LA CORTE DI ASSISE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza nel procedimento penale a
 carico di Chokri Djendoubi + altri 3 imputati contumaci.
    Viste  le  dichiarazioni  d'appello  presentate  dai  difensori di
 Chokri Djendoubi, Nasser  Amar,  Imed  Guidoum  e  Montaser  Karouni,
 nonche'  l'eccezione  di  illegittimita' costituzionale sollevata dal
 primo,
                             O S S E R V A
    A  seguito del duplice grave ferimento di cittadini nord-africani,
 Chokri Djendoubi veniva incriminato per  tentato  omicidio  ed  altri
 reati,  e  perseguito da mandato di cattura emesso dal g.i. di Torino
 in data 6 ottobre 1989.
    Il  Chokri si manteneva latitante e gli veniva designato difensore
 d'ufficio l'avv. Calogero La Verde.
    Tratto a giudizio in permanente situazione di latitanza, il Chokri
 veniva giudicato in contumacia e quindi condannato alle pene di legge
 con sentenza 23 aprile 1990 di questa Corte d'assise.
    Avverso  la  sentenza  ha  formulato  dichiarazione  d'appello  il
 difensore d'ufficio, il quale, consapevole di non esservi legittimato
 siccome   sfornito   di   specifico  mandato,  ha  altresi'  eccepito
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2 della  legge  23  gennaio
 1989, n. 22, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.
    Il   p.m.   ha   chiesto   dichiararsi   l'inammissibilita'  delle
 impugnazioni.
    Quanto  alla  rilevanza  della  questione  nella presente sede, si
 osserva che il giudizio e' stato celebrato con  l'applicazione  delle
 norme  previgenti  al  nuovo codice di procedura penale, e che quindi
 non trova applicazione l'art. 591 del nuovo rito, il quale affida  al
 solo    giudice    ad    quem    il    giudizio   sull'ammissibilita'
 dell'impugnazione. Dovendosi applicare  l'art.  207  del  codice  del
 1930, che attribuisce la detta valutazione anche, ed in via primaria,
 al giudice a  quo,  questa  Corte  deve  rilevare  l'inammissibilita'
 dell'impugnazione  proposta,  alla stregua della normativa vigente, e
 deve  quindi  farsi  carico  della   sua   lamentata   illegittimita'
 costituzionale,  posto che - rimossa, in ipotesi, tale normativa - il
 gravame diverrebbe invece ammissibile.
    Oltreche'  rilevante, l'eccezione dedotta appare fondata. L'art. 2
 della citata legge n. 22, sostitutivo dell'ultimo comma dell'art. 192
 el c.p.p., rappresenta un'anticipazione del terzo comma dell'art. 571
 del nuovo codice, la cui seconda proposizione riproduce letteralmente
 la  seconda proposizione del predetto art. 2. Dunque la ragione della
 norme e' ricavabile dalla stretta connessione con  la  materia  della
 restituzione   in   termini,   oggetto   della  medesima  innovazione
 legislativa.
    Al riguardo si legge nella Relazione al testo definitivo del nuovo
 codice:  "Innovativa  e',  invece,  la  disciplina  che   regola   la
 legittimazione  del  difensore  a  proporre  impugnazione avverso una
 sentenza contumaciale: si e' previsto, infatti, che in  tal  caso  il
 difensore  deve  essere  munito  di specifico mandato, rilasciato con
 l'atto di nomina o anche successivamente. La  ragione  di  essere  di
 tale  previsione  risiede  nel  fatto che l'impugnazione proposta dal
 difensore esaurisce per l'imputato la possibilita'  di  ottenere,  se
 contumace,  la  restituzione in termini, istituto che ha ricevuto una
 disciplina particolarmente ampia nell'art. 175. Conseguentemente,  e'
 sembrato necessario limitare la legittimazione del difensore nel caso
 di  sentenza  contumaciale,  allo  scopo  di  impedire  gli   effetti
 preclusivi    che    scaturirebbero   da   un'impugnazione   proposta
 frettolosamente da un difensore, il quale, sia esso legato o meno  da
 rapporto  fiduciario,  e'  ben  possibile  non  abbia potuto prendere
 contatto  con  l'imputato  nel  breve   termine   previsto   per   la
 proposizione  del  gravame.  La  previsione  di uno specifico mandato
 consente, invece, di presumere che l'imputato  abbia  effettuato  una
 preventiva  valutazione  circa  le  conseguenze dell'attivita' che il
 difensore puo' compiere nel  suo  interesse,  ivi  compreso,  quindi,
 l'eventuale effetto preclusivo di cui prima si e' detto".
    Se questa e' la ragion d'essere dell'innovazione, la stessa non e'
 razionalmente giustificabile.
    La  norma  presume  che  un difensore diligente informi l'imputato
 che, se vorra' proporre  impugnazione  avverso  la  sentenza,  dovra'
 farlo personalmente, oppure dovra' conferirgli un apposito mandato.
    Ma  se cio' e' possibile e normale nella difesa fiduciaria, non lo
 e' affatto nella difesa  d'ufficio.  L'incarico  ufficioso,  infatti,
 viene  conferito  da  un  organo pubblico, il quale ovviamente non ha
 alcun  potere  di  rilasciare  al  difensore  uno  specifico  mandato
 all'esercizio di talune sue facolta': e se l'imputato conferisce egli
 medesimo il mandato, con cio' spesso instaura un rapporto  fiduciario
 che  contraddice  alla  premessa  (prova  ne sia che l'art. 2 prevede
 appunto che  il  mandato  sia  "rilasciato  con  la  nomina  o  anche
 successivamente nelle forme per questa previste").
    Ancor  piu'  irrazionale appare la presunzione sottesa dalla norma
 nei casi in cui, oltre a mancare una nomina fiduciaria, e quindi  una
 sicura   occasione   di   informazione,   si  verifica  la  materiale
 impossibilita' per il difensore d'ufficio di procurarsi lo  specifico
 mandato  ad  impugnare:  cio'  accade  sicuramente nel caso in cui il
 difensore d'ufficio venga  designato  in  apertura  del  dibattimento
 contumaciale;  ed accade con grandissima probabilita' nei casi in cui
 il  difensore  venga  incaricato  della   difesa   di   un   imputato
 irreperibile  o - come nel caso in esame - latitante sin dall'inizio.
    Si versa pertanto in una situazione di menomata difesa tecnica (il
 difensore non puo' svolgere un atto che di per se'  rientrerebbe  nei
 suoi  compiti  e  nelle  sue competenze), giustificata in forza di un
 asserito interesse dell'imputato e di una presunzione normativa.
    Ma l'interesse dell'imputato (quello di non veder consumato il suo
 tardivo diritto ad impugnare dall'improvvido esercizio  dello  stesso
 diritto  da  parte  del  difensore)  e'  tutelato  in maniera che non
 realizza  affatto  un'effettiva  garanzia:  da  un  lato  la  perdita
 dell'impugnazione    tecnica   e'   sicura,   mentre   il   beneficio
 dell'impugnazione  personale  tardiva  e'   quanto   mai   aleatorio;
 dall'altro   lato   la   tutela   di   detto   interesse   non  passa
 necessariamente attraverso il sacrificio in questione (basterebbe, ad
 esempio,   consentire   la   restituzione  in  termini  all'imputato,
 nonostante l'impugnazione del difensore, solamente  quando  il  primo
 formuli  richieste  ulteriori  rispetto  a  quelle  gia' avanzate dal
 secondo).
    E  quanto  alla  presunzione normativamente sancita in forza della
 quale  si  sacrifica  la  potesta'  del  difensore  presumendosi  una
 informazione  data  dal  legale  ed una consapevole scelta effettuata
 dall'imputato) basta  ricordare  le  numerose  pronunce  della  Corte
 costituzionale,  secondo  le  quali  una  presunzione  produttiva  di
 effetti sfavorevoli "in tanto  puo'  considerarsi  costituzionalmente
 legittima,  in  quanto  si basi sull'id quod plerumque accidit", e le
 deduzioni che essa pose  trovino  sostegno  nell'esperienza  e  nella
 scienza  (cfr. sentenze nn. 19/1966, 68/1967, 106/1972, 139/1982): il
 che e' esattamente il contrario di quanto accade nella situazione  in
 esame, poiche' nulla autorizza a ritenere che l'imputato Chokri abbia
 avuto contatti con il suo difensore d'ufficio,  sia  stato  informato
 dei  suoi  diritti  ed  oneri  processuali,  ed  abbia esercitato una
 consapevole scelta.
    Va  osservato  ancora  che  la  Corte  costituzionale, a proposito
 dell'imputato irreperibile  contro  il  quale  sia  stato  emesso  un
 decreto penale, ha stabilito che tale provvedimento non puo' essergli
 notificato con le forme dell'art.  170  del  c.p.p./1930  ma  che  il
 petore  deve  procedere  con il rito ordinario (sentenza n. 90/1963):
 segno questo che l'estromissione della difesa tecnica, conseguente al
 fatto  che il decreto e' opponibile solo dall'interessato e non anche
 dal difensore, rappresenta un'inaccettabile compressione del  diritto
 tutelato  dall'art.  24 della Costituzione. Lo stesso criterio sembra
 doversi  invocare  nel  caso  in  esame,  nel  quale  il  diritto  di
 impugnazione viene analogamente riservato al solo imputato.
    L'eccezione,  sebbene  sollevata  dalla  difesa  del solo imputato
 Chokri, giova anche agli altri  coimputati,  i  quali  versano  nella
 medesima   situazione  processuale,  quanto  meno  sotto  il  profilo
 dell'essere assistiti da un difensore d'ufficio.