IL PRETORE
    Visti gli atti del processo a carico di Potena Pasqualino;
    Vista  l'istanza  con  cui  l'imputato ha richiesto applicarsi nei
 suoi confronti la pena di mesi tre e gg. venti di reclusione ex  art.
 444 del c.p.p.;
    Rilevato  che  il  p.m.  ha  ritenuto  di  manifestare  il proprio
 dissenso, motivando col grave pregiudizio che deriverebbe alla  parte
 lesa - costituita parte civile - per la mancata tutela giudiziaria in
 sede penale in caso di "patteggiamento";
    Vista  l'eccezione  proposta  in  via subordinata dal difensore di
 parte  civile  con  la  quale  e'  stato  avanzato   il   dubbio   di
 illegittimita'  costituzionale degli artt. 444, secondo comma, e 445,
 primo comma, del c.p.p. richiamati  dall'art.  563  del  c.p.p.,  per
 contrasto con gli artt. 24, primo comma, e 25 della Costituzione;
                             O S S E R V A
 Sul rilevanza della questione.
    La  prospettata  questione  di  illegittimita'  costituzionale  e'
 rilevante per la  definizione  del  presente  processo,  poiche'  ove
 all'esito   del   dibattimento  venisse  ritenuto  ingiustificato  il
 dissenso del p.m. ex art. 448 del c.p.p., la  emananda  sentenza  non
 potrebbe avere ad oggetto le statuizioni civili relative alla domanda
 proposta dalla parte civile.
    Ne' si ritiene necessario, per proporla, attendere la chiusura del
 dibattimento, poiche' le argomentazioni addotte dal p.m.  a  sostegno
 del suo dissenso attengono anch'esse alla legittimita' costituzionale
 del c.d.  "patteggiamento"  in  presenza  di  costituzione  di  parte
 civile.
    In  altri  termini risulta chiaramente che il p.m. non ha ritenuto
 di aderire alla richiesta di applicazione della pena ex art. 444  del
 c.p.p.  formulata  dall'imputato, perche' ritiene illegittimo il rito
 relativamente alla esclusione della tutela giudiziaria in sede penale
 della parte civile, e cosi' e' stato costretto a dissentire.
    Consegue che l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' delle
 norme denunciate indurrebbe il p.m. a consentire al "patteggiamento".
 Anche  sotto  tale  profilo  si  pone  la rilevanza della prospettata
 questione, essendo la sua risoluzione chiaramente un presupposto  per
 la  valutazione  in ordine alla giustificabilita' o meno del dissenso
 ex art. 448 del c.p.p.
 Sulla non manifesta infondatezza.
    La prospettata questione e' altresi' non manifestamente infondata.
 Invero le norme di cui agli artt. 444, secondo comma,  e  445,  primo
 comma,  del c.p.p. nell'escludere che il giudice decida sulla domanda
 della parte civile e che la  sentenza  abbia  efficacia  nei  giudizi
 civili  e  amministrativi,  sembrano  contrastare con l'art. 24 della
 Costituzione, poiche' gravemente limitative della tutela  giudiziaria
 riconosciuta  alla  persona  offesa dal reato, tutela affermata anche
 nell'ambito del processo penale agli artt. 74 e segg. del c.p.p.
    Non  puo' ignorarsi, infatti, che, anche a voler prescindere dalle
 notorie lungaggini del processo  civile,  il  danneggiato  dal  reato
 riceve   una   migliore  e  piu'  concreta  tutela  del  suo  diritto
 nell'ambito del  processo  penale,  attesa  la  possibilita'  per  il
 giudice  penale,  di  liquidare  integralmente  il danno subito dalla
 parte civile, di concedere una provvisionale e, ancora, di dichiarare
 provvisoriamente esecutivi i capi civili della sentenza.
    La  cennata  limitazione alla tutela difensiva del danneggiato dal
 reato, parte civile, risulta ancora piu' evidente ove si consideri la
 possibilita'  allo  stesso  offerta  di far valere le sue ragioni nel
 giudizio abbreviato che presuppone  un  semplice  accordo  sul  rito,
 mentre nel "patteggiamento" vi e' accordo sul merito dell'imputazione
 e la pronuncia di  una  sentenza  (equiparata  ex  art.  445  ad  una
 sentenza   di   condanna)  con  la  quale  viene  irrogata  una  pena
 sull'evidente presupposto di un riconoscimento di responsabilita'  da
 parte dell'imputato.
    Le norme di cui agli artt. 444, secondo comma, e 445, primo comma,
 del c.p.p. sembrano inoltre contrastare con il principio del  giudice
 naturale  precostituito  per  legge  ex  art.  25 della Costituzione,
 poiche' inibiscono al giudice penale, competente per legge  ai  sensi
 dell'art.  74 del c.p.p. di esaminare le istanze della p.c. in ordine
 al risarcimento dei danni conseguenti al reato.