IL PRETORE Premesso che il procuratore della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli ha presentato, ai sensi del quarto comma dell'art. 566 del c.p.p., gli arrestati Paduano Antonino e Sperandeo Raffaele per la convalida ed il contestuale giudizio e che, subito dopo l'udienza di convalida, ai sensi dell'ultimo comma dell'articolo citato, gli imputati hanno formulato richiesta di giudizio abbreviato e che il p.m. non ha consentito la trasformazione del rito motivando il suo dissenso con la impossibilita' di definizione del giudizio allo stato degli atti; che il difensore degli imputati ha eccepito la illegittimita' costituzionale dell'ottavo comma dell'art. 566 del c.p.p. in riferimento all'art. 452 stesso codice nella parte in cui condiziona l'ammissibilita' del giudizio abbreviato al consenso del p.m.; che il p.m. ha chiesto respingersi l'eccezione in quanto la questione di costituzionalita' della norma non e' rilevante, poiche', comunque non sarebbe ammissibile il rito abbreviato per la impossibilita' di definire il giudizio allo stato degli atti. O S S E R V A La questione di cui trattasi gia' e' stata sollevata in riferimento all'art. 452 c.p.p. su richiesta della difesa, dal tribunale di Savona con ordinanza emessa il 7 febbraio 1990 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 2 maggio 1990 nel procedimento penale a carico di Kurtuma Milorad, tratto a giudizio con il rito direttissimo dal procuratore della Repubblica. Poiche' l'art. 566, ottavo comma, del c.p.p., laddove si prevede la facolta' dell'imputato, subito dopo l'udienza di convalida dell'arresto, di formulare richiesta di giudizio abbreviato, richiama le disposizioni dell'art. 452, secondo comma, del c.p.p. regolanti la trasformazione del giudizio direttissimo innanzi al tribunale, ritenendo le argomentazioni svolte dal tribunale di Savona a sostegno della non manifesta infondatezza della questione, pienamente convincenti, questo pretore si riporta integralmente alla stessa trascrivendola qui di seguito: "La questione di costituzionalita'dell'art. 452 del c.p.p. nella parte in cui subordina l'ammissibilita' del rito abbreviato al consenso motivato del pubblico ministero, e' rilevante ai fini del decidere, in quanto il consenso del p.m. e' condizione necessaria e sufficiente per la trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato. Infatti nel giudizio direttissimo, il legislatore non richiede come presupposto per la trasformazione del rito in giudizio abbreviato, la definibilita' del processo allo stato degli atti, ammettendo, anzi, che si proceda, su indicazione del giudice, a ulteriori acquisizioni probatorie. Ne consegue che la motivazione addotta dal p.m. a sostegno del suo dissenso, non rende, per cio' solo, irrilevante la questione, in quanto la trasformazione del rito non e' condizionata dalla possibilita' o meno di decidere allo stato degli atti, giacche', ove questa possibilita' non vi sia, si procede ugualmente con le forme del giudizio abbreviato previa indicazione, da parte del giudice, dei temi dell'indagine probatoria. La questione e' altresi' non manifestamente infondata. Occorre infatti, considerare che, precludere all'imputato l'accesso al giudizio abbreviato significa impedirgli di fruire della diminuzione premiale della pena prevista dall'art. 442 del c.p.p. Pertanto si verifica una situazione nella quale l'applicazione o meno di una diminuzione dipende unicamente dalla manifestazione di volonta', senza necessita' di motivazione del p.m., cioe' di una parte del processo. Orbene, il sistema costituzionale, affida l'esercizio della giurisdizione al giudice ordinario senz'altro vincolo che quello della subordinazione alla legge. Infatti, l'art. 102, primo comma, afferma che la 'funzione giurisdizionale e' esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario'; l'art. 101, secondo comma, stabilisce che 'i giudici sono soggetti soltanto alla legge'; l'art. 25, primo comma, istituisce il diritto, cui la legge ordinaria non puo' derogare, secondo il quale non e' possibile distogliere alcuno da quel giudice che esercita la giurisdizione soggetto soltanto alla legge, che, anche per questo, viene definito 'naturale'. Appartiene, certamente, all'esercizio della giurisdizione, l'applicazione o meno di una diminuzione di pena, derivi questa dalla sussistenza di una determinata circostanza o dalla scelta del rito. Il sistema delineato dall'art. 452 del c.p.p. sembra confliggere con quello che risulta dalle citate norme costituzionali, poiche' l'esercizio della giurisdizione, in punto misura della pena, e' condizionato, non gia' dalla legge, ma dalla manifestazione di volonta' del p.m., parte del processo. Conforta, in questa conclusione, l'esame del sistema parallelo previsto dal codice di procedura penale in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti. In questo caso, infatti, il dissenso del p.m., che deve essere motivato, impedisce il passaggio al rito speciale - il che, di per se', non e' certo in contrasto con il sistema costituzionale - ma consente al giudice che ritenga ingiustificato il dissenso, di esercitare la giurisdizione in punto misura della pena".