IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi nn. 400 del 1988 e 871 del 1989, proposti da Venditti Alfonsino, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Porqueddu, ed elettivamente domiciliato presso il medesimo in Brescia, via V. Emanuele II, 1, contro il Ministero di grazia e giustizia, in persona del Ministro pro-tempore; il direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli aa.gg., presso il Ministero anzidetto; il Consiglio superiore della magistratura, costituitosi in giudizio, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, ed elettivamente domiciliati presso la medesima in Brescia, via Solferino, 20/C, per l'annuallamento; (ricorso n. 400/89) del decreto 18 agosto 1987 del direttore generale per l'organizzazione giudiziaria e degli aa.gg. presso il Ministero di grazia e giustizia, concernente liquidazione dell'equo indennizzo, nonche' di tutti gli atti preordinati e connessi; (ricorso n. 871/89) del decreto 17 dicembre 1988 del medesimo direttore generale dell'organizzazione giudiziaria e degli aa.gg., di rideterminazione dell'equo indennizzo, in parziale rettifica del decreto 18 agosto 1987, impugnato con il precedente ricorso; nonche' per l'accertamento (in entrambi i ricorsi) del diritto del ricorrente alla riliquidazione dell'equo indennizzo in misura diversa e superiore, con la condanna dell'amministrazione al pagamento del maggior importo dovuto, con interessi legali sino al saldo; Visti i ricorsi con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in entrambi i giudizi dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle proprie difese; Vista la propria sentenza interlocutoria 23 gennaio 1989, n. 49, con la quale sono stati disposti incombenti istruttori; Visti gli atti tutti della causa; Data per letta alla pubblica udienza del 30 marzo 1990, la relazione del referendario Righi Renato; Uditi, l'avv. Giuseppe Porqueddu per il ricorrente, e l'avv. dello Stato Gianni De Bellis per le parti resistenti; Ritenuto in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O 1. - Con ricorso notificato il 29 marzo 1988, depositato il 6 aprile successivo, e rubricato al n. 400/88 r.g., il dott. Alfonsino Venditti, magistrato di Cassazione, nominato alle funzioni direttive superiore e con l'incarico di presidente di tribunale, ha impugnato il decreto ministeriale sopra indicato con il quale l'equo indennizzo accordatagli e' stato liquidato sullo stipendio iniziale spettante al consigliere di Cassazione al 1ยบ gennaio 1987, anziche' sul maggior stipendio da lui goduto al momento della liquidazione, e, cioe', quello del magistrato di Cassazione con funzioni direttive superiori, all'ottava classe, ottavo scatto. L'interessato ha chiesto, anche, l'accertamento del diritto alla riliquidazione dell'indennizzo sul maggior stipendio, con la condanna dell'amministrazione al pagamento della differenza dovuta, con gli interessi di legge fino al saldo. A sostegno del gravame, il ricorrente afferma che, ai fini della liqidazione dell'equo indennizzo, ex art. 154 della legge 11 luglio 1980, n. 312, per i magistrati che hanno superato lo stipendio iniziale del consigliere di Cassazione, si deve considerare non gia' quest'ultimo stipendio, ma quello effettivamente goduto all'atto della liquidazione stessa. Nella fattispecie, pertanto, dovevasi asseritamente prendere come base di calcolo il maggior stipendio goduto dal ricorrente. La tesi diversa, seguita nel decreto ministeriale impugnato, e che fa, invece, riferimento allo stipendio iniziale del consigliere di Cassazione, sarebbe, secondo il ricorrente, costituzionalmente illegittima, in relazione agli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione. L'istante ha concluso per l'accoglimento del ricorso, previa acquisizione della necessaria documentazione e, occorrendo, previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della dedotta questione di legittimita' costituzionale. Al ricorso ha resistito l'amministrazione intimata che, sostenendone l'infondatezza nel merito e la manifesta infondatezza dell'affacciata questione di legittimita' costituzionale, ne ha chiesto la reiezione. Con sentenza interlocutoria 23 gennaio 1989, n. 49, questa sezione ha disposto l'acquisizione di ulteriore documentazione istruttoria con onere a carico dell'amministrazione. 2. - Con un secondo ricorso, notificato il 5 agosto 1989, depositato l'8 settembre successivo e rubricato al n. 871/89 r.g., il dott. Venditti ha impugnato, altresi', il decreto ministeriale 17 dicembre 1988 di rideterminazione dell'equo indennizzo accordatogli, in parziale rettifica del decreto 18 agosto 1987, impugnato con il precedente ricorso, e al quale ultimo ha chiesto - in via preliminare - la riunione del presente gravame. Egli ha, inoltre, rinnovato la domanda di accertamento giudiziale del proprio preteso diritto alla riliquidazione dell'equo indennizzo in misura diversa e superiore, con la condanna dell'amministrazione al pagamento del maggior importo dovuto, con interessi legali sino al saldo. La pretesa azionata viene suffragata dal ricorrente con le medesime argomentazioni giuridiche esposte nel precedente grvame e basate, essenzialmente, sull'asserita incostituzionalita' dell'art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, nell'interpretazione offerta dall'amministrazione, secondo la quale, ai fini della liquidazione dell'equo indennizzo si deve considerare, quale base di calcolo, lo stipendio iniziale del magistrato di Cassazione, con la sola aggiunta dell'importo corrispondente all'anzianita' pregressa minima necessaria e sufficiente per l'accesso a detta posizione, in applicazione degli artt. 5 e 6 della legge n. 425/1984 (e quest'ultima integrazione costituisce, appunto, la rettifica apportata al precedente decreto di liquidazione, impugnato con il primo ricorso), anziche' - come invece sostiene il ricorrente - l'ultimo stipendio effettivamene goduto all'atto della liquidazione, qualora trattasi di magistrati che abbiano gia' acquisito il trattamento economico del consigliere di Cassazione nominato alle funzioni direttive superiori. Anche in questo giudizio si e' costituita l'amministrazione intimata, con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato, che, controdeducendo puntualmene alle argomentazioni del ricorrente, ha chiesto la reiezione delle domande proposte, sia in via principale che incidentale, dal medesimo. Con ordinanza istruttoria 22 settembre 1989, n. 42, il presidente della sezione ha disposto l'integrazione della documentazione versata in atti. 3. - A seguito del deposito, da parte dell'avvocatura dello Stato, degli atti richiesti in via istruttoria, il ricorrente ha presentato, in entrambi i ricorsi, motivi aggiunti per contestare la riduzione dell'equo indennizzo, operata dall'amministrazione, ai sensi dell'art. 49, secondo comma, del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, in relazione all'eta' dell'interessato. Successivamente, entrambe le parti hanno prodotto memorie per ulteriormente illustrare le gia' offerte argomentazioni difensive, insistendo per l'accoglimento delle rispettive conclusioni. All'udienza del 30 marzo 1990, i ricorsi, chiamati e discussi congiuntamente, sono stati trattenuti per la decisione. D I R I T T O Preliminarmente, il collegio dispone la riunione dei ricorsi, anche in adesione alle corrispondenti istanze istruttorie delle parti in causa, stante l'evidente connessione obbiettiva e soggettiva dei due gravami. Essi, sono infatti, rivolti entrambi a censurare l'operato dell'amministrazione, nella liquidazione dell'equo indennizzo spettante al ricorrente, quale magistrato di Cassazione, nominato alle funzioni direttive superiori e con l'incarico di presidente di tribunale. Con il decreto ministeriale 18 agosto 1987, impugnato con il primo ricorso, l'equo indennizzo e' stato calcolato prendendo come base lo stipendio iniziale spettante al consigliere di Cassazione. Con il successivo decreto ministeriale 17 dicembre 1988, impugnato con il secondo ricorso, il precedente decreto 18 agosto 1987 e' stato rettificato nel senso che la base di calcolo per la liquidazione del suddetto beneficio economico e' stata integrata con l'aggiunta, allo stipendio iniziale del magistrato di Cassazione, dell'importo corrispondente all'anzianita' pregressa minima necessaria e sufficiente per l'accesso a detta posizione (cioe' tre classi maturate nella qualifica di magistrato di corte d'appello). Con questo secondo decreto l'amministrazione ha dato attuazione all'art. 6 della legge 6 agosto 1984, n. 425, secondo cui, ai fini della determinazione della misura dell'equo indennizzo ai magistrati in servizio, devono essere tenute presenti le nuove misure stipendiali risultanti dall'applicazione della stessa legge n. 425/1984, e in particolare, del suo art. 5, sul trascinamento dell'anzianita' maturata nella qualifica inferiore, in caso di promozione a quella successiva. Ma anche con questo adattamento alle nuove disposizioni sul trattamento economico dei magistrati, l'amministrazione ha, comunque, sostanzialmente rispettato quel principio, che la giurisprudenza ha definito come ispiratore della normativa in materia (cfr. Consiglio di Stato, sezione quarta, 20 maggio 1987, n. 306), vale a dire il principio per cui l'equo indennizzo non si calcola in base allo stipendio concretamente spettante all'interessato in virtu' delle sue personali vicende di carriera e di progressione economica, bensi' in base allo stipendio virtualmente spettante ad un ipotetico impiegato della medesima carriera che si trovi alla posizione iniziale di una determinata qualifica o livello retributivo. Posizione che, per il personale di magistratura, l'art. 154, quarto comma, della legge 11 luglio 1980, n. 312, individua in quella del magistrato di Cassazione. E poiche' si tratta del magistrato appena nominato a tale qualifica o, per meglio dire, del magistrato cui e' stato appena attribuito il relativo trattamento economico (legge 20 dicembre 1973, n. 831, come modificata per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 86/1982), l'amministrazione ha, quindi, preso come base per il conteggio dell'equo indennizzo lo stipendio tabellare del magistrato di Cassazione con l'aggiunta (artt. 5 e 6 della citata legge n. 425/1984) dell'importo corrispondente alle tre classi biennali maturate nella posizione di provenienza. Ma il ricorrente contesta tale lettura dell'art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, e, indipendentemente dall'impugnazione dei due indicati ministeriali che di esso hanno fatto applicazione - in quanto considerati quali meri atti paritetici incapaci di incidere sul suo asserito diritto - chede, comunque, in entrambi i ricorsi, l'accertamento, in via principale, della propria pretesa alla riliquidazione dell'equo indennizzo in misura diversa e superiore, con la conseguente condanna dell'amministrazione al pagamento del maggior importo dovuto, con gli interessi legali sino al saldo. In via subordinata, il deducente eccepisce l'illegittimita' costituzionale del cennato art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, nella parte in cui, ai fini della determinazione del beneficio in argomento, dispone che anche per i magistrati, come il ricorrente, che hanno superato il trattamento economico del consigliere di Cassazione, se debba continuare a considerare il trattamento medesimo, quale base di calcolo, anziche' lo stipendio effettivamente goduto dall'interessato all'atto della determinazione del suddetto beneficio. Osserva, peraltro, il collegio come la domanda, svolta in via principale dal ricorrente, non possa, allo stato, essere accolta in ragione dell'inequivocabile dizione letterale del ripetuto art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, secondo il quale, indipendentemente dalla posizione di carriera del singolo magistrato richiedente, l'indice di riferimento rimane "lo stipendio del magistrato di Corte di cassazione", intendendosi per tale lo stipendio iniziale connesso a tale posizione, maggiorato dell'adeguamento retributivo recato dalla citata legge n. 425/1984 (e cioe', dell'importo corrispondente all'anzianita' pregressa minima necessaria e sufficiente per l'accesso a detta qualifica). La pretesa del deducente di prendere, quale diverso indice di riferimento, lo stipendio da lui goduto al momento della liquidazione, vale a dire, quello del magistrato di Cassazione nominato alle funzioni direttive superiori, all'ottava classe, ottavo scatto, andrebbe, dunque, disattesa. C'e', pero', da chiedersi se tale domanda non possa, invece, essere presa in considerazione a seguito di un intervento adeguatore della Corte costituzionale sul tenore testuale del predetto art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, onde renderlo conforme a Costituzione - mediante una sentenza additiva - sopperendo cosi' ad un'evidente omissione del legislatore. A questo punto, appare allora, in tutta la sua evidenza, la rilevanza dell'affacciata questione di costituzionalita' del menzionato art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, quale norma direttamente applicabile per la soluzione della presente controversia. Tale questione, oltre che rilevante, appare al collegio altresi' non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione. Inverso, la norma all'esame, in combinazione con l'art. 49, secondo comma, del d.P.R. 3 maggio 1957, n. 686, in virtu' del quale "l'indennizzo e' ridotto del 25 % se l'impiegato ha superato i cinquanta anni di eta' e del 50% se ha superato il sessantesimo anno di eta'", innesca un meccanismo irrazionale, evidentemente non ponderato appieno del legislatore. Infatti, se si tiene conto che la carriera del magistrato si puo' svolgere sino a settanta anni, e che, inoltre, successivamente alla qualifica di consigliere di Cassazione, essa puo', teoricamente, svilupparsi su altre tre qualifiche (funzioni direttive superiori, presidente aggiunto, primo presidente) si puo' notare che, a mano a mano che il magistrato di Cassazione consegue la promozione alle qualifiche superiori - nell'eventualita' che egli incorra in una delle menomazioni dell'integrita' fisica, riconosciute dipendenti da causa di servizio e che, quindi, danno titolo alla concessione dell'equo indennizzo - da un lato, egli vedrebbe arrestarsi la base di calcolo di quest'ultimo ad un livello stipendiale inferiore a quello in godimento; dall'altro lato, subirebbe la decurtazione, sino alla meta', dell'importo spettantegli, proprio in corrispondenza di quel periodo della vita (dai cinquanta ai settanta anni di eta') ove e' piu' concretamente possibile che egli raggiunga le suddette promozioni. Siffatta iniqua concomitanza di fattori riduttivi non si verifica, al contrario, per gli altri dipendenti statali, rispetto ai quali la decurtazione legata all'eta' e', invece, compensata dall'incremento della base stipendiale di calcolo. Invero, per costoro l'art. 154, secondo comma, della legge n. 312/1980 fissa quale indice di riferimento per la determinazione dell'equo indennizzo "la classe iniziale di stipendio della qualifica o del livello di appartenenza", senza, quindi, porre limiti in caso di conseguimento (per promozione, per concorso, per sanatoria o altri titoli idonei al passaggio di qualifica o di livello di posizioni funzionali superiori. Cio' appare al collegio sufficiente a far gravare sull'art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, forti sospetti di contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto, da un lato, esso introduce un'ingiustificata disparita' di trattamento di una categoria di personale rispetto alla generalita' dei dipendenti statali; dall'altro lato, la norma all'esame, realizza un irragionevole e perverso congegno di riduzione, del beneficio in parola, in senso inversamente proporzionale alla progressione di carriera del magistrato, si' da far persino dubitare, della pertinenza al caso di specie, dell'attribuito di "equo", con il quale l'indennizzo stesso viene, appunto, contraddistinto. Ad avviso del collegio, inoltre, la norma in questione, nella parte in cui non consente ai magistrati che abbiano superato il livello stipendiale di consigliere di Cassazoine di conservare - come base di calcolo dell'equo indennizzo - il trattamento economico, anche iniziale, purche' relativo alla qualifica effettivamente posseduta, si pone, altresi', in conflitto con l'art. 32 della Costituzione, sulla tutela della salute, intesa non quale bene astratto, indifferenziato e fine a se stesso, quanto, piuttosto, come attitudine psico-fisica che permette all'individuo di affermarsi utilmente nei rapporti sociali e di lavoro. Infine, l'art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1982, nella parte in cui induce l'ingiustificato effetto riduttivo sopra descritto, addensa sul medesimo pesanti dubbi - come ha posto in luce la difesa del ricorrente - sulla sua conformita' al dettato dell'art. 38 della costituzione, sulla tutela della salute ed incolumita' dei lavoratori, anche attraverso la predisposizione di misure e rimedi successivi, in caso di malattia e di infortuni non totalmente invalidanti. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il collegio ritiene dunque, che la sollevata questione di legittimita' costituzionale, in parte qua, dell'art. 154, quarto comma, della legge n. 312/1980, in relazione agli artt. 3, 32 e 38 della Costituzione, non sia manifestamente infondata e che, inoltre, la sua risoluzione sia imprescindibile, ai fini della definizione del giudizio introdotto con i ricorsi in epigrafe.