Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente Gianfanco Bartolini, rappresentata e difesa dall'avv. Alberto Predieri ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, via G Carducci n. 4, come da mandato a margine del presente atto, giusta delibera g.r. n. 5877 del 2 luglio 1990, contro il presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per l'annullamento degli artt. 14, 15, 17, 19, 21 e 63 della legge n. 142/1990. 1.1. - Nella riorganizzazione delle posizioni e dei rapporti fra regioni e province, enti intermedi fra regini e comunita' (art. 2, terzo comma), attuata dalla legge n. 142/1990, il legislatore ha distribuito in modo diverso funzioni amministrative: lo ha fatto, pero', discostandosi dalla regola posta dall'art. 118, che attribuisce alla competenza regionale le funzioni amministrative nelle materie indicate dall'art. 17, salvo che si tratti di questioni di interesse esclusivamente locale. La normativa in piu' punti e' contraddittoria e irragionevole, da un duplice punto di vista. 1.2. - Per talune delle materie elencate, viene statuito che la competenza provinciale viene attribuita dalle leggi statali e regionali - art. 14 lettere h) e i) - mentre per altre questo riferimento manca: cosicche' si dovrebbe pensare che in questi casi tutta la competenza venga attribuita alle province, con evidente violazione dell'art. 117, dal momento che le materie attribuite alla competenza provinciale sono esattamente le stesse attribuite alle regioni con le stesse formule lessicali (si veda ad es. viabilita', caccia e pesca nelle acque interne) o con formule diverse che si sovrappongono o corrispondono a quelle usate nella costituzione (ad es. le risorse idriche di cui parla l'art. 14 coincidono con gli acquedotti di cui parla l'art. 117 della Costituzione). Si verifica il contrasto fra la norma costituzionale e l'attribuzione generale ad ogni parte del territorio di funzioni che non sono di interesse esclusivamente locale e non possono esserlo, in quanto, ad esempio, il coordinamento e' attivita' che di per se' ontologicamente e' rivolta alla composizone di interessi (questi s/' locali e pertanto in modo costituzionalmente legittimo attribuibili agli enti diversi dalle regioni di cui parla l'art. 118), ma che se viene esteso all'intero territorio della regione come sommatoria di coordinamenti subregionali, sottrae alla regione una sua funzione fondamentale. 1.3 - Dall'altro punto di vista di cui abbiamo fatto cenno, la legge n. 142/1990 non ignora la distinzione fra interesse locale che riguardi talune zone sovracomunali e interesse dell'intero territorio provinciale. Essa pero', pur partendo dal riconoscimento corretto della diversita' dei presupposti, che si puo' inquadrare nella formula costituzionale dell'interesse locale sovracomunale contrapposto a quello dell'intero territorio (formula alla quale si e' attenuta la legislazione della regione ricorrente, che aveva largamente attribuito competenze alle province, rispettando peraltro la volonta' costituzionale nello statuire che esse elaborassero specifici progetti d'intesa con i comuni con riferimento a particolari ambiti territoriali), perviene alla unicita' di regolazione, con attribuzione di competenza alla provincia sia in un caso che nell'altro. Viene vanificata in tal modo la differenza sopra ricordata e viene attribuita la individuazione del presupposto e la scelta non alla legge a cui l'art. 118 riserva l'attribuzione di competenza, ma ad un atto evidentemente non legislativo della provincia stessa (presumibilmente, dev'essere detto, dato che su questo punto, come in molti altri, la legge non e' chiara, propone perplessita' e consente interpretazioni diverse). Dalla lettura del primo comma si trae la conseguenza che potrebbe aversi l'assunzione da parte della provincia di funzioni amministrative non per tutto il territorio provinciale, ma solo per talune zone, lasciando per le altre la competenza alle regioni. Anche in questo caso, pero', la lettura delle norme che porti ad una ripartizione di questo genere, affidata alla stessa scelta della provincia controllata dalla regione, non risulta con chiarezza. Comunque essa viola la riserva di legge statale posta dall'art. 118 della Costituzione, che non consente di procedere all'individuazione degli interessi esclusivamente locali con atti non statali e non legislativi. 2. - Ove questa ripartizione di funzioni non avvenga, e tutte quelle elencate nell'art. 14 vengano per l'intero territorio trasferite alla provincia, essa viene ad assumere funzioni amministrative nelle materie che sono elencate nell'art. 117 della Costituzione, anche con compiti di coordinamento (art. 14.2, art. 15.1. (b), art. 15.2 (c), art. 15.5) e anche di coordinamento tecnico e materiale (art. 14.1. (1), invadendo una funzione che e' tipica della regione e che, come e' stato accennato, non puo' coincidere con un interesse strettamente ed esclusivamente locale. 3.1. - La confusione denunziata investe l'intera elencazione dell'art. 14. Essa si pone tutta in contrasto con la norma costituzionale, sia che si riferisca a funzioni trasferite alle regioni, sia che si riferisca a funzioni delegate; appare evidente particolarmente nella disciplina dell'attivita' pianificatoria che viene posta dall'art. 15, con una collocazione complessiva che appare, a dir poco, dubbia. Infatti, essa e' contenuta in una legge che, secondo l'art. 128, dev'essere una legge generale di principi che deve regolare l'organizzazione degli enti locali, non le singole discipline di settore, che vanno affidate a leggi di settore o alle leggi previste dall'art. 118, primo comma, della Costituzione. La legge n. 142/1990 non puo' invadere le aree di altre leggi che debbono determinare i principi fondamentali della materia a norma dell'art. 117 della Costituzione e dell'art. 118 (e non a quella dell'art. 128, che a queste leggi fa riferimento). Questa distinzione, nella legge n. 142/1990 viene dimenticata, con nuova manifestazione di incertezza, di contraddittorieta' e di irragionevolezza, perche' le norme non vengono inserite nel quadro delle leggi di settore di cui costituiscono principi, o nelle leggi a peculiare connotazione previste nell'art. 118, ma vengono calate al di fuori di quei subsistemi normativi in una legge che, invece, deve proporsi contenuti e finalita' diverse, qual'e' quella prevista dall'art. 128 della Costituzione. E' emblematica, sotto questo profilo, la regolazione della pianificazione territoriale posta dall'art. 15 della legge, in cui vengono stabiliti principi che debbono regolare la materia urbanistica (che non e' elencata fra quelle individuate dall'art. 14), mentre tali principi non vengono posti nelle materie elencate nell'art. 14. Con cio' non si vuol dire che quest'ultimo possa apparire piu' rispettoso della costituzione, perche' resta il contrasto con la norma dell'art. 117 per le ragioni gia' accennate, mentre l'art. 15 appare in conflitto tanto con l'art. 117 della Costituzione quanto con l'art. 128. 3.2. - L'art. 15 attribuisce funzioni previste dall'art. 117 al di fuori di qualsiasi connotazione di interesse esclusivamente locale, con una sottrazione di compiti attribuiti dalla costituzione alle regioni. Infatti, poiche' le competenze dei comuni restano ferme per esplicita disposizione della legge, quelle della regione di necessita' vengono diminuite. Di per se' questo spostamento potrebbe essere non illegittimo, purche' sia conforme alle norme costituzionali: il che - invece - non e', come e' stato detto e meglio sviluppato, anche per il riferimento insistito all'attivita' di coordinamento. L'art. 15 prevede come necessario in ogni provincia un piano territoriale di cordinamento secondo il modello posto dall'art. 5 della legge urbanistica. Tale piano investe l'intero territorio (e trascende quindi interessi esclusivamente locali). La collocazione di questo piano nel sistema dei piani territoriali e delle fonti urbanistiche non e' ben definita dalla legge. Un tale piano sottrae al piano territoriale regionale o agli strumenti di pianificazione regionali (che possono essere istituiti o regolati dalle regioni anche in modo diverso da quello previsto nelle leggi statali, sempre - ben s'intende - con il rispetto dei principi fondamentali: e in parte nella regione Toscana sono stati regolati in tal modo, con una articolazione del quadro di coordinamento - art. 2 della legge Toscana n. 74/1984 modificato dall'art. 7 della legge Toscana n. 4/1990 - con una serie di atti tutti aventi efficacia di piani di coordinamento e che oggi vengono a trovarsi in posizione che puo' apparire lessicamente uguale a quella dei piani provinciali, il che non e' ammissibile) aree operative, acquistando - sembra (anche qui la legge e' poco chiara) - forza e valore di norma sovraordinata rispetto ai piani comunali e all'attivita' di ogni ente e amministrazione pubblica - art. 15, sesto comma - tanto se essa sia fornita di competenza pianificatoria, quanto se non lo sia, sia se si limiti ad atti provvedimentali, mentre per quanto riguarda le relazioni con gli strumenti pianificatori regionali la legge n. 142/1990 e' ancor meno chiara ed elusiva. Essa non parla mai di piani regionali, nonostante l'abbondanza di norme (legge Lombardia n. 51/1975; legge Emilia-Romagna n. 47/1978 e successive modifiche e integrazioni; legge Puglia n. 56/1980; legge Veneto n. 61/1985; legge Umbria n. 40/1975; legge Piemonte n. 56/1977 e successive modifiche e integrazioni; legge Liguria n. 39/1984; legge Toscana n. 74/1984 e successive modifiche e integrazioni; legge Abruzzo n. 18/1983; legge Basilicata n. 12/1983) e di riferimenti a questo istituto. Si limita ad affermare o riaffermare - si potrebbe dire, data l'ovvieta' - nell'art. 15, terzo comma, che va verificata la conformita' agli indirizzi regionali di programmazione socio-economica e territoriale del piano territoriale provinciale, statuendo che esso, cosi' come i programmi, vanno trasmessi alle regioni per accertare la rispondenza di cui sopra. L'art. 15 della legge n. 142/1990 potrebbe sottrarsi alla censura di illegittimita' costituzionale solo se dalla formula ora ricordata dovesse essere ricavata l'affermazione della necessaria subordinazione del piano (o dei programmi) provinciali agli atti di pianificazione e di programmazione regionale e la collocazione degli strumenti programmatori provinciali in una scala che li colloca al posto intermedio, senza alterare la posizione di supremazia dei piani e programmi regionali in tutte le materie attribuite alla regione (che non sono solo quelle di cui parla il primo comma dell'art. 15), o anche nelle materie delegate e quindi con riferimento anche a quelle che, pur avendo importanza cospicua per il territorio, non rientrano nella configurazione del piano territoriale di antico stampo accolta nell'art. 15 (mentre la realta' normativa e operativa si e' ampliata ad altri piani, ad es. paesistici, di tutela di valori paesistici, dei porti e degli approdi turistici, dello smaltimento di rifiuti solidi, di bacino a livello regionale di cui alla legge n. 183/1989, i quali costituiscono oggetto di previsioni della legislazione regionale - art. 8 della legge Toscana n. 9/1990 mentre la legge n. 142/1990 sembra non tener alcun conto dei problemi e delle funzioni di tutela dei valori paesistici che pure formano oggetto di leggi della regione ricorrente). L'ordine costituzionale, pur nelle violazioni delle regole dell'art. 128 e 117, potrebbe essere allora considerato rispettato, almeno per queste linee essenziali, senza, peraltro, che cio' comporti la legittimita' della configurazione del piano ultralocale. 4. - Ulteriore manifestazione di incertezza, irragionevolezza e contraddittorieta', che comporta lesione di competenze regionali costituzionalmente garantite, si manifesta nelle disposizioni contenute nell'art. 14, primo comma, lett. g), della legge n. 142/1990, nella parte in cui attribuisce alla provincia competenze in tema di smaltimento rifiuti. L'art. 14, primo comma, lett. g), parla in particolare di "organizzazione dello smaltimento dei rifiuti" spettante alla provincia per il livello provinciale dell'attivita' considerata. Esso non chiarisce pero' se tale organizzazione debba comportate l'adozione e l'approvazione di un piano per lo smaltimento (che il d.P.R. n. 915/1982 prevedeva come tipico del livello regionale delle competenze in materia di rifiuti, e che numerose leggi regionali, e in Toscana in particolare la legge n. 65/1984, traducevano in specifiche disposizioni), anche se sembra difficile pensare che l'attivita' di organizzazione escluda anche un momento pianificatorio; e non chiarisce neppure che implicazioni abbia l'attribuzione di competenza organizzatoria alle province sulla pianificazione regionale in materia e sulla capacita' di tale pianificazione di influire direttamente sulla pianificazione specificamente urbanistica e territoriale, dal momento che in virtu' dell'art. 6 della legge Toscana n. 65/1984 l'approvazione del piano regionale di smaltimento rifiuti ha per effetto di imporre ai comuni l'adozione di varianti ai propri strumenti urbanistici, con procedure accelerate, per localizzare - nelle zone indicate dal piano regionale - i siti idonei alla realizzazione degli impianti di trattamento, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti che, viceversa, una pianificazione provinciale non prevista non potrebbe comportare, con un evidente irragionevole regresso nella cura degli interessi. 5. - Se per l'art. 15 puo' essere pensabile una interpretazione che salvi la norma di legge, ammettendo fra le varie letture quella che non e' in contrasto con le norme costituzionali, piu' difficile appare il superamento del conflitto con l'art. 128 che si ritrova nell'art. 63 in relazione all'art. 16. Nell'art. 63 viene prevista una delega al Governo per l'istituzione delle nuove province, tanto se essa sia necessaria conseguenza della delimitazione territoriale delle aree metropolitane effettuata dalla regione (art. 63, primo comma), quanto se si riferisca alla istituzione di nuove province (art. 63, secondo comma). La delega riguarda una legge che puo' apparire come legge provvedimento, che certamente non e' legge generale, non riguarda quei principi di cui parla l'art. 128: cosicche' appare illegittima per il conflitto con l'art. 128 della Costituzione e per la lesione alle competenze regionali previste dall'art. 117 e chiarite dalle norme interposte che la stessa legge nell'art. 16 riafferma, allorquando attribuisce alle regioni precise funzioni di determinazione delle aree metropolitane. Rispondere che l'art. 133 della Costituzione parla di una legge statale per la istituzione di nuove province, significherebbe dimenticare che cio' e' previsto allorquando vi sia iniziativa dei comuni. Quando essa manchi, la deroga all'art. 128 (e cioe' il riferimento alla legge generale) non trova i suoi presupposti e deve riprendere la disciplina generale, con esclusione di leggi speciali. Comunque, dal momento che la legge nell'art. 16 statuisce che la determinazione dei confini territoriali delle province metropolitane e' riservata alle regioni, e la stessa legge prevede che gli statuti delle province metropolitane sono approvati secondo le modalita' degli statuti delle province, la legge n. 142/1990 nell'art. 63 - nel prevedere un'attribuzione di poteri al Governo (se essa dev'essere interpretata come attribuzione di un potere discrezionale, o libero - invade le competenze regionali che essa stessa attribuisce negli artt. 16 e 20 e che si riportano all'art. 117 della Costituzione; per di piu', anche questa volta, con una normazione confusa e contraddittoria. Invero, mentre le delimitazioni delle aree metropolitane sono riservate alle regioni, il governo e' delegato ad emanare decreti legislativi per la costituzione delle autorita' metropolitane (art. 21) e, insieme, decreti per la revisione delle circoscrizioni e la istituzione di nuove province, conseguenti alla istituzione di aree metropolitane (art. 62, primo comma) o non conseguenti (art. 63, secondo comma), con una discrezionalita' che invade le competenze regionali e non trova ragionevole giustificazione. Questo potere indebitamente attribuito al legislatore delegato (in una materia in cui la delegazione legislativa non trova posto) si manifesta (oltre che nella possibilita' insita nella disciplina della delegazione legislativa di non esercitare il potere conferito) nella struttura della legge delegata. Essa viene considerata come tenuta all'osservanza dei criteri direttivi posti dall'art. 16 (con il rischio dell'affermazione che non vada seguita la delimitazione regionale delle aree della provincia metropolitana) e ad essa appare affidato un contenuto libero, che dev'essere esaminato dalle commissioni parlamentari proprio in quanto consenta una loro valutazione, nonche' dalla stessa regione: alla quale peraltro sono affidati compiti vincolati, che comportano atti come quello della delimitazione territoriale che non consentono ne' alla regione, ne' allo Stato, la possibilita' di mutamenti. Ne consegue che la previsione di un decreto caratterizzato dalla discrezionalita' or ora ricordata non appare ragionevole; il decreto, in quanto venga in conflitto con la determinazione regionale, costituisce lesione del complesso di competenze garantite alla regione dalla struttura normativa dell'area metropolitana, sia in relazione alla attribuzione con legge regionale (art. 19, primo comma) di funzioni ai comuni e alla citta' metropolitana (in attuazione dell'art. 117 della Costituzione), sia in relazione al riassetto delle circoscrizioni provinciali (art. 16) e comunali (art. 20). L'attribuzione della delega consente al Governo una scelta che esce al di fuori del sistema e testimonia la contraddittorieta' fra norme della stessa legge.