L'assemblea  regionale siciliana, nella seduta del 19 luglio 1990,
 ha approvato il disegno di legge n. 510-423/A dal titolo: "Norme  per
 la  salvaguardia  dei  diritti  dell'utente  del  servizio  sanitario
 nazionale e istituzione dell'ufficio di pubblica tutela degli  utenti
 dei  servizi sanitari", pervenuto a questo commissariato dello Stato,
 ai sensi dell'art. 28,  dello  statuto  speciale,  il  successivo  21
 luglio 1990.
    Il   provvedimento  legislativo  di  cui  trattasi,  in  analogia,
 peraltro, a quanto gia' disposto da altre regioni,  fa  assurgere  al
 rango  di  legge  certamente  norme  di  comportamento  e  criteri di
 deontologia professionale e, nell'intento di cercare di migliorare il
 funzionamento   delle   strutture   ospedaliere,  istituisce,  presso
 ciascuna unita' sanitaria locale, un ufficio di pubblica tutela degli
 utenti   dei  servizi  sanitari,  con  particolare  riferimento  alle
 esigenze dei portatori di handicap e dei minori, un  "tribunale"  del
 malato  ma,  questa  volta,  da parte della amministrazione pubblica,
 tentando di migliorare dal di  dentro  una  struttura  nata  male  e,
 ancorpiu',  svezzata con molti problemi di vivibilita' e di crescita.
    Per  quanto  concerne,  nello  specifico,  la  salvaguardia  delle
 peculiarie necessita' dei minori, il legislatore, nella  disposizione
 contenuta  nell'art.  7,  prevede  particolari  garanzie,  sia  nelle
 modalita'   organizzative   che   nell'attuazione   dei   trattamenti
 terapeutici   ed   assistenziali,  affinche'  vengano  rispettate  le
 esigenze affettive, espressive ed educative tendenti al  mantenimento
 dell'equilibrio psico-effettivo dei minori stessi.
    Il  terzo  comma  del  medesimo  articolo testualmente dispone che
 "Quando il genitore,  nell'esercizio  della  sua  potesta',  nega  il
 proprio   consenso   ad  attivita'  diagnostiche  e  terapeutiche  od
 assistenziali,  l'operatore  che  ritiene  tale   scelta   gravemente
 pregiudizievole  per  la salute del minore puo' chiedere l'intervento
 del giudice minorile ai sensi dell'art. 333 del codice civile".
    Tale  previsione normativa si pone, pero', a sommesso avviso dello
 scrivente, palesamente in contrasto con la Costituzione e coni limiti
 posti  al  legislatore  regionale  dagli  artt. 14 e 17 dello statuto
 speciale in quanto contiene una disciplina inerente  alla  sfera  dei
 rapporti giuridici intercorrenti fra privati.
    Nella   fattispecie,   infatti,   l'art.  333  del  codice  civile
 stabilisce i rimedi alla condotta pregiudizievole del o dei  genitori
 nei  riguardi  dei  figli,  conferendo  al Tribunale dei minorenni il
 potere di adottare, secondo le  circostanze,  tutti  i  provvedimenti
 convenienti,   giungendo   persino   a   disporne,  in  casi  limite,
 l'allontanamento dalla residenza familiare.
    La   predetta  disposizione,  insieme  con  quella  contenuta  nel
 precedente  art.  330  del  codice  civile  (decadenza  della  patria
 potesta'  sui figli), si colloca, ad avviso dello scrivente, nel piu'
 ampio contesto dei principi sanciti dalla Costituzione,  laddove  nel
 titolo  secondo, sui rapporti etico-sociali - e precisamente all'art.
 30 - il Costituente, nell'imporre ai genitori il dovere di mantenere,
 istruire  ed  educare i figli, espressamente riconosce il contestuale
 diritto a provvedervi nel modo da essi ritenuto migliore.
    Il  legislatore  statale ha, infatti, determinato - e per l'intero
 territorio nazionale - tassivamente le fattispecie, le modalita',  le
 procedure  ed  i  soggetti  abilitati ad "interferire" con l'esecizio
 della patria potesta'.
    L'art.   336   del  codice  civile,  nel  definire  le  forme  del
 procedimento  dinanzi  al  tribunale  dei  minorenni,   espressamente
 individua  nell'altro genitore, nei parenti o nel pubblico ministero,
 i  soggetti  abilitati  a  sollecitare  l'intervento  della  predetta
 autorita' giudiziaria.
    Pure   nella  consapevolezza  che  disposizioni  del  genere  sono
 contenute nell'art. 17 della legge della regione  Toscana  1ยบ  giugno
 1983,  n.  36,  e  nell'art. 6 della legge della regione Lombardia 16
 settembre 1988,  n.  48  -  peraltro  mai  sottoposta  all'attento  e
 responsabile  vaglio  della  Corte  costituzionale  -  il  ricorrente
 ritiene di dover sottoporre al giudizio di codesta  ecc.ma  Corte  la
 norma  di cui al sopracitato terzo comma dell'art. 7 in quanto questa
 comporterebbe, in Sicilia, una  modifica  (estensione)  dei  soggetti
 legittimati  a  richiedere  il  provvedimento del giudice dei minori,
 configurando,  cosi',  una  manifesta   ingerenza   del   legislatore
 regionale   nella  materia  del  diritto  di  famiglia,  che  spetta,
 inequivocabilmente, al Parlamento nazionale in via esclusiva.
    La regione, infatti, e' un ente pubblico e, per sua natura stessa,
 creata   per   disciplinare    esclusivamente    i    rapporti    fra
 l'amministrazione  ed i cittadini ed il Costituente ha inteso percio'
 conferire una potesta' legislativa che si  svolge  entro  limiti  ben
 determinati e circoscritti.
    D'altra  parte,  l'ammissione  di  una competenza della regione in
 materia di rapporti intersoggettivi  comporterebbe,  inevitabilmente,
 come  prima  accennato,  dei  regimi  differenziati  che,  nei fatti,
 determinerebbero uno svuotamento della potesta' dello Stato, creando,
 altresi', un caleidoscopio di norme regionalmente variegato che senza
 dubbio determinerebbe una "confusione" che la materia non consente.
    La disciplina dei rapporti privati appartiene allo Stato, giacche'
 ad essa sottostanno esigenze di unita' e di uguaglianza dei cittadini
 che  possono  essere  salvaguardate  solo ed esclusivamente dall'ente
 esponenziale dell'intera collettivita' nazionale.
    Tale  principio  e'  da  ritenersi valido ed operante anche per la
 regione siciliana ancorche' lo statuto speciale soltanto in  tema  di
 industria e commercio ne escluda espressamente la regolamentazione.
    Codesta  ecc.ma  Corte,  peraltro,  ha energicamente ribadito, con
 sentenza n. 154/1972 (e in ultimo anche con  sentenza  n.  691/1988),
 l'esclusiva  appartenenza  allo  Stato  della potesta' legislativa di
 diritto privato in quanto questo  e'  materia  a  se'  stante  e  ben
 definita  e  non  un coacervo di elementi che possono essere distinti
 secondo la varia natura dei rapporti disciplinati o dei fini che,  di
 volta  in volta, la disciplina legislativa regionale vuole soddisfare
 (nel caso di specie la sanita').
    Ne',  del  resto,  a  giustificazione della previsione legislativa
 regionale, che con il presente atto si censura, potrebbe  addursi  la
 considerazione che l'operatore sanitario, nel richiedere l'intervento
 del tribunale, compie un'attivita'  gia'  sancita  dalla  deontologia
 professionale.
    Il medico infatti, nei casi di estrema urgenza, in cui il paziente
 versi in pericolo di vita, puo' intervenire senza indugi, anche senza
 il  preventivo  assenso  dei  congiunti,  in  quanto  il  suo operato
 risulta, nella fattispecie, lecito, riconducibile secondo la migliore
 dottrina  e  giurisprudenza  alla  scriminante  dell'esercizio  di un
 diritto, e giustificato dall'interesse che lo  Stato  riconosce  alla
 cura   degli  infermi  in  generale,  autorizzando,  disciplinando  e
 favorendo l'attivita' medico-chirurgica.
    Altra  disposizione oggetto di censura, in quanto confliggente con
 il principio di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione, e'
 quella contenuta nell'art. 36 laddove gli oneri finanziari - peraltro
 neanche sommariamente quantificati -  derivanti  dall'attuazione  del
 provvedimento legislativo de quo, vengono imputati genericamente alla
 quota del Fondo sanitario nazionale - parte corrente - assegnato alla
 Regione   -,   senza   fornire   alcuna   indicazione   riguardo   la
 disponibilita' di tale quota a finanziare la nuova spesa  introdotta.
    Non  puo',  infine,  non porsi nel dovuto rilievo che l'intervento
 previsto dal legislatore regionale ha carattere prettamente sociale e
 pertanto  non  appare  a  stretto  rigore  logico,  confacente con le
 finalita' cui e' destinato il fondo sanitario  nazionale  (assistenza
 sanitaria ed ospedaliera).
    L'imputazione   della   spesa,   derivante  dal  provvedimento  in
 argomento, comporta  pertanto  una  palese  distrazione  di  somme  -
 l'ammontare  non  ha  alcun valore e significato - dalle destinazioni
 imposte dalla legge statale, ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  il
 principio  della  buona  amministrazione,  di  cui all'art. 97, primo
 comma, della Costituzione.