IL TRIBUNALE
    Ha  pronunciato  la seguente ordinanza nella procedura in corso, a
 seguito di istanza di fallimento proposta da Ottoboni Monica,  Riders
 S.r.l.  (elett.  dom.  presso  lo studio e la persona dell'avv. Mauro
 Vanara in Savona via Poggi 1/1), Zodiaco S.r.l. (elett.  dom.  presso
 lo   studio  e  la  persona  del  dott.  proc.  Silvano  Briozzo,  in
 Ventimiglia, via Chiappori n. 22), Calzaturificio Giosman di Strambi,
 Mecca  e  C.  S.n.c.  (elett.  dom.  presso  lo  studio  e la persona
 dell'avv. Carlo Aurely, corso Italia  18/3,  Savona),  nei  confronti
 della ditta Fratelli Fontana corrente in Noli, via Colombo n. 5;
    Visti gli atti, udito il relatore;
                             O S S E R V A
    1.  -  A  seguito delle istanze dei creditori sopra indicati si e'
 proceduto all'istruttoria prevista dalla legge  fallimentare  che  ha
 posto  in  evidenza lo stato di insolvenza dell'impresa. Alle istanze
 di fallimento si  aggiungono  infatti  numerose  procedure  esecutive
 individuali,  con  pignoramento  di  mobili,  sia pure per importi di
 ammontare modesto. Il dissesto e' indubbio.
    1.1.  -  Trattasi di impresa sociale, sia pure di fatto (art. 2297
 del c.c.), in quanto al suo esercizio collaborano i due fratelli  che
 ripartiscono tra loro gli utili in parti uguali.
    Si  e',  senza  dubbio,  in  presenza  di  una piccola impresa: il
 capitale si compone delle sole scorte, costituite  dalle  confenzioni
 di  vendita;  il locale, di modestissima superficie, e' in locazione;
 nessuna  attrezzatura,  al  di  fuori  di  quelle  indispensabili  al
 servizio della clientela e di scarso o scarsissimo valore.
    1.2.  -  Sembrano  perfettamente  attagliarsi al caso di specie le
 considerazioni svolte nella recente sentenza di codesta  Corte  13-22
 dicembre  1989, n. 570: quando "imprese molto modeste incorrono nelle
 procedure fallimentari", "vengono meno le finalita'  del  fallimento"
 poiche'  "l'esiguo  patrimonio  attivo  del  fallimento puo' rimanere
 interamente assorbito dalle spese della complessa procedura e a volte
 risulta   persino   insufficiente   a  coprire  le  spese  anticipate
 dall'erario", per cui "il fallimento finisce con l'essere un  rimedio
 processuale  impeditivo  della  tutela  dei  creditori  e un mezzo di
 difesa insufficiente".
    La citata sentenza di codesta Corte ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale  del   secondo   comma   dell'art.   1   della   legge
 fallimentare,  soltanto  nella  parte  in  cui prevede che "quando e'
 mancato l'accertamento ai fini dell'imposta di ricchezza mobile, sono
 considerati   piccoli   imprenditori   gli   imprenditori   esercenti
 un'attivita' commerciale  nella  cui  azienda  risulta  investito  un
 capitale  non superiore a lire novecentomila". Non e' coinvolta nella
 dichiarazione di incostituzionalita' l'ultima proposizione del  comma
 secondo: "... In nessun caso sono considerati piccoli imprenditori le
 societa' commerciali".
    1.3.  -  Il  significato  letterale  della  proposizione normativa
 sembra essere nel senso che il concetto di "piccolo imprenditore" sia
 destinato  ad  operare solo nel campo delle imprese individuali e che
 una piccola impresa sociale sia inammissibile.
   In  passato,  accorta  ed  autorevole  dottrina  non  ha mancato di
 rilevare come possa benissimo concepirsi una  piccola  impresa  nella
 quale  sia  investito  un  capitale  minimo,  che  sia gestita da due
 persone, in sociale ed  ha  ravvisato  la  giustificazione  razionale
 della  soluzione  legislativa  nel  fatto  che il legislatore avrebbe
 visto,   nella   costituzione   di   una   societa',   quell'elemento
 dell'organizzazione   che,   assunto  in  senso  rigoroso,  distingue
 l'impresa normale dalla piccola impresa. Altri ne ha  individuato  la
 ragione,  "piu'  semplicemente, nell'esigenza pratica di semplificare
 al massimo l'accertamento della qualita' di imprenditore soggetto  al
 fallimento"  (in consonanza con la ratio generalmente attribuita alle
 precedenti proposizioni del comma secondo), per cui,  "avendo  deciso
 di utilizzare, a questi effetti l'accertamento fiscale, i compilatori
 della  legge  fallimentare  non  potevano  ammettere  l'esistenza  di
 piccole imprese sociali sottratte al fallimento, perche' cio' avrebbe
 impedito  ai  giudici  di  utilizzare  l'accertamento   fiscale   che
 conduceva alla classificazione in categoria C1 solo dei redditi delle
 'persone fisiche' ossia degli imprenditori individuali".
    (In  effetti  mentre  gli imprenditori medi erano inclusi, ai fini
 dell'imposta di ricchezza mobile,  nella  categoria  B,  relativa  ai
 redditi alla produzione dei quali concorrono insieme il capitale e il
 lavoro, come quelli derivanti dall'esercizio di  imprese  commerciali
 ai  sensi  dell'art.  2195  del  c.c.,  e  mentre la categoria C2 era
 riservata ai redditi di lavoro subordinato, nella categoria C1  erano
 inclusi i redditi di lavoro autonomo delle sole persone fisiche, come
 quelli prodotti nell'esercizio di arti, di professioni e di  imprese,
 organizzate  prevalentemente con il lavoro proprio del contribuente e
 dei componenti della sua  famiglia,  cioe'  ai  piccoli  imprenditori
 secondo la formula dell'art. 2083 del c.c.).
    Qualunque  sia  la  ratio  della proposizione normativa, sembra al
 collegio non manifestamente infondato il dubbio che  investe  la  sua
 legittimita' costituzionale con riferimento alle societa' di persone,
 per le  quali  (come  nel  caso  di  specie)  vige  la  regola  della
 illimitata  responsabilita'  patrimoniale  dei  soci,  per violazione
 dell'art.  3,  primo  comma  della  Costituzione;  la  disparita'  di
 trattamento  tra  le due categorie di persone appare infatti priva di
 giustificazione razionale, ove si rifletta che i soci illimitatamente
 responsabili (anch'essi imprenditori, secondo la prevalente dottrina,
 come gli imprenditori individuali) sono esposti al  fallimento,  come
 conseguenza  automatica  del  fallimento  della  societa',  ai  sensi
 dell'art. 147, secondo comma della legge fallimentare.
    Tanto  piu'  irrazionale se si tien conto che vengono sottratte al
 fallimento, per giurisprudenza ormai consolidata  della  S.C.  e  dei
 giudici  di merito (anche di questo tribunale) accanto agli artigiani
 imprenditori individuali, le  societa'  artigiane  (Cass.  75/3661  e
 75/28),  a  meno  che  non espandano oltre certi limiti le dimensioni
 dell'impresa, ed  e'  noto  che,  secondo  la  vigente  legge  quadro
 sull'artigianato, l'impresa artigiana, pur prevedendo come necessaria
 la prestazione del lavoro, anche manuale, dell'artigiano, e  pur  non
 potendo  svolgere  una  lavorazione  "del  tutto automatizzata", puo'
 raggiungere limiti dimensionali decisamente elevati.
    Se  - come indicato da codesta Corte nell'ordinanza 16 giugno 1970
 (di  rigetto  per  infondatezza  della  questione  di  illegittimita'
 costituzionale  degli  artt.  2221  del c.c. e n. 1 della della legge
 fallimentare - i limiti, di assoggettabilita' o  meno  al  fallimento
 "devono   essere   stabiliti   in   relazione  all'attivita'  svolta,
 all'organizzazione dei mezzi impiegati, all'entita'  dell'impresa  ed
 alle  ripercussioni  che il dissesto produce nell'economia generale",
 (avendo "... le categorie di piccolo, medio e grande  imprenditore...
 nell'ordinamento  economico  e  giuridico...  "  posizioni nettamente
 differenziate), non par dubbio  che,  fermo  il  dato  delle  piccole
 dimensioni,   sia   irragionevole   la  discriminazione  tra  imprese
 individuali e sociali (nell'ipotesi, che qui interessa,  di  societa'
 di  persone)  e,  conseguentemente,  tra  coloro  che  esercitano una
 piccola impresa in forma individuale o sociale.
    1.4.  -  In dotttrina si e' detto che i criteri posti dall'art. 1,
 secondo  comma,  della  legge   fallimentare   (il   primo   abrogato
 implicitamente  con  la  riforma  tributaria,  il  secondo dichiarato
 incostituzionale  con  la  sentenza  di  codesta   Corte),   potevano
 considerarsi  presunzioni  assolute  dell'esistenza della qualita' di
 piccolo imprenditore, e che l'ultimo periodo dello stesso  comma  non
 e'  che  una  mera  eslusione  della  possibilita' di utilizzare tali
 presunzioni assolute per le societa'  piccole  imprenditori:  per  la
 loro identificazione ci si dovrebbe riferire dunque, in ogni caso, ai
 criteri posti dall'art. 2083 del c.c.
    Se  cosi'  fosse,  l'eliminazione  delle  due  prime  proposizioni
 comporterebbe l'abrogazione implicita anche della terza ed ultima.
    Ma  tale  interpretazione  non  e'  conforme  a  quella  che,  dei
 precedenti  periodi  del  comma  secondo  dell'art.  1  della   legge
 fallimentare,  ebbe  a  dare  la  Corte di cassazione ed in base alla
 quale codesta Corte ha emesso la pronuncia di incostituzionalita' con
 la citata sentenza 13-22 dicembre 1989, n. 570.
    2.  -  Non  e' dubbia la rilevanza della prospettata questione nel
 caso di specie poiche' dalla soluzione  che  di  essa  dara'  codesta
 Corte  dipende  la  dichiarazione  di  fallimento  o il rigetto delle
 istanze.