IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 2537/1989
 proposto dalla societa' Scamosceria Astico  S.p.a.,  rappresentata  e
 difesa  dagli  avvocati  Ivone  Cacciavillani  e Primo Michielan, con
 domicilio presso la segreteria del t.a.r., ai sensi dell'art. 35  del
 r.d.  26 giugno 1924, n. 1054, contro il comune di Thiene, in persona
 del sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocato  Diego
 Favero,  con  domicilio  presso  la  segreteria  del t.a.r., ai sensi
 dell'art. 35 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054; il sindaco del  comune
 di  Thiene,  non  costituito  in  giudizio,  per  l'annullamento  del
 provvedimento di sospensione della domanda  di  concessione  edilizia
 del  7  settembre  1989;  nonche'  del provvedimento di diniego della
 concessione edilizia prot. n. 1251 del 6 ottobre 1989;
    Visto il ricorso, notificato l'8 novembre 1989 e depositato presso
 la segreteria il 13 novembre 1989, con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in giudizio del comune di Thiene,
 depositato il 10 gennaio 1990;
    Viste le memorie prodotte dalle parti;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito  alla  pubblica  udienza  del  22 febbraio 1990 (relatore il
 primo referendario Silvio I. Silvestri) l'avvocato Cacciavillani  per
 la parte ricorrente;
    Ritenuto e considerato quanto segue;
                               F A T T O
    La societa' Scamoscerie Astico S.p.a. e' proprietaria in comune di
 Thiene di un appezzamento di terreno in zona  industriale  sul  quale
 sorge uno stabilimento per la lavorazione delle pelli.
    In  data  17  febbraio  1989  presentava  domanda al comune di una
 concessione edilizia per l'ampliamento del fabbricato.
    In  data 10 maggio 1989 riceveva una richiesta da parte del comune
 dell'atto  di  proprieta'  con  la  contemporanea  sospensione  della
 pratica, cui la ricorrente ottemperava in data 13 giugno 1989.
    In data 7 settembre 1989 il sindaco emanava un altro provvedimento
 di   sospensione   giustificato   dalla   necessita'   di   ulteriori
 approfondimenti.
    Infine con atto notificato il 10 ottobre 1989 il sindaco rigettava
 l'istanza perche' contrastante con l'art. 22 della n.t.a. del  p.r.g.
    Avverso  tali  atti  la  societa' ha presentato ricorso deducendo,
 riguardo alla sospensione:
      1)  violazione  dell'art.  79  della  legge  regionale veneta 28
 giugno  1985  n.  61  nonche'  del   principio   di   tipicita'   dei
 provvedimenti amministrativi.
    Il  termine di 90 giorni dall'istanza di concessione edilizia puo'
 essere interrotto una sola volta per  chiedere  l'integrazione  della
 documentazione;  nel  caso  in questione sarebbe stato interrotto una
 seconda volta;
      2)  il provvedimento di sospensione avrebbe l'intento di eludere
 la disposizione contenuta dallo  stesso  art.  79  secondo  la  quale
 trascorsi  90  giorni dall'istanza di concessione si forma su di essa
 il silenzio-assenso.
    Avverso il diniego di concessione edilizia:
      3)  il provvedimento di diniego e' stato emanato sul presupposto
 che in capo all'amministrazione  permanesse  il  potere  di  decidere
 sull'istanza.   Invece   dell'illegittimita'   dell'atto   sospensivo
 deriverebbe  l'impossibilita'  per   il   sindaco   di   pronunciarsi
 negativamente.   Infatti,   non  essendo  validamente  interrotto  il
 termine, al sindaco sarebbe rimasto solo il potere  di  annullare  il
 silenzio-assenso.  Percio'  l'atto  sarebbe  viziato  per  difetto di
 presupposto e illegittimita' derivate;
      4)  Eccesso  di  potere  per  illogicita'  manifesta e per falsa
 applicazione dell'art. 22 dela n.t.a. del p.r.g.
    L'ampliamento   industriale   richiesto   sarebbe   conforme  alla
 normativa vigente nella zona produttiva ove insiste  lo  stabilimento
 della  societa' ricorrente, e percio' l'atto di diniego, asserendo la
 violazione della n.t.a. del p.r.g., sarebbe pretestuoso ed  illogico.
    L'Amministrazione   comunale   si   e'   costituita   in  giudizio
 controdeducendo puntualmente e chiedendo una pronuncia di  reiezione.
    All'udienza  pubblica  del  22  febbraio  1990 il ricorso e' stato
 spedito in decisione.
                             D I R I T T O
    La societa' ricorrente ha impugnato gli atti con cui il sindaco di
 Thiene ha sospeso le proprie determinazioni in ordine all'istanza  di
 concessione   edilizia  e  successivamente  ha  rigettato  la  stessa
 istanza.
    Con  i  primi  due  motivi  (che  assorbono  il  terzo)  deduce la
 violazione dell'art. 79 della legge regionale veneta 27  giugno  1985
 n.  61  nonche'  l'eccesso  di potere in relazione alla tipicita' dei
 provvedimenti   amminisrativi   ed   ai    principi    di    corretta
 amministrazione.
    Ai  sensi  della  normativa  richiamata  il sindaco avrebbe potuto
 interrompere il termine, la cui scadenza comporta il verificarsi  del
 silenzio-assenso,  una  sola  volta, e percio' sarebbe illegittima la
 seconda sospensione.
    Comunque,  quest'ultimo atto sarebbe stato adottato esclusivamente
 al fine di eludere la  disposizione  dettata  dall'art.  79,  secondo
 comma,  della  legge  regionale, che consentirebbe la sospensione del
 termine solo  per  richiedere  all'interessato  la  presentazione  di
 documenti   aggiuntivi  e  non  al  fine  esclusivo  di  impedire  il
 perfezionarsi  del  silenzio-assenso  adducendo  la   necessita'   di
 approfondimento sulla questione.
    Il  comune  sostiene  che  non  vi  sarebbero  state due rilevanti
 interruzioni dal termine ma solo una in quanto  la  domanda  iniziale
 della  ricorrente,  essendo  carente  di  un documento necessario per
 iniziare la relativa istruttoria (l'atto  attestante  la  titolarita'
 dell'immobile),  non  sarebbe  stata  sufficiente  a far decorrere il
 termine di cui all'art. 79, secondo comma, della legge  regionale  n.
 61/1985.  Ne'  vi  sarebbe,  con  riferimento  alla sospensione del 7
 settembre 1989, il vizio di sviamento prospettato col secondo  motivo
 del  ricorso  perche'  gli  approfondimenti  ritenuti  necessari  dal
 sindaco sarebbero  stati  indispensabili  proprio  per  accertare  la
 conformita'  dell'ampliamento richiesto con la disciplina urbanistica
 vigente.
    Le giustificazioni del comune non sono condivisibili.
    Infatti,   anche   ammettendo   che  il  documento  attestante  la
 titolarita'  dell'immobile  fosse  da  considerare   essenziale   per
 l'inizio  della  relativa  istruttoria  e quindi per far decorrere il
 termine per la formazione del cosiddetto  silenzio-assenso  (cfr.  in
 proposito Cons. St. sez. V, 5 ottobre 1987, n. 588), a partire dal 13
 giugno 1989 - giorno in cui  fu  integrata  la  documentazione  -  il
 comune  aveva  90  giorni di tempo per rispondere ovvero per chiedere
 documenti aggiuntivi ritenuti necessari per decidere, secondo  quanto
 disposto dall'art. 79, secondo comma, della legge in questione.
    Ed invece il sindaco, quando ormai si approssimava la scadenza del
 termine, ha notificato alla societa' istante,  in  data  8  settembre
 1989,   un   atto   di   sospensione  richiamando  la  necessita'  di
 approfondimenti. Con cio' violando sicuramente la normativa regionale
 che  prevede l'interruzione solo per acquisire documenti necessari ma
 non ulteriori  valutazioni  in  quanto  il  legislatore  ha  ritenuto
 congruo, a questi fini, il termine perentorio di 90 giorni.
    L'amministrazione  comunale ha, peraltro, sostenuto che l'istituto
 del  "silenzio-assenso"  e'  riservato  alle  ipotesi   di   edilizia
 residenziale  che, pur intesa in senso lato, non potrebbe comprendere
 anche gli interventi industriali quale quello oggetto del ricorso.
    Occorre, percio', affrontare la questione della applicabilita' del
 cosiddetto  silenzio-assenso  agli   interventi   di   edilizia   non
 residenziale,  tenendo  presente  che l'art. 79 della legge regionale
 veneta 27 giugno 1985,  n.  61,  non  introduce  alcuna  limitazione,
 mentre  l'art.  8 della legge 25 marzo 1982, n. 94, prevede il tacito
 accoglimento  solo  per  le  istanze  di  concessioni   relative   ad
 interventi di edilizia residenziale.
    Questo   tribunale   si  e'  gia'  pronunciato  per  la  soluzione
 affermativa sulla base di due considerazioni:
       a)  nessuna  disposizione  della  legge  regionale  esprime  la
 volonta' di mantenere fermo il  principio  della  legge  statale  che
 limita  espressamente  la  formazione  del c.d. silenzio-assenso alle
 sole ipotesi di edilizia residenziale;
       b)  trattandosi  di  un  mero  schema procedimentale diretto ad
 attribuire  al  comportamento  dell'Amministrazione  un   significato
 tipizzato,   non  si  tratta  neppure  di  una  scelta  sottratta  al
 legislatore regionale nella sua competenza concorrente (t.a.r. Veneto
 sez. I 31 maggio 1988 nn. 501 e 502; id. 11 giugno 1988, n. 552).
    Queste  conclusioni sono state contraddette dal Consiglio di Stato
 (sez. IV 12 ottobre 1989, n. 682) che ha riformato, sul punto, le tre
 sentenze  suindicate  di  questo  tribunale. Il Consiglio di Stato ha
 ritenuto  l'istituto  del  silenzio-assenso,  previsto  dalla   legge
 regionale  veneta n. 61/1985, applicabile esclusivamente alle domande
 di concessione per interventi di  edilizia  residenziale  perche'  la
 mancata  ripetizione nella legislazione regionale del limite inerente
 all'edilizia residenziale non potrebbe essere inteso come volonta' di
 estendere l'ambito del silenzio-assenso.
    Inoltre,  l'istituto  in  questione  non  si ridurrebbe ad un mero
 modulo organizzativo ma assumerebbe carattere sostanziale in quanto -
 in  deroga  ai  principi  generali  dell'ordinamento che impongono la
 subordinazione  dell'attivita'  edilizia  al   previo   provvedimento
 concessorio   -  svolgerebbe  effetti  costitutivi  della  situazione
 giuridica  del  privato  con  conseguente  consumazione  del   potere
 discrezionale dell'amministrazione.
    L'aspetto   sostanziale  dell'istituto  sarebbe  confermato  dalla
 pronuncia della  Corte  costituzionale  n.  1033  del  27  ottobre-15
 novembre  1988  che  ha  qualificato  come  norme  fondamentali delle
 riforme economico-sociali le disposizioni della legge 25  marzo  1982
 n.  94  in  materia  di  silenzio-assenso alle domande di concessione
 edilizia per interventi abitativi.
    Il  collegio  continua  tuttavia  a  ritenere  che il procedimento
 introdotto  nell'ordinamento  regionale  benche'  sia   evidentemente
 derivato  dalla  previsione dell'art. 8 della legge n. 94/1982, trova
 applicazione in tutte le ipotesi di richiesta di concessione edilizia
 e non puo' essere limitato agli interventi di carattere residenziale.
    Tale  interpretazione deriva innanzitutto dal carattere generale e
 sistematico della legge regionale 27  giugno  1985,  n.  61,  che  ha
 inteso  disciplinare,  tendenzialmente  al completo, le modalita' per
 l'assetto e l'uso del territorio. Percio', poiche'  l'art.  79  della
 legge   regionale   parla   delle   istanze   di   concessione  e  di
 autorizzazione senza limitare l'applicazione dell'assenso tacito agli
 interventi  residenziali, deve ritenersi che si riferisca a qualsiasi
 opera edilizia.  Il  carattere  generale  della  legge  regionale  e'
 confermato  dalla  mancanza di limite temporale alla applicazione del
 c.d. silenzio-assenso, mentre la normativa statale e' temporaneamente
 limitata,  anche  se  e' stata prorogata per alcuni anni (vedi ora la
 legge 31 maggio 1990, n. 128).
    E'  significativo,  inoltre,  il  fatto che la legge regionale sia
 stata promulgata dopo l'entrata in vigore  della  legge  28  febbraio
 1985  n.  47,  legge  quadro  in  materia di controllo dell'attivita'
 urbanistico-edilizia il cui art. 25, primo comma, lett.  b),  dispone
 che le regioni dovranno, mediante proprie leggi, definire criteri per
 accelerare l'esame delle domande di concessione e  di  autorizzazione
 edilizia.
    Pertanto  la  previsione  dell'art.  79  in  questione puo' essere
 ricondotta all'esigenza sopra detta  presa  in  considerazione  dalla
 legge  quadro  nazionale,  che,  a  sua  volta,  non pone limitazioni
 correlate al tipo di intervento edilizio. Anche la  mancanza  di  uno
 specifico riferimento alle opere di edilizia abitativa negli artt. 89
 e seguenti  della  stessa  legge  regionale,  che,  disciplinando  il
 controllo  del sindaco sull'attivita' edilizia, richiamano piu' volte
 la  concessione  tacitamente  assentita,  conferma  la  volonta'  del
 legislatore  di  non  operare  alcuna  distinzione  sulla  base della
 diversita' degli interventi.
    In  particolare,  l'art. 92, terzo comma, lett. a), considera come
 variante essenziale alla concessione anche tacitamente assentita ogni
 intervento  che  comporti un mutamento sostanziale della destinazione
 d'uso dell'immobile e non consente di escludere dalla sua  previsione
 le  ipotesi  in  cui  il  cambio  di  destinazione  d'uso riguardi un
 immobile  non  residenziale  per  il  quale   sia   stata   assentita
 tacitamente  la  concessione  e  che, invece, abbia una utilizzazione
 diversa rispetto a quella cui era stato destinato  nella  domanda  di
 concessione.
    Tutte  queste considerazioni inducono il collegio ad insistere, in
 dissenso con la suindicata giurisprudenza  del  Consiglio  di  Stato,
 nella  interpretazione  estensiva  dell'art. 79 della legge regionale
 veneta 27 giugno 1985, n. 61, tenendo fermo il proprio  convincimento
 che   il   legislatore  regionale,  nel  prevedere  la  figura  della
 concessione  edilizia  tacitamente  assentita,   non   abbia   inteso
 limitarla  - come il legislatore nazionale del 1982 - agli interventi
 di carattere abitativo ma l'abbia estesa ad ogni tipo di  costruzione
 (vd. t.a.r. Veneto Sez. II, 15 maggio 1990, n. 570).
    Il  collegio  ritiene,  invece,  di  dover rimeditare la questione
 della possibilita' che la legge regionale disciplini  la  materia  in
 modo  diverso  da  quello previsto dalla legislazione nazionale senza
 incorrere nella censura di incostituzionalita', anche alla luce della
 sentenza  della Corte costituzionale del 1988 sopra richiamata che ha
 qualificato come norme fondamentali delle riforme  economico  sociali
 le disposizioni dettate dall'art. 8 della legge 25 marzo 1982, n. 94.
    In  sostanza,  si  tratta  di  stabilire  se  la qualificazione di
 normativa  di  riforma  economico-sociale  attribuita   dalla   Corte
 costituzionale  alla  legge  statale  in  questione,  incidendo sulla
 competenza legislativa delle regioni a statuto ordinario, cosi'  come
 su  quella  delle regioni a Statuto speciale, comporti un giudizio di
 illegittimita' costituzionale per la legge regionale  veneta  che  ha
 disciplinato la materia in modo parzialmente difforme.
    La   risposta   sara'   diversa  a  seconda  che  si  ritenga  che
 l'attribuzione   del    carattere    di    normativa    di    riforma
 economico-sociale   debba   riferirsi  alla  previsione  in  generale
 dell'istituzione della  concessione  tacitamente  assentibile  ovvero
 riguardi anche la specifica disciplina ed i singoli casi previsti dal
 legislatore statale con conseguente  esclusione  della  possibilita',
 per  il  legislatore  regionale,  di dettare una diversa disciplina e
 introdurre altre ipotesi non rientranti tra quelle volute dalla legge
 di  riforma  ovvero  escludere  fattispecie  ammesse  dal legislatore
 statale.
    Ma  sul punto, il collegio non e' competente spettando il giudizio
 alla valutazione della Corte costituzionale.
    La  non  manifesta  infondatezza  della  questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 79 della legge regionale  veneta  27  giugno
 1985,  n.  61,  nella  parte  in  cui  prevede il tacito assenso alla
 richiesta  di  concessione  edilizia  senza  limitarlo   all'edilizia
 residenziale  e'  confortata dalla costatazione che secondo la citata
 sentenza n. 582/1989 della IV sezione  del  Consiglio  di  Stato  una
 norma  del  genere  (quella che, appunto, questo collegio legge sulla
 disposizione dell'art. 79) sarebbe incostituzionale.
    La  questione  e', inoltre, rilevante perche' decisiva al fine del
 giudizio. E' infondato, infatti, il quarto motivo del  ricorso,  dato
 che l'invocato art. 22 della n.t.a., che consente l'ampliamento delle
 "aziende esistenti", non  puo'  essere  interpretato  nel  senso  che
 consenta  l'ampliamento  di fabbricati esistenti ed aziende che hanno
 iniziato ad utilizzarli successivamente  all'entrata  in  vigore  del
 p.r.g. e per scopi diversi da quelli per cui servivano in precedenza;
 non e' nel caso (vd.  la  domanda  di  mutamento  della  destinazione
 d'uso).