IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordianza sul ricorso n. 1041 del 1989 proposto da Ciaramella Gianni, rappresentato e difeso dagli avv.ti Umberto Giardini e Giuseppe Porqueddu ed elettivamente domiciliato presso quest'ultimo in Brescia, via V. Emanuele II, n. 1; Contro l'U.S.S.L. n. 53 di Crema, in persona del Presidente p.t. del Comitato di gestione, costituitasi in giudizio, rappresentata e difesa dall'avv Vincenzo Avolio ed elettivamente domiciliata presso la segreteria del tribunale amministrativo regionale in Brescia, via Malta, 12; e nei confronti della regione Lombardia, in persona del presidente p.t. della giunta regionale, non costituitasi in giudizio; per l'annullamento, previa sospensione, della deliberazione (con nota al ricorrente) menzionata nella nota 19 giugno 1989, n. U. 6737, del presidente del comitato di gestione dell'U.S.S.L. n. 53 di Crema, deliberazione con la quale il ricorrente e' stato collocato a riposo, al compimento del 65º anno di eta', con implicita reiezione della sua istanza di trattenimento in servizio sino al 70º anno o, quanto meno, sino al raggiungimento dei 40 anni di iscrizione obbligatoria (esclusi, cioe', i periodi riscattabili) alla cassa per le pensioni ai sanitari; Visto il ricorso con i relativi allegati; Vista la domanda, incidentale di sospensione del provvedimento impugnato; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'intimata U.S.S.L.; Vista la propria ordinanza n. 212/1990 emessa nell'odierna camera di Consiglio; Visti gli atti tutti della causa; Udito, nella Camera di Consiglio del 27 aprile 1990 il relatore Renato Righi; Uditi, altresi', l'avv. Giuseppe Porqueddu per il ricorrente e l'avv. Vincenzo Avolio per l'U.S.S.L. resistente; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue: F A T T O Con atto notificato il 13 ottobre 1989, e depositato il successivo 23 ottobre 1989, il ricorrente, quale primario di ruolo della divisione di ortopedia e traumatologia dell'ospedale Maggiore di Crema, dell'U.S.S.L., n. 53, ha impugnato - chiedendone incidentalmente la sospensione - la delibera (menzionata nella nota 19 giugno 1989, n. U. 6737 del presidente del comitato di gestione) con la quale egli e' stato collocato a riposo al compimento del 65º anno di eta' (e, quindi, con decorrenza dal 10 aprile 1990), con implicita reiezione della sua istanza di trattenimento in servizio sino al 70º anno o, quanto meno, sino al raggiungimento dei 40 anni di iscrizione obbligatoria (esclusi, cioe', i periodi riscattabili) alla cassa per le pensioni ai sanitari. Avverso la suddetta deliberazione egli deduce: I) Violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui all'art. 53 e art. 83 del d.P.R. n. 761/1979, art. 131 del d.P.R. n. 3/1957, art. 4, secondo comma, d.P.R. n. 1092/1973, per aver stabilito la decorrenza del collocamento a riposo dal giorno successivo, al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (10 aprile 1990), anziche' dal primo giorno del mese successivo a tale data (1º maggio 1990); II) Eccesso di potere per omesso esame della posizione del ricorrente quale risultante dal suo stato di carriera e di servizio, prima di procedere al suo collocamento in quiescenza; III) Illegittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. 761/1979, in relazione all'art. 6 della legge n. 336/1964, legge n. 627/1982, legge n. 459/1965 e legge n. 517/1968, con riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Si e' costituita in giudizio l'intimata U.S.S.L. n. 53, la quale ha chiesto la relazione sia del ricorso che della contestuale domanda di sospensione del provvedimento impugnato, osservando tra l'altro, che qualora si computassero i periodi riscattati dal ricorrente, quest'ultimo avrebbe maturato, comunque, i 40 anni di servizio utile a pensione. Con separata ordinanza, pronunciata nella stessa odierna camera di consiglio, il collegio ha accolto - provvisoriamente - la suindicata domanda incidentale di sospensione della delibera impugnata, rinviando ogni definitiva pronuncia in sede cautelare, all'esito del promuovendo giudizio di costituzionalita'. D I R I T T O Come si ricava dalla narrativa in fatto, il ricorrente, quale primario ospedaliero, confluito nel ruolo regionale del servizio sanitario nazionale, provvedendo da un disciolto ente ospedaliero, ove e' entrato in carriera nel 1963, impugna la deliberazione con la quale il comitato di gestione dell'U.S.S.L. di attuale appartenenza ha disposto il suo collocamento a riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (e, quindi, con decorrenza dal 10 aprile 1990), con implicita reiezione della sua istanza di trattenimento in serivizio sino al settantesimo anno, o quanto, meno, sino al raggiungimento dei 40 anni di iscrizione obbligatoria (esclusi, cioe', i periodi riscattati) alla cassa per le pensioni ai sanitari. Egli chiede, in via incidentale, la sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato. Ai fini della valutazione complessiva del fumus boni iuris del ricorso - onde pronunciarsi definitivamente sull'istanza cautelare - appare al collegio rilevante l'eccepita questione di leggittimita' costituzionale dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, dedotta, con il terzo motivo, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione. Invero, quanto agli altri due motivi di gravame si puo' osservare quanto segue. La prima censura e', palesemente, proposta in via subordinata rispetto al motivo principale, incentrato sul denegato preteso diritto al trattamento in servizio sino al settantesimo anno di eta'. Essa, infatti, si limita a contestare la disposta decorrenza, del collocamento a riposo, dal giorno successivo al compimento del sessantacinquesimo anno (10 aprile 1990), anziche' - come ritenuto giusto dal ricorrente - dal primo giorno del mese successivo a tale data (1º maggio 1990). Peraltro, il problema dell'individuazione del giorno di decorrenza del pensionamento potra' assumere rilevanza solo dopo che sara' risolta la previa questione della determinazione del limite dell'eta' pensionabile. Quanto al secondo motivo, con il quale si deduce eccesso di potere per omesso esame della posizione previdenziale e di carriera del ricorrente, quale risultante dal suo stato di servizio, prima di procedere alla sua messa in quiescenza, esso non appare al collegio - sia pure in questa fase di sommaria deliberazione - assistito da consistenti elementi di fondatezza. Infatti, il collocamento a riposo del personale sanitario per raggiunti limiti di eta' costituisce, a termini dell'art. 53 del d.P.R. 761/1979, un atto vincolato al semplice verificarsi del compimento del 65º anno, indipendentemente da ogni altra indagine, sia sull'anzianita' pregressa che sulla qualifica posseduta. Per cui si appalesa del tutto inconferente la deduzione di un presunto vizio attinente il cattivo uso della discrezionalita', quale quello prospettato con il motivo suddetto. Quanto, inoltre, all'eccezione avanzata dalla resistente U.S.S.L., secondo cui - qualora si computassero i periodi riscattati dal ricorrente - quest'ultimo avrebbe gia' maturato, comunque, i quaranta anni di servizio utile a pensione, reputa il collegio come essa non faccia venire meno, ne' la rilevanza della questione di costituzionalita' dell'art. 53 del d.P.R. 761/1979, ne' l'interesse a coltivarla da parte del ricorrente medesimo. Invero, sotto un primo aspetto, i periodi ammessi a riscatto non sono affatto equivalenti al servizio effettivo, posto che quelli, a differenza di questo, oltre che particolarmente onerosi (v. art. 64 della legge 6 luglio 1939, n. 1035 e successive modificazioni) sono anche limitatamente rinunciabili (v., ad es., art. 67, ultimo comma, della citata legge n. 1035/1939). Secondariamente, il superamento dei 40 anni di servizio utile (compresi i riscatti) non impedisce l'ulteriore incremento dell'ammontare della pensione teorica (che, a termini dell'art. 6 della legge 3 maggio 1967, n. 315, che costituisce una delle due componenti del trattamento di quiescenza spettante ai sanitari) calcolata sulle retribuzioni pensionabili, attribuite per ciascun anno solare, a partire dalla data di inizio del servizio stesso (cfr. tabelle allegate alla citata legge 315/1967). Dunque, la presente fase cautelare non puo' essere definita prescindendo dalla risoluzione dell'affacciata questione di costituzionalita'dell'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979. Essa appare al collegio, oltre che rilevante anche non manifestamente infondata, non solo in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, come argomenta il ricorrente, ma altresi' in relazione agli artt. 35, 36 e 38 della Costituzione, secondo quanto la sezione ritiene di aggiungere d'ufficio. Infatti, il ripetuto art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, nello stabilire, al primo comma, la regola generale del collocamento a riposo obbligatorio, per il personale medico del servizio sanitario nazionale, al compimento del sassantacinquesimo anno di eta', fa salve, al secondo comma, "per il personale trasferito ai ruoli regionali ai sensi della legge 28 dicembre 1978, n. 833, le vigenti norme di legge e regolamentari che fissano un diverso limite di eta'". Ora, e' ben vero che le norme alle quali si riferisce il comma, ultimo citato, costituendo delle eccezioni, non possono essere assunte come tertiun comparationis per dimostrare l'irrazionalita' della regola in generale, cui esse derogano, valendo in proposito il principio, piu' volte enunciato della Corte costituzionale (cfr., ad es. sentenza n. 461 del 1989 e ordinanza n. 17 del 1990), secondo il quale una norma derogatoria non puo' essere presa come parametro di costituzionalita' della regola generale dettata in una determinata materia. Tuttavia, si deve prendere atto che, nel corso dell'ultimo trentennio, il legislatore ha derogato piu' volte alla disposizione generale sul collocamento a riposo a sessantacinque anni, fissata da varie norme (es. artt. 47 e 76 t.u., n. 1265/1934; art. 18 r.d. n. 1631/1938; art. 1 legge n. 336/1964) per i medici dipendenti dagli enti locali, territoriali e ospedalieri, prima della loro confluenza nel servizio sanitario nazionale. A titolo esemplificativo possono qui di seguito ricordarsi le varie leggi cronologicamente succedutesi nella soggetta materia, pur dovendosi riconoscere che le prime di esse hanno ormai preso valore pratico: legge 24 luglio 1954, n. 596 (articolo unico), con cui si consentiva agli ufficiali sanitari e ai medici condotti, in servizio di ruolo da data anteriore al 24 agosto 1934, di essere collocati a riposo non prima di aver maturato quaranta anni di servizio utile a pensione e, comunque, non oltre il compimento del settantesimo anno di eta'; legge 20 febbraio 1956, n. 68 (articolo unico), recante analoga disposizione derogatoria in favore dei sanitari ospedalieri in servizio di ruolo da data anteriore al 14 novembre 1938; legge 20 ottobre 1962, n. 1552 (art. 1), con cui sono stati trattenuti in servizio sino al 30 giugno 1963 i sanitari ospedalieri che avessero superato il limite dei sessantacinque anni; legge 20 dicembre 1962, n. 1751 (articolo unico), con la quale sono state estese agli altri medici dipendenti dai comuni e dalle province, le disposizioni derogatorie di cui alla sopracitata legge n. 596/1954; legge 4 agosto 1963, n. 1011 (articolo unico), recante la proroga al 30 giugno 1964 del termine, previsto dalla surricordata legge n. 1552/1962, relativo alla cessazione dal servizio dei medici ospedalieri; legge 3 febbraio 1964, n. 22 (articolo unico), con cui sono state estese ai sanitari dei Consorzi provinciali antitubercolari le norme derogatorie di cui alla sopraindicata legge n. 1751/1962; legge 10 maggio 1964, n. 336 (art. 6), concernente il trattenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta' dei primari e degli altri sanitari apicali degli ospedali che occupassero un posto di ruolo, in tali qualifiche, alla data di entrata in vigore della legge medesima; legge 6 ottobre 1964, n. 982, (articolo unico), con la quale sono state estese ai sanitari degli ospedali psichiatrici le norme derogatorie sui limiti di eta', introdotti con la gia' citata legge n. 596/1954; legge 7 maggio 1965, n. 459 (articolo unico), cui cui si e' concesso il trattenimento in servizio per il tempo necessario a raggiungere i quaranta anni di servizio utile a pensione e, comunque, non oltre il settantesimo anno di eta', agli ufficiali sanitari e ai medici condotti (e, per effetto della sentenza additiva della Corte costituzionale n. 398 del 1988, anche agli altri medici dipendenti dai comuni e dalle province, di cui alla ricordata legge n. 1751/1962) che fossero in servizio all'entrata in vigore della legge stessa e che fossero entrati in carriera fino al 31 dicembre 1952; legge 13 luglio 1965, n. 80 (articolo unico), recante l'estensione ai sanitari degli Istituti provinciali per l'infanzia e assimilati delle disposizioni sulla deroga al limite di eta', di cui alla gia' menzionata legge 596/1954; legge 12 febbraio 1968, n. 132 (art. 66), con cui e' stata disposta l'estensione del beneficio dell'eta' pensionabile, ex legge n. 336/1964 citata anche nei confronti dei medici ospedalieri apicali che fossero stati successivamente trasferiti ad un altro ospedale, purche' di pari o superiore categoria. Un discorso a parte, merita il d.-l. 2 luglio 1982, n. 402 (art. 8), convertito con modificazioni in legge 3 settembre 1982, n. 627, poiche' esso e' successivo cronologicamente all'art. 53 del d.P.R. n. 761/1979, per cui non poteva ovviamente formare oggetto di rinvio recettizio da parte del medesimo, ma che, comunque, e' utile menzionare per avere un quadro normativo completo sull'argomento. La sua interpretazione e' controversa: si va dalla tesi piu' riduttiva (secondo cui si tratterebbe di un'interpretazione autentica delle citate leggi n. 336/1964 e 132/1968, senza valore innovativo) a quella piu' aperturista (in base alla quale esso estenderebbe la deroga all'obbligo del pensionamento d'ufficio a sessantacinque anni, anche ai sanitari che erano di ruolo nel 1964 e che diventarono primari successivamente) passando per una tesi intermedia (in virtu' della quale il beneficiario in parola sarebbe stato in tal modo concesso a quei medici ospedalieri che nel 1964 fossero, non gia' in possesso della qualifica di primario, ma semplicemente incaricati delle relative funzioni). Indubbiamente, di fronte ad un cosi' nutrito elenco di deroghe alla regola generale e del collocamento a riposo obbligatorio al sessantacinquesimo anno di eta', vien fatto di pensare che, in realta', la regola abbia costituito, per di piu' un trentennio, l'eccezione. Cio' significa che la ragionevolezza della suddetta regola (riprodotta in via generale, con le relative eccezioni, per tutto il personale del servizio sanitario nazionale, dall'art. 53 del d.P.R. 761/1979) puo' ben essere saggiata alla luce delle numerose deroghe ad essa apportate, gia' nelle sue precedenti formulazioni. Infatti, si tratta di deroghe che, singolarmente prese rappresentano norme di jus singulare inutilizzabili come termine di paragone, ma considerate nel loro complesso esprimono una ratio di piu' ampio respiro, e, in ogni caso, diversa ed autonoma (e forse inavvertita dai vari legislatori succedutisi nel tempo ma ormai organicamente incorporata nella mens legis ) rispetto alle logiche particolari, via via perseguite dalle singole eccezioni normative. In altre parole, l'occasio legis originaria, che aveva provocato le prime norme derogatorie (e, cioe', la preoccupazione di sopperire, in qualche modo, al blocco dei concorsi in conseguenza della guerra e delle prolungatesi difficolta' post belliche), si e' praticamente persa per strada, a mano a mano che alle eccezioni iniziali si sono aggiunte quelle successive, estendendone sempre piu' la portata. Nondimeno, dall'interpretazione sistematica della legislazione dell'ultimo trentennio, in materia di limiti di eta' per il collocamento a riposo d'ufficio dei sanitari pubblici dipendenti, e' dato ricavare una comune logica, che ad essa presiede e che, da una parte, e' sempre meno legata agli avvenimenti bellici e post bellici, superando il requisito dell'ingresso in carriera in quell'arco temporale, dall'altra tutela sempre piu' la professionalita', ai piu' alti livelli, cioe' a quelli apicali. Significativa, al riguardo, la disposizione di una delle ultime leggi sull'argomento: l'art. 66 della legge n. 66 della legge 12 febbraio 1968, n. 132. In forza di esso il diritto al mantenimento in servizio sino al compimento del settantesimo anno di eta', e' stato esteso ai sanitari ospedalieri di vertice, che, successivamente al 16 giugno 1964, fossero stati trasferiti ad un altro ospedale, purche' di "pari o superiore categoria". Vale a dire, che la perdita di professionalita', connesa all'assunzione di responsabilita' direttive in una unita' operativa di livello inferiore, non e' stata riconosciuta meritevole di tutela. Se, dunque, la ratio che ha ispirato, per di piu' di un trentennio, le norme sul collocamento a riposo dei sanitari apicali del comparto pubblico e' quella di assicurare il loro trattenimento in servizio sino al compimetno del settantesimo anno, onde valorizzare al massimo il bagaglio d'esperienza e l'apporto professionale dei medesimi, si deve riconoscere che l'art. 53, primo comma del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui ha unificato a sessantacinque anni il limite dell'eta' pensionabile, senza differenziare la posizione dei medici apicali, ha, in primo luogo, realizzato un'ingiustificata inversione di tendenza, rispetto al passato, nel trattamento della stessa categoria di personale; secondariamente, ha irrazionalmente uniformato il regime del collocamento a riposo di categorie diverse, quanto a carriera e livelli di responsabilita'. In entrambi i casi, ponendosi in chiaro contrasto con i principi di ragionevolezza e uguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione, nonche' di imparzialita' e buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art. 97 della Costituzione. Tenendo, altresi', presente che l'ingresso nel pubblico impiego del medico avviene di norma, in eta' piu' avanzata rispetto agli altri pubblici dipendenti (a causa degli studi universitari piu' lunghi e dei successivi indispensabili corsi di specializzazione post universitaria), che, inoltre, l'accesso alla qualifica apicale prevede il previo superamento degli esami di idoneita' a primario, o alle altre funzioni dirigenziali (e, prima che fossero aboliti nel 1979, pure alle funzioni di aiuto), anch'essi scaglionati nel tempo, appare al collegio che il ripetuto art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui non fa salvo, per i primari ospedalieri e assimilati, il diritto al trattenimento in servizio sino al settantesimo anno, si ponga in conflitto anche con l'art. 35, primo e secondo comma, della Costituzione sulla tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni e sul particolare valore attribuito alla formazione e all'elevazione professionale dei lavoratori. Senza contare, che, in questo modo, un patrimonio umano di esperienza e di professionalita', del massimo livello, che l'ente pubblico ha contribuito a formare andrebbe perduto prima che possa sviluppare appieno la propria potenzialita' lavorativa all'interno del servizio pubblico. L'art. 53, primo comma, del d.P.R. 761/1979, poi, nella parte in cui impedisce ai primari di porre a base del calcolo del proprio trattamento di quiescenza, uno stipendio che sia il frutto del massimo sviluppo della relativa progressione economica di attivita', ad avviso del collegio fa nascere, ancora, seri dubbi sulla sua conformita' al precetto dell'art. 36, primo comma, della Costituzione, ove si garantisce al lavoratore il diritto ad una piena ed effettiva retribuzione, anche soto l'aspetto della tutela della pensione, che costituisce una forma differita, ma non meno importante, della retribuzione stessa. Infatti, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale (cfr. sentenza n. 302 del 1983) "il trattamento di quiescenza costituisce poiezione di quello di attivita'", sicche' essi sono governati, entrambi, dall'art. 36 della Costituzione. Osserva, infine, il collegio che il predetto art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 761/1979, nella parte in cui non consente ai medici apicali del servizio pubblico di maturare il maggior incremento possibile dell'anzianita' utile, ai fini pensionistici, anche in concorso con eventuali riscatti (la cui presenza - come sopra s'e' visto - non sterilizza, in ogni caso, la progressione della base pensionabile) addensa sul medesimo fondati sospetti di contrasto con il principio, sancito dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione, in base al quale il lavoratore ha diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle sue esigenze di vita, in caso di vecchiaia. Ritiene, dunque, il collegio che la questione di legittimita' costituzionale, in parte qua, dell'art. 53, primo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, in relazione agli artt. 3, 97 primo comma, 35 primo e secondo comma, 36 primo comma, e 38 secondo comma, della Costituzione, non sia manifestamente infondata e sia, inoltre, rilevante ai fini della definitiva pronuncia sulla domanda incidentale di sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato.