazione dei  principi  di
 legalita'  e di riserva di legge, la disciplina di tali convenzioni e
 delle relative attivita' (secondo comma, in fine).
    Parimenti,  nulla  da  dire  circa  la  previsione del terzo comma
 concernente la realizzazione di spazi  per  l'attivita'  di  ospedale
 diurno; ma ancora una volta l'attivazione di tale forma di assistenza
 a ciclo diurno negli ospedali e' assoggettata all'atto  di  indirizzo
 che  dovra'  dettare  "criteri  uniformi", sempre in assenza di linee
 guida stabilite dalla legge e pertanto in  violazione  ulteriore  dei
 richiamati principi di legalita' e riserva di legge.
    4. - Gli interventi in materia di costruzioni.
    Gli  artt. 2 e 3 della legge, al fine della realizzazione di nuove
 "strutture ospedaliere per malattie infettive", introducono, sia  per
 quanto attiene alla localizzazione delle opere e all'approvazione dei
 progetti, sia per quanto attiene all'esecuzione delle  opere  stesse,
 procedure  del  tutto  atipiche,  caratterizzate  da  determinanti  e
 pressoche' esclusivi poteri degli organi centrali.
    L'art.  2,  secondo  comma, abbozza una parvenza di programmazione
 affidata alle regioni e alle province autonome, la'  dove  stabilisce
 che  queste determinino "entro il termine perentorio di trenta giorni
 dalla data di entrata in vigore" della legge "la distribuzione  e  la
 localizzazione  degli  interventi  di  ristrutturazione edilizia e di
 edificazione di nuove strutture per malattie infettive".
    Il  termine  e'  di  una  brevita'  tale  da  rendere praticamente
 impossibile  una  seria  adozione  di  programmazione  (ecco  perche'
 abbiamo parlato di parvenza di programmazione regionale).
    La   chiave   dell'anomalo   procedimento  sta  in  realta'  pero'
 nell'ultima parte del secondo comma e nel successivo terzo comma.  In
 caso  di  mancata  osservanza del termine perentorio e jugulatorio di
 trenta giorni  "decide  sulla  materia  il  Ministro  della  sanita',
 sentita in via d'urgenza la commissione nazionale per la lotta contro
 l'AIDS" (secondo comma, in fine).
    Entro  sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge il CIPE,
 su proposta del Ministro "approva... il programma  degli  interventi,
 suddiviso  per  regioni e province autonome e con l'indicazione delle
 localizzazioni e del dimensionamento delle strutture da  realizzare".
    Il che significa, in buona sostanza, che il Ministro, con l'avallo
 del  CIPE,  decide  localizzazioni,  tipologie  e  dimensioni   delle
 strutture,   con   totale  esproprio  delle  competenze  regionali  e
 provinciali in materia di edilizia ospedaliera.
    La  cosa e' tanto piu' grave, in quanto si tratta di opere che non
 presentano affatto, di norma, complessi problemi di localizzazione  e
 di  progettazione  (come  puo' accadere, ad esempio, per certe grandi
 infrastrutture particolarmente onerose sotto il  profilo  ambientale,
 quali inceneritori o altri impianti di smaltimento di rifiuti).
    I  reparti  sorgeranno,  e'  da  presumersi,  come  espansione  di
 ospedali esistenti (non e' credibile infatti  che  si  collochino  in
 stabilimenti    autonomi),    la'   dove   progetti   di   espansione
 presumibilmente  sono  in  qualche  modo  gia'  presenti  in   quanto
 praticabili.
    Sarebbe   bastato,   dunque,   per   agevolare   il  conseguimento
 dell'obiettivo   perseguito    dal    legislatore,    disporre    dei
 finanziamenti,  assegnando  a  ciascuna  regione o provincia autonoma
 precisi obiettivi in  termini  di  posti  letto  e  di  strutture  di
 assistenza,  e  lasciando  poi  agli  enti di autonomia il compito di
 provvedere  alla  localizzazione,  alle  scelte  di  priorita',  alla
 individuazione dei caratteri concreti dell'intervento.
    Invece si e' seguita l'assurda strada del sostanziale esproprio di
 competenze, accentrando ogni potere di  decisione  non  solo  -  come
 sarebbe  forse stato ammissibile - sugli obiettivi e sugli standards,
 ma altresi' sulle localizzazioni e sulla conformazione concreta delle
 strutture da realizzare.
    L'esproprio  delle  competenze  regionali  e  provinciali  e delle
 stesse competenze  delle  u.s.l.  in  tema  di  edilizia  ospedaliera
 raggiunge  il  culmine  con  le previsioni del terzo, quarto, quinto,
 sesto e settimo comma dello stesso art. 2.
    Il CIPE non si limita a localizzare e dimensionare gli interventi,
 con l'effetto di dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita'
 e  urgenza  delle  opere  relative,  ma  sceglie  altresi' uno o piu'
 "concessionari di servizi" a cui affidare  i  "compiti  organizzativi
 afferenti all'esecuzione del programma" (terzo comma).
    Tali  compiti  consistono  nel  "compimento di tutte le operazioni
 preliminari, ivi compresi gli studi geologici e  le  espropriazioni";
 nella  "redazione  dei  progetti";  nella  "assistenza ed istruttoria
 relativa  agli  appalti";  nella  "direzione   dei   lavori";   nella
 "contabilita'"  e nella "assistenza fino ai collaudi" (quarto comma).
    Non  ci  vuole  molto  ad  accorgersi  che  il  concessionario  si
 sostituisce in sostanza, per conto del Ministro della  sanita',  alla
 stazione appaltante in tutti i suoi compiti tecnico-amministrativi.
    Tali  concessionari  (ecco  un'altra  chiave  per  comprendere  il
 "sistema" della legge) operano in base a una  convenzione  "stipulata
 dal  Ministro  della sanita' sentito il Ministro dei lavori pubblici"
 (terzo comma, in fine).
    Poiche'  mai,  al  fine  della  realizzazione,  sia  pure  in  via
 d'urgenza, di strutture ospedaliere,  sia  necessario  sostituire  il
 Ministro  (attraverso  suoi anomali "concessionari di servizio") agli
 organi ordinariamente  competenti  delle  regioni  e  delle  province
 autonome  e  delle  u.s.l., resta un mistero, che si spiega solo alla
 luce dell'assurda e incostituzionale logica centralizzatrice  cui  la
 legge si ispira.
    Non  ci  si  limita infatti, si badi, a consentire o a prescrivere
 procedure di urgenza o semplificate; ma si sostituiscono  i  soggetti
 competenti,  e  si sposta ogni potere decisorio e perfino istruttorio
 al centro.
    Ma  non  basta  ancora.  La  valutazione  dei progetti "per quanto
 concerne gli aspetti tecnico-sanitari" oltre che "di coerenza con  il
 programma  nazionale",  nonche'  - addirittura - la "congruita' della
 soluzione", i "prezzi applicati", le "singole categorie di opere" e i
 "tempi  di  realizzazione",  e'  rimessa ad altro organismo centrale,
 vale a dire al nucleo di valutazione  di  cui  all'art.  20,  secondo
 comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (quinto comma).
    Per  i  contratti  di  appalto  non ci si accontenta di imporre le
 modalita' di scelta dei  contraenti  e  il  contenuto  dei  contratti
 medesimi, comprensivi di tutte le opere e forniture necessarie per il
 funzionamento delle strutture, incluse le attrezzature e  gli  arredi
 (sesto  comma,  ultimo periodo), ma si impone la partecipazione di un
 rappresentante del Ministero della sanita' e di uno del Ministero dei
 lavori  pubblici alle commissioni giudicatrici delle gare, si prevede
 la nomina delle commissioni di collaudo ad  opera  del  Ministro  dei
 lavori   pubblici   di  concerto  con  quello  della  sanita',  e  si
 attribuisce agli stessi Ministri "l'esercizio delle funzioni di  alta
 sorveglianza".
    L'esproprio - del tutto ingiustificato in fatto, oltre tutto delle
 competenze regionali e provinciali in tema di lavori  pubblici  e  in
 particolare di edilizia ospedaliera non potrebbe essere piu' totale e
 piu' brutale.
    I profili di incostituzionalita' di questa disciplina sono palesi.
 Sono violate non solo l'autonomia programmatoria  e  di  spesa  delle
 regioni   e  delle  province  autonome  attraverso  l'esecuzione,  in
 sostanza, di interventi  diretti  di  spesa  dello  Stato  nel  campo
 dell'edilizia ospedaliera, ma anche l'autonomia legislativa regionale
 e  provinciale  in   materia   di   lavori   pubblici,   prescrivendo
 direttamente  le procedure di programmazione e di realizzazione delle
 opere, e l'autonomia amministrativa delle stesse regioni  e  province
 autonome,  attraverso  la  sottrazione ad esse, per affidarle volta a
 volta  ai  Ministri  della  sanita'  e  dei   lavori   pubblici,   ai
 concessionari  convenzionati col Ministero della sanita', e al nucleo
 centrale di valutazione, di tutti i poteri significativi  nell'ambito
 delle  procedure  di  esecuzione  delle  opere,  nonche'  la  diretta
 sorveglianza  ministeriale  dei  lavori  e  addirittura   l'ingerenza
 ministeriale nelle commissioni giudicatrici delle gare d'appalto.
    L'unica  -  come  si  e' detto - parvenza di potere programmatorio
 regionale e provinciale e' vanificata, da un lato, dalla brevita' del
 termine  prefisso e dal sostanziale assorbimento delle determinazioni
 regionali e provinciali nelle successive e determinanti decisioni del
 CIPE e del Ministero.
    Alla  brevita'  del  termine  assegnato  alle  regioni  e province
 autonome si accompagna poi la previsione di un potere sostitutivo del
 Ministro che non risponde, ne' sotto il profilo procedurale ne' sotto
 il profilo sostanziale, ai criteri individuati  dalla  giurisprudenza
 di  questa  Corte  (cfr.  ad  esempio  la sentenza n. 177/1988), e in
 particolare  alle  esigenze  discendenti  dal   criterio   di   leale
 cooperazione.
    Da  un lato infatti, sotto il profilo procedurale, non e' previsto
 alcun meccanismo di previa  diffida,  ne'  alcuna  concertazione  con
 organi diversi da quelli interni al Ministero della sanita'.
    Dall'altro  lato,  sotto  il  profilo  sostanziale,  non  si e' in
 presenza di adempimenti  vincolati  nel  quomodo,  e  afferenti  alla
 realizzazione di interessi non localizzati e non frazionabili.
    Il   contenuto   "espropriativo"   di   competenze   regionali   e
 provinciali, proprio di tale disciplina, e' particolarmente  evidente
 e  grave,  poi,  la' dove si affidano compiti, che spetterebbero agli
 organi  regionali,   provinciali   e   locali,   nemmeno   a   organi
 dell'amministrazione centrale, ma a soggetti privati "concessionari",
 con  una  applicazione  dell'istituto  della  concessione  del  tutto
 anomala,  in  quanto  afferente  non  a  compiti  di  realizzazione o
 gestione  di  opere,  bensi'  ai  compiti   tipici   della   pubblica
 amministrazione  (espropriazioni,  istruttoria relativa agli appalti,
 direzione dei lavori, ecc.).
    La violazione delle competenze della ricorrente provincia autonoma
 di Trento e' ancora  piu'  grave,  tenuto  conto  del  fatto  che  la
 provincia   ha   disciplinato   con   propria  legge  l'attivita'  di
 costruzione  e  ristrutturazione  di  beni  immobili  destinati  alle
 esigenze  del  servizio sanitario, stabilendo che all'acquisizione di
 nuovi beni immobili e mobili provvede la Provincia, e che  la  stessa
 provincia      "provvede     all'espletamento     delle     attivita'
 tecnico-amministrative concernenti la costruzione,  la  sistemazione,
 la  ristrutturazione, il restauro e la manutenzione straordinaria dei
 beni  immobili  di  sua  proprieta'  assegnati  in  uso  alle  unita'
 sanitarie locali per le esigenze del servizio sanitario provinciale",
 eventualmente avvalendosi delle unita' sanitarie locali e attribuendo
 in  tal caso alle stesse il relativo finanziamento (art. 33, decimo e
 undicesimo comma, testo  unico  delle  disposizioni  contenute  nella
 legge provinciale 6 dicembre 1980, n. 33, concernente "disciplina del
 servizio sanitario provinciale", e successive modificazioni).
    Ulteriori  gravissime  menomazioni  delle  competenze  regionali e
 provinciali discendono dalle disposizioni dell'art. 3.
    Sempre sotto il pretesto di consentire l'"immediata realizzazione"
 degli  interventi  di  costruzione  di  strutture,  si   prevede   la
 convocazione,  ad  opera  del  Ministro  della  sanita', d'intesa con
 ciascuna regione o provincia autonoma, di un'apposita conferenza  cui
 partecipano  tutti  gli uffici di amministrazioni statali, regionali,
 provinciali  o  locali  competenti,  ad  assumere  atti  di   intesa,
 autorizzazioni,  approvazioni,  concessioni  e nulla osta previsti da
 leggi "statali e regionali" per la  esecuzione  delle  opere.  Spetta
 alla  conferenza  acquisire  e  valutare "tutti gli elementi relativi
 alla  compatibilita'  dei  progetti  con  le   esigenze   ambientali,
 territoriali,  paesaggistiche  e  culturali";  l'approvazione unanime
 della conferenza "sostituisce ad ogni effetto gli atti di  intesa,  i
 pareri,  le  autorizzazioni,  le  approvazioni, i nulla osta previsti
 dalle leggi statali e regionali", ed ha  effetti  di  variante  dello
 strumento  urbanistico  in  caso  di  non  conformita'  ad esso (tale
 infatti e' la disciplina prevista dall'art. 1, primo, quarto e quinto
 comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, cui si fa rinvio).
    L'esame  e  la  pronuncia,  si  badi,  devono  intervenire  "entro
 quindici  giorni  dalla  convocazione"  della  conferenza³   (secondo
 comma).
    Anche  qui  l'assurda  brevita'  del  termine, tale da svuotare di
 significato  la  stessa  conferenza,  e'  palese.   La   chiave   per
 comprendere  il  meccanismo sta ancora una volta nella previsione del
 potere sostitutivo.
    Nel  caso  infatti in cui, entro il termine jugulatorio assegnato,
 non si verifichi l'unanimita' dei partecipanti  alla  conferenza,  la
 legge prevede che su richiesta del Ministro della sanita' si provveda
 "con decreto  del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  previa
 deliberazione  del consiglio medesimo": e che tale decreto abbia "gli
 stessi effetti previsti dal terzo comma", e cioe' sostituisca ad ogni
 effetto  intese,  pareri,  autorizzazioni,  approvazioni,  nulla osta
 previsti da leggi statali e regionali, ed abbia effetti  di  variante
 dello strumento urbanistico.
    Unico  temperamento,  la disposta inderogabilita' (oltre che delle
 disposizioni anti-mafia) dei  vincoli  di  inedificabilita'  e  delle
 "prescrizioni  sostanziali" contenute in vincoli previsti dalla legge
 in materia paesaggistica, ambientale e  storico-monumentale.  Ma,  si
 badi,   delle   sole   prescrizioni  sostanziali:  non  dunque  delle
 previsioni di necessarie autorizzazioni, come quelle - di  competenza
 regionale  e  provinciale  -  previste  dalla legislazione paesistica
 (art. 7 legge n. 1497/1939): il che  significa  che  il  decreto  del
 Presidente   del   Consiglio   sostituisce   anche   l'autorizzazione
 paesistica, e puo' quindi prevalere su di una valutazione concreta di
 non   compatibilita'   del   progetto   con  le  esigenze  di  tutela
 paesaggistica, espressa dal competente organo regionale o provinciale
 nella  conferenza,  a  meno che tale valutazione non riguardi un'area
 ove il vincolo prevede l'assuluta inedificabilita' o non sia sorretta
 da "prescrizioni sostanziali" contenute nel vincolo. Poiche', come e'
 noto, il vincolo paesistico non si  sostanzia  di  norma  in  divieti
 assoluti  di edificare (previsti solo su alcune aree dall'art. 1- ter
 della legge n. 431/1985)  ne'  in  prescrizioni  sostanziali,  bensi'
 nell'assoggettamento  di  ogni  intervento al consenso dell'autorita'
 preposta alla tutela del vincolo (art. 7 legge n. 1497/1939), risulta
 evidente  come anche le esigenze di tutela paesistica e le competenze
 regionali e provinciali in  questa  materia  (oltre  che  in  materia
 urbanistica  e  ambientale)  siano  completamente svuotate, destinate
 come sono  ad  essere  scavalcate  dal  decreto  del  Presidente  del
 Consiglio,  su  richiesta  del  Ministro della sanita' e delibera del
 Consiglio dei Ministri.
    Particolarmente  grave  e'  poi  la previsione di una efficacia di
 deroga  al  piano   regolatore   attribuita   all'atto   statale   di
 approvazione.  In  tal  modo il Governo - ai fini, si badi, non della
 esecuzione di un'opera pubblica di competenza statale, ma di un'opera
 di competenza regionale - si sovrappone unilateralmente all'esercizio
 dei poteri regionali e provinciali di  approvazione  degli  strumenti
 urbanistici  e  di  autorizzazione agli interventi in deroga a questi
 ultimi (infatti il decreto sostituisce ad ogni  effetto  anche  tutti
 gli atti di competenza regionale o provinciale).
    La  violazione delle competenze regionali e provinciali in tema di
 urbanistica, ambiente,  paesaggio  e  lavori  pubblici  non  potrebbe
 essere piu' palese.
    5. - Gli interventi in materia di assunzione di personale.
    L'art.   4   della   legge  prevede  procedimenti  derogatori  per
 l'assunzione di personale medico e  non  medico  nelle  strutture  di
 ricovero   per   malatie   infettive,  nei  laboratori,  nei  servizi
 multizonali per le malattie a trasmissione sessuale, in altri reparti
 prevalentemente impegnati nell'assistenza ai casi di AIDS.
    Tali  procedure  prevedono  volta  a volta selezioni regionali per
 titoli a cura di una apposita commissione  (primo  comma),  pubbliche
 selezioni  per  titoli  presso  le  singole  u.s.l.  (secondo comma),
 assunzioni per chiamata diretta di infermieri con rapporto di  lavoro
 a  tempo  parziale  e  con  contratti  di  diritto  privato  a  tempo
 determinato (quinto e sesto comma).
    Ancora  una  volta  non  si  capisce  perche' vi sia il bisogno di
 ricorrere a procedure speciali, anziche'  limitarsi  a  finanziare  i
 nuovi  oneri  di  personale,  tanto  piu'  che  le  assunzioni devono
 avvenire a copertura di posti in organico e "la  graduale  attuazione
 degli  standards" di cui al d.m. 13 settembre 1988 (art. 1, lett. c).
    Fin  qui,  tuttavia,  le regioni e le province autonome potrebbero
 lamentare  essenzialmente  solo  gli   inconvenienti   recati   dalla
 sovrapposizione  di  procedure straordinarie alle procedure ordinarie
 tuttora previste; oltre alla immancabile  interferenza  del  Ministro
 della  sanita' nella nomina di un componente della commissione per le
 pubbliche selezioni del personale medico (primo comma, prima  parte).
    Ma,  ancora  una  volta, la vera portata di queste norme si annida
 nella previsione di controlli sostitutivi statali nel caso in cui  le
 regioni  e  le  province autonome non provvedano entro termini di una
 ristrettezza incredibile.  Infatti  l'art.  4,  primo  comma,  ultima
 parte,  prevede  che  il  bando  per  la prima selezione di personale
 medico sia emanato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della
 legge,  e  che,  in caso di inadempienza, si applichi "il disposto di
 cui al secondo comma dell'art. 6 della  legge  23  ottobre  1985,  n.
 595",  cioe' l'intervento sostitutivo del Governo: intervento che non
 appare conforme ai presupposti in presenza dei quali questa Corte  ha
 ammesso  la legittimita' dei poteri sostitutivi statali in materie di
 competenza regionale e  provinciale,  e  specificamente  dell'art.  6
 della   legge   n.  595/1985  (sentenze  nn.  177/1988  e  294/1986),
 trattandosi di attivita' del tutto ordinaria di copertura di organici
 e  non di adempimenti vincolanti necessari per perseguimento di scopi
 essenziali della programmazione nazionale.
    Piu' in generale l'art. 9, primo comma, della legge stabilisce che
 le regioni e le province autonome predispongano "i programmi  per  le
 attivita'" di cui all'art. 1, primo comma, lettere (fra l'altro) c, e
 ed f (relativi cioe' all'assunzione di personale nelle  strutture  di
 ricovero  per  malattie  infettive  e nei laboratori, nei servizi per
 tossicodipendenti,  nei  servizi  multizonali  per  le   malattie   a
 trasmissione sessuale).
    A  parte  il  mancato  coordinamento  di  tale  termine con quello
 (identico) imposto per l'emanazione del bando per la prima  selezione
 di  personale  medico  e  laureato  nelle strutture di ricovero e nei
 laboratori, ai sensi dell'art.  4,  primo  comma,  ultima  parte,  il
 contenuto  apertamente  lesivo  di  queste  disposizioni emerge dalla
 previsione di cui all'art. 9, primo  comma,  seconda  parte,  secondo
 cui,  decorso  detto  termine  senza  che  siano stati adottati dalle
 regioni e province autonome i programmi, "il Ministro  della  sanita'
 procede  alla  nomina  di  commissari  per  il  compimento degli atti
 necessari".
   La  competenza  "programmatoria"  delle  regioni  e  delle province
 autonome (chiamate formalmente ad adottare "programmi"  dall'art.  9,
 primo   comma,  prima  parte)  e'  dunque  ridotta  alla  stregua  di
 adempimenti vincolati, quali essi certamente non sono, almeno  quanto
 al  contenuto,  e  per  i  quali  si prevede addirittura la nomina di
 commissari ad acta³
    E'  palese l'assenza dei presupposti e delle condizioni alle quali
 la giurisprudenza di  questa  Corte  subordina  la  legittimita'  dei
 poteri  sostitutivi  stabiliti  nei  confronti  delle regioni e delle
 province autonome: l'esistenza di adempimenti vincolati necessari per
 la  soddisfazione  di  interessi unitari, la competenza attribuita ad
 organi di Governo, la previsione di modalita' procedurali conformi al
 principio di leale cooperazione.
    6. - Gli interventi in materia di formazione professionale.
    L'art.   4,   terzo  comma,  prevede  che  le  u.s.l.  organizzino
 annualmente corsi di formazione e di aggiornamento del personale  che
 opera presso i reparti di malattie infettive.
    Anche  a  questo  proposito  l'art.  9,  primo  comma,  prevede la
 formazione di programmi regionali o provinciali entro sessanta giorni
 (termine  proco  comprensibile  con riguardo al carattere annuale dei
 corsi) e la nomina  di  commissari  "per  il  compimento  degli  atti
 necessari" dopo il decorso di tale termine.
    In  proposito  valgono interamente le considerazioni gia' svolte a
 proposito  dei  poteri  sostitutivi  in  materia  di  assunzione   di
 personale,  con  l'aggravante  che  la  materia  della  formazione  e
 dell'aggiornamento professionale del personale e' di piena competenza
 anche normativa delle regioni e delle province autonome.
    Ma   c'e'  di  piu'.  In  spregio  della  competenza  normativa  e
 amministrativa regionale  e  provinciale,  la  legge  demanda  ad  un
 decreto  del  Ministro,  emanato  sentito il solo consiglio sanitario
 nazionale, la disciplina della "istituzione" e della  "effettuazione"
 dei  corsi, da tenersi fuori dell'orario di servizio e con obbligo di
 frequenza (art. 1, primo comma, lett. d), nonche'  la  determinazione
 delle  modalita'  di erogazione dell'assegno (di lire 4 milioni lordi
 annui: art. 1, primo comma, lett. d) da corrispondere ai partecipanti
 (art.  4,  terzo comma, ultima parte). Tale ingerenza ministeriale e'
 del tutto illegittima, e oltre tutto non  ha  alcuna  giustificazione
 pratica.
    7. - I "centri di riferimento".
    L'art.  9, secondo comma, della legge prevede che, entro il solito
 termine di sessanta giorni dalla data  della  entrata  in  vigore  di
 questa  le  regioni  e  le  province autonome istituiscano "centri di
 riferimento aventi il compito di coordinare l'attivita' dei servizi e
 delle  strutture  interessate alla lotta contro l'AIDS, di attuare la
 sorveglianza  epidemiologica  e  di  pianificare  gli  interventi  di
 informazione e formazione". La responsabilita' dei centri deve essere
 affidata a personale medico in possesso dell'identita' nazionale  per
 le funzioni di primario di malattie infettive.
    E'  palese,  in  tale  disposizione,  la violazione dell'autonomia
 organizzativa e normativa delle regioni e delle province autonome:  i
 centri  debbono  essere  istituiti  dalle  regioni  o  province e non
 potrebbero quindi essere istituiti a livello di u.s.l. se la  regione
 o  la  provincia  ritenesse  cio' piu' opportuno; i loro compiti sono
 determinati  dalla  legge;  e  addirittura  si  determinano  in  modo
 puntuale i requisiti dei responsabili dei centri medesimi.
    Anche  tale  disposizione,  come  le altre indicate, appare dunque
 illegittima e lesiva dell'autonomia della ricorrente.