ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 20, comma primo,
 lett. c), ultima parte, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in
 materia  di  controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni,
 recupero e sanatoria delle opere edilizie), promossi con le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa  il 5 dicembre 1989 dal Pretore di Orvieto
 nel procedimento penale  a  carico  di  Bazzica  Giuseppe  ed  altri,
 iscritta  al  n.  196  del registro ordinanze 1990 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  18,  prima  serie  speciale
 dell'anno 1990;
      2) ordinanza emessa il 31 gennaio 1990 dal Pretore di Nardo' nel
 procedimento penale a carico di De Benedittis Grazia Teresa, iscritta
 al  n.  216  del  registro ordinanze 1990 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n.  19,  prima  serie  speciale  dell'anno
 1990;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 26 giugno 1990 il Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
   Ritenuto  che  il  Pretore  di  Orvieto,  nel procedimento penale a
 carico di Giuseppe Bazzica ed altri, imputati  della  contravvenzione
 prevista  dall'art. 20, primo comma, lett. c) della legge 28 febbraio
 1985,  n.  47  (Norme  in   materia   di   controllo   dell'attivita'
 urbanistico-edilizia,  sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle opere
 edilizie),  per  avere,  senza   concessione   edilizia,   modificato
 l'aspetto  esteriore  di un fabbricato e realizzato un vano interrato
 in contrasto con le norme del piano regolatore in zona  sottoposta  a
 vincolo  paesistico,  ha  sollevato,  con  ordinanza (R.O. n. 196 del
 1989)  emessa  il  5  dicembre  1989,   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della
 Costituzione, dell'art. 20, primo  comma,  lett.  c),  ultima  parte,
 della citata legge n. 47 del 1985;
      che  ad  avviso dell'autorita' remittente, l'elevata entita' del
 minimo della pena edittale (cinque giorni di arresto  e  lire  trenta
 milioni  di  ammenda), in quanto non consente, neppure per interventi
 di minima entita', di concedere la sospensione condizionale - che non
 e'  preclusa,  invece,  per  altri  reati  assai  piu'  gravi,  ed in
 particolare per delitti  -,  importa  violazione  del  princi'pio  di
 eguaglianza (art. 3, primo comma, della Costituzione);
      che  inoltre,  l'elevata entita' del minimo edittale da' luogo a
 ulteriore violazione del principio di eguaglianza  sotto  il  profilo
 della  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra la ipotesi di
 commissione del solo reato in esame, nella quale non  e'  ammessa  la
 sospensione  condizionale  della  pena,  e  quella di commissione del
 reato stesso e di altri anche piu' gravi (delitti) da unificare sotto
 il  vincolo  della  continuazione,  ipotesi  nella quale, per effetto
 della determinazione della pena mediante aumento da arrecare a quella
 prevista  per  il  reato  piu' grave, la pena da irrogare in concreto
 potrebbe essere, per la sua minore misura, condizionalmente sospesa;
      che,  sempre ad avviso del giudice a quo, la pena da irrogare in
 applicazione della norma impugnata, tanto piu'  nell'impossibilita'di
 concederne  la  sospensione condizionale, non e' tale da tendere alla
 rieducazione del condannato (nel quale  suscita  anzi  sentimenti  di
 ostilita'  verso  l'ordinamento), cosicche' la norma stessa appare in
 contrasto, oltre che con l'art. 3, primo comma, con l'art. 27,  terzo
 comma, della Costituzione;
      che  nel  corso  di  un  procedimento  penale a carico di Grazia
 Teresa De Benedittis il Pretore di Lecce, con ordinanza (R.O. n.  216
 del  1990)  emessa  il 31 gennaio 1990, ha sollevato contro la stessa
 norma analoghe questioni di  legittimita'  costituzionale  formulando
 analoghe censure;
      che  in  entrambi  i  giudizi  e'  intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  dello  Stato,
 eccependo l'infondatezza delle questioni;
    Considerato   che   le  due  ordinanze  di  rimessione  presentano
 identita' di oggetto,  sicche'  i  relativi  giudizi  possono  essere
 riuniti e decisi con un'unica pronuncia;
      che   le  censure  attinenti  alla  prospettata  violazione  del
 principio  di  eguaglianza  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
 trattamento  fra  la  ipotesi  di commissione del solo reato previsto
 dalla norma impugnata e quella della commissione del reato  stesso  e
 di  altri  anche  piu'  gravi (delitti) da unificare sotto il vincolo
 della continuazione, investono non gia' il denunciato art. 20,  primo
 comma, lett. c), della legge n. 47 del 1985, bensi' l'art. 81 c.p., o
 almeno il sistema risultante  dalla  previsione  di  minimi  edittali
 elevati  e dall'istituto della continuazione, norma o sistema qui non
 oggetto di impugnazione, sicche', sotto  tale  profilo,  le  relative
 questioni si palesano manifestamente inammissibili;
      che, quanto alle censure concernenti la violazione del principio
 di eguaglianza per la previsione di un minimo edittale  piu'  elevato
 di  quello  stabilito  per  altri  reati piu' gravi (delitti), questa
 Corte non vede il motivo di discostarsi dai rilievi espressi  con  la
 sentenza  n.  256  del  1987,  con la quale e' stato affermato che la
 determinazione  di  un  elevato  minimo  edittale  -  espressiva   di
 "oggettiva  gravita'  dell'illecito,  quale  che  ne  sia la concreta
 dimensione quantitativa" -  e',  nei  reati  urbanistici  (era  stato
 allora  denunciato  l'art. 20, lett. b), della legge n. 47 del 1985),
 giustificata dall'esigenza,  "correlata  all'intento  perseguito  dal
 legislatore  di  predisporre  strumenti che garantiscano il controllo
 dell'uso del territorio, di assicurare l'effettivita' degli strumenti
 stessi"    mediante    l'inasprimento   del   regime   sanzionatorio:
 inasprimento collegato, tra l'altro, all'accresciuta sensibilita' del
 legislatore  verso  fenomeni reali di degrado urbanistico, sicche' le
 relative questioni sono manifestamente infondate;
      che  tali  rilievi  e  conclusioni  valgono anche per le censure
 (mosse in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27,  terzo  comma,
 della  Costituzione) concernenti la asserita mancata attitudine della
 pena  alla  funzione  rieducativa,  funzione  che  non  puo'   essere
 apprezzata  in  astratto,  ne' con esclusivo riferimento alla persona
 del condannato, ma va piuttosto adattata alle concrete esigenze ed al
 proposito perseguito dal legislatore nel contesto storico-sociale con
 il qualificare come illeciti e sanzionare determinati  comportamenti,
 senza di che si dovrebbe ritenere contrario alla funzione rieducativa
 della pena ogni minimo edittale elevato.
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi  davanti
 alla Corte costituzionale.