L'assemblea regionale siciliana, nella seduta del 28 luglio 1990, ha approvato il disegno di legge recante: "Norme modificative ed integrative della legge 28 febbraio 1987, n. 56 e delle leggi regionali 23 gennaio 1957, n. 2, 27 dicembre 1969, n. 52 e 5 marzo 1979, n. 18, in materia di disciplina del collocamento e di organizzazione del mercato del lavoro. Norme integrative dell'art. 23 della legge 11 marzo 1988, n. 67, concernente attivita' di utilita' collettiva in favore dei giovani", pervenuto a questo commissario dello Stato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 28 dello statuto speciale, il successivo 31 luglio 1990. Il legislatore regionale, nell'esercizio della potesta' legislativa concorrente, riconosciutagli dall'art. 17, lett. f), dello statuto speciale, ed in conformita' alle norme di attuazione del predetto statuto in materia di lavoro e di previdenza sociale, di cui al d.P.R. 25 giugno 1952, n. 1138 e del d.P.R. 16 febbraio 1979, n. 76, in buona sostanza recepisce, quasi integralmente, con il provvedimento de quo, la recente riforma relativa all'organizzazione del mercato del lavoro, contenuta nella legge 28 febbraio 1987, n. 56. Il disegno di legge di cui trattasi adegua alle esigenze della realta' occupazionale siciliana i principi innovatori della sopracitata legge statale, integrandola in ordine alle nuove strutture di base del collocamento - commissioni e sezioni circoscrizionali - e rimettendo a questi uffici periferici tutte le competenze relative alle attivita' operative fondamentali. Riguardo al personale in servizio nei predetti uffici, il legislatore regionale, pero', introduce norme in materia di ineleggibilita' alle cariche elettive nei comuni e nelle province regionali dell'Isola. Il secondo comma dell'art. 18 testualmente recita: "Il personale che riveste funzioni direttive negli uffici di collocamento o nelle sezioni circoscrizionali non puo' essere candidato per le elezioni dei consigli comunali e provinciali della Sicilia". Non vi e' dubbio che la norma ora approvata introduce una limitazione al godimento del diritto politico dell'elettorato passivo e segnatamente a quello per l'accesso ad una carica pubblica elettiva e da' adito, pertanto, a rilievi di legittimita' costituzionale. Si ritiene opportuno, preliminarmente, porre tuttavia nella dovuta evidenza che il legislatore regionale, riguardo alla sopracitata disposizione, ha operato ai sensi dell'art. 14, lett. o), dello statuto speciale, cioe' con potesta' legislativa primaria nella materia dell'ordinamento degli enti locali. I limiti della potesta' legislativa della regione siciliana, per quanto attiene all'elettorato passivo (elezioni amministrative), sono stati pero' precisati da codesta ecc.ma Corte con sentenza n. 108 del 16 giugno 1969. La regione siciliana deve rispettare il principio di eguaglianza in tema di accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, sancito dall'art. 51, primo comma, della Costituzione e percio' "non e' in condizioni di prevedere nuove e diverse cause di ineleggibilita' a consigliere provinciale e a consigliere comunale se non in presenza di situazioni concernenti categorie di soggetti, le quali siano esclusive per la Sicilia ovvero si presentino diverse, messe a raffronto con quelle proprie nelle stesse categorie di soggetti nel restante territorio nazionale, e in ogni caso per motivi adeguati o ragionevoli e finalizzati alla tutela di interessi generali". Occorre, dunque, secondo il surriportato insegnamento, che sussistano, perche' siano legittimate, deroghe alla legislazione elettorale statale, e seguenti due condizioni: diversita' o esclusivita' di situazioni concernenti categorie di soggetti; motivi, adeguati e razionali, finalizzati alla tutela di un interesse generale. Non sembra che la causa di ineleggibilita' a consiglieri provinciale e comunale, prevista dall'art. 18, secondo comma, del disegno di legge, recentemente, approvato dall'assemblea regionale, risponda ad entrambi i suddetti requisiti. E' da rilevare, infatti, in linea preliminare, che la causa di ineleggibilita' in questione, che dovrebbe valere nell'ambito del territoro isolano, attiene a determinate posizioni impiegatizie (funzioni direttive) che, per la loro caratterizzazione intrinseca, non si differenziano rispetto a quelle che sussistono nel restante territorio nazionale. La legge 28 febbraio 1987, n. 56, nel prevedere per l'intero territorio nazionale analoghe e corrispondenti figure di dipendenti pubblici, non contempla alcuna causa di incompatibilita' ne' tantomeno di ineleggibilita' per coloro i quali svolgono funzioni direttive negli uffici di collocamento e/o nelle sezioni circoscrizionali. Ne', a fortiori, puo' ricondursi la causa di ineleggibilita' di cui trattasi ad alcuna di quelle esplicitamente e tassativamente enumerate dalla legge n. 154/1981. Il personale degli uffici in questione e', infatti, dipendente dalla regione e non puo', pertanto, ritenersi destinatario delle disposizioni contenute nell'ordinamento regionale degli enti locali siciliani, corrispondenti all'art. 2, n. 7, della legge statale n. 154/1981, la quale prevede l'ineleggibilita' dei dipendenti della regione, della provincia e dei comuni per i rispettivi consigli. L'ineleggibilita' dei funzionari direttivi degli uffici di collocamento e delle sezioni circoscrizionali appare del tutto ingiustificata anche per l'ampiezza e la genericita' della previsione normativa che la stabilisce, senza peraltro fissarne i limiti di operativita' desumibili, in ipotesi, dalla sede dell'ufficio e conseguente ambito territorialle in cui e' svolta l'attivita' istituzionale e quelli del consiglio comunale o provinciale eligendo. Il legislatore regionale, infatti, ha sancito un'indiscriminata - per tutti i consigli comunali e provinciali dell'isola - causa di ineleggibilita' per i funzionari direttivi qualunque sia la sede in cui essi prestino servizio. Di questo passo, tutti i responsabili di uffici pubblici in Sicilia - anche di uffici di modesto rilievo amministrativo -, dovrebbero (potrebbero) essere privati del diritto elettorale passivo, di cui all'art. 51 della Costituzione, estromettendoli comunque dal partecipare alla formazione degli enti (o uffici) pubblici elettivi. E' pure vero che il nostro sistema elettorale, nel suo complesso, ha bisogno di essere modificato (e qualcosa si muove in tal senso nel Paese); ma ben altre sono le riforme, le modifiche auspicate e necessarie. E', invero, una capitis deminutio, una irrazionale e ingiustificata restrizione della sfera giuridico-politico-soggettiva quella che la regione siciliana intende operare, determinando, al contempo, una disparita' di trattamento tra i cittadini della Repubblica e, ancor piu', tra i titolari del medesimo ufficio nell'ambito territoriale della Repubblica. Devesi, inoltre, rilevare che non e' rinvenibile, ne' dalla relazione illustrativa al provvedimento legislativo in esame, ne' tantomeno dal dibattito in aula, alcuna motivazione che sostenga siffatta compressione - per quanto detto immotivata - di un diritto costituzionalmente riconosciuto, tra i fondamentali di uno Stato democratico, che si regge sul consenso degli elettori (del popolo) e sulla partecipazione diretta dei cittadini ai suoi organi e uffici, specie quelli di natura elettiva (diritti politici soggettivi funzionali). Non e' dato, peraltro, rilevare che la situazione delle categorie dei soggetti, presa in considerazione dalla norma di cui all'art. 18, secondo comma, della legge teste' approvata, si atteggi autonomamente o diversamente nell'ambito della regione siciliana rispetto alle condizioni socio-economiche in cui versano le altre regioni dell'Italia meridionale (alto tasso di disoccupazione, interferenze nella p.a. delle associazioni di tipo mafioso, ecc.). In conclusione, l'eventuale e non esplicitata esigenza di pubblico interesse, posta a base della norma, non potendo essere considerata ne' esclusiva ne' specifica della regione siciliana, non e' tale da potere legittimare l'operato del legislatore regionale nel prevedere cause di ineleggibilita', ma andrebbe semmai valutata dal legislatore statuale allo scopo di predisporre una disciplina univoca ed omogenea sul piano nazionale. Una disposizione del genere suona, invero ed invece come una codificata "tonsura" ovvero come una legislativa disistima dei funzionari, presi ora in considerazione, nel senso che essi sono propensi, inclini alla corruzione "politica", nel senso che, per procacciarsi voti, favori elettorali, sono portati (o sono obbligati) a lasciarsi corrompere. Ma non pare, allo scrivente, che tali considerazioni (ammesso che - ma lo esclude - il legislatore regionale le abbia potuto avanzare) possano avere determinato l'ARS: non si puo' avere disistima dei propri (regionali) dipendenti nonche' "traduttori" della norma giuridica elaborata e approvata dal legislatore siciliano. Conseguentemente, discende che la normativa, qui in considerazione - in quanto riferita (e riferibile) a situazioni non esclusive ne' peculiari della regione siciliana -, non puo' trovare disciplina difforme da quella statuale - esistente o in fieri - e, pertanto, viola in particolare, tra l'altro, l'art. 51 della Costituzione, laddove impedisce che l'elettorato passivo possa configurarsi con un contenuto diseguale per i cittadini siciliani rispetto agli altri italiani, creando disparita' di trattamento inconcepibile nelle stesse condizioni e situazioni.