ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Lazio riapprovata il 31 gennaio 1990 dal Consiglio  regionale  avente
 per  oggetto:  "Iniziative  in  favore  del  personale  che  opera in
 condizioni  di  disagio  presso  gli  uffici  regionali  ubicati   in
 localita'  lontane  dal  centro  abitato",  promosso  con ricorso del
 Presidente del Consiglio dei Ministri, notificato il  2  marzo  1990,
 depositato  in  cancelleria il 10 successivo ed iscritto al n. 17 del
 registro ricorsi 1990;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lazio;
    Udito nell'udienza pubblica del 22 maggio 1990 il Giudice relatore
 Vincenzo Caianiello;
    Uditi l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il ricorrente;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  notificato  il 2 marzo 1990 il Presidente del
 Consiglio dei ministri ha impugnato  la  delibera  legislativa  della
 Regione   Lazio,   approvata   il   16   luglio  1987  e  riapprovata
 nell'identico testo, a seguito del rinvio governativo, a  maggioranza
 assoluta  il  31  gennaio 1990, concernente "iniziative in favore del
 personale che opera in condizioni di disagio presso uffici  regionali
 ubicati in localita' lontane dal centro urbano".
    In   particolare  la  predetta  delibera  legislativa  prevede  la
 corresponsione di un rimborso forfettario per le spese di "trasferta"
 sostenute  dal  personale della Regione in servizio presso uffici (da
 individuarsi da parte della Giunta e dell'Ufficio di  presidenza  del
 Consiglio  regionale,  ciascuno  per la propria competenza) che siano
 ubicati in localita' distanti  almeno  dieci  chilometri  dal  centro
 urbano  e  nelle  quali  non vi sia disponibilita' di alloggi di tipo
 economico e popolare.
    Come  si  evince  dalla  relazione  illustrativa della proposta di
 legge, questa  si  indirizza  in  modo  specifico  ai  dipendenti  in
 servizio presso gli uffici della sede centrale di Via della Pisana, i
 quali, a differenza del  rimanente  personale  regionale  che  presta
 servizio   presso  sedi  ubicate  "all'interno  della  citta'",  sono
 costretti  a  sopportare  una  maggiore  spesa   di   trasporto   per
 raggiungere il luogo di lavoro.
    Il  ricorrente  denuncia  il contrasto della normativa impugnata -
 oltreche' con gli artt. 5 e 81 della Costituzione  (quest'ultimo  per
 la  previsione  della  copertura  della  spesa riferita all'esercizio
 finanziario 1987) - con i principi indicati negli artt. 1,  4  e  11,
 secondo comma, della legge quadro sul pubblico impiego 29 marzo 1983,
 n. 93 e quindi con l'art. 117 della Costituzione, ed inoltre con  gli
 artt.  2  e  3  n.  1  della  predetta  legge  quadro, implicitamente
 richiamati nell'ultima parte dell'atto di rinvio governativo.
    Ad avviso del ricorrente la supposta finalita' perequativa, che la
 normativa impugnata intenderebbe  perseguire,  sarebbe  incompatibile
 con  i richiamati principi vincolanti in materia - che non consentono
 elargizioni aggiuntive al personale dipendente - e non  puo'  trovare
 giustificazione  alcuna  nella  omologa  previsione  di favore per il
 personale dell'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni,
 contenuta  nell'art.  35 della legge 22 dicembre 1981, n. 797, che e'
 precedente all'entrata in vigore della legge quadro sopra richiamata.
    2.  -  Si  e' costituita tardivamente in giudizio la Regione Lazio
 per resistere al ricorso, di cui ha chiesto la reiezione.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri ha impugnato la
 legge  della  Regione  Lazio,  riapprovata,  a  seguito   di   rinvio
 governativo,  in data 31 gennaio 1990, con la quale e' stato disposto
 che  al  personale,  in  servizio  continuativo  presso  gli   uffici
 regionali  ubicati  in  localita' lontane almeno dieci chilometri dal
 centro urbano e dove non vi sia disponibilita'  di  alloggi  di  tipo
 economico  e  popolare,  competa  un rimborso forfettario giornaliero
 delle spese sostenute nella misura prevista dall'art. 8  della  legge
 26 luglio 1978, n. 417.
    Si  sostiene nel ricorso che la normativa impugnata, oltre che con
 gli artt. 5 e 81 della Costituzione, contrasti anche con  i  principi
 indicati dagli artt. 1, 4 e 11, secondo comma, della legge quadro sul
 pubblico impiego 20 marzo 1983, n. 93 e quindi con l'art.  117  della
 Costituzione,  nonche' con l'art. 2 e con l'art. 3, n. 1 della stessa
 legge quadro.
    2.  -  La  questione  sollevata  in riferimento agli artt. 4 e 11,
 secondo  comma,  della  legge  quadro  sul  pubblico  impiego,  norme
 interposte   rispetto  all'art.  117  della  Costituzione,  anch'esso
 invocato dal ricorrente, e' fondata.
    Come  questa  Corte ha costantemente affermato (v. da ultimo sent.
 n. 240 del 1990) le indicate norme della legge  quadro  sul  pubblico
 impiego  stabiliscono  il  principio  - che le regioni sono tenute ad
 osservare   in   sede   di   legislazione   concorrente    -    della
 omogeneizzazione  e  della esaustivita' dei trattamenti economici del
 personale dipendente regionale in relazione  agli  accordi  sindacali
 collettivi,  dal  che  deriva  l'illegittimita'  costituzionale,  per
 violazione  dell'art.  117  della  Costituzione,  di  ogni  tipo   di
 trattamento  economico aggiuntivo disposto per gli impiegati pubblici
 che non trovi  in  detti  accordi  collettivi  un  preciso  punto  di
 riferimento.
    Questa  Corte  non ha mancato invero di precisare (v. sentenze nn.
 38 del 1989, 217 del 1987, 72 del 1985, 290 e 219 del 1984)  che  gli
 accordi  conclusi  secondo la legge-quadro determinano a carico delle
 regioni   un   "vincolo    direttivo    di    massima"    consistente
 nell'obbligatorio  rispetto  della  disciplina  pattizia,  salvi, ove
 occorra, i necessari adeguamenti alle  peculiarita'  dell'ordinamento
 degli  uffici regionali. Non ogni ipotesi di difformita' di contenuto
 tra le relative discipline si  traduce,  quindi,  di  per  se'  nella
 violazione  del  principio  fondamentale  della legislazione e quindi
 dell'art. 117 della Costituzione, ma, come e'  stato  chiarito  nella
 sentenza  n.  38  del 1989, tale contrasto deve ravvisarsi quando "si
 tratti di modifiche  ed  integrazioni  che  esulano  dall'ambito  del
 necessario   adeguamento   del  contenuto  dell'accordo  ad  esigenze
 peculiari della regione interessata".
    Nella  specie non puo' revocarsi in dubbio che da nessuna clausola
 degli accordi e'  possibile  desumere  il  principio  della  autonoma
 retribuibilita'  del  "disagio"  conseguente  alla  ubicazione  degli
 uffici ove si presta servizio.
    La  legge  regionale  impugnata,  nel  disporre  un  tale  tipo di
 compenso, ha introdotto percio' una voce  nuova  rispetto  al  regime
 pattizio  delle  retribuzioni,  che  non trova in esso alcun punto di
 riferimento,  e  quindi  il  contenuto  della  legge   impugnata   e'
 completamente  al  di  fuori  di  quelle  ipotesi di "adeguamento" ad
 esigenze peculiari della  regione,  dovendosi  considerare  che  tale
 punto  di  riferimento  dovrebbe  sussistere  negli  accordi non solo
 tipologicamente ma anche per rendere possibile  l'individuazione  dei
 criteri  in  base  ai quali le regioni, nello statuire un determinato
 tipo  di  compenso,  possano  fissarne  in  modo  non  arbitrario  la
 ricorrenza dei presupposti.
    In  proposito  la  relazione  che  accompagna  il disegno di legge
 regionale fa riferimento ad un analogo compenso,  previsto  dall'art.
 35 della legge dello Stato 22 dicembre 1981, n. 797, per il personale
 delle poste e delle telecomunicazioni che presta servizio in  "uffici
 ubicati  in  localita' lontane dal centro urbano". Il richiamo e' del
 tutto inconferente perche' si tratta di un compenso stabilito in  una
 legge  anteriore  alla  legge-quadro e quindi agli accordi collettivi
 vigenti, i quali - nonostante  la  preesistenza  di  tale  previsione
 derogatoria  di  un "particolare" (come e' espressamente definito nel
 citato art. 35 della legge n. 797 del 1981) trattamento, concesso  ad
 una  determinata  categoria  di  personale statale, in relazione alla
 ubicazione degli uffici - non contengono  alcun  elemento  dal  quale
 possa  desumersi  che  quella  deroga  assurga  a  generale  criterio
 retributivo dei  dipendenti  pubblici.  Cio'  conferma  il  carattere
 innovativo  della legge regionale impugnata e quindi il suo contrasto
 con l'art. 117 della  Costituzione,  per  violazione  delle  invocate
 norme interposte della legge-quadro sul pubblico impiego.
    3.  -  L'accoglimento  del  ricorso  sotto tale assorbente profilo
 esonera  dall'esame  delle  censure  riferite  ad   altri   parametri
 costituzionali.