Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della giunta provinciale dott. Mario Malossini, autorizzato con delibera della giunta provinciale n. 7493 del 29 giugno 1990, rappresentato e difeso dagli avv. prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca, ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Roma, largo della Gancia, 1, per mandato speciale a rogito notaio dott. Pierluigi Mott di Trento in data 3 luglio 1990, n. 55337 rep., contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli artt. 1, primo, secondo, terzo e quinto comma, 2, 3, 4, primo e terzo comma, e 9, della legge 5 giugno 1990, n. 135, contenente "programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 132 dell'8 giugno 1990. 1. - Premessa. La legge 5 giugno 1990, n. 135, concernente "programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'AIDS" contiene tre gruppi di disposizioni: il primo gruppo (artt. 1, 4 e 9) concerne una serie di interventi finanziari volti al potenziamento delle strutture e delle attivita' sanitarie nel campo delle malattie infettive; un secondo gruppo (artt. 5 e 7) disciplina gli accertamenti dei casi di AIDS o di infezione da HIV, e prevede le norme di protezione dal contagio professionale; l'art. 8 istituisce presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri il comitato interministeriale per la lotta all'AIDS e prevede una relazione annuale al Parlamento sulla materia. Infine l'art. 10 dispone l'immediata entrata in vigore della legge. Mentre sulle disposizioni del secondo e del terzo gruppo la ricorrente non ha nulla da obiettare, le disposizioni del primo gruppo (artt. 1, 4 e 9) appaiono gravemente lesive delle competenze e dell'autonomia della ricorrente medesimo, sostanziandosi nella previsione di una serie di finanziamenti e di procedimenti, derogatori rispetto alla disciplina comune, per la realizzazione di strutture sanitarie, per l'assunzione di personale, per la formazione professionale, sostanzialmente decisi e diretti dal Ministero della sanita', in spregio alle attribuzioni delle regioni e delle province autonome, e con illegittima compressione della sua autonomia. L'intento del tutto legittimo di combattere l'infezione da AIDS appare in realta' poco piu' che un pretesto per attivare interventi derogatori e centralizzatori, per lo piu' riguardanti in generale le strutture sanitarie che, pur occupandosi anche di AIDS, sono genericamente intese a combattere le malattie infettive (cfr. art. 1 lettere b), c), d), le tossicodipendenze (art. 1, lett. e), le malattie a trasmissione sessuale (art. 1, lett. f). Secondo un modello ormai troppo diffuso nella nostra legislazione, si muove da un problema reale (l'AIDS oggi, come ieri altre "emergenze") per dettare discipline straordinarie e derogatorie, in cui - non a caso - il dato preminente e' l'accentramento delle competenze in capo ad organi ministeriali, a scapito delle "ordinarie" competenze regionali e locali: quasi che l'unico modo di affrontare seriamente i problemi emergenti nel campo (in questo caso) sanitario fosse quello di obliterare il quadro delle competenze costituzionalmente attribuite, e definite dalla legislazione organica di settore, per recuperare in capo agli organi centrali potesta' di programmazione microsettoriale e locale, poteri di amministrazione, poteri di allocazione specifica di risorse finanziarie. 2. - Il piano ministeriale di interventi. L'art. 1 della legge, significativamente, configura uno strumento di programmazione ad hoc denominato "piano ministeriale" (primo comma, inizio), la cui predisposizione e' affidata alla commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS, creata dal Ministero, fra l'altro, al di fuori di ogni previsione legislativa. Tale piano non si configura come una semplice articolazione del piano sanitario nazionale, il quale pure, si badi, comprende un'apposita "azione programmata" riguardante la lotta all'AIDS (espressamente ricordata nella lett. a dell'art. 1), ma come uno strumento aggiuntivo specifico, comprensivo di una serie di interventi assai diversi fra loro. Precisamente si prevedono interventi di carattere poliennale per la prevenzione, l'informazione, la ricerca, la sorveglianza epidemiologica e il sostegno dell'attivita' del volontariato, per i quali tuttavia si rimanda al piano sanitario nazionale e ai finanziamenti all'uopo disposti (lett. a); interventi di costruzione e ristrutturazione di reparti di ricovero per malattie infettive, e di laboratori ospedalieri di virologia, microbiologia e immunologia, con un finanziamento ad hoc attraverso mutui della BEI e di altri istituti di credito (lett. b, e quinto comma); assunzione di personale medico, infermieristico e tecnico nei reparti di malattie infettive e nei laboratori (lett. c) nonche' nei servizi di assistenza ai tossicodipendenti (lett. e) e nei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale (lett. f), finanziata con quote vincolate allo scopo del fondo sanitario nazionale (sesto comma); corsi di formazione e di aggiornamento professionale (lett. d), anch'essi finanziati con quote vincolate del fondo sanitario nazionale (sesto comma); infine potenziamento degli organici dell'Istituto superiore di sanita' (lett. g e settimo comma: al cui proposito, evidentemente, la ricorrente non ha titolo ne' interesse a dolersi). Gia' in questo ventaglio di interventi e' palese l'introduzione di elementi di illegittima compressione delle competenze regionali e provinciali, in tema di costruzione di strutture ospedaliere, di organici e assunzioni di personale, di formazione professionale (lettere b, c, d, e, f). E' ben vero che i successivi artt. 3 e 9 prevedono in tali materie dei programmi o delle proposte regionali o provinciali (con disposizioni le quali, come si vedra', non appaiono pero' rispettose dell'autonomia delle regioni e delle provine autonome). Ma proprio la qualificazione del piano - sancita dall'art. 1 - come "piano ministeriale predisposto dalla commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS", e l'assenza di precise statuizioni procedurali, rendono palese come non vi sia alcuna garanzia che i programmi regionali vengano rispettati, sia pure coordinandoli, nelle decisioni degli organi centrali, le quali sono, secondo le previsioni della legge, suscettibili di sovrapporsi alle proposte regionali discostandosi da esse. Il quinto comma dell'art. 1 prevede che le somme provenienti dai mutui siano iscritte nello stato di previsione del Ministero della sanita'; e che gli oneri di ammortamento, stimati in 250 miliardi annui, siano fronteggiati "in relazione alla mancata utilizzazione della quota di lire 3.000 miliardi autorizzata per il 1988 dal quinto comma dell'art. 20 della legge 11 marzo 1988, n. 67" (quinto comma). Ora, poiche' tale art. 20, quinto comma, prevede il finanziamento di programmi regionali di investimento nel settore dell'edilizia ospedaliera, con mutui stipulati dalle regioni e dalle province autonome con oneri a carico dello Stato (sesto comma dello stesso art. 20), cio' significa in pratica che la nuova legge sottrae alle regioni e alle province autonome il finanziamento loro attribuito dalla legge n. 67/1988, per destinarlo ad una spesa, nello stesso settore di competenza regionale e provinciale, effettuata direttamente dallo Stato e gestita da organi statali: nel che si concreta una ulteriore palese violazione dell'autonomia finanziaria e programmatoria delle regioni e delle province autonome. Per quanto riguarda in particolare la ricorrente provincia autonoma di Trento, la predetta previsione di spesa viola altresi' le disposizioni statutarie e di attuazione secondo cui tali somme dovrebbero essere attribuite alle province autonome senza vincolo di destinazione o con vincoli soli di settore. Infatti ai sensi dell'art. 78 dello statuto speciale, come modificato dall'art. 4 della legge 30 novembre 1989, n. 386, e' devoluta alle province autonome una quota dell'Iva nella cui determinazione si tiene conto anche delle spese per gli interventi generali dello Stato disposti nella restante parte del territorio nazionale nei settori di competenza provinciale; e la devoluzione avviene senza vincolo di destinazione a scopi determinati. Ai sensi dell'art. 5 della legge n. 386/1989 i finanziamenti recati da leggi statali in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni sono assegnati alle province autonome "per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore"; e per l'assegnazione e l'erogazione di tali finanziamenti "si prescinde da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri e delle quote di riparto". 3. - I servizi domiciliari e le attivita' di ospedale diurno. Il secondo comma dell'art. 1 prevede, sulla base di indirizzi regionali, la graduale attuazione di servizi per il trattamento a domicilio dei soggetti affetti da AIDS e da patologie correlate, anche presso residenze collettive o case alloggio. Fin qui nulla da dire: si tratta di un'opportuna innovazione concernente le prestazioni del servizio sanitario nazionale utili per combattere l'AIDS. Ma tali servizi, nonche' i relativi organici, sono anzitutto assoggettati ad un atto di indirizzo e coordinamento che dovra' stabilire "criteri uniformi" per l'attivazione dei servizi e sugli organici relativi (terzo comma, in fine). Poiche' nulla dice la legge quanto al contenuto di tale atto di indirizzo, limitandosi a prevedere che esso detti "criteri uniformi", senza dettare alcuna prescrizione atta a delimitare l'uso della potesta' di indirizzo, appare palese la violazione dei principi di legalita' e di riserva di legge che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, devono essere rispettati nel disciplinare l'esercizio della potesta' di indirizzo e coordinamento. Per di piu', la' dove si prevede la realizzazione di residenze collettive e di case alloggio per il trattamento domiciliare, con ricorso a istituzioni di volontariato o ad organizzazioni assistenziali all'uopo convenzionate o con personale infermieristico convenzionato, si stabilisce che le "modalita' di convenzionamento" siano "definite da un apposito decreto ministeriale". In tal modo si affida sostanzialmente al Ministro, senza alcuna prefissione di criteri e dunque in piena violazione dei principi di legalita' e di riserva di legge, la disciplina di tali convenzioni e delle relative attivita' (secondo comma, in fine). Parimenti, nulla da dire circa la previsione del terzo comma concernente la realizzazione di spazi per l'attivita' di ospedale diurno; ma ancora una volta l'attivazione di tale forma di assistenza a ciclo diurno negli ospedali e' assoggettata all'atto di indirizzo che dovra' dettare "criteri uniformi", sempre in assenza di linee guida stabilite dalla legge e pertanto in violazione ulteriore dei richiamati principi di legalita' e riserva di legge. 4. - Gli interventi in materia di costruzioni. Gli artt. 2 e 3 della legge, al fine della realizzazione di nuove "strutture ospedaliere per malattie infettive", introducono, sia per quanto attiene alla localizzazione delle opere e all'approvazione dei progetti, sia per quanto attiene all'esecuzione delle opere stesse, procedure del tutto atipiche, caratterizzate da determinanti e pressoche' esclusivi poteri degli organi centrali. L'art. 2, secondo comma, abbozza una parvenza di programmazione affidata alle regioni e alle province autonome, la' dove stabilisce che queste determinino "entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di entrata in vigore" della legge "la distribuzione e la localizzazione degli interventi di ristrutturazione edilizia e di edificazione di nuove strutture per malattie infettive". Il termine e' di una brevita' tale da rendere praticamente impossibile una seria adozione di programmazione (ecco perche' abbiamo parlato di parvenza di programmazione regionale). La chiave dell'anomalo procedimento sta in realta' pero' nell'ultima parte del secondo comma e nel successivo terzo comma. In caso di mancata osservanza del termine perentorio e jugulatorio di trenta giorni "decide sulla materia il Ministro della sanita', sentita in via d'urgenza la commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS" (secondo comma, in fine). Entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge il CIPE, su proposta del Ministro "approva... il programma degli interventi, suddiviso per regioni e province autonome e con l'indicazione delle localizzazioni e del dimensionamento delle strutture da realizzare". Il che significa, in buona sostanza, che il Ministro, con l'avallo del CIPE, decide localizzazioni, tipologie e dimensioni delle strutture, con totale esproprio delle competenze regionali e provinciali in materia di edilizia ospedaliera. La cosa e' tanto piu' grave, in quanto si tratta di opere che non presentano affatto, di norma, complessi problemi di localizzazione e di progettazione (come puo' accadere, ad esempio, per certe grandi infrastrutture particolarmente onerose sotto il profilo ambientale, quali inceneritori o altri impianti di smaltimento di rifiuti). I reparti sorgeranno, e' da presumersi, come espansione di ospedali esistenti (non e' credibile infatti che si collochino in stabilimenti autonomi), la' dove progetti di espansione presumibilmente sono in qualche modo gia' presenti in quanto praticabili. Sarebbe bastato, dunque, per agevolare il conseguimento dell'obiettivo perseguito dal legislatore, disporre dei finanziamenti, assegnando a ciascuna regione o provincia autonoma precisi obiettivi in termini di posti letto e di strutture di assistenza, e lasciando poi agli enti di autonomia il compito di provvedere alla localizzazione, alle scelte di priorita', alla individuazione dei caratteri concreti dell'intervento. Invece si e' seguita l'assurda strada del sostanziale esproprio di competenze, accentrando ogni potere di decisione non solo - come sarebbe forse stato ammissibile - sugli obiettivi e sugli standards, ma altresi' sulle localizzazioni e sulla conformazione concreta delle strutture da realizzare. L'esproprio delle competenze regionali e provinciali e delle stesse competenze delle u.s.l. in tema di edilizia ospedaliera raggiunge il culmine con le previsioni del terzo, quarto, quinto, sesto e settimo comma dello stesso art. 2. Il CIPE non si limita a localizzare e dimensionare gli interventi, con l'effetto di dichiarazione di pubblica utilita', indifferibilita' e urgenza delle opere relative, ma sceglie altresi' uno o piu' "concessionari di servizi" a cui affidare i "compiti organizzativi afferenti all'esecuzione del programma" (terzo comma). Tali compiti consistono nel "compimento di tutte le operazioni preliminari, ivi compresi gli studi geologici e le espropriazioni"; nella "redazione dei progetti"; nella "assistenza ed istruttoria relativa agli appalti"; nella "direzione dei lavori"; nella "contabilita'" e nella "assistenza fino ai collaudi" (quarto comma). Non ci vuole molto ad accorgersi che il concessionario si sostituisce in sostanza, per conto del Ministro della sanita', alla stazione appaltante in tutti i suoi compiti tecnico-amministrativi. Tali concessionari (ecco un'altra chiave per comprendere il "sistema" della legge) operano in base a una convenzione "stipulata dal Ministro della sanita' sentito il Ministro dei lavori pubblici" (terzo comma, in fine). Poiche' mai, al fine della realizzazione, sia pure in via d'urgenza, di strutture ospedaliere, sia necessario sostituire il Ministro (attraverso suoi anomali "concessionari di servizio") agli organi ordinariamente competenti delle regioni e delle province autonome e delle u.s.l., resta un mistero, che si spiega solo alla luce dell'assurda e incostituzionale logica centralizzatrice cui la legge si ispira. Non ci si limita infatti, si badi, a consentire o a prescrivere procedure di urgenza o semplificate; ma si sostituiscono i soggetti competenti, e si sposta ogni potere decisorio e perfino istruttorio al centro. Ma non basta ancora. La valutazione dei progetti "per quanto concerne gli aspetti tecnico-sanitari" oltre che "di coerenza con il programma nazionale", nonche' - addirittura - la "congruita' della soluzione", i "prezzi applicati", le "singole categorie di opere" e i "tempi di realizzazione", e' rimessa ad altro organismo centrale, vale a dire al nucleo di valutazione di cui all'art. 20, secondo comma, della legge 11 marzo 1988, n. 67 (quinto comma). Per i contratti di appalto non ci si accontenta di imporre le modalita' di scelta dei contraenti e il contenuto dei contratti medesimi, comprensivi di tutte le opere e forniture necessarie per il funzionamento delle strutture, incluse le attrezzature e gli arredi (sesto comma, ultimo periodo), ma si impone la partecipazione di un rappresentante del Ministero della sanita' e di uno del Ministero dei lavori pubblici alle commissioni giudicatrici delle gare, si prevede la nomina delle commissioni di collaudo ad opera del Ministro dei lavori pubblici di concerto con quello della sanita', e si attribuisce agli stessi Ministri "l'esercizio delle funzioni di alta sorveglianza". L'esproprio - del tutto ingiustificato in fatto, oltre tutto delle competenze regionali e provinciali in tema di lavori pubblici e in particolare di edilizia ospedaliera non potrebbe essere piu' totale e piu' brutale. I profili di incostituzionalita' di questa disciplina sono palesi. Sono violate non solo l'autonomia programmatoria e di spesa delle regioni e delle province autonome attraverso l'esecuzione, in sostanza, di interventi diretti di spesa dello Stato nel campo dell'edilizia ospedaliera, ma anche l'autonomia legislativa regionale e provinciale in materia di lavori pubblici, prescrivendo direttamente le procedure di programmazione e di realizzazione delle opere, e l'autonomia amministrativa delle stesse regioni e province autonome, attraverso la sottrazione ad esse, per affidarle volta a volta ai Ministri della sanita' e dei lavori pubblici, ai concessionari convenzionati col Ministero della sanita', e al nucleo centrale di valutazione, di tutti i poteri significativi nell'ambito delle procedure di esecuzione delle opere, nonche' la diretta sorveglianza ministeriale dei lavori e addirittura l'ingerenza ministeriale nelle commissioni giudicatrici delle gare d'appalto. L'unica - come si e' detto - parvenza di potere programmatorio regionale e provinciale e' vanificata, da un lato, dalla brevita' del termine prefisso e dal sostanziale assorbimento delle determinazioni regionali e provinciali nelle successive e determinanti decisioni del CIPE e del Ministero. Alla brevita' del termine assegnato alle regioni e province autonome si accompagna poi la previsione di un potere sostitutivo del Ministro che non risponde, ne' sotto il profilo procedurale ne' sotto il profilo sostanziale, ai criteri individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ad esempio la sentenza n. 177/1988), e in particolare alle esigenze discendenti dal criterio di leale cooperazione. Da un lato infatti, sotto il profilo procedurale, non e' previsto alcun meccanismo di previa diffida, ne' alcuna concertazione con organi diversi da quelli interni al Ministero della sanita'. Dall'altro lato, sotto il profilo sostanziale, non si e' in presenza di adempimenti vincolati nel quomodo, e afferenti alla realizzazione di interessi non localizzati e non frazionabili. Il contenuto "espropriativo" di competenze regionali e provinciali, proprio di tale disciplina, e' particolarmente evidente e grave, poi, la' dove si affidano compiti, che spetterebbero agli organi regionali, provinciali e locali, nemmeno a organi dell'amministrazione centrale, ma a soggetti privati "concessionari", con una applicazione dell'istituto della concessione del tutto anomala, in quanto afferente non a compiti di realizzazione o gestione di opere, bensi' ai compiti tipici della pubblica amministrazione (espropriazioni, istruttoria relativa agli appalti, direzione dei lavori, ecc.). La violazione delle competenze della ricorrente provincia autonoma di Trento e' ancora piu' grave, tenuto conto del fatto che la provincia ha disciplinato con propria legge l'attivita' di costruzione e ristrutturazione di beni immobili destinati alle esigenze del servizio sanitario, stabilendo che all'acquisizione di nuovi beni immobili e mobili provvede la Provincia, e che la stessa provincia "provvede all'espletamento delle attivita' tecnico-amministrative concernenti la costruzione, la sistemazione, la ristrutturazione, il restauro e la manutenzione straordinaria dei beni immobili di sua proprieta' assegnati in uso alle unita' sanitarie locali per le esigenze del servizio sanitario provinciale", eventualmente avvalendosi delle unita' sanitarie locali e attribuendo in tal caso alle stesse il relativo finanziamento (art. 33, decimo e undicesimo comma, testo unico delle disposizioni contenute nella legge provinciale 6 dicembre 1980, n. 33, concernente "disciplina del servizio sanitario provinciale", e successive modificazioni). Ulteriori gravissime menomazioni delle competenze regionali e provinciali discendono dalle disposizioni dell'art. 3. Sempre sotto il pretesto di consentire l'"immediata realizzazione" degli interventi di costruzione di strutture, si prevede la convocazione, ad opera del Ministro della sanita', d'intesa con ciascuna regione o provincia autonoma, di un'apposita conferenza cui partecipano tutti gli uffici di amministrazioni statali, regionali, provinciali o locali competenti, ad assumere atti di intesa, autorizzazioni, approvazioni, concessioni e nulla osta previsti da leggi "statali e regionali" per la esecuzione delle opere. Spetta alla conferenza acquisire e valutare "tutti gli elementi relativi alla compatibilita' dei progetti con le esigenze ambientali, territoriali, paesaggistiche e culturali"; l'approvazione unanime della conferenza "sostituisce ad ogni effetto gli atti di intesa, i pareri, le autorizzazioni, le approvazioni, i nulla osta previsti dalle leggi statali e regionali", ed ha effetti di variante dello strumento urbanistico in caso di non conformita' ad esso (tale infatti e' la disciplina prevista dall'art. 1, primo, quarto e quinto comma, della legge 3 gennaio 1978, n. 1, cui si fa rinvio). L'esame e la pronuncia, si badi, devono intervenire "entro quindici giorni dalla convocazione" della conferenza³ (secondo comma). Anche qui l'assurda brevita' del termine, tale da svuotare di significato la stessa conferenza, e' palese. La chiave per comprendere il meccanismo sta ancora una volta nella previsione del potere sostitutivo. Nel caso infatti in cui, entro il termine jugulatorio assegnato, non si verifichi l'unanimita' dei partecipanti alla conferenza, la legge prevede che su richiesta del Ministro della sanita' si provveda "con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, previa deliberazione del consiglio medesimo": e che tale decreto abbia "gli stessi effetti previsti dal terzo comma", e cioe' sostituisca ad ogni effetto intese, pareri, autorizzazioni, approvazioni, nulla osta previsti da leggi statali e regionali, ed abbia effetti di variante dello strumento urbanistico. Unico temperamento, la disposta inderogabilita' (oltre che delle disposizioni anti-mafia) dei vincoli di inedificabilita' e delle "prescrizioni sostanziali" contenute in vincoli previsti dalla legge in materia paesaggistica, ambientale e storico-monumentale. Ma, si badi, delle sole prescrizioni sostanziali: non dunque delle previsioni di necessarie autorizzazioni, come quelle - di competenza regionale e provinciale - previste dalla legislazione paesistica (art. 7 legge n. 1497/1939): il che significa che il decreto del Presidente del Consiglio sostituisce anche l'autorizzazione paesistica, e puo' quindi prevalere su di una valutazione concreta di non compatibilita' del progetto con le esigenze di tutela paesaggistica, espressa dal competente organo regionale o provinciale nella conferenza, a meno che tale valutazione non riguardi un'area ove il vincolo prevede l'assuluta inedificabilita' o non sia sorretta da "prescrizioni sostanziali" contenute nel vincolo. Poiche', come e' noto, il vincolo paesistico non si sostanzia di norma in divieti assoluti di edificare (previsti solo su alcune aree dall'art. 1- ter della legge n. 431/1985) ne' in prescrizioni sostanziali, bensi' nell'assoggettamento di ogni intervento al consenso dell'autorita' preposta alla tutela del vincolo (art. 7 legge n. 1497/1939), risulta evidente come anche le esigenze di tutela paesistica e le competenze regionali e provinciali in questa materia (oltre che in materia urbanistica e ambientale) siano completamente svuotate, destinate come sono ad essere scavalcate dal decreto del Presidente del Consiglio, su richiesta del Ministro della sanita' e delibera del Consiglio dei Ministri. Particolarmente grave e' poi la previsione di una efficacia di deroga al piano regolatore attribuita all'atto statale di approvazione. In tal modo il Governo - ai fini, si badi, non della esecuzione di un'opera pubblica di competenza statale, ma di un'opera di competenza regionale - si sovrappone unilateralmente all'esercizio dei poteri regionali e provinciali di approvazione degli strumenti urbanistici e di autorizzazione agli interventi in deroga a questi ultimi (infatti il decreto sostituisce ad ogni effetto anche tutti gli atti di competenza regionale o provinciale). La violazione delle competenze regionali e provinciali in tema di urbanistica, ambiente, paesaggio e lavori pubblici non potrebbe essere piu' palese. 5. - Gli interventi in materia di assunzione di personale. L'art. 4 della legge prevede procedimenti derogatori per l'assunzione di personale medico e non medico nelle strutture di ricovero per malatie infettive, nei laboratori, nei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale, in altri reparti prevalentemente impegnati nell'assistenza ai casi di AIDS. Tali procedure prevedono volta a volta selezioni regionali per titoli a cura di una apposita commissione (primo comma), pubbliche selezioni per titoli presso le singole u.s.l. (secondo comma), assunzioni per chiamata diretta di infermieri con rapporto di lavoro a tempo parziale e con contratti di diritto privato a tempo determinato (quinto e sesto comma). Ancora una volta non si capisce perche' vi sia il bisogno di ricorrere a procedure speciali, anziche' limitarsi a finanziare i nuovi oneri di personale, tanto piu' che le assunzioni devono avvenire a copertura di posti in organico e "la graduale attuazione degli standards" di cui al d.m. 13 settembre 1988 (art. 1, lett. c). Fin qui, tuttavia, le regioni e le province autonome potrebbero lamentare essenzialmente solo gli inconvenienti recati dalla sovrapposizione di procedure straordinarie alle procedure ordinarie tuttora previste; oltre alla immancabile interferenza del Ministro della sanita' nella nomina di un componente della commissione per le pubbliche selezioni del personale medico (primo comma, prima parte). Ma, ancora una volta, la vera portata di queste norme si annida nella previsione di controlli sostitutivi statali nel caso in cui le regioni e le province autonome non provvedano entro termini di una ristrettezza incredibile. Infatti l'art. 4, primo comma, ultima parte, prevede che il bando per la prima selezione di personale medico sia emanato entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della legge, e che, in caso di inadempienza, si applichi "il disposto di cui al secondo comma dell'art. 6 della legge 23 ottobre 1985, n. 595", cioe' l'intervento sostitutivo del Governo: intervento che non appare conforme ai presupposti in presenza dei quali questa Corte ha ammesso la legittimita' dei poteri sostitutivi statali in materie di competenza regionale e provinciale, e specificamente dell'art. 6 della legge n. 595/1985 (sentenze nn. 177/1988 e 294/1986), trattandosi di attivita' del tutto ordinaria di copertura di organici e non di adempimenti vincolanti necessari per perseguimento di scopi essenziali della programmazione nazionale. Piu' in generale l'art. 9, primo comma, della legge stabilisce che le regioni e le province autonome predispongano "i programmi per le attivita'" di cui all'art. 1, primo comma, lettere (fra l'altro) c, e ed f (relativi cioe' all'assunzione di personale nelle strutture di ricovero per malattie infettive e nei laboratori, nei servizi per tossicodipendenti, nei servizi multizonali per le malattie a trasmissione sessuale). A parte il mancato coordinamento di tale termine con quello (identico) imposto per l'emanazione del bando per la prima selezione di personale medico e laureato nelle strutture di ricovero e nei laboratori, ai sensi dell'art. 4, primo comma, ultima parte, il contenuto apertamente lesivo di queste disposizioni emerge dalla previsione di cui all'art. 9, primo comma, seconda parte, secondo cui, decorso detto termine senza che siano stati adottati dalle regioni e province autonome i programmi, "il Ministro della sanita' procede alla nomina di commissari per il compimento degli atti necessari". La competenza "programmatoria" delle regioni e delle province autonome (chiamate formalmente ad adottare "programmi" dall'art. 9, primo comma, prima parte) e' dunque ridotta alla stregua di adempimenti vincolati, quali essi certamente non sono, almeno quanto al contenuto, e per i quali si prevede addirittura la nomina di commissari ad acta³ E' palese l'assenza dei presupposti e delle condizioni alle quali la giurisprudenza di questa Corte subordina la legittimita' dei poteri sostitutivi stabiliti nei confronti delle regioni e delle province autonome: l'esistenza di adempimenti vincolati necessari per la soddisfazione di interessi unitari, la competenza attribuita ad organi di Governo, la previsione di modalita' procedurali conformi al principio di leale cooperazione. 6. - Gli interventi in materia di formazione professionale. L'art. 4, terzo comma, prevede che le u.s.l. organizzino annualmente corsi di formazione e di aggiornamento del personale che opera presso i reparti di malattie infettive. Anche a questo proposito l'art. 9, primo comma, prevede la formazione di programmi regionali o provinciali entro sessanta giorni (termine proco comprensibile con riguardo al carattere annuale dei corsi) e la nomina di commissari "per il compimento degli atti necessari" dopo il decorso di tale termine. In proposito valgono interamente le considerazioni gia' svolte a proposito dei poteri sostitutivi in materia di assunzione di personale, con l'aggravante che la materia della formazione e dell'aggiornamento professionale del personale e' di piena competenza anche normativa delle regioni e delle province autonome. Ma c'e' di piu'. In spregio della competenza normativa e amministrativa regionale e provinciale, la legge demanda ad un decreto del Ministro, emanato sentito il solo consiglio sanitario nazionale, la disciplina della "istituzione" e della "effettuazione" dei corsi, da tenersi fuori dell'orario di servizio e con obbligo di frequenza (art. 1, primo comma, lett. d), nonche' la determinazione delle modalita' di erogazione dell'assegno (di lire 4 milioni lordi annui: art. 1, primo comma, lett. d) da corrispondere ai partecipanti (art. 4, terzo comma, ultima parte). Tale ingerenza ministeriale e' del tutto illegittima, e oltre tutto non ha alcuna giustificazione pratica. 7. - I "centri di riferimento". L'art. 9, secondo comma, della legge prevede che, entro il solito termine di sessanta giorni dalla data della entrata in vigore di questa le regioni e le province autonome istituiscano "centri di riferimento aventi il compito di coordinare l'attivita' dei servizi e delle strutture interessate alla lotta contro l'AIDS, di attuare la sorveglianza epidemiologica e di pianificare gli interventi di informazione e formazione". La responsabilita' dei centri deve essere affidata a personale medico in possesso dell'identita' nazionale per le funzioni di primario di malattie infettive. E' palese, in tale disposizione, la violazione dell'autonomia organizzativa e normativa delle regioni e delle province autonome: i centri debbono essere istituiti dalle regioni o province e non potrebbero quindi essere istituiti a livello di u.s.l. se la regione o la provincia ritenesse cio' piu' opportuno; i loro compiti sono determinati dalla legge; e addirittura si determinano in modo puntuale i requisiti dei responsabili dei centri medesimi. Anche tale disposizione, come le altre indicate, appare dunque illegittima e lesiva dell'autonomia della ricorrente.